Testimonianza di Aldo Gionta, detenuto nel carcere di Badu e Carros
Giovedì sette settembre 2006 Ore sette del mattino, la guardia della sezione mi chiama: "Gionta si prepari deve andare a fare il permesso…". Mi alzo dal letto in fretta e furia, faccio una veloce colazione con una merendina ed un succo di frutta, mi faccio la barba, dalla fretta mi taglio leggermente, mi lavo, mi metto un po’ di profumo per levarmi di dosso l'odore della galera e mi vesto. Sono pronto e mi metto davanti al cancello ed incomincio a pensare ed ad immaginare cosa proverò nel vedere ed abbracciare mia moglie ed i miei figli dopo quattordici anni. Quando mi hanno arrestato il maggiore dei miei due figli V. aveva dieci mesi, ora ha quindici anni, e la mia bambina G. è nata che ero già in prigione da tre mesi, ora compie quattordici anni. Finalmente la guardia ritorna e mi chiede se sono pronto gli rispondo che sono pronto da ben quattordici anni… Mi aprono il blindato della cella poi il cancello, esco dalla sezione, entro nella rotonda, salgo le scale, mi spoglio, mi perquisiscono, mi rivesto, mi mettono le manette ed accompagnato da tre uomini di scorta ci avviamo alla porta centrale nel gergo carcerario, per chi esce chiamata porta del paradiso, per chi entra porta dell'inferno. Attraversiamo ancora ben quattro cancelli, finalmente ci troviamo davanti all'ultima porta dove c'è il blindato con quattro uomini ed una macchina di staffetta con altre tre guardie dentro ad aspettarci.
Il viaggio dura pochi minuti perché il convento delle suore dove trascorrerò le quattro ore di permesso con la famiglia dista dal carcere pochi chilometri. Una volta arrivati e sceso dal blindato incontro suor Beatina che mi accoglie con un sorriso ed un buon giorno, rispondo con gli occhi bassi perché ho ancora le manette ai polsi e mi vergogno. Guidati dalla suora entriamo in una sala abbastanza grande con una piccola cucina interna, mi levano le manette ed aspetto che arrivi la mia famiglia. Il cuore mi batte forte, un po’ per il caldo, un po’ per l'emozione incomincio a sudare e per un attimo mi viene il dubbio che va a finire che per la gioia ci lascio le penne… Guardando fisso alla porta dove entrerà la mia famiglia penso con dolore e sofferenza ai problemi psicologici di mia figlia e alla dura lotta che ho dovuto affrontare per ottenere di incontrare la mia bambina fuori delle mura di un carcere. Per ben undici anni l'ho sempre incontrata dietro un vetro divisorio per una sola volta al mese, perché sottoposto allo stato di tortura del 41 bis, senza potergli dare una carezza ne un bacio… Ripercorro le tappe… Faccio presente al magistrato di sorveglianza, allegando relativa documentazione di psicologi e psichiatri, che mia figlia frequenta un centro di riabilitazione perché la bambina ha effettuato gesti di autolesionismo. Il magistrato di sorveglianza invia visita di controllo a casa, il medico attesta che la bambina ha seri problemi affettivi soprattutto per la mancanza della figura paterna. Nonostante questo il magistrato respinge la richiesta di un breve permesso da trascorrere con la bambina in un ambiente fuori della prigione. Mi colpisce, mi ferisce, mi fa arrabbiare soprattutto la motivazione: "…la bambina non versa in gravi condizioni di salute e non è in imminente pericolo di vita". Ne parlo con l'amico Carmelo che mi consiglia di ricorrere al tribunale di sorveglianza di Sassari, cosa che io faccio subito.
Passano i giorni e aspetto l'avviso della data della fissazione dell'udienza, nel frattempo la mia famiglia è in apprensione, è l'ultima possibilità, al telefono ho promesso a G. di stare tranquilla che presto ci saremo visti fuori… L'ho promesso a mia figlia… non posso fallire, ce la devo fare! Arriva il giorno di andare al Tribunale di Sorveglianza di Sassari, siamo io e Carmelo perché oltre al mio permesso c'è la discussione del reclamo per presenziare alla rappresentazione esterna di un libro di poesie collettivo. Dopo qualche minuto di anticamera mi chiamano, Carmelo mi dice "in bocca la lupo" io rispondo "crepi" ed entro nell'arena dei leoni determinato a parlare con il cuore e non con la mente. Il clima è sereno, tutti mi salutano e mi mettono subito a mio agio… Dopo la relazione del giudice a latere il Presidente mi chiede se ho qualcosa da dire e prendo la parola con la speranza che mi ricordi tutto il discorso che da giorni mi ero preparato ed inizio a parlare. "Signor Presidente,signori giudici, per fortuna mia figlia non è in pericolo di vita… la mia bambina non è malata per problemi fisici ma soffre per motivi psicologici ed affettivi… a causa del duro regime a cui sono sempre stato sottoposto l'ho vista sempre dietro un vetro senza mai un momento di fisicità per scambiare un bacio, una carezza. E tutt'ora quando mi viene a trovare in carcere domanda a sua madre se ci sarà ancora il vetro e piange per la paura di non poter toccare papà… è convinta che è colpa sua che il papà è in carcere perché è una bambina cattiva… per me parlare e parlare di queste cose è uno strazio… datemi la possibilità di incontrarla in un ambiente che non sia un carcere… per una volta datemi l'opportunità di farla felice… la mia bambina è l'inizio e la fine del mio mondo". Ad un tratto il Presidente con un sorriso benevolo mi domanda dove eventualmente vorrei usufruire il permesso. Gli rispondo… in qualsiasi posto dove non ci siano sbarre e cancelli, andrebbe bene anche nella casa delle suore… E subito dopo il Presidente da la parola al Procuratore generale ed incredibilmente costui da il parere favorevole al permesso. Sento un tuffo al cuore, è la prima volta che accade che la pubblica accusa è a me favorevole…
