E “non c’è stato destra e non c’è stato sinistra che non ho avuto da fare io”,
(...) “il notaio Gangemi fece da tramite dicendoci di votare Romeo per essere aiutati nei processi”.
(...)nel 1996 “abbiamo votato per Amedeo Matacena (Forza Italia ndr.) e l’ultima volta ho votato per l’onorevole Valentino (
Reggio
Calabria
Alcuni giorni fa (08/11/2003) la
Procura distrettuale di Catanzaro ha emesso sei ordinanze di
custodia cautelare e 34 informazioni di garanzia che vede
indagati amministratori pubblici della Regione
e del Comune e della Provincia di Reggio Calabria, magistrati,
avvocati, funzionari ed impiegati dello Stato, appartenenti ai servizi
segreti, agenti di polizia, medici, carabinieri e dirigenti di banca.
L'accusa è quella di aver esercitato pressioni e
condizionamenti su
alcuni magistrati della Procura distrettuale di Reggio Calabria.
con
l'obiettivo di condizionare le inchieste su presunte collusioni
tra
ambienti politici e la 'ndrangheta..
Nel gruppo degli indagati ci sono il sottosegretario alla Giustizia
Giuseppe Valentino (concorso esterno in associazione mafiosa) Reggino
doc,avvocato e consigliere giuridico ascoltatissimo di Fini, e Angela
di Napoli, vice presidente commissione parlamentare antimafia-di AN,
per cui si ipotizza il reato di violenza o minaccia al corpo
giudiziario.Le accuse rivolte contro i due parlamentari sarebbero
quelle che si
ricavano testualmente dalle intercettazioni telefoniche e ambientali.
Pentiti non ce n'è nessuno.
Su Valentino ci sarebbero intercettazioni effettuate nello studio
legale di Paolo
Romeo (ex ordinovista di Gallico-RC, ex-deputato Psdi e
sostenitore politico dello stesso Valentino) da cui emergerebbe un
collegamento tra il sottosegretario, l'ex deputato del Psdi e le altre
persone accusate. Angela Napoli, invece sarebbe stata in rapporti con
Francesco Gangemi (giornalista pubblicista e direttore del Dibattito,
che ora i magistrati definiscono l'organo più o meno ufficiale
della 'ndrangheta) con il quale ci sarebbe stato un reciproco scambio
di informazioni.
"Esprimo piena solidarietà a Napoli e a Valentino, parlamentari
unanimemente stimati e da tutti considerati, non solo in Calabria, in
prima linea contro la criminalità organizzata". Il vicepremier
Gianfranco Fini si schierarsi con forza al fianco di Angela Napoli e
Giuseppe Valentino -"Confido che la montatura ordita contro di loro e
contro altri amministratori locali venga rapidamente meno per la
onestà intellettuale e per la serietà professionale degli
inquirenti, di cui non dubitiamo - ha dichiarato Fini - se la
magistratura vuole davvero dimostrare di non essere prigioniera di
solidarietà corporative e di non volere lo scontro con il
parlamento, la vicenda reggina è un'ottima occasione per farlo".
L'ex missino ha inoltre voluto ricordare che "l'incredibile vicenda
vede, nella qualità di persone offese, due magistrati di Reggio
Calabria, i dott. Macrì e Mollace, nei cui confronti
l'ispettorato del ministero della Giustizia, che ha esaminato elementi
documentali, è giunto alla conclusione che Macrì ha
"falsificato una sentenza" e che Mollace ha "manipolato con
interferenze pervicaci ed abusivi" le indagini affidategli".
L' ex missino evidentemente ignora che a Giugno,al telefono, F.
Gangemi si arrabbia con la vice presidente dell'Antimafia perché
non è ancora arrivata l'ispezione contro i magistrati. Ispezione
che in una precedente intercettazione telefonica, riassunta
nell'ordinanza, la Napoli assicura di aver chiesto al sottosegretario
Valentino e «di aver ricevuto ampie assicurazioni in
merito».
Per quel che riguarda i due magistrati reggini, al di la' delle
conclusioni delle "ispezioni " del ministero della Giustizia ordinate
dalla 'ndragheta , risulta che Mollace e' accusato di aver
arrestato Orazio
De Stefano, uno dei grandi della cosca più
potente del
Reggino, da sedici anni latitante.( Non avrebbe dovuto farlo
perché non più in servizio alla Dda) ; Macrì
invece di aver falsificato un verbale.Un verbale di 26 anni fa
(viene accusato ora di aver falsificato un verbale oltre un quarto di
secolo fa).
Interrogato in merito ai rapporti tra
mafia, politica e imprenditoria, il
collaboratore Paolo Ianno' ha ricordato che la ‘Ndrangheta
appoggiò la rivolta di
Reggio capoluogo specificando che “le cosche hanno avuto sempre un
interesse sia nel mondo imprenditoriale sia in quello politico”, ma che
era comunque la politica a fare il primo passo. Perché aveva
bisogno di
voti e perché cercava qualcuno che potesse mettere “il bastone a
mezzo
alle ruote” degli avversari più temibili. In cambio prometteva
l’aggiustamento dei processi. E “non c’è stato destra e non
c’è stato
sinistra che non ho avuto da fare io”,
(...) “il notaio Gangemi fece da
tramite dicendoci di votare Romeo per essere aiutati nei processi”.
Nel
1994, invece, sarebbe stato lo stesso Iannò a chiedere ai
democristiani
Totò Cameri, ex assessore comunale; Franco Minniti, della Camera
di
Commercio; Franco Cangemi e Pietro Morabito, ex direttore dell’Asl
reggina di “cambiare partito”, di “fare la lista Forza Italia”. In
quell’anno, ha spiegato, e nel 1996
“abbiamo votato per Amedeo Matacena
(Forza Italia ndr.) e l’ultima
volta ho votato per l’onorevole
Valentino (sottosegretario alla giustizia ndr.)”, “attraverso
influenza
diretta” di Franco Benestare, “nipote dei Tegano”. Nel 2001, invece,
nelle stesse liste di Forza Italia si presentò Araniti Pietro,
“dell’omonima famiglia mafiosa”, il quale avrebbe chiesto a
Iannò
appoggio elettorale.
Obiettivi delle pressioni comandate dalla 'ndrangheta altri magistrati
quali Roberto
Pennisi , Giuseppe Verzera.
Cisterna....Tutti con un ruolo nell' operazione
Olimpia,
risalente al 1995 ..., e che riguardava la cosca reggina dei De
Stefano.
Il centro di questa "attivita' di condizionamento dei magistrati
DDA "
(tramite i suoi collegamenti in ambienti forensi, politici ed
amministrativi reggini) e' l'avvocato Giorgio De Stefano, di 56 anni,
cugino dei capi dell'omonima cosca di Reggio Calabria.
Tra i registi delle "pressioni e dei condizionamenti" su questi
magistrati della procura distrettuale antimafia di Reggio hanno un
ruolo di primo piano Paolo Romeo ex missino, ex- Avanguardia Nazionale
(attualmente in carcere per associazione mafiosa) ritenuto una
figura di spicco nel legame
tra mafia calabrese e destra eversiva e Amedeo Matacena jr(vedi *)
di Forza Italia figlio di una figura storica della città
di reggio, armatore e fra i capi della rivolta degli anni '70.
Emblematica del rapporto tra 'ndrangheta e destra e' la figura di
Paolo Romeo il cui nome compare in un inchiesta della Procura di Reggio
Calabria, conclusa nello nel Dicembre(1994), relativa alle alleanza fra
gruppi fascisti, 'ndrangheta e massoneria durante
la rivolta di Reggio.
Quell' inchiesta dimostro' l' esistenza di un'alleanza operativa
fra Junio Valerio Borghese, Stefano Delle Chiaie, i servizi segreti,
Paolo Romeo( allora deputato del PSDI che avrebbe autato Franco
Freda ad espatriare nel' 78 in Costariza), le logge coperte della
massoneria e la mafia calabrese. In quella stessa inchiesta viene
accertato che la strage della
Freccia del Sud, il treno che il 22 luglio 1970
deragliò vicino alla stazione di Gioia Tauro , causando 6 morti
e
139 feriti fu organizzato da tre fascisti legati alla 'ndrangheta. E fu proprio la
‘Ndrangheta, per il tramite dell’oggi pentito Lauro a procurare a
personaggi quali “Pardo, Schirinzi, Silverini e Moro (tutti
appartenenti all’area di estrema destra)”, l’esplosivo poi adoperato
per l’attentato al treno.
Collegata all' attentato alla "Freccia del Sud" e' la morte di
cinque anarchici reggini.
