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Ancora sui fatti di sabato a Milano
by Anche i volsci invecchiano Monday, Mar. 13, 2006 at 12:56 PM mail:

violenza non violenza sembra una discussione un po' fuori tempo massimo. Il problema e l'accettazione non la pratica della violenza.

Per quelli che stavano a Corso Buenos Aires. Solidarietà, innanzi tutto, solidarietà senza condizioni.
Ma qualcosa mi chiedo. Qualcosa ci chiediamo. Siamo vecchi.
C’è il nano di Arcore ora. L’antifascismo non è una questione vitale. Scalzone lo definiva un epifenomeno. (do you remember)
Non tutte le cose sono andate per il verso giusto sabato.
Flashback. Dissolvenza, i ricordi tornano alla mente
12 marzo 1977. Roma.
Al corteo sono diviso tra il timore di prendere un candelotto lacrimogeno in faccia ed il ricordo di quello che è successo nel pomeriggio del giorno prima, di quello che è successo fin dal gennaio precedente.
Roma. Piazza Esedra. C'è uno spiegamento di polizia che fa paura. Migliaia di celerini in assetto di guerra, a ranghi compatti, dappertutto. Nemmeno noi scherziamo ovviamente. Vedo i rigonfiamenti sotto i giacconi, il nostro collettivo di Psicologia, da solo, ha preparato 120 molotov. Mi ritrovo, chissà come, a delimitare un tratto di corteo con una spranga di ferro che qualcuno mi ha dato.
Mano-spranga-mano, così occorrono meno persone per fare il servizio d'ordine.
Ma è una fatica sprecata. Dal corteo si staccano subito gruppi di compagni, attaccano un hotel, (in Via Cavour -c’è ancora-) bruciano decine di automobili, mentre il cielo diventa livido e la pioggia si mescola con i bagliori degli incendi ed il fumo dei lacrimogeni.
Qualcuno mi prende per mano, lasciamo il nostro spezzone ed andiamo avanti.
Siamo una marea, c’è una altissima accettazione della violenza nel corteo, si sentono distintamente raffiche di colpi di arma da fuoco, a sinistra, a destra, in lontananza, sempre più vicino. Il corteo si spezza in diversi tronconi, ognuno dei quali sembra percorso da correnti contraddittorie.
Gente che corre in direzioni diverse, che ritma slogan, che impreca, che urla "via via", non si sa se alla polizia o a noi o a chi.
A Piazza del Popolo non si entra, il corteo sembra essere una mandria di bufali inseguita dall'odore del fuoco che sbanda e devia. Una parte piega verso il ponte, alcuni tornano indietro, qualcuno entra in una armeria, qualcuno prosegue sul lungotevere verso quello che sembra essere uno stretto collo di bottiglia. Spari di mitraglietta bucano il frastuono infernale.
M'infilo in un dedalo di stradine costeggiato da vetture fumanti e schegge di vetro,”la violenza la violenza, la rivolta chi ha esitato questa volta sarà con noi domani”. Ci facciamo largo in mezzo ad una moltitudine che sembra aver smarrito direzione e senso e corre alla cieca bagnata fino al midollo e semisoffocata.
1977-2006. Allora, la crisi dei partiti della nuova sinistra, dopo le elezioni del 20 giugno 1976, liberava forze militanti e servizi d'ordine in via di scioglimento che si riversavano in nuove forme di impegno politico e sociale date prima di tutto dallo sviluppo dei Circoli del Proletariato Giovanile e dai comitati autonomi,e, subito dopo, dall'esplodere del movimento del '77. Un profondo rimescolamento sociale mise in contatto –allora, in una situazione di crisi economica, di aumento della disoccupazione e di crisi dell'idea stessa della classica rivoluzione anticapitalistica- gruppi di giovani disoccupati, sottoccupati, marginalizzati nelle periferie degradate delle città, con studenti universitari e medi, precari, fuori sede, operai in cassa integrazione o licenziati, freaks, militanti in crisi delle organizzazioni della nuova sinistra, femministe, e noi, che appartenevamo già all’area dell'autonomia operaia. I Circoli del Proletariato Giovanile difendevano il proprio "territorio" con le "ronde proletarie", occupavano edifici e case sfitte per creare luoghi di socializzazione, isole liberate in cui riunirsi, similmente a quanto era avvenuto negli anni precedenti dentro le scuole superiori più politicizzate e dentro le Università. Si riversavano poi nel centro delle città per riappropriarsi del valore d'uso delle merci, secondo il sofisticato? linguaggio di allora, praticando le cosiddette "spese proletarie", l'autoriduzione dei biglietti cinematografici e teatrali, scontrandosi con la polizia per entrare gratis ai concerti. Con linguaggio immaginifico, ma efficace, Toni Negri descriveva bene, (anche rileggendolo ora per allora) questo nuovo fenomeno sociale. Spinte spontanee e soggettive, bisogni e desideri si incanalavano in parte nella gestualità della violenza diffusa. La nuova parola d'ordine del riprendiamoci la vita, cresciuta nei gruppi di autocoscienza femministi, diventava nostro patrimonio comune, coniugandosi con quella vecchia di alcuni anni, del prendiamoci la città, "per il comunismo e la libertà", come reclamava la canzone di Lotta Continua, scritta per sorreggere la sua iniziativa politica nei primissimi anni Settanta.
Ma ora? Ora che c’è il nano da mandare a casa che senso ha giocare il tutto per tutto sempre in ogni occasione sia pur sempre più rara. Ditemi che senso ha. Non voglio generare il gioco al massacro fra compagni e non voglio nemmeno i vostri voti. Voglio discutere come sempre, argomentare e convincere.



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