Gli eletti condannati, riciclati, candeggiati, arrestati.
Piccole e grandi storie ignobili da Repubblica delle banane.
Da non far sapere all’Economist...
Catalogo dei
parlamentari
Gli eletti condannati, riciclati, candeggiati, arrestati. Piccole e
grandi storie ignobili da Repubblica delle banane. Da non far sapere
all’Economist...
Il catalogo è in ordine alfabetico ed è aggiornato
periodicamente. Suggerisci il tuo candidato candeggiato
all'indirizzo sloweb@societacivile.it
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Personaggi che sono
stati coinvolti in vicende di corruzione |
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Personaggi i cui nomi
erano negli elenchi della loggia segreta P2 |
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Personaggi che sono
stati indagati e sono sotto processo |
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Personaggi che sono
stati coinvolti in vicende di mafia |
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Personaggi che hanno
già subito una condanna definitiva |
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Personaggi che sono
stati arrestati e sono stati in carcere |
Senatore a vita, nominato dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Politico democristiano, sette volte
presidente del Consiglio. Ventisette volte messo in stato d'accusa dal
Parlamento, sempre salvato (anche grazie al Partito comunista). Processato a
Palermo con l'accusa di essere stato il massimo referente politico
dell'organizzazione mafiosa siciliana Cosa nostra. In primo grado Ë stato
assolto con formula dubitativa (che corrisponde all'insufficienza di prove del
vecchio codice). La sentenza, pur assolvendolo, sottolinea che Andreotti ha più
volte mentito al Tribunale e aveva stretti rapporti politici con i referenti
siciliani di Cosa nostra, Salvo Lima e i cugini Salvo. La sentenza
d'appello riforma in parte quella di primo grado, sostenendo che sono
provati i suoi rapporti con gli uomini di Cosa nostra, almeno fino al 1980,
anche se per pochi mesi scatta la prescrizione del reato. Nel novembre 2002 è
condannato, in appello, a 24 anni di carcere come mandante dell'omicidio del
giornalista Mino Pecorelli, che era a conoscenza di
imbarazzanti segreti di Andreotti: i soldi ottenuti nella vicenda Italcasse, il
memoriale di Aldo Moro...
Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Treviglio. è stato
assistente dell'allora ministro-asfaltatore Giovanni Prandini (Dc) per poi
assumere l'incarico di segretario di Forza Italia a Bergamo. Secondo le accuse
della procura di quella città, però, avrebbe falsificato le tessere del suo
partito per aumentarne il numero. Arnoldi, inoltre, è accusato di aver
falsificato alcune firme per la presentazione del Ps di Gianni De Michelis,
travasandole da quelle raccolte per Forza Italia. Ma i capi d'accusa più pesanti
nei suoi confronti arrivano dalla procura di Milano: falso in bilancio e
bancarotta, nell'ambito di un'inchiesta (tuttora in corso) sul crac Gipielle del
2000, che ha individuato una serie di società cessate, liquidate, svanite nel
nulla o trasferite alla titolarità di prestanome extracomunitari. Curiosità:
Arnoldi ha avuto guai con la giustizia anche in Ghana, dove durante un viaggio
d'affari è stato arrestato con l'accusa di spionaggio, risultata poi
infondata.
Senatore della Repubblica. Da avvocato ha difeso, tra gli altri, Leoluca
Bagarella, capo militare dei Corleonesi. In politica, è un esponente di An di
Temini Imerese (territorio di Caccamo, paese del “pentito” Nino Giuffrè).
Proprio Giuffrè lo cita tra i politici in contatto con Cosa nostra. «Giuffrè?
Aveva una tabaccheria di fronte al mio studio d’avvocato, a Termini», ha
risposto Battaglia. Dopo la lettera di avvertimento inviata nell’estate 2002 dai
boss agli avvocati-parlamentari “colpevoli” di non mantenere le promesse alla
mafia, e dopo una nota del Sisde sul tema, a Battaglia è stata assegnata dalla
polizia una tutela.
Deputato della Repubblica. Eletto a Milano. Fondatore di Forza Italia.
Presidente del Consiglio dei ministri nel 1994 e nel 2001. Il suo nome di
compare nelle liste della loggia massonica segreta P2: fascicolo 625, numero di
tessera 1816, data di iniziazione 26 gennaio 1978. In un'audizione alla
commissione parlamentare sulla P2, Berlusconi ammette di essersi iscritto alla
P2 all'inizio del 1978 su invito di Gelli. Conferma la sua iscrizione alla
loggia al processo P2, nel novembre 1993. • Nel
settembre 1988, invece, in un processo per diffamazione da lui intentato contro
alcuni giornalisti, Berlusconi dichiara al giudice:"Non ricordo la data esatta
della mia iscrizione alla P2, ricordo che è di poco anteriore allo scandalo".