" Aricò, Casile, Scordo, Lo Celso e Borth:
erano stati uccisi in un
finto incidente poiché in quella stessa estate del
1970 avevano capito che
il deragliamento della Freccia del Sud non era stato
causato dalla vetustà della linea ferroviaria e dai binari
malandati, ma da un
attentato escogitato in tandem tra 'ndrangheta ed eversione nera. Lo
scopo:allarmare ulteriormente l'opinione pubblica ed esasperare quel
clima che
si era creato in Italia grazie alla cosiddetta "strategia della
tensione". Presumibilmente dunque
i cinque anarchici morti a Ferentino avevano le prove di
“quell'alleanza"
e le portavano a Roma per denunciarle alla magistratura e all'opinione
pubblica....nella capitale non sarebbero mai
arrivati. "
Da ricordare in questa
vicenda insabbiata la singolare “coincidenza” che vede i
camionisti coinvolti nell’incidente
autostradale – e poi scagionati da ogni responsabilità –
dipendenti della ditta di Junio Valerio Borghese; il misterioso
decesso, qualche anno dopo,
del colonnello Bonaventura – dirigente dei servizi di controspionaggio
e braccio destro del generale Miceli, capo del Sid –, che aveva curato
“un’informativa” riservata sulla morte dei cinque anarchici; le
rivelazioni, infine, fatte nel 1993 dal mafioso pentito Giacomo Lauro,
secondo cui il disastro ferroviario di Gioa Tauro fu di origine dolosa
e fu provocato dalla “’ndrangheta”, su commissione del “Comitato
d’azione per Reggio capoluogo”.
A rendere sempre più plausibile l’ipotesi che dietro le
sembianze dell’incidente stradale a Ferentino si celasse un vero e
proprio omicisio ci sono le dichiarazioni di un pentito chiave
per la lotta alla ‘ndrangheta, Giuseppe Albanese.
Questi confidò ai magistrati che in un colloquio con un legale
di Pizzo Calabro, l’avvocato Barbalace - tra l’altro coinvolto a Vibo
Valentia,nel sequestro dell’imprenditore D’Amato – con il quale
scontò un periodo di comune detenzione all’interno del
carcere di Lecce, aveva appreso che la morte degli anarchici era stata
ordita da uomini alle dipendenze di Junio Valerio Borghese.
Paolo Romeo compare anche nell' inchiesta "sistemi criminali"
della Procura di Palermo (poi archiviata per "scadenza termini
indagine"). Secondo i magistrati della procura di Palermo i
boss di Cosa nostra fra il 1991 ed il 1993, con l'appoggio
della massoneria deviata e dell' estrema destra, progettavano un golpe,
volevano dividere il meridione dal resto d' Italia.
Paolo Romeo viene definito
«l’anello di congiunzione tra la
struttura mafiosa e la politica» per la Calabria nonché
«l’elemento di
collegamento fra Cosa Nostra siciliana e la ‘ndrangheta reggina».
Indagati con Paolo Romeo, Licio Gelli, Stefano Menicacci, Stefano Delle
Chiaie, Rosario Cattafi, Filippo Battaglia, Toto'
Riina, Giuseppe e Filippo Graviano, Nitto Santapaola, Aldo Ercolano,
Eugenio Galea, Giovanni Di Stefano, Giuseppe Mandalari. Secondo
la tesi della Procura, Cosa nostra "voleva farsi Stato", e avrebbe
tentato di abbracciare "un golpe separatista". I capimafia, Riina,
Provenzano, Madonia e Santapaola avrebbero deciso nel 1991 una
"strategia della tensione" (omicidio di Salvo Lima, stragi di Capaci e
via D'Amelio, gli attentati a Roma, Firenze e Milano), che sarebbe poi
stata affiancata da un piano, proposto da Licio Gelli, Stefano Delle
Chiaie e Stefano Menicacci, che prevedeva
"un nuovo progetto politico": la creazione di un movimento
meridionalista e la nascita delle Leghe meridionali. Il progetto,
pero', alla fine del 1993 si interruppe: secono i pm la mafia cambio'
gli appoggi politici e "furono dirottate tutte le risorse - scrivono i
magistrati - nel sostegno di una nuova formazione politica nazionale
apparsa sulla scena"
Nel 1996, nel processo per il delitto Pecorelli-processo Andreotti, il
pentito Giacomo Lauro, ex uomo della 'ndrangheta
parla del progetto elaborato per consentire la fuga
dell'estremista di destra Franco Freda e anche del progetto di Freda e
Paolo Romeo di organizzare in Calabria una "superloggia" massonica.
Secondo Lauro, inoltre, Romeo, arrestato per la fuga di Freda, fu
detenuto nel carcere d i Reggio Calabria nella stessa cella in cui era
rinchiuso Paolo De Stefano, "a dimostrazione - secondo Lauro - dell'affiliazione
dell'ex parlamentare alla 'ndrangheta. Lauro ha anche detto di
avere ricevuto in carcere confidenze e particolari sul ruolo che Paolo
Romeo avrebbe avuto nella 'ndrangheta, nella
massoneria, nei servizi segreti e nell'eversione di destra dallo
stesso Paolo De Stefano, ucciso in un agguato a Reggio Calabria
nell'ottobre del 1985. Il pentito ha riferito infine degli "appoggi
elettorali" che Romeo avrebbe avuto da diverse famiglie mafiose di
Reggio Calabria.
