Ipotesi e confronti
Gli attentati dell'11 settembre 2001 furono un colpo di Stato?
«Si può perfettamente concepire un mondo dominato da una dittatura invisibile nel quale tuttavia siano state mantenute le forme esteriori del governo democratico.»
Kenneth Bouldin
L'11 settembre 2001, mentre dalle macerie del World Trade
Center di New York si levavano ancora dense colonne di fumo, i media di tutto il mondo diffusero
quella che rimane ancora oggi la versione ufficiale riguardo a quegli eventi.
Come responsabile del più devastante attentato della storia, contraddistinto da
un bilancio di circa 2.800 morti, venne indicata la rete terroristica islamica
chiamata al-Qaeda, capeggiata dallo sceicco e milionario (in dollari) saudita
Usama bin Laden. Si tratterebbe quindi di un attacco proveniente dall'esterno,
sferrato per la prima volta nella storia moderna direttamente sul territorio
degli Stati Uniti e consistente nel dirottamento in simultanea di quattro aerei
di linea, fatti poi schiantare contro i simboli ed i centri del potere
economico e militare statunitense: il World Trade Center ed il Pentagono.
Riepiloghiamo brevemente nei dettagli la sequenza degli eventi:
ore 08.45: il volo American Airlines 11, decollato da
Boston alle 07.59 destinazione Los Angeles, si schianta contro la torre nord
del World Trade Center.
ore 09.03: il volo United Airlines 175, decollato da Boston
alle 07.58 destinazione Los Angeles, si schianta contro la torre sud del WTC.
ore 09.40: il volo American Airlines 77, decollato da Dulles
alle 08.10 destinazione Los Angeles, colpisce il Pentagono.
ore 09.50: crollo della torre sud.
ore 10.10: il volo United Airlines 93, decollato da Newark
alle 08.01 destinazione San Francisco, precipita al suolo a Shanksville,
Pennsylvania.
ore 10.29: crollo della torre nord.
Tuttavia vi fu chi, fin dal primo momento, dubitò della versione ufficiale
data dell'attentato; operazione troppo complessa per poter venir realizzata con
successo anche da una potente organizzazione terroristica fornita di ingenti
mezzi finanziari e di numerosi aderenti sparsi in tutto il mondo. Qualcosa non
quadrava nella spiegazione fornita dalle autorità americane, una spiegazione
troppo semplice che non riusciva a dare risposta a tutta una serie di
interrogativi. Una spiegazione inoltre troppo somigliante alla trama di un film
di James Bond, con un miliardario pazzo che dal suo rifugio segreto ed
inaccessibile situato in una grotta delle montagne dell'Afghanistan, sferra un
attacco senza precedenti alla superpotenza americana. Giulietto Chiesa in un
articolo pubblicato sulla rivista italiana di geopolitica Limes
afferma che «non è una rete quella che può realizzare ed eseguire un compito operativo
di questa entità, un'operazione terroristica di così vasta portata, e
implicazioni tecniche, politiche, economiche, da essere stata - giustamente -
paragonata ad un'azione di guerra». (1) La rete terroristica ha certamente
avuto la funzione di compiere materialmente l'attentato, ma «un livello
superiore dev'essere pensato per risalire ai veri organizzatori e strateghi».
(2) Anche Andreas Von Bülow, ex ministro della Ricerca e della tecnologia della
Repubblica Federale Tedesca, nutre seri dubbi sulla veridicità della versione
ufficiale. In una intervista del 13 gennaio 2002 rilasciata al giornale tedesco
Tagesspiegel, Von Bülow afferma: «Posso dire che la pianificazione
degli attacchi è stata magistrale dal punto di vista tecnico e organizzativo.
Dirottare quattro enormi aerei in pochi minuti e portarli con manovre aeree
complesse nell’arco di un’ora sugli obiettivi! È impensabile senza l’appoggio,
e per anni, degli apparati segreti dello Stato e dell’industria». (3) Gli
interrogativi ed i punti oscuri sono dunque molti, come documentato dal libro
di Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà. (4)
Infatti:
1. Un attentato terroristico di tale portata, nel corso del
quale sono stati dirottati contemporaneamente quattro aerei di linea,
ha richiesto il coinvolgimento, a vari livelli operativi, di decine se non di
qualche centinaio di persone, per un periodo di tempo di mesi se non
addirittura di anni. Inoltre la preparazione dell'operazione terroristica deve
necessariamente essere stata messa a punto anche internamente al
territorio degli Stati Uniti. Se è vero che l'attentato è giunto del tutto
inaspettato ed ha colto di sorpresa i servizi segreti statunitensi, come è
stato possibile mantenere così a lungo e nei confronti di un numero così
elevato di persone il più impenetrabile segreto, senza che nulla filtrasse
all'esterno?
2. A sole 48 ore dall'attentato l'FBI emanò la lista dei 19
attentatori suicidi che avevano dirottato gli aerei (dieci giorni dopo si
scoprì che 7 di loro erano vivi e vegeti). Come è stato possibile risalire a
l'identità dei responsabili in così breve tempo, dal momento che ufficialmente l'intera
operazione terroristica è rimasta segreta per un lunghissimo periodo ed
ha colto le autorità di sorpresa?
3. In realtà alcuni agenti dell'FBI vennero a conoscenza
dell'imminenza dell'attentato terroristico ed informarono i superiori. Tuttavia
il comando dell'FBI bloccò ogni ulteriore indagine. Perché?
4. Dove sono stati addestrati i piloti suicidi, per essere in
grado di compiere una manovra così perfetta dal punto di vista tecnico? E da
chi?
5. Negli Stati Uniti nel caso di qualunque emergenza aerea
esistono delle procedure che vengono messe in atto automaticamente e che non
necessitano di autorizzazioni particolari. Per quanto riguarda l'eventualità
che un aereo vada fuori rotta, o venga dirottato, esse prevedono che venga
intercettato da aerei militari. Perché l'11 settembre le procedure operative
standard per le emergenze aeree, inclusi i dirottamenti, non sono state
applicate? Perché, in altri termini, nessun aereo militare è decollato per
intercettare i quattro voli di linea dirottati simultaneamente e la risposta
dell'Air Force è mancata sistematicamente? (5) Eppure una lunga sequenza di attentati -
islamici e non - diretti contro obiettivi americani, avrebbe dovuto tenere alto l'allarme
negli apparati della sicurezza statunitensi. Ricordiamo: World Trade Center, 26 febbraio 1993;
Oklahoma City, 19 aprile 1995; Ryad, 16 novembre 1995; al-Khobar Towers (Arabia Saudita),
25 giugno 1996; Nairobi e Dar es Salaam, 7 agosto 1998; ed infine la nave da guerra
Cole, Aden, 12 ottobre 2000.
6. Che cosa è successo veramente al volo 93 della
United Airlines precipitato al suolo, per cause non del tutto chiare, in
Pennsylvania? Quale era il suo obiettivo? E per quale motivo lo ha mancato?
7. Il volo American Airlines 77 si è veramente abbattuto sul
Pentagono? Oppure, come sostiene Thierry Meyssan, l'edificio è stato colpito da
qualcos'altro? Lo stesso Donald Rumsfeld nel corso di un'intervista rilasciata il 12 ottobre 2001,
fece riferimento ad un «missile» non meglio precisato: «Here we're talking about plastic knives
and using an American Airlines flight filed with our citizens, and the missile to damage this
building and similar (inaudible) that damaged the World Trade Center». (6)
8. Che significato hanno le operazioni di insider trading
consistenti in massicci acquisti di opzioni put della American
Airlines e della United Airlines nei giorni immediatamente precedenti l'11
settembre? Gli anonimi investitori sapevano in anticipo che si
sarebbero verificati degli attentati terroristici che avrebbero coinvolto tali
compagnie aeree? (7)
9. Perché il capo dell'ISI pakistana, il generale Mahmoud
Ahmad, fece pervenire 100.000 dollari a Mohammed Atta, ritenuto il capo degli
attentatori che hanno abbattuto il WTC? E che scopo aveva la permanenza a
Washington del capo dell'ISI dal 4 all'11 settembre compreso, periodo nel quale
ebbe contatti ad altissimo livello al Pentagono ed al Consiglio per la
Sicurezza Nazionale?
10. Perché con l'insediamento di George W. Bush alla Casa
Bianca le indagini dell'FBI sulla famiglia Bin Laden sono state bloccate?
11. Per quale motivo nei giorni immediatamente seguenti agli attentati,
l'FBI procedette all'arresto in tutto il territorio degli Stati Uniti di decine di cittadini israeliani?
Lyndon LaRouche, in una intervista del 12 settembre 2001 rilasciata alla radio WGIR-AM
del New Hampishire, e condotta dal giornalista Woody Woodland, per primo avanza
un'ipotesi diversa da quella ufficiale dell'attentato terroristico di matrice
islamica: «Voglio precisare che questa non è una operazione terroristica, ma si
tratta piuttosto di una speciale operazione strategica coperta che presenta
delle somiglianze con l'operazione della milizia contro il centro di Oklahoma
City alcuni anni fa». (8) Tesi che ribadì in una intervista concessa a Radio
Radicale il 20 settembre 2001. (9)
In un altro suo scritto del 23 dicembre 2001 dal titolo Zbigniew Brzezinski
e l'11 settembre, LaRouche formula esplicitamente l'ipotesi del colpo di
Stato quale spiegazione degli attacchi dell'11 settembre: «Per quanto mi
riguarda, conoscendo molto a fondo gli aspetti della crisi strategica in cui si
svolsero quei fatti, non avrei potuto accettare altra conclusione, se non
quella di trovarmi di fronte ad un tentativo di colpo di Stato, il cui scopo
strategico globale prospettava le peggiori implicazioni immaginabili. [...]
L’indagine deve pertanto cercare le prove movendosi su un fianco che dovrebbe
essere ovvio. Si tratta cioè di partire dal presupposto elementare che un
tentativo di golpe del genere non ha alcun senso se non quello di perseguire
un’intenzione plausibile, che si colloca al di fuori ed oltre lo scopo del
tentativo di golpe in quanto tale. Un tentativo di golpe del genere può
verificarsi soltanto in funzione di una serie di conseguenze già previste, come
il dar luogo ad una azione continuata già in preparazione. [...] L’indagine
deve riconoscere che il complotto dietro l’11 settembre fu un mezzo con cui
pervenire ad un fine». (10)
Tutte queste ipotesi ruotano attorno ad una considerazione fondamentale riguardante il tracollo
delle procedure di sicurezza; un fattore questo decisivo per comprendere gli eventi di quel giorno.