Per questa dichiarazione Berlusconi viene denunciato per falsa testimonianza. Il
processo per falsa testimonianza si conclude nel 1990: Berlusconi viene
dichiarato colpevole, ma il reato è estinto per intervenuta amnistia. • Berlusconi fu
indagato già dal 1983, nell'ambito di un'inchiesta su droga e riciclaggio: la
Guardia di finanza aveva posto sotto controllo i suoi telefoni e scritto nel suo
rapporto: «è stato segnalato che il noto Silvio Berlusconi finanzierebbe un
intenso traffico di stupefacenti dalla Sicilia, sia in Francia che in altre
regioni italiane. Il predetto sarebbe al centro di grosse speculazioni edilizie
e opererebbe sulla Costa Smeralda avvalendosi di società di comodo...».
L'indagine non accertò nulla di penalmente rilevante e nel 1991 fu archiviata. • Berlusconi è
stato accusato di aver pagato tangenti a ufficiali della Guardia di finanza, per
ammorbidire i controlli fiscali su quattro delle sue società. In primo grado è
stato condannato a 2 anni e 9 mesi per tutte e quattro le tangenti contestate,
senza attenuanti generiche. In appello, la Corte concede le attenuanti
generiche: così scatta la prescrizione per tre tangenti. Per la quarta
(Telepiù), l'assoluzione è concessa con formula dubitativa, secondo il comma 2
art. 530 cpp. La Cassazione, nell'ottobre 2001, conferma le condanne per i
coimputati di Berlusconi Berruti, Sciascia, Nanocchio e Capone (dunque le
tangenti sono state pagate), ma assolve Berlusconi
per non aver commesso il fatto, seppur richiamando l'insufficienza di prove. • Per 21
miliardi di finanziamenti illeciti a Bettino Craxi, passati attraverso la
società estera All Iberian, in primo grado è condannato a 2 anni e 4 mesi. In
appello, a causa dei tempi lunghi del processo scatta la prescrizione del reato. La Cassazione conferma. • Berlusconi è rinviato a giudizio per aver falsificato i
bilanci Fininvest (processo All Iberian 2). Il dibattimento, dopo molte
lungaggini e schermaglie procedurali, è in corso presso il Tribunale di Milano.
Ma intanto Berlusconi ha cambiato la legge sul falso
in bilancio: il processo è sospeso in attesa che il tribunale di Milano decida
se inviare alla Corte costituzionale e all'Alta corte di giustizia europea
eccezioni d'incostituzionalitý e di incompatibilitý con le direttive europee. La
richiesta è della procura di Milano, che chiede di giudicare se le nuove norme
sui reali societari siano costituzionali e compatibili con le direttive
dell'Unione europea. Se le eccezioni saranno respinte, il reato sarý dichiarato
prescritto. •
Berlusconi è stato indagato (anche sulla base di una voluminosa
consulenza fornita dalla Kpmg) per la rete di 64 società e conti off shore del
gruppo Fininvest (Fininvest Group B) che, secondo l'accusa, ha finanziato
operazioni "riservate" (ha scalato societý quotate in Borsa, come Standa e
Rinascente, senza informare la Consob; ha aggirato le leggi antimonopolio tv in
Italia e in Spagna, acquisendo il controllo di Telepiù e Telecinco; ha pagato
tangenti a partiti politici, come la stecca record di 21 miliardi di lire data a
Craxi attraverso la societý All Iberian). La rete occulta della Finivest-ombra
ha spostato, tra il 1989 e il 1996, fondi neri per almeno 2 mila miliardi di
lire. Per questo Berlusconi è stato chiamato a rispondere di falso in bilancio.
Ma nel 2002 ha cambiato la legge sul falso in
bilancio, trasformando i suoi reati in semplici illeciti sanabili con una
contravvenzione e soprattutto riducendo i tempi di prescrizione del reato (erano 7 anni, aumentabili fino a
15; sono diventati 4). CosÏ il giudice per le indagini preliminari nel febbraio
2003 ha chiuso l'inchiesta: negando l'assoluzione, poichÈ Berlusconi e i suoi
coimputati (il fratello Paolo, il cugino Giancarlo Foscale, Adriano Galliani,
Fedele Confalonieri) non possono dirsi innocenti; ma
decidendo di prosciogliere tutti i 25 imputati,
poichÈ il tempo per il processo, secondo la nuova legge, è scaduto. La procura
ricorre in Cassazione, che all'inizio di luglio 2003 applica per la prima volta
il "lodo Maccanico", decidendo la sospensione del
processo per Berlusconi. • Berlusconi è stato
rinviato a giudizio per aver deciso il versamento in nero di una decina di
miliardi dalle casse del Milan a quelle del Torino calcio, per l’acquisto del
calciatore Gianfranco Lentini. Il dibattimento di primo grado si è concluso con
la dichiarazione che il reato è prescritto, grazie
alla nuova legge di Berlusconi sul falso in
bilancio. • Berlusconi è accusato di comportamenti
illeciti nelle operazioni d'acquisto della società Medusa cinematografica, per
non aver messo a bilancio 10 miliardi. In primo grado è stato condannato a 1
anno e 4 mesi per falso in bilancio. In appello, assoluzione con formula
dubitativa, confermata in Cassazione. •
Berlusconi è accusato di appropriazione indebita, frode fiscale e falso
in bilancio per l’acquