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Il persico africano alla COOP!!!
by Fabio Franz Wednesday, Oct. 18, 2006 at 4:26 PM mail: fabiofranz@gmail.com

Il persico africano, una delle specie ittiche il cui commercio non e' per nulla sostenibile e dietro il quale si nasconde una tragedia mostruosa fa la sua comparsa in un banco-frigo della COOP.

Ero convinto che la COOP fosse una catena di supermercati che si impegna per sostenere prodotti la cui produzione ha un impatto relativamente basso sull’ambiente e sulla società.
Uno dei punti fondamentali della carta dei valori di questa associazione recita così:

“La Cooperativa agisce nel perseguimento degli interessi morali e materiali dei consumatori, nel rispetto dell'ambiente, dell'uso appropriato delle risorse, della salute, dei rapporti corretti e solidali fra le persone.”

E allora perché l’altro giorno, gettando un’occhiata nel banco-frigo di una delle filiali trentine della COOP, scopro una confezione di persico africano surgelato?
Solamente il fatto che questo pesce venga importato in Europa dalla Tanzania è da condannare per via dell’inquinamento atmosferico che questa pratica comporta.
Ma ciò di cui il consumatore medio non è a conoscenza sono tutti quei fatti drammatici che sono collegati al fiorente mercato del persico africano, sviluppatosi a partire dagli anni ’70 lungo le sponde del lago Vittoria in Africa centro-orientale (il lago si divide fra Tanzania, Kenya e Uganda). A fare luce su queste vicende è un recente documentario austriaco intitolato "L’incubo di Darvin".

Negli anni ’70 questa specie (lates niloticus) viene introdotta accidentalmente e per la prima volta nel gigantesco lago Vittoria, un ecosistema che allora ospita una grande quantità di diverse specie di pesce d’acqua dolce. Grazie all’ambiente molto favorevole, in poco tempo la popolazione del persico africano (che nel lago non ha minacce naturali) aumenta in modo spropositato portando all’estinzione della maggior parte delle specie autoctone. Le carni del persico africano sono prelibate e questo porta ad una crescita esponenziale dell’industria ittica delle zone lacustri. Tuttavia, come succede di solito nei paesi in via di Sviluppo come l’Africa, ad approfittare dei vantaggi derivanti da questa risorsa/disastro naturale non è la popolazione (poverissima, dilaniata da fame, droga, prostituzione e violenza); ad approfittarsene sono solo pochi ricchi imprenditori che gestiscono le fabbriche di lavorazione del pesce e che si occupano dell’esportazione della merce in tutta Europa (compresa la Russia). Quello che rimane alla popolazione del luogo sono le frattaglie che, brulicanti di vermi, vengono fatte seccare al sole. Come in moltissime altre situazioni analoghe, non c’è ombra di dubbio che se il commercio della materia prima fosse in mano alla popolazione africana si potrebbero lenire molti dei mali che la affliggono.
Ma non è finita qui. Le casse contenute nelle ampie pance dei cargo russi che ogni giorno atterrano nelle vicinanze del lago per esportare il pesce al momento del decollo non sono vuote. Contengono armi. Di fabbricazione russa e destinate alla guerra civile in Ruanda. Stando al documentario questo triste commercio funziona così: gli aerei russi partono dall’Est Europa carichi di armi destinate all’Africa. Dopo aver depositato il carico presso vari governi africani, gli aerei si dirigono in Libia, Sudan o Egitto per fare il pieno a basso costo ed infine atterrano a Mwanza in Tanzania per caricare i filetti di persico da portare a casa. Questa ultima tappa serve unicamente per finanziare i costi del carburante impiegato durante il tragitto, circa 40.000 dollari. Alla fine rimane l’immenso guadagno ottenuto dal commercio delle armi.

Quello che può fare il consumatore è boicottare questi prodotti (nei nostri supermercati ce ne sono tanti come il persico africano) per danneggiare questo scambio malato.

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