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il mito dello stato e la realtà dell'annessione
by Amira Hass Sunday, Apr. 06, 2003 at 10:11 PM mail:

Il mito dello stato e la realtà dell’annessione 12 Febbraio 2003 Hàaretz

In Israele è opinione diffusa che, nel 2000, i palestinesi rifiutarono la “generosa” offerta israeliana di una soluzione permanente e la disponibilità dimostrata verso la creazione di uno stato palestinese consentendo l’esplosione del sanguinoso conflitto. Secondo lo stesso convincimento, molti israeliani ancora adesso continuano a sostenere la costituzione di uno stato palestinese – ma non prima che i palestinesi abbiano fermato il terrorismo.
Tale convincimento ha un ruolo importante negli sforzi mediatici di propaganda politica da parte di Israele – si legga Esercito Israeliano – nella West Bank e a Gaza, nel rispetto della linea: i palestinesi hanno cominciato, quindi possono sopportare.

Che assurdità. Durante il decennio di negoziati, cominciati nel 1991 con la Conferenza di Madrid, l’idea di uno “stato palestinese” come soluzione del conflitto israelo-palestinese si è guadagnata un numero sempre crescente di sostenitori in Israele, fino a diventare un legittimo argomento di discussione nell’arena politica, come non lo era mai stato. Ma contemporaneamente, il territorio assegnato allo stato palestinese si è ristretto, è stato fatto a pezzi, è stato diviso. Tutto è stato documentato e ne è stata data notizia. Ma oggi, come allora, la maggior parte degli israeliani non è mai stata nei territori. Pertanto, tutto quello che è successo, ha natura astratta. Un salvacondotto? L’espropriazione delle terre? L’espansione degli insediamenti? Gli alberi sradicati? Le recinzioni? Cosa rappresenta tutto ciò al confronto delle dichiarazioni israeliane di disponibilità a concessioni in un qualche indefinito futuro? Quindi il mito diventa tangibile e reale – il mito delle concessioni come quello del sostegno alla formazione di uno stato palestinese. E questi miti continuano ad alimentare il pressoché irremovibile sostegno alla politica militare israeliana nei territori.

Nel gennaio del 1991, quando Israele cominciò ad usare le recinzioni, per impedire ai palestinesi sia la libertà di movimento in terra israeliana che quella tra Gaza e la West Bank, molti pensarono ad un “ritorno alla Green Line”. Molto rapidamente si comprese che la Green Line era nera quando era riferita agli spostamenti palestinesi, ma molto sbiadita per gli ebrei di Israele: il “decennio di pace” è stato caratterizzato da un incessante espansione degli insediamenti e il duplicarsi del numero di coloni nella West Bank e a Gaza (senza considerare le zone annesse a Gerusalemme), mentre decine di migliaia di dunam (1 dunam=1000 mq, NdT) di terra essenziali per la pianificazione e lo sviluppo palestinese sono stati inghiottiti. Gli enormi “blocchi” degli insediamenti, riguardo i quali l’orientamento israeliano è per l’annessione al proprio stato e non per la rinuncia, dividono la West Bank in zone separate. Nel “decennio di pace” vaste aree della Valle Giordana e della West Bank sono state dichiarate “zone militari protette”, consentendo lo sfratto dei contadini e pastori beduini che vi avevano abitato per decenni.

Le ambizioni di annessione sono state rese esplicite negli interim agreements. Primo, non c’era alcuna definizione delle aree dalle quali Israele avrebbe dovuto ritirare l’esercito nell’ambito del “reployment” (ritiro totale dai territori occupati, NdT), lasciando intendere che ci sarebbe stata incapacità d’imporsi in qualsiasi fase di ognuno dei negoziati per ognuna delle enclave destinate allo sviluppo civile palestinese. Secondo, la zona occupata era stata suddivisa in tre aree immaginarie: A, B e C. Nell’area C, controllata interamente dell’esercito e dalla popolazione civile israeliana, le costruzioni sono state accelerate sia in termini di enormi by-pass roads (strade destinate all’uso israeliano ed interdette ai palestinesi, NdT) che di insediamenti. Alla vigilia della seconda intifada, circa il 60 % della West Bank rientrava nell’area C, quindi off-limits per la pianificazione e lo sviluppo palestinesi.

Quando esplose l’intifada, l’esercito e i coloni si coalizzarono per tagliare i palestinesi fuori dalle proprie terre e sradicare ciò che avevano piantato. Adesso, la costruzione del muro di divisione implica ulteriori espropriazioni terriere, la distruzione di decine di migliaia di dunam di terra coltivabile tramite l’annessione di circa 30 sorgenti d’acqua e l’estromissione di migliaia di persone dalle proprie terre. Nell’affollata Gaza, enormi aree agricole, siano esse state distrutte da bulldozer o meno, sono diventate campi di morte: gli insediamenti, in definitiva, sono stati creati nel cuore delle aree agricole. Chiunque percorra uno di quei campi è colpito a fuoco, in base alle direttive d’azione impartite all’esercito. E la metà della costa di Gaza, unica possibilità di fuga dalle città affollate e dai campi profughi, è stata interdetta ai palestinesi.

La tendenza degli israeliani è di considerare questo processo praticamente predeterminato: la risposta israeliana ha il significato di azione di contrasto del terrorismo. Fa comodo dimenticare che quando venne diffuso l’ordine di recinzione nel 1991, non era a causa delle numerose esplosioni suicide in Israele, anche se l’accesso alle città israeliane era molto più agevole di quanto non sia adesso. È facile dimenticare l’espansione delle colonie.

È facile affermare che le enormi, dolorose espropiazioni delle terre palestinesi per realizzare il muro di separazione – e le barriere intorno alle colonie – siano realizzate solo per ragioni di sicurezza. È ben più difficile vedere la verità – forse vera e propria intenzione sin dal 1994 – che si sta occultando col mito dello stato, i negoziati e i dialoghi per la sicurezza, la riduzione al minimo delle aree che restano ai pelastinesi per lo sviluppo indipendente, e che, con l’aiuto dell’esercito, si sta facendo accettare ai palestinesi uno “stato” che più o meno somiglia a quello descritto nel piano cantonale di Avigdor Lieberman.
Come negli anni di Oslo, la maggior parte degli israeliani ignora il fatto che le politiche israeliane di costruire negli insediamenti più grandi, non in quelli piccoli, e di espropriare le terre lungo il muro di divisione, compromettono ogni possibilità di raggiungere un accordo di pace non imposto o subito, ma basato veramente sulla costruzione dei due stati.


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