Quest'inchiesta è rimasta congelata per mesi e mesi, in considerazione del calibro di uno dei personaggi coinvolti. Capita nelle migliori famiglie: il clima politico nel paese è quello che è, le pressioni esterne sono forti, nessuno se la sente di fare la parte del toro mandato al macello nella quotidiana corrida che vede contrapposti politici inquisiti e pubblici ministeri. Insomma: c'era un timore diffuso. Ci sono state riunioni accese fra titolari dell' inchiesta, procuratori aggiunti, procuratore capo, che si sono trascinate per settimane e settimane. Questioni d'opportunità, come si dice in questi casi. Ora si è rotto il ghiaccio, e ve ne spiegheremo il motivo. La notizia, comunque sia, è stata a lungo tenuta segreta, blindata, protetta da occhi indiscreti. Al solito: per prudenza, per quieto vivere, per il timore che si innescassero altre polemiche contro una Procura oggettivamente collocata, con compiti di vigilanza, sul difficile crinale dei rapporti fra mafia e politica. Ma la storia, anche se molto lentamente, è andata avanti lo stesso.
L'attuale presidente della Regione siciliana, pomposamente definito da qualcuno «il governatore», più prosaicamente inteso da amici e elettori, e per sua stessa ammissione, «vasa vasa», in altre parole Totò Cuffaro, è iscritto nel registro degli indagati per 110 e 416 bis: concorso esterno in associazione mafiosa. Giovedì pomeriggio, nei suoi confronti, è stato emesso un avviso di garanzia che comporterà al più presto l'interrogatorio, al quale, con ogni probabilità, oltre ai sostituti titolari dell'inchiesta (i pm della Dda, Nino Di Matteo e Gaetano Paci), dovrebbero essere presenti alcuni vertici della Procura, salvo colpi di scena dell'ultima ora.
È un'inchiesta che viene da lontano, quella che oggi sfocia nel provvedimento a carico di questo nome illustre della politica siciliana. Uno dei grandi protagonisti del cosiddetto «61 a zero». Quel bagno bulgaro di consensi - lo ricorderete - che ha portato il Polo, in un sol boccone, a detenere: con Diego Cammarata, la leadership del Comune di Palermo; con Ciccio Musotto, quella della Provincia, e con Cuffaro, appunto, quella di Palazzo d'Orleans.
Tutto nasce a Brancaccio. Tutto ruota attorno alla figura di Giuseppe Guttadauro, un medico, attualmente in galera (dalla quale è entrato e uscito), diventato da tempo capo mafia del quartiere essendo subentrato ai fratelli Graviano ormai «bruciati» dai processi e dalle condanne per strage. Guttadauro è fedelissimo del numero uno di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano. Un medico, dunque un professionista; ma anche, e soprattutto, un efficiente canale di intermediazione proprio fra Cosa Nostra e la politica.
Dall'inverno 1999, i carabinieri del Ros di Palermo, adesso guidati dal maggiore Antonio Damiano , avevano iniziato un delicatissimo lavoro di intercettazioni ambientali prendendo le mosse proprio da Guttadauro e da alcuni personaggi in odor di mafia del quartiere in cui venne assassinato, il 15 settembre 1993, don Pino Puglisi.
L'inchiesta ha conosciuto diversi snodi, diversi momenti, e diversi stralci, e persino diversi titolari. Il momento più eclatante, il 6 dicembre 2002, quando scattò il blitz dei carabinieri - “Ghiaccio”, il nome dato in codice all'operazione - che si concluse con la cattura di 44 persone.
Abbondantemente provato il coinvolgimento degli arrestati in un vasto traffico di cocaina. Altrettanto documentata la loro responsabilità nel racket del pizzo: «A Brancaccio pagano anche i chiodi, non si salva nessuno» (è il passaggio illuminante di una delle centinaia di intercettazioni). Messo a fuoco il ruolo di due donne, mogli di boss, altrettanto in carriera e temute. Fosse solo così, saremmo ancora nell' ordinaria amministrazione palermitana.
Ma i carabinieri, più indagavano e più si rendevano conto che questa volta il coinvolgimento riguardava anche certi ambienti politici. L'operazione di giovedì, infatti, «depotenziata» della notizia dell' avviso di garanzia a Cuffaro, rischierebbe di passare quasi inosservata. Varrebbe poco.
Chi sarà mai l'ex assessore, Domenico Miceli, accusato di concorso in associazione mafiosa, se quel nome non fosse inserito in un contesto più ampio? O il medico Salvatore Aragona, arrestato anche lui per associazione mafiosa, e che sosteneva la candidatura proprio di Domenico Miceli nella lista Cdu, per le elezioni regionali del 2001? Poi, leggendo l'inchiesta, si apprende che Aragona avrebbe avuto «diretti e ripetuti contatti con l'on. Cuffaro», e che fu proprio Guttadauro, il boss di Brancaccio, «a indicare il nome di Miceli».
La chiave per capire resta allora il medico Guttadauro. E Totò Cuffaro si ritrova nei pasticci perché il medico, in un periodo in cui si trovava agli arresti domiciliari, continuava a «tenere bottega» a casa sua, incurante dell'eventualità che lo stessero intercettando (poi capì - o qualcuno lo informò - e allora smise di parlare, ma la frittata ormai era fatta). Ci sono una mezza dozzina di colloqui in cui il nome di Cuffaro viene pronunciato a chiare lettere.
Guttadauro, incontrando mediatori e ambasciatori, chiede, in cambio di cospicui sostegni elettorali, che uomini di sua fiducia vengano candidati nello schieramento politico capeggiato da Cuffaro per le elezioni regionali. Non solo. Manifesta anche interesse che altri suoi uomini siano inseriti in posti di vertice di enti pubblici (enti ospedalieri) e di società a partecipazione regionale. Ora non ci vuole molto a capire che essendo uomo di fiducia di Bernardo Provenzano, le sue parole finivano con l'avere un peso specifico non indifferente. Le sue richieste, in altre parole, sarebbero andate a buon fine. Questa volta dunque le intercettazioni non rivelerebbero lo spaccato di un ambiente mafioso che si lascia prendere la mano dal millantato credito. In una città come Palermo, da due telefonate su tre intercettate, salta fuori il nome di qualche onorevole, qualche ministro, a salire a salire (e anche in questo caso la regola non viene smentita: «Berlusconi non può pensare solo a lui, ai suoi processi, deve risolvere anche i nostri problemi», dice, ad esempio, Guttadauro al presunto mafioso Enzo Cascina; considerazione sulla quale - ovviamente - in questo caso nessuna persona di buon senso può dissentire).…. Se in ognuno di questi casi, l'avviso di garanzia divenisse quasi obbligatorio, al Palazzo di giustizia dovrebbe essere assunto un esercito di amanuensi. Le intercettazioni che hanno condotto, nonostante tutte le prudenze alle quali abbiamo fatto riferimento, all' invio dell'avviso di garanzia a Cuffaro, sono le medesime che culminarono nel blitz del 6 dicembre. La parte che riguardava l'uomo politico, venne infatti "congelata" con richiesta ai carabinieri di altri accertamenti. E il seguito delle indagini non avrebbe aggiunto altro che già non si sapeva. Insomma: il ghiaccio adesso è stato rotto due volte. Meglio tardi che mai.
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