In
Calabria, nel biennio 1969 - ’70, si verificarono più episodi
emblematici del rapporto che gruppi della ‘Ndrangheta stavano
stabilendo con il mondo della destra eversiva. Un rapporto diretto, da
alcuni "uomini cerniera", quali Felice Genoese Zerbi e Paolo Romeo.
"Più volte la ‘Ndrangheta fu richiesta di aiutare disegni
eversivi portati avanti da ambienti della destra extra-parlamentare tra
cui Junio Valerio Borghese;", ha dichiarato nel maggio del ’93 il
collaboratore Giacomo Lauro, "il tramite di queste proposte era sempre
l’avvocato Paolo Romeo, sostenuto da Carmine Dominici, da Natale
Iannò e Domenico Martino, che appartenevano al clan opposto a
quello ‘destefaniano’ e cioè a quello dei ‘tripodiani’. I De
Stefano erano favorevoli a questo disegno ed in particolare al
programmato ‘golpe
Borghese’; mentre invece furono contrarie le cosche della jonica
tradizionalmente legate ad ambienti democristiani [...] Lo stesso
avvocato Romeo si fece promotore, all’epoca, di un incontro avvenuto
nella città di Reggio Calabria, e precisamente nel quartiere
Archi, tra Junio Valerio Borghese ed il gruppo capeggiato allora da
Giorgio de Stefano e Paolo de Stefano. Eravamo nell’estate del ’70. A
questo incontro ero stato inviato anch’io da Giorgio de Stefano, ma non
ci andai."
Stando ad altra ricostruzione fornita da Vincenzo
Vinciguerra, la ‘Ndrangheta avrebbe mobilitato, la sera del golpe, ben
1.500 uomini armati ed era pronta, all’occorrenza, a metterne a
disposizione altri 2.500.
Il collaboratore di giustizia Filippo Barreca, il quale, nel corso del
1979, ebbe l'incarico di ospitare nella sua abitazione di Pellaro,
frazione di Reggio Calabria, il latitante Franco FREDA, all'epoca
imputato per la strage di Piazza Fontana riferisce:
"Ho partecipato ad alcuni degli incontri avvenuti a casa mia tra Freda,
Paolo Romeo e Giorgio De Stefano.
Tali discorsi riguardavano la costituzione di una loggia super segreta,
nella quale dovevano confluire personaggi di 'ndrangheta e della destra
eversiva e precisamente lo stesso Freda, l'avvocato Paolo Romeo,
l'avvocato Giorgio De Stefano Paolo De Stefano Peppe Piromalli, Antonio
Nirta, Fefè Zerbi. (...)
Ricordo benissimo, come ho già detto in altre occasioni, che
Freda
ebbe a dirmi che se fosse stato condannato avrebbe fatto rivelazioni
che potevano far saltare l'Italia, intendendo riferirsi ai suoi
collegamenti con i servizi di sicurezza ed il Ministero dell'interno"
*
"AmedeoMatacena di Forza Italia
figlio di una figura storica per la città, armatore e fra i capi
della rivolta degli
anni '70
Amedeo Matacena jr, figlio dell’ armatore Amedeo Matacena, il fondatore
della società di navigazione Caronte la prima compagnia privata
ad effettuare il servizio di traghettamento nello Stretto di Messina
morto nell’ agosto scorso, ha iniziato la sua carriera politica con il
Pli diventando consigliere regionale alla fine degli anni ‘80. Nel ‘94
è stato eletto deputato per il centrodestra ed è passato
a Forza Italia, ottenendo, nelle politiche del ‘96, la riconferma al
seggio in Parlamento. Coinvolto nell’inchiesta denominata Olimpia 3,
Amedeo Matacena è stato rinviato a giudizio il 14 luglio 1998 e,
il 13 marzo 2001, è stato condannato in primo grado a cinque
anni e quattro mesi di reclusione per concorso esterno in associazione
mafiosa. Tra gli elementi di accusa c’ erano le dichiarazioni di 18
collaboratori di giustizia secondo i quali Matacena avrebbe
intrattenuto rapporti con elementi mafiosi in occasione di alcune
competizioni elettorali. La sentenza è stata poi annullata il 22
luglio dello scorso anno dalla Corte di Cassazione e successivamente,
nel dicembre 2003, dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria.
La Cassazione, infatti, si è pronunciata sul conflitto di
attribuzione sollevato dall’ ex presidente della Camera, Luciano
Violante, in relazione alla dichiarazione di contumacia fatta dalla
Corte d’assise di Reggio nei confronti di Matacena, che non si era
presentato davanti ai giudici adducendo un impedimento giustificato, a
suo dire, dai suoi impegni parlamentari. La Corte non aveva
riconosciuto l’ impedimento ed aveva dichiarato la contumacia dell’
imputato. Il nuovo processo di primo grado contro Amedeo Matecana
è stato fissato per il gennaio prossimo."
|