La mancata messa in atto delle procedure di sicurezza non può essere imputata a
semplice negligenza, inefficienza o errore; in altri termini essa non può che
essere intenzionale. Infatti diventa probabile «che qualche alto
funzionario militare, situato "nella stanza dei bottoni", abbia
disinnescato deliberatamente alcune delle misure che avrebbero dovuto scattare
automaticamente, misure che avrebbero come minimo potuto prevenire l’attacco al
Pentagono». (11) Ricordiamo a questo proposito che in quel giorno i caccia si
levarono in volo ben 75 minuti dopo l'allarme.
A questo punto vanno innanzitutto chiariti tre elementi che risultano
fondamentali nell'analisi strategica di LaRouche. Il primo consiste nella
tipologia del golpe messo in atto, secondo LaRouche, con gli attacchi
al World Trade Center ed al Pentagono. Il secondo si identifica con gli ambienti
intellettuali, politici e militari che si trovano dietro a tali avvenimenti e
che, in un modo o nell'altro, ne hanno determinato la realizzazione. Il terzo
invece consiste nel fine effettivo del colpo di Stato che, non
dimentichiamolo, si configura come un mezzo.
Che con gli attentati dell'11 settembre sia stato compiuto negli USA un colpo di Stato,
può sembrare, ad un primo esame, un'ipotesi alquanto bizzarra se non addirittura assurda.
Quando si pensa ad un colpo di Stato viene subito in mente il colpo di Stato militare;
ed il ricordo degli avvenimenti del Cile, dell'Argentina, della Grecia, della Turchia, con
l'esercito nelle strade, ondate di arresti tra gli oppositori, coprifuoco,
scioglimento del parlamento ecc. Questa rimane indubbiamente la tipologia che
potremo definire classica del golpe militare, ed è sicuramente quella
più diffusa nella seconda metà del XX secolo. È anche ovvio che in senso
stretto nulla del genere è accaduto negli Stati Uniti con l'11 settembre:
nessuna junta di tipo militare si è sostituita al presidente George W.
Bush ed allo staff della sua Amministrazione, né la Camera dei Rappresentanti
ed il Senato sono stati sciolti.
Per chiarire in che senso si può parlare di colpo di Stato riguardo l'11
settembre, dobbiamo prendere in esame un vecchio libro dell'esperto di
strategia Edward Luttwak pubblicato per la prima volta nel 1968. Il libro ha
per titolo Coup d'Ètat. A practical handbook, e nel 1983 venne
pubblicato in Italia con il titolo Strategia del colpo di Stato. (12)
In quest'opera, dedicata all'analisi delle varie tipologie e strategie del colpo di Stato,
Luttwak ad un certo punto prende in esame una possibilità del tutto particolare di conquista del potere.
Scrive infatti Luttwak: «A coup d'état
involves some elements of all these different methods by which power ca be
seized but, unlike most of them, the coup is not necessarily assisted
by either the intervention of the masses, or, to any significant degree, by
military-type force. [...] If a coup does not make use of the masses,
or of warfare, what instrument of power will enable it to seize control of the
state? The short answer is that the power will come from the state itself. The
long answer makes up the bulk of this book. The following is our formal and
functional definition: A coup consists of the infiltration of a small
but critical segment of the state apparatus, which is then used to displace the
government from its control of the remainder». (13) Il concetto è
chiaro: per la presa del potere non sono necessari né l'appoggio delle masse né
l'utilizzo dell'esercito, e la forza necessaria all'ottenimento del controllo
della macchina statale verrà dallo Stato stesso, ossia dai suoi stessi legittimi apparati;
il colpo di Stato consiste infatti nell'infiltrare un piccolo ma cruciale segmento dell'apparato statale
che verrà poi utilizzato per sottrarre al controllo del governo tutto il resto. Essendo
lo Stato concepito come una sorta di macchina che si comporta in modo prevedibile,
se ne può assumere il controllo afferrandone le leve basilari. Un elemento importante sarà
l'apatia di una popolazione scarsamente politicizzata che rimarrà sostanzialmente indifferente nei confronti di
un cambio al vertice del potere statale operato dall'interno del sistema vigente e senza distruggerlo.
Secondo Luttwak, degli ipotetici cospiratori che volessero prendere il potere nel modo descritto ragionerebbero così: «If we were revolutionaries, wanting to change the structure of society, our aim would be to destroy the power of some of the political forces, and the long and often bloody process of revolutionary attrition can achieve this. Our purpose is, however, quite different: we want to seize power within the present system, and we shall only stay in power if we embody some new status quo supported by those very forces which a revolution may seek to destroy. Should we want to achieve fundamental social change we can do so after we have become the government. This is perhaps a more efficient method (and certainly a less painful one) than that of classic revolution». (14) Essenziale, in questo quadro, il controllo monopolistico dei mezzi di informazione; il cui scopo, in tale situazione, non è quello di fornire
informazioni sullo svolgersi degli eventi bensì quello di controllarne gli sviluppi:
«Our second and far more flexible instrument will be our control over the means of mass
communications; [...] In broadcasting over the radio and television services our purpose
is not to provide information about the situation but rather to affect its development
by exploiting our monopoly of these media». (15)
Luttwak in sostanza descrive una modalità di colpo di Stato molto differente dall'immagine abituale;
un golpe che si svolge in maniera silenziosa, strisciante, senza radicali rivolgimenti politico-istituzionali;
una faccenda interna ai palazzi del potere della quale la popolazione rimane all'oscuro. Secondo lo studio di Luttwak
l'attuazione di questo tipo di colpo di Stato è una possibilità reale e non una
mera ipotesi accademica. E la storia degli Stati Uniti d'America presenta forse un esempio concreto
di quanto affermato.
Si tratta dell'assassinio del presidente John F. Kennedy avvenuto a Dallas il 22 novembre 1963.
C'è chi ritiene che l'omicidio del presidente americano sia stato il momento
principale di un colpo di Stato. A sostenere questa tesi è Jim Garrison, il
procuratore distrettuale di New Orleans che indagò sulla vicenda, ed il cui
libro ispirò il film del regista americano Oliver Stone. Garrison è esplicito, e vale la
pena citare le sue conclusioni per intero: «Credo che quello che è successo
nella Dealey Plaza di Dallas il 22 novembre 1963 sia stato un colpo di stato.
Ritengo che sia stato proposto e programmato con notevole anticipo da fanatici
anticomunisti membri della intelligence degli Stati Uniti; che sia stato
realizzato, molto probabilmente senza un'approvazione ufficiale, da individui
della CIA appartenenti agli apparati delle operazioni segrete e da altri
collaboratori esterni, non appartenenti direttamente alle agenzie governative,
e mascherato da gente con le stesse opinioni politiche dell'FBI, del Secret
Service, del dipartimento di polizia di Dallas e degli ambienti militari; e
penso infine che il loro scopo sia stato quello di impedire a Kennedy di
portare a termine la sua politica di distensione con l'Unione Sovietica e con
Cuba, di mettere fine alla Guerra Fredda». (16) Poi Garrison passa ad alcune
considerazioni di carattere strategico: «Un colpo di stato per avere successo
richiede un certo numero di elementi: un'ampia programmazione e una
preparazione adeguata da parte dei sostenitori (coloro che sono responsabili
del colpo di stato); la collaborazione della guardia pretoriana (il cui compito
è quello di proteggere il governo, compreso il presidente); una seguente
operazione di diversione e di mascheramento; la ratifica dell'assassinio da
parte dei nuovi poteri governativi subentrati; la diffusione di elementi di
disinformazione attraverso i media. Se il concorso di tutti questi elementi ci
suona abbastanza familiare, è perché è esattamente quello che è successo quando
John Kennedy venne assassinato». (17)
Se le conclusioni di Jim Garrison sono giuste, nel 1963 venne compiuto negli
Stati Uniti un colpo di Stato che non necessitò né dell'appoggio delle masse né
dell'utilizzo dell'esercito, e del quale la popolazione non si rese nemmeno
conto. Eccettuato l'assassinio spettacolare del presidente, si trattò di
un cambio al vertice dello Stato che fu silenzioso, eseguito da una minoranza
appartenente agli apparati della sicurezza e dell'intelligence, con l'apporto
di esponenti di quel complesso militare-industriale sul cui enorme potere già
il presidente Eisenhower aveva messo in guardia. Come si può notare, la tesi di Garrison
sull'omicidio di John Kennedy - come colpo di Stato compiuto dall'interno del sistema e senza distruggerne
la fisionomia politico-istituzionale - conferma le intuizioni e le analisi di Luttwak.
Jim Garrison morì nel 1992, ma se avesse assistito agli attentati del World
Trade Center e del Pentagono, molto probabilmente, ritornando con la mente agli
eventi del lontano 1963, avrebbe pensato ad un colpo di Stato.
A questo punto diventano evidenti le analogie che gli avvenimenti dell'11
settembre 2001 presentano con quelli del 1963. L'omicidio del presidente Kennedy fu il risultato
di un'operazione sofisticata, orchestrata con estrema precisione; tuttavia le dichiarazioni ufficiali indicarono immediatamente in Lee Harvey Oswald - che venne arrestato con sorprendente rapidità - l'unico colpevole. La solita storia del pazzo solitario. Ma Kennedy, come risultò in seguito, venne colpito da differenti direzioni. Quindi Oswald, posto che avesse veramente sparato, non poteva essere il solo ad averlo fatto, ma doveva far parte di una organizzazione;
o esserne utilizzato a sua insaputa o suo malgrado. Anche nel caso dell'attentato del 2001,
al-Qaeda ed Usama bin Laden furono indicati da subito come gli unici responsabili.
Ma se è plausibile che gli esecutori materiali delle azioni terroristiche possano essere identificati in
membri di tale rete terroristica, essi non possono aver agito, data la complessità dell'operazione, senza
l'appoggio continuativo ed intenzionale di settori, che potremmo definire deviati,
di qualche apparato di intelligence, statunitense e non solo. (18) Tutto questo non dovrebbe stupire; in Italia i concetti di «servizi segreti deviati» e di «strage di Stato» sono purtroppo familiari, e forse trovano un senso anche nella società americana.
Ripensando alle considerazioni di Lyndon LaRouche sopra riportate
risulta chiara la funzione degli attentati dell'11 settembre: creare una
situazione di enorme crisi per giustificare la proclamazione di uno stato di
emergenza di stampo golpista ed una svolta autoritaria; che è quanto puntualmente avvenuto con la
promulgazione dell'USA Patriot Act che ha dotato di nuovi e forti
poteri sia le forze di sicurezza che agiscono all'interno degli Stati Uniti -
aprendo la strada a limitazioni ed anche a violazioni delle libertà civili -
sia le agenzie di intelligence che operano al di fuori del paese. La presa del potere all'interno del paese
a sua volta rappresenta la condizione indispensabile per la realizzazione di
una nuova strategia internazionale altrimenti irrealizzabile.
