Genova - Sulla rivolta in Grecia
DOVE LA CRISI SCATENA UN CONFLITTO SOCIALE.
DALLA GRECIA UNA RIVOLTA CHE CI PARLA
La situazione sociale ed economica greca nelle ultime settimane riempie gli spazi delle cronache giornalistiche e dei dibattiti politici. Questo perché la crisi finanziaria e le sue conseguenze fanno paura a tutti noi che viviamo nei Paesi occidentali; questo perché il modo e le istanze con cui la popolazione greca si sta rivoltando spaventano gli stessi padroni e detentori unici del potere politico ed economico degli Stati colpiti dalla crisi.
Tra i primi a subire gli effetti di questa crisi di cui si parla ormai da due anni, il Paese ellenico viene descritto sull’orlo della bancarotta, del collasso economico col pericolo di trascinare dietro di sé gli altri Paesi “deboli” dell’Europa Unita: Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia.
Per ottenere gli aiuti economici che gli “esperti” dichiarano unica soluzione possibile, il governo socialista greco ha iniziato a varare una serie di misure di “austerità” per rientrare nei parametri del Fondo Monetario Internazionale, ovvero privatizzazioni dei settori pubblici, tagli agli stipendi, blocco di tredicesime e quattordicesime, aumento dell’età pensionabile da 53 a 67 anni, aumenti di IVA e di tutti i beni sottoposti a monopolio di Stato.
L’”unica soluzione possibile” quindi non è altro che far pagare gli effetti della crisi a quelli che pagano sempre e che sempre hanno pagato le scelte dei potenti di turno. L’ottenimento dei prestiti dal FMI è quindi vincolato alle misure economiche che provocheranno un immediato impoverimento generale delle condizioni di vita; gli effetti susseguenti saranno invece un debito ancora più elevato nei confronti dei creditori attuali che dovranno essere pagati nei prossimi decenni.
Il clamore suscitato sui media internazionali dagli eventi greci delle ultime settimane rende solo in modo parziale e mistificatorio la realtà di una protesta sociale che da mesi rifiuta non solo le misure del governo, non solo l’idea di dover “pagare la crisi” con nuovi sacrifici, ma occupa le strade, le piazze e la scena politica opponendosi con contenuti e pratiche variegate ad un modello sociale che non ha più nulla da offrire se non miseria e false illusioni.
Quella di questi giorni, la più grande mobilitazione popolare della storia contemporanea greca, e non solo, racchiude in sé tutti coloro che quotidianamente sotto diversi aspetti subiscono da decenni le ingerenze del potere capitalista: lavoratori sfruttati - pubblici e privati - disoccupati, immigrati in bilico tra lo schiavismo e la deportazione, anarchici e anti-autoritari stufi di vivere in un mondo che non gli appartiene, sinistre anti-parlamentari, studenti di tutte le età.
Gli scioperi generali che si susseguono, le manifestazioni, le occupazioni hanno come obiettivo il blocco delle misure governative e delle pretese di FMI e UE, rappresentano il tentativo di fermare un processo che porterebbe molte persone a vivere una vita di stenti lontana dal benessere garantito ai pochi; sono, senz’altro, anche l’urlo di rabbia ed esasperazione di migliaia di individui che si trovano costantemente sotto minaccia. Quello che non viene detto – e che decisamente è l’aspetto più “pericoloso” per il sistema democratico globalizzato – è che tutto ciò si staglia in un contesto sociale che già da tempo guarda oltre sperimentando l’autogestione (dai luoghi di incontro come parchi e piazze alle università, dai quartieri alle case occupate) e la solidarietà attiva tra chi se la passa meno bene.
Per questo, come in seguito all’omicidio di Alexis (15 anni) da parte di un poliziotto nel dicembre 2008, le considerazioni rispetto a quello che sta avvenendo necessitano di andare oltre l’elemento scatenante, in questo caso le riforme con i conseguenti tagli.
Per questo la tragica morte di tre lavoratori, obbligati dai loro dirigenti a non partecipare allo sciopero pena il licenziamento, merita una profonda riflessione e il doveroso spazio, ma non può essere utilizzata dai politici al potere per strumentalizzare o oscurare i caratteri di un’insorgenza generalizzata che fa tremare l’ordine costituito e la normalità fatta di privazioni e soprusi ai danni delle classi più povere.
Gli attacchi alle banche, alle caserme, ai luoghi del potere, ai partiti democratici, gli scontri interminabili con le forze dell’ordine messe in atto da anni dai settori più radicali dei movimenti sociali in Grecia rappresentano in realtà un sentimento molto più diffuso, un sentimento che riconosce nel capitalismo e nella democrazia le basi strutturali di una società di oppressione.
Il presente della Grecia potrebbe essere il domani dell’Italia e di altri Paesi europei, per questo dovremmo cogliere, come un messaggio in una bottiglia, quello che le strade e le piazze greche ci raccontano: possiamo aspettare inermi e subire passivamente per l’ennesima volta oppure resistere ai piani dei potenti, reagire, attaccare chi gestisce le nostre esistenze, sperimentare nuove forme di auto-organizzazione, solidarietà e mutuo appoggio: le uniche vie che possono fermare l’ordine esistente e renderci finalmente padroni e protagonisti delle nostre vite e del nostro futuro.
Alcuni/e solidali/e con la rivolta greca
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