da "I Siciliani", giugno 1985
Esiste un "filo diretto" tra la strage di Natale sul treno di Val di Sambro e l'attentato al giudice Carlo Palermo? L'ipotesi, cautamente ventilata negli scorsi mesi, potrebbe diventare certezza quando saranno ufficialmente depositati i risultati della perizia che le Procure della Repubblica di Caltanissetta, Roma e Bologna hanno ordinato sugli undici telecomandi per ordigni esplosivi trovati in un appartamento romano del mafioso Pippo Calò. A quel punto un nuovo capitolo d'indagini si spalancherebbe su un inquietante pezzo di storia italiana degli ultimi anni: quello che riguarda i rapporti tra mafia e camorra, eversione nera, massoneria piduista e settori deviati dei servizi segreti. Cominciamo dalla traccia più consistente e clamorosa, ossia il probabile collegamento fra la strage del treno di Val di Sambro e l'attentato di Trapani nel quale persero la vita una donna e due bambini. La strage del rapido porta la data del 23 dicembre dello scorso anno, e fu attribuita a elementi del terrorismo di destra; quella che avrebbe dovuto eliminare il giudice Carlo Palermo, da poco giunto a Trapani, è del due aprile di quest'anno, e la matrice è chiaramente mafiosa. Tra i due fatti di sangue si inserisce un episodio apparentemente slegato dagli altri, ma che in realtà potrebbe essere l'anello di congiunzione fra i due tragici episodi. Il 30 marzo a Roma viene arrestato Pippo Calò, titolare nella capitale di una vera e propria holding che ricicla denaro di provenienza illegale. Le successive indagini portano alla scoperta di un covo in cui sono custoditi undici sofisticati congegni radio in grado di telecomandare lo scoppio di ordigni esplosivi in un raggio di sette chilometri. Li ha costruiti un tecnico tedesco, Fredrich Schaudinn. Calò è un personaggio di primissimo piano della struttura mafiosa. Buscetta, nelle sue rivelazioni, lo ha indicato come uno dei componenti della commissione interprovinciale mafiosa che avrebbe deciso i più clamorosi delitti di mafia degli ultimi anni. Subito dopo l'arresto di Pippo Calò, i magistrati che indagano a Bologna e a Caltanissetta dispongono immediatamente l'esecuzione delle perizie necessarie a stabilire eventuali collegamenti tra gli ordigni fabbricati dal tecnico tedesco alle dipendenze di Calò e le stragi di Trapani e Val Di Sambro. Se il collegamento coi fatti di Trapani viene spontaneo, quello con l'attentato fascista al treno di Natale è autorizzato da una serie di circostanze concordanti. Era stato il ministro degli Interni in persona, all'indomani della strage del rapido, ad indicare la possibilità di un coinvolgimento di gruppi mafiosi e camorristici nella preparazione e nell'esecuzione dell'eccidio di Val di Sambro: una possibilità che affondava le proprie radici in un episodio di alcune settimane prima. A novembre, un uomo si era presentato in questura a Napoli e aveva preannunciato per Natale un attentato "ad un treno diretto verso Parigi". Il suo nome e il suo passato sono tutto un programma: Carmine Esposito, napoletano, detto "o' professore", ex agente della polizia stradale. Da alcuni anni bazzica negli ambienti della camorra, dove però è ritenuto poco più che una scartina, e si arrangia con qualche confidenza ai suoi amici poliziotti. Le sue rivelazioni però vengono prese sul serio solo dopo la strage del 23 dicembre. Quando il giudice bolognese Claudio Nunziata lo interroga per sapere da chi avesse avuto lo soffiata, "o' professore" capisce di essere entrato in un gioco più grosso di lui, è terrorizzato, e ai giudici ripete disperatamente una fantasiosa versione dei fatti: la notizia l'avrebbe appresa da un veggente napoletano. Esposito finisce in carcere per reticenza e le successive indagini riportano tutto entro i confini della realtà. La polizia arresta Giuseppe Misso, capo camorrista del quartiere Sanità e simpatizzante degli ambienti dell'estrema destra napoletana e veneta. Misso non si lascia sfuggire una parola, ma i giudici sono convinti che da lui o da un uomo del suo clan, Carmine Esposito abbia sentito parlare con un mese di anticipo della preparazione di un attentato ad un treno. Oltretutto il T4, l'esplosivo usato per la strage, è lo stesso di cui si serve in genere la camorra per l'esecuzione dei suoi attentati a scopo estortivo. Il T4, del resto, è un esplosivo che piace anche ai nostri servizi segreti. Una valigetta piena di questo materiale fu ritrovata su un treno diretto a Bologna due anni fa: si trattava di una manovra di Francesco Pazienza e del generale piduista Pietro Musumeci, all'epoca capo del Sismi, che doveva servire a depistare le indagini sulla strage alla stazione di Bologna del 1980. La notizia dei probabili collegamenti tra gli ordigni di Calò e le stragi di Val di Sambro e Trapani tiene per qualche giorno le pagine interne dei quotidiani nazionali, poi scompare del tutto. E torniamo a questi giorni. La perizia è ormai quasi conclusa e gli elementi fin qui emersi inducono i giudici romani a precederne il risultato finale. Dall'arsenale di Pippo Calò, ambasciatore della mafia a Roma, sarebbero partiti i telecomandi serviti a far saltare in aria prima il treno di Val di Sambro e poi la macchina di Carlo Palermo. Stragi nere e stragi di mafia si confondono in un unico quadro, e aprono la strada ad un campo di indagini pieno di ombre. Pieno di ombre, ma non del tutto inesplorato. Sui rapporti tra mafia, camorra ed eversione nera, e sui loro addentellati con gli ambienti della P2 e dei servizi segreti, stanno lavorando alcuni giudici in diverse parti d'Italia. Tra loro ci sono due dei magistrali più impegnati del tribunale di Roma, Ferdinando Imposimato e Domenico Sica. E il 4 giugno scorso quest'ultimo ha depositato presso la cancelleria del Tribunale di Roma una requisitoria di 53 cartelle che costituisce un documento utilissimo per comprendere la nuova mappa delle alleanze fra strutture illegali di diversa estrazione. Le indagini partono dall'omicidio del pregiudicato romano Domenico Balducci, ucciso a Roma nell'ottobre del 1981. Balducci, insieme a Danilo Abbruciati ed Ernesto Diotallevi, faceva parte del clan criminale romano che più di qualunque altro ha saputo introdursi a pieno titolo nell'incredibile calderone delle alleanze e delle complicità tra diversi settori dell'industria criminale e affaristico-politica romana. Ecco come nelle prime pagine della requisitoria di Sica viene inquadrata la figura di Balducci attraverso l'excursus delle sue molteplici amicizie: «Risultò che era collegato al boss mafioso Di Cristina... che era in rapporti con Tommaso Buscetta e - in modo assai più intensivo - con l'esponente mafioso Pippo Calò». Ben introdotto nel gotha della mafia palermitana, Balducci vanta però valide amicizie anche sui versanti della P2, delle forze dell'ordine e dei servizi segreti: «...Nel contempo intratteneva anche relazioni d'affari con Francesco Pazienza, con Flavio Carboni... contemporaneamente occorre dire che il Balducci (ormai da tempo latitante) godeva di passaggi di frontiera facilitati... manteneva rapporti di familiarità e d'incontri con il dottor Pompò (all'epoca dirigente del 1 Distretto di polizia di Roma n.d.r.); interveniva per procurare una villa ed anche una barca per la villeggiatura del banchiere Roberto Calvi... ma si offriva anche di facilitare il trasferimento in ospedale o in clinica del generale Raffaele Giudice (detenuto)... Il Balducci si trovava poi a viaggiare su aerei della società CAI (una società "di copertura" del Sismi n.d.r.)... ed in genere si vantava delle sue conoscenze politiche e di altri ambienti». Legato a doppio filo a Domenico Balducci è un altro personaggio di primo piano della mafia romana, Danilo Abbruciati, ucciso a Milano mentre tentava di eliminare il vicepresidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone. Ed è proprio Abbruciati a fare da anello di congiunzione nella capitale tra gli ambienti mafiosi e quelli dell'eversione nera. A sollevare il coperchio sui rapporti tra il pregiudicato romano e i terroristi è il ritrovamento di un deposito di armi ed esplosivi in uno scantinato del ministero della Sanità. Lo gestiscono gli uomini di Abbruciati, vi si riforniscono i personaggi più noti del terrorismo nero: Walter Sordi, Antonio Alibrandi, Massimo Cavallini, e soprattutto Giusva Fioravanti, l'ex bambino prodigio in commedie lacrimevoli che la moglie di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione Siciliana ucciso dalla mafia, avrebbe riconosciuto tra gli esecutori dell'agguato . I rapporti tra il gruppo di Abbruciati e i terroristi neri si svolgono su due direttive: secondo un terrorista pentito, Walter Sordi, in alcuni casi «il suo gruppo affidava a Danilo Abbruciati il denaro provento delle rapine, che veniva poi investito con l'affidamento a "strozzini" o nel traffico della cocaina». Viceversa, altre volte vi erano «...forniture di cocaina... ad Alibrandi, Cavallini e Giusva Fioravanti in cambio di armi o di denaro o di titoli provento di rapine». Nella requisitoria emergono anche i legami con il clan dei catanesi: Nitto Santapaola ha solide basi operative a Roma, e con i sopravvissuti del gruppo di Balducci e Abbruciati organizzerà, nel marzo dell'84, la rapina da 34 miliardi alla Securmark. Ma secondo i giudici i legami sono di più antica data: «Il gruppo di Abbruciati... si riforniva di droga anche da Pippo Ferrera detto "u Cavadduzzu" (altro boss della mafia catanese, imparentato a Santapaola n.d.r.)». A fare da "collante" di questa incredibile serie di rapporti incrociati è l'indiscusso capo della mafia romana, Pippo Calò: titolare di una potentissima rete di società edilizie e finanziarie, il boss palermitano può "disporre" di Abbruciati e Balducci, è legato a Nitto Santapaola e ai Corleonesi, conosce Carboni e Pazienza e si reca spesso a Napoli «per partecipare a riunioni con i napoletani affiliati alla mafia, tra i quali Michele Zaza e Salvatore Zaza, i fratelli Nuvoletta, Nunzio Barbarossa, Antonio Bardellino». Altro elemento di spicco dell'organizzazione è Flavio Carboni, vero trait d'union, insieme a Francesco Pazienza, tra mafiosi, politici, terroristi neri, esponenti dei servizi segreti. A lui Calò e gli altri si rivolgono quando c'è bisogno, ad esempio, di una licenza edilizia. In questi casi, secondo una testimone, «il Carboni preferiva denaro liquido, perché gli serviva per fare regali agli uomini politici che lo avevano aiutato ad ottenere le licenze». Ottimi rapporti, infine, Carboni li intrattiene direttamente con gli ambienti dell'eversione di destra tramite il suo segretario, Piero Citti, esponente di secondo piano del terrorismo nero. Dalla requisitoria di Sica emerge, in definitiva, un fittissimo intrecciarsi di interessi, personaggi, complicità; molto simile, per personaggi e interessi, a quello delineato nella sentenza di rinvio a giudizio del giudice Carlo Palermo sul traffico di armi e droga tra l'Italia e il Medio Oriente: gruppi di diversa estrazione che lavorano nel traffico di droga, si scambiano armi e favori, impiantano società in Italia e all'estero, ottengono licenze edilizie a tempo di record, collaborano nell'esecuzione di stragi ed attentati. Il tutto potendo contare sulle coperture, ancora tutte da esplorare, fornite da esponenti dei servizi segreti e da settori del mondo politico. La conclusione del giudice Sica è inquietante: «... la realtà criminale è ormai quella di una fitta serie di gruppi attivi in varie zone d'Italia... come pure emerge la caratteristica di essere un punto di riferimento per le varie associazioni criminose. Insomma, un temibile punto di aggregazione e di controllo di tutte le altre forma associate criminali».
Claudio Fava Miki Gambino Riccardo Orioles
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