Questa tecnica, consistente nel creare appositamente una situazione di crisi per poi intervenire
a "risolverla", non è nuova. All'inizio del 1962, durante la presidenza Kennedy, il generale Lyman Lemnitzer
ideò un piano che prevedeva l'esecuzione di svariati attentati sull'intero
territorio degli Stati Uniti. Il piano prese il nome in codice di Operazione
Northwoods. Le azioni terroristiche, che prevedevano anche il dirottamento
e l'abbattimento di un aereo civile, dovevano avere come obiettivi cittadini americani
ed esuli cubani anticastristi. La responsabilità delle azioni terroristiche sarebbe stata
poi addossata al governo di Fidel Castro, allo scopo di giustificare
un'azione militare americana di rappresaglia contro Cuba. Kennedy però blocco il progetto. (19)
L'idea di una grande crisi - Temuta? Auspicata? - era già nell'aria
molto prima dell'11 settembre 2001. Non sono gli eventi dell'11
settembre a far parlare per la prima volta di crisi globale. Prendiamo ad
esempio le parole pronunciate da David Rockefeller nel 1994: «We are on the
verge of global transformation. All we need is the right major crisis and the nations will accept the New World
Order». (20) Le parole di David Rockefeller vanno attentamente analizzate. Nel brano in questione
si comincia con la constatazione che ci troviamo sulla soglia di una trasformazione globale,
una trasformazione che quindi riguarda tutti, l'intera umanità. La seconda frase afferma che
«tutto ciò di cui abbiamo bisogno è di una grande crisi»; a chi si riferisce Rockefeller?
Chi è ad avere la necessità di una «grande crisi» e a quale scopo?
Evidentemente Rockefeller si riferisce a se stesso ed a tutto un
gruppo del quale fa parte. È questo gruppo che ha bisogno di una
crisi. Bisogno di una crisi in vista di che cosa? La risposta è: per far sì che
le nazioni accettino un nuovo ordine globale. Possiamo perciò arrivare alle
seguenti conclusioni: in primo luogo, questo gruppo è un gruppo ristretto, una élite
che si distingue dalle «nazioni», che non si caratterizza per l'appartenenza ad
una comunità nazionale, transnazionale quindi. In secondo luogo tale oligarchia
ha per obiettivo, per fine l'instaurazione di un nuovo ordine
internazionale consono alle sue idee ed ai suoi interessi; un ordine
internazionale che evidentemente gli Stati nazionali fanno fatica ad accettare,
se per far questo c'è bisogno dello strumento di una grande crisi. Per
quale motivo le «nazioni» accetteranno il «Nuovo Ordine Mondiale» solo grazie
ad una «grande crisi»? Perché la crisi assumerà l'aspetto di una minaccia
globale - alla sicurezza politica, sociale ed economica - che gli
Stati nazionali non saranno in grado singolarmente di affrontare, ma che solo
la comparsa e l'instaurazione di un nuovo potere globale potrà
scongiurare. Solo un potere globale potrà perciò risolvere una crisi globale.
Il nuovo potere globale è quello degli Stati Uniti (forse si potrebbe
affermare che il «Nuovo Ordine Mondiale» per imporsi si serve del potenziale
economico e militare degli USA). Infatti dopo il 1989, con il crollo del muro di
Berlino e la fine dell'URSS, gli Stati Uniti rimangono l'unica superpotenza
globale sulla scena mondiale, l'unico paese al mondo in grado di
proiettare il proprio potere su qualunque teatro strategico del pianeta. È
Zbigniew Brzezinski a delineare gli scenari geostrategici e geopolitici del
futuro, del XXI secolo. La sua analisi geopolitica, elaborata nel libro La
Grande Scacchiera (21), si snoda attraverso alcune linee fondamentali:
1) Dopo la fine della potenza comunista rappresentata soprattutto dall'URSS e dai
paesi dell'Europa orientale, gli USA rimangono l'unica superpotenza, dal punto
di vista politico, militare, economico e tecnologico, con interessi vitali in
ogni parte del mondo.
2) È essenziale che nel XXI secolo gli Stati Uniti conservino la loro supremazia
mondiale allargando la loro area di influenza ed esportando il loro sistema
politico-sociale ed i loro valori.
3) L'elemento fondamentale per la conservazione della leadership
mondiale è rappresentato dal controllo dello spazio geopolitico dell'Eurasia.
In altri termini, chi controlla l'Eurasia, e le sue risorse, controlla il
mondo. Dal momento che: «fin da quando i continenti hanno cominciato ad
interagire politicamente, circa cinque secoli fa, l'Eurasia è stata il centro
del potere mondiale», (22) diventa «assolutamente indispensabile che non emerga
alcuna potenza capace d'instaurare il proprio dominio sull'Eurasia e di sfidare
per ciò stesso l'America». (23) La zona chiave del continente eurasiatico, dal
punto di vista geopolitico e geostrategico, è quell'area definita come i
«Balcani dell'Eurasia». Con questo termine Brzezinski indica una vasta area
comprendente Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan,
Azerbaigian, Armenia, Georgia, Afghanistan e parte dell'Iran e della Turchia.(24)
4) A questo scopo risulta necessario scongiurare l'affacciarsi sulla scena
mondiale di una o più potenze globali eurasiatiche, come l'Europa e la Cina, ed
anche di potenze «regionali» come l'India e l'Iran, nonché dissuadere la Russia
dal tentativo di ritornare ad essere una potenza globale come fu l'URSS.