Mentre pensavo al viaggio di ritorno al carcere di Nuoro fiducioso, sento dei passi avvicinarsi e delle voci familiari, a parte il gel che mi sono messo mi si raddrizzano i capelli e sto con le orecchie tese ed ecco che spunta V. che mi salta addosso e rischia di farmi cadere perché ormai è un ometto, più alto e grosso di me. Subito dopo mi abbraccio la mia bambina la bacio sulle guance e sulle labbra e lei ride, si fa rossa e sembra il sole della mia vita. Poi è il turno di mia moglie, di mio cugino e di sua moglie con i loro due bambini. Ci sediamo, mi girava la testa e guardavo l'orologio, quattro ore sarebbero passate in fretta, dovevo stare attento a non sprecare neppure un minuto e ne un secondo… Dovevo immagazzinare bene nella mia mente e nel mio cuore questi momenti per i tempi brutti e tristi che ci sarebbero stati in futuro dato che il mio fine pena è ancora lungo, troppo lungo… Pensando a questo tenevo la mano alla mia bambina come se fossimo due fidanzati e lei poverina non era abituata e si vergognava. Invece mio figlio era molto più a suo agio, parlava continuamente e toglieva spazio alla sorella ed al resto della famiglia. Non sapevo con chi parlare, chi abbracciare, chi baciare e chi guardare, mi sentivo come un assetato nel deserto che tutto ad un tratto si trova davanti ad un mare d'acqua dolce… Verso le undici e mezzo mio cugino e V. vanno a prendere il pranzo in trattoria e tornano con tanta roba buona da mangiare. Dopo 14 anni mi trovo a tavola con la famiglia ma con il problema che non riesco più a tenere in mano un coltello, anche la forchetta d'acciaio sembra che pesa un chilo per non parlare dei bicchieri di vetro e dei piatti… In carcere si mangia con i piatti di carta, le posate di plastica ed i bicchieri di carta sembrano delle piume. Tutto ad un tratto prendo la bottiglia di spumante per fare un brindisi ma non riesco ad aprirla, ha un tappo complicato… Penso a come sarò difficile quando uscirò a riabituarmi alla libertà, ma ce ne fossero di questi problemi, li affronterei domani stesso, invece purtroppo mi aspettano ancora quasi dieci anni di carcere e guardo continuamente l'orologio… Non ho appetito anche perché ho paura che se perdo tempo a mangiare il tempo passa più in fretta. Mi metto a parlare di musica classica con mia moglie e di come mi piacerebbe portarla alla Scala ed ascoltare un concerto. Lei affettuosamente mi dice se nella vecchiaia sono diventato romantico… e che spero di avere il tempo, dopo tanto dolore, di dargli un po’ di felicità e serenità.
Prendo coraggio e chiedo al capo scorta se posso fare delle foto insieme con i miei figli, sia per me che per loro è importante, non abbiamo neppure una foto dove siamo insieme e vorrebbero fare vedere agli amici ed amiche il loro padre insieme con loro almeno in foto. Il capo scorta sostiene che non è possibile, ci vuole un'autorizzazione speciale ed altre stupidaggini del genere, gli rispondo che se i giudici mi hanno concesso un permesso fuori delle mura di un carcere non saranno certo contrari a scattare delle foto con i miei figli. Ci rimango male ma mia moglie mi consola e riesce a strapparmi un sorriso. Ormai le quattro ore stavano per scadere e dalla paura che tra poco li avrei lasciati incomincio a coccolarli con più affetto ed amore. Mi raccomando con loro di studiare, soprattutto insisto con mio figlio di diplomarsi poiché in caso contrario lo manderò a La Spezia da mio cognato a lavorare. Lui mi tranquillizza anche perché vuole stare al paese dove ci sono i nonni, i cugini e tutti gli altri parenti. Poi gli prometto che quando uscirò li porterò in vacanza due mesi in una bella isola, la mia bambina mi dice: "Papà ma quando esci è giusto che la prima vacanza la fai con la mamma, tu e lei da soli". Gli rispondo, non se ne parla neppure perché io non mi separerò da voi mai più… V. m'invita a fare braccio di ferro e io gli dico di no perché mi farebbe fare brutta figura davanti alle guardie dato che lui è alto 1,80 e pesa 80 chili mentre io peso appena 62 chili, si mette a ridere… Purtroppo dopo l'alba viene il tramonto, con la coda dell'occhio vedo le guardie che si alzano e si avvicinano e mi dicono è l'ora… Con immensa fatica mi alzo, cerco di essere forte per fare coraggio ai miei figli e alla mia compagna, stringo forte forte mio figlio per alcuni secondi, poi bacio mia figlia e gli sussurro, non ti preoccupare ci vedremo presto e ricordati sempre che io ti amo e ti sono sempre vicino con tutto il mio affetto e poi è il turno della donna della mia vita, di mio cugino, di sua moglie e dei loro figli e li vedo allontanarsi e mi sembra per un attimo che una parte di me, la più importante, sta andando con loro… Aldo Gionta Carcere di Nuoro - settembre 2006
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