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Battaglia in Argentina
Che ore sono? Le due e un quarto del mattino.
Si, ci guardiamo l'un l'altro avendo entrambi capito che ricorderemo questo momento per il resto
della nostra vita. Stavamo fuori, quasi schiacciati, contro i cancelli della Pink House, simbolo
del potere in Argentina. Mai prima di allora un raduno si era spinto fino a lì. E in un modo simile.
E da dove iniziare poi, se non da lì? Come ordinare una tale mistura di emozioni, immagini ed eventi
diversi? Speriamo d'incontrare la comprensione del lettore, con questo resoconto scritto con l'odore
acre dei lacrimogeni ancora nelle narici. Speriamo di riuscire a mettere un po' d'ordine in quello
che abbiamo vissuto oggi.
Alle 11:00 p.m., e mentre stavamo camminando per San Juan Av., ad angolo con Boedo, si sentivano
dei colpi contro i balconi. Ci siamo lasciati alle spalle un palazzo pieno di rumori. Le auto
passavano suonando il clacson e a circa due palazzi più avanti, potevi vedere famiglie che bloccavano s
olo una piccola parte del viale. Abbiamo continuato a camminare, finché un automobilista amichevole ci
ha portato al Parlamento, luogo dove molta gente stava autoconvocandosi.
Autoconvocarsi significa chiaramente che nessuno aveva lanciato un appello per l'adunata di oggi.
Gruppi di quartiere hanno organizzato dei "cacerolazo" ad Almagro e forse anche in altri
quartieri, ma nessuno ha indetto la marcia verso il Parlamento. Ora, noi eravamo lì a migliaia: di nuovo
le scale piene di gente e le famiglie intere che protestavano e si facevano sentire. Cosa chiedevano?
Chiedevano che Grosso lasciasse l'amministrazione, e che si sciogliesse la Corte Suprema e venissero
loro rimborsati i depositi. Ma c'era anche altro. Lo slogan "Tutti fuori, nessuno resti" ancora
il favorito in assoluto – è stato il più gridato persino oggi contro il nuovo governo.
Non riguarda soltanto questo o quel losco personaggio al governo, è come un clic che scatta dal
profondo, e che non si spegne semplicemente con le dimissioni o le nuove elezioni. Il brusio ha
iniziato a diffondersi ed è diventato una canzone "La gente va alla Plaza, nessuno ci porterà via
da lì". Una colonna spontanea di circa mille persone, disseminate per Av. De Mayo, avanzava con decisione.
In testa, la bandiera dell'Argentina, e ad ogni passo sembrava continuare ad accrescersi. E
la gente aumentava, si sono aggiunte le madri e i "motoqueros" accompagnati da un'enorme ovazione
e abbracciati da tutti; le vittime oggi hanno finalmente avuto la loro commemorazione, la migliore
che potessero sperare di avere. Per primo è saltato un fotografo; poi, un nonno ha detto di voler
irrompere in Parlamento con la forza, per poter parlare col Presidente.
Cinque minuti dopo, alle due e un quarto c'eravamo tutti. Le transenne hanno ceduto presto, e la
polizia si è subito schierata su un lato, dove anche noi ci siamo subito andati a disporre: davanti
alle porte della Pink House, che da questo momento non è più stato un luogo inviolato. Siamo entrati
passando sotto l'arco gridando le nostre rivendicazioni, chiedendo che tutti se ne andassero, che non
rimanesse nessuno. Abbiamo visto espressioni emozionate, sorprese, curiose, che dal fondo si facevano
lentamente avanti per il piacere di toccarlo, di sentirlo un po' loro.
La gente era esaltata, le notizie sulle dimissioni di Grosso si sono diffuse in un lampo, aumentando
il fervore; molti volevano ripeter la stessa azione la scorsa settimana, chiedendo che tutti se ne
andassero, che nessuno restasse al potere. Da Moyano ai radicali, passando per Menem e Rodriguez Saa,
tutti erano protagonisti dei canti: "Senza peronisti, e senza radicali, vivremo meglio". Anche questo
si è gridato. E la risposta è stata ancora una volta fornita dalla polizia, che lo ha fatto in modo
tale da poter in un secondo momento giustificarsi di aver agito per legittima difesa. Ha mandato due
"poliziotti" a "persuadere" la moltitudine. Ovviamente, questi non sono stati ben accolti dalla folla,
e una volta falliti i tentativi di "persuasioni", si è ricorso ai lacrimogeni e ai proiettili di gomma.
I due agenti, grassi e robusti, sono stati il « sacrificio della forza della legge » per poter
passare alla repressione. Ai primi gas la massa ha iniziato a correre lungo Diagonal Norte e
Av. De Mayo. Un importante gruppo è restato nella Plaza, mentre un altro formato da circa duemila
persone è rimasto in Av. De Mayo. La maggior parte della gente si è allontanata per andare verso il
Parlamento. (una piccola parentesi: il corteo si divideva in tre, forse anche quattro gruppi, e
nonostante ciò era ancora enorme). La folla in Plaza de Mayo si è arrestata, e in Av. De Mayo si
sono erette le prime barricate. Alcuni hanno sfogato la rabbia su banche, bancomat e fermate dell'autobus.
Dal balcone di un hotel molto lussuoso uomini in smoking guardavano la scena facendo dei gesti. Un ragazzo
ha iniziato a gridar loro che erano dei borghesi figli di puttana, e i loro gesti si sono moltiplicati.
Un piccolo aneddoto: una bottiglia di sidro è stata lanciata con ottima mira esattamente sulla bocca di
uno di loro.
Nella Plaza, intanto, la situazione diventava sempre più tesa. Quasi tutti si sono mossi alla volta
del Parlamento ed abbiamo deciso di andare tutti lì, dove si sono appiccati una serie di falò sulle scale.
Non ci ricordiamo di aver più chiesto l'ora da quel momento. I più decisi sono entrati ed hanno iniziato
a gettare oggetti che alimentassero il fuoco, finché l'entrata al Parlamento non è diventata una sola.
Hanno detto che dentro c'era altra gente che stava portando via delle cose, ed infatti qualcuno ne è
uscito con un busto. Qualcuno gridava di non gettarlo: è seguita una grossa discussione tra i manifestanti,
finché uno di loro non si è deciso e lo ha gettato nel fuoco.
Qualche minuto prima la fanteria aveva invaso il posto: e, non appena il busto è andato a finire nel
fuoco, sono ricominciate anche le scariche di lacrimogeni. Sono usciti per Callao, prima correndo,
poi rallentando il passo fino a camminare: alla polizia piace moltissimo vederti correre, la fa
sentire potente, e allo stesso tempo ci disperde. Da tutte le parti si sentiva gente urlare di non
correre. Una volta che tutti si sono ritirati, qualcuno ha iniziato a gridare "Alla Corte, alla Corte!".
Volevano andare alla Corte Suprema di Giustizia, la stessa incaricata due anni fa in un accordo tra
peronisti e radicali.
Nessuno correva più, abbiamo acceso falò ed innalzato altre barricate. Gli altri si sono abbattuti
sulle banche. La polizia è avanzata nuovamente verso di noi. L'aria diventava irrespirabile e in un
secondo sono apparsi da tutte le parti. Abbiamo cambiato direzione, non c'era altra scelta. Abbiamo
marciato per strade oscure e in ogni angolo, in ogni singolo angolo appare una di quelle camionette,
appaiono i gas e le auto dei civili e i proiettili di gomma: era un'imboscata. Abbiamo cercato di uscirne
come potevamo. Non c'era possibilità di nascondersi, e organizzare la resistenza è difficile. Ognuno di
noi si è messo a lanciare qualunque cosa gli capitasse tra le mani per ostacolare la polizia. Ci siamo
diretti da un'altra parte, ed anche lì abbiamo trovato un'imboscata.
Un gruppetto di noi è rimasto intrappolato in blocco. Le auto ci facevano largo per lasciarci passare e
uscire da lì. Per le strade, la gente stava ancora correndo. L'operazione della polizia impegnava sei
o sette isolati, e a questo punto ci sembrava che non avessero fine. Quando il sole è iniziato a sorgere,
sono partite le telefonate per sapere come stavano gli altri. Fino ad ora i notiziari hanno riferito
solo di tre arresti, ma a mezz'ora dalla fine degli scontri è difficile fare bilanci.
Sembra che la storia non voglia darci pace. A questo punto non gliene daremo neppure noi.
Traduzione by Emma Goldman Indymedia NA
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