5) Sul piano interno invece, si tratta di creare, in seno alle masse abituate
ai valori ed ai metodi democratici, un consenso intorno alla nuova politica di
potenza, in quanto «la democrazia è nemica della mobilitazione imperiale». (25)
È presente nel discorso di Brzezinski un tema analogo a quello riscontrato
nelle affermazioni di Rockefeller. Per ottenere il consenso dell'opinione
pubblica americana nei confronti della «mobilitazione imperiale» e
l'accettazione degli inevitabili sacrifici per la popolazione che essa
comporta, è necessaria una minaccia estrema e globale. Solo un
pericolo diretto e generalizzato può far sì che la popolazione americana si
raccolga attorno al nuovo corso politico di tipo imperiale. Senza tale minaccia
il carattere democratico ed in certi casi isolazionista dell'opinione
pubblica avrebbe il sopravvento. Scrive Brzezinski: «Ma la ricerca della
potenza non è obiettivo da suscitare passioni popolari, se non in presenza di
una minaccia o di una sfida improvvisa a quello che l'opinione pubblica
considera il proprio benessere». (26) Infatti, per fare un esempio storico, «la
partecipazione alla seconda guerra mondiale trovò consensi soprattutto in
seguito allo shock dell'attacco giapponese contro Pearl Harbor». (27)
La conclusione non potrebbe essere più chiara: «Non solo, ma quanto più
l'America diventerà una società sempre più multiculturale, sarà meno facile che
si crei un consenso su questioni di politica estera, salvo di fronte a una
minaccia esterna diretta ampiamente percepita come tale. [...] In assenza di
una minaccia esterna comparabile, sarà molto più difficile che la società
americana dia il suo consenso a scelte di politica estera che non rispecchino i
suoi valori fondamentali e le sue simpatie etno-culturali ed esigano invece
sforzi prolungati e talvolta costosi per affermare una supremazia imperiale».
(28)
Il tema della supremazia mondiale statunitense nel XXI secolo è anche il
tema principale delle analisi dei cosiddetti neoconservatives
americani. (29) Secondo i neoconservatori gli Stati Uniti hanno il
diritto-dovere di portare a compimento una missione civilizzatrice nei
confronti del mondo, esportando ed espandendo, se necessario con l'uso della
forza militare, il dominio dei «valori americani», e al contempo cercando di
prevenire qualunque minaccia alla sicurezza americana da parte di quegli Stati,
i cosiddetti «rogue states», che fondandosi su regimi politici
oppressivi, non possono non sentirsi minacciati nella loro legittimità dai
princìpi e dai valori «americani» di libertà individuale e democrazia.
L'attuale congiuntura internazionale che vede gli USA l'unica superpotenza
rimasta sul campo, - il cosiddetto «momento unipolare» - è un momento
eccezionalmente favorevole alla realizzazione di quella egemonia globale che,
come abbiamo visto, costituisce secondo i neocons (30) il «manifest
destiny» dell'America.
Secondo gli esponenti neoconservatori, per essere all'altezza delle sfide,
anche militari, che il progetto di supremazia globale nel XXI secolo impone
agli Stati Uniti, è indispensabile una profonda trasformazione della politica
di difesa, aumentando la spesa militare ed aggiornando i sistemi d'arma con le
più sofisticate tecnologie disponibili. Il testo fondamentale che analizza ed
approfondisce questo progetto di riforma della difesa ha per titolo Rebuilding
America's Defenses: Strategy, Forces and Resources for a New Century.
Scritto da Thomas Donnelly con la collaborazione di Donald Kagan e Gary
Schmitt, fu pubblicato nel settembre 2000 a cura del Project for a New
American Century (PNAC). (31) È un vero e proprio manifesto programmatico
del PNAC, molti dei firmatari del quale ricoprono oggi alte cariche in seno
all'amministrazione Bush.
Nel testo in questione, a
proposito del processo di trasformazione della difesa americana, troviamo una
precisazione cruciale: «Further, the process of transformation, even if it
brings revolutionary change, is likely to be a long one, absent some
catastrophic and catalyzing event - like a new Pearl Harbor». (32) In
altre parole, solo un evento «catastrofico» può far sì che la «ricostruzione»
delle forze armate americane possa avvenire in tempi brevi, condizione questa
necessaria affinché il «Progetto per un Nuovo Secolo Americano» abbia successo.
Ritorna dunque in modo ancora più esplicito la teoria della minaccia globale,
dell'evento catastrofico quale catalizzatore capace di accelerare la
realizzazione all'interno del paese di un cambio al vertice del potere effettivo,
in modo tale da portare a compimento, all'esterno, un progetto geopolitico
consistente nella creazione di un nuovo ordine internazionale a guida USA.
Franco Cardini giustamente osserva che «rilette a un anno di distanza da quando
vennero pubblicate, cioè immediatamente dopo l'11 settembre 2001, queste parole
sono agghiaccianti». (33) Non basta, come riportato da Sbancor, la mattina
dell'11 settembre 2001 sul sito web della Morgan Stanley comparve una
strana previsione che citiamo per intero: «Report caricato sul sito internet
di Morgan Stanley, martedì 11 settembre, 7.30.-8.00 [ora di New York] Che cosa
può ridurre drasticamente il deficit delle partite correnti americane, e per
questa via eliminare i rischi più significativi per l'economia degli Stati
Uniti e per il dollaro? La risposta è: un atto di guerra. L'ultima volta che
gli USA hanno registrato un surplus delle partite correnti è stato nel 1991,
quando il concorso dei Paesi esteri ai costi sostenuti dall'America per la
guerra del golfo ha contribuito a generare un avanzo di 3,7 milioni di
dollari». (34) Solo con un atto di guerra sarà dunque possibile rilanciare
l'economia.
La mattina dell'11 settembre qualcuno, rimasto finora sconosciuto, ha fatto avverare
le singolari previsioni di Rockefeller, di Brzezinski e di Donnelly con il gruppo del PNAC.
Come abbiamo già affermato sono stati colpiti i simboli ed i centri del potere economico e
militare USA; non solo, ma gli attentati hanno anche colpito - con il loro colossale e voluto
effetto mediatico live reso possibile dalle moderne tecnologie di comunicazione -
l'immaginario collettivo degli americani e degli occidentali, i cui peggiori incubi, che per anni hanno trovato
espressione nella cinematografia (35), si sono improvvisamente materializzati
nel crollo delle Twin Towers. Evidentemente chi ha ideato gli attacchi
terroristici ha tenuto conto anche di questi fattori, essendo evidentemente un profondo
conoscitore della psicologia collettiva occidentale.
E così nel 2001 - nel primo anno del XXI secolo, il «nuovo secolo americano» -
la «grande crisi» che farà accettare alle «nazioni» il «Nuovo Ordine Mondiale»
a guida USA è puntualmente arrivata; la «minaccia esterna diretta ampiamente percepita
come tale» è stata attuata contro il World Trade Center ed il Pentagono;
la «nuova Pearl Harbor» quale «evento catastrofico e catalizzatore», ha reso
possibile il rapido inizio del processo di «rebuilding» delle forze armate USA,
ha spinto la «junta petroliera Cheney-Bush» alla guerra contro il
«terrorismo internazionale» in Afghanistan e Iraq, ed alla promulgazione dell'USA Patriot Act a
restrizione delle libertà e delle garanzie democratiche dei cittadini
americani. (36) Ecco che allora la tragedia dell'11 settembre assume l'aspetto
di un terrificante casus belli, finalizzato da un lato a favorire una
svolta autoritaria di stampo golpista all'interno degli Stati Uniti, e
dall'altro a promuovere in campo internazionale quella «mobilitazione imperiale» che nel XXI secolo assicurerà
l'egemonia globale a coloro che ormai si sono impadroniti degli USA.
Note
(1) Giulietto Chiesa, Cerchiamo la Cupola non la rete islamica, in La guerra del terrore, I Quaderni speciali di Limes, supplemento al n° 4/2001, pag. 88.
(2) Ibidem, pag. 90.
(3) Tagesspiegel, 13 gennaio 2002 ( http://i-p-o.org/von_Buelow-tagesspiegel-online.htm
e http://www.pasti.org/vonbulow2.htm ). Nell'intervista si fa anche cenno alla possibilità che gli aerei dirottati fossero stati pilotati sugli obiettivi da «remoto», utilizzando la tecnologia
«global hawk». Per informazioni su tale tecnologia: http://www.af.mil/news/airman/1101/hawk.html e http://www.airforce-technology.com/projects/global.
(4) Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, Fazi, Roma, 2002.
(5) Il regolamento della Federal Aviation Administration (FAA) si trova all'indirizzo: http://www1.faa.gov/ATpubs.
(6) Secretary Rumsfeld Interview with Parade Magazine, Friday, Oct. 12, 2001, http://www.defenselink.mil/news/Nov2001/t11182001_t1012pm.html. Sull'attentato al Pentagono si veda: Thierry Meyssan, L'incredibile menzogna, Fandango, Roma, 2002
e Il Pentagate, Fandango, Roma, 2003.
(7) Sulle operazioni di insider trading si veda: Sbancor, American
Nightmare - Incubo americano, Nuovi Mondi Media, Bologna, 2003, pag.
52-58.
(8) http://www.movisol.org/usa4.htm e http://larouchein2004.net/pages/interviews/2001/lhl_covert_op_0912.htm
(9) http://www.movisol.org/larouche.mp3
(10) http://www.movisol.org/11sette.htm
(11) Ibidem.
(12) Edward Luttwak, Coup d'Ètat. A practical handbook, Harvard University Press, Cambridge, 1979.
(13) Ibidem pag. 26-27.
(14) Ibidem pag. 58.
(15) Ibidem pag. 168. Per un commento alle tesi di Luttwak si veda: Maurizio Blondet, Chi comanda in America Effedieffe, Milano, 2002, cap. 20, pag. 137.
(16) Jim Garrison, JFK. Sulle tracce degli assassini, Sperling & Kupfer, Milano, 2003, cap. 20, pag. 334.
(17) Ibidem pag. 334-335.
(18) Negli anni '80, per contrastare la presenza sovietica in Afghanistan, la CIA diede il proprio sostegno a gruppi combattenti di estremisti islamici. Oltre alla CIA, anche i servizi segreti di Gran Bretagna, Pakistan, Egitto, Arabia Saudita, Cina e perfino di Israele diedero il loro appoggio, nello stesso periodo, alla jihad afgana. Su questo argomento è fondamentale l'opera di John K. Cooley, Una guerra empia, Elèuthera, Milano, 2000.
(19) Sull'Operazione Northwoods si veda: Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, Appendice C e D, pag. 283-289; Maurizio Blondet, 11 settembre: colpo di Stato in USA, Effedieffe, Milano, 2003, cap. 19, pag. 114.
(20) Dichiarazione all'United Nations Business Council, 1994.
(21) Zbigniew Brzezinski, La Grande Scacchiera, Longanesi, Milano, 1998. Questo studio venne pubblicato per la prima volta nel 1997 dal Council on Foreign Relations ( http://www.cfr.org ) con il titolo The Grand Chessboard. Il CFR, fondato nel 1921, è un think tank, un'associazione privata che si occupa di geopolitica e di problemi di politica internazionale. William C. Skousen considerò il CFR come il «motore» effettivo e segreto della politica estera americana. Ricordiamo inoltre che nel 1973 Brzezinski fu il fondatore di un altro importante think tank, la Trilateral Commission ( http://www.trilateral.org ).
(22) Ibidem, pag. 7.
(23) Ibidem, pag. 9.
(24) Ibidem, cap. 5, pag. 167-202.
(25) Ibidem, pag. 52.
(26) Ibidem, pag. 51.
(27) Ibidem, pag. 37 (sull'attacco alla base americana di Pearl Harbor come «disastro da non evitare» si veda il libro di Robert B. Stinnett, Il giorno dell'inganno, il Saggiatore, Milano, 2001).
(28) Ibidem, pag. 279.
(29) Per una presentazione del pensiero ed una antologia degli scritti dei neoconservatori: I nuovi rivoluzionari. Il pensiero dei neoconservatori americani, a cura di Jim Lobe e Adele Oliveri, Feltrinelli, Milano, 2003; ed inoltre: Franco Cardini, Astrea e i Titani, Laterza, Bari, 2003.
(30) Nella lingua francese il termine «neocon» si presta ad un gioco di parole: «con» infatti significa fesso.
(31) Rebuilding America's Defenses: Strategy, Forces and Resources for a New Century. Il testo è disponibile in internet all'indirizzo: http://www.newamericancentury.org/RebuildingAmericasDefenses.pdf.
(32) Ibidem, V, pag. 51; ed anche: Thomas Donnelly, La riforma della
difesa nel mondo unipolare, in I nuovi rivoluzionari. Il pensiero dei
neoconservatori americani, pag. 75.
(33) Astrea e i Titani, nota 1, pag. 171.
(34) American Nightmare - Incubo americano, pag. 55.
(35) Va segnalato a questo proposito, per il suo contenuto
ideologico-propagandistico, un film di fantascienza del 1996, Independence day del regista Roland Emmerich. In una scena, un edificio molto alto somigliante all'Empire State Building viene colpito alla sommità e subisce un collasso strutturale simile a quello reale del WTC. Alla fine gli USA, alla guida di una sorta di coalizione internazionale e grazie alla intuizione di uno scienziato ebreo, sconfiggono la minaccia globale aliena salvando il mondo.
(36) In merito alle operazioni militari statunitensi in Afghanistan ed ai progetti di invasione dell'Iraq come conseguenza dell'11 settembre si veda: Gore Vidal, Le menzogne dell'Impero e altre tristi verità, Fazi, Roma, 2002.
Elenco dei libri citati
- Ahmed Nafeez M., Guerra alla libertà, Fazi, Roma, 2002.
- Blondet Maurizio, 11 settembre: colpo di Stato in USA, Effedieffe, Milano, 2003.
- Blondet Maurizio, Chi comanda in America, Effedieffe, Milano, 2002.
- Brzezinski Zbigniew, La Grande Scacchiera, Longanesi, Milano, 1998.
- Cardini Franco, Astrea e i Titani, Laterza, Bari, 2003.
- Chiesa Giulietto, Cerchiamo la Cupola non la rete islamica, in La guerra del terrore, I Quaderni speciali di Limes, supplemento al n° 4/2001.
- Cooley John K., Una guerra empia, Elèuthera, Milano, 2000.
- Garrison Jim, JFK. Sulle
tracce degli assassini, Sperling & Kupfer, Milano, 2003.
- Lobe Jim e Oliveri Adele (a cura di), I nuovi rivoluzionari. Il pensiero dei neoconservatori americani, Feltrinelli, Milano, 2003.
- Luttwak Edward, Coup d'Ètat. A practical handbook, Harvard University Press, Cambridge, 1979 (trad. it., Strategia del colpo di Stato, Rizzoli, Milano, 1983).
- Meyssan Thierry, L'incredibile menzogna, Fandango, Roma, 2002.
- Meyssan Thierry, Il Pentagate, Fandango, Roma, 2003.
- Sbancor, American Nightmare - Incubo americano, Nuovi Mondi Media, Bologna, 2003.
- Stinnett Robert B., Il giorno dell'inganno, il Saggiatore, Milano, 2001.
- Vidal Gore, Le menzogne dell'Impero e altre tristi verità, Fazi,
Roma, 2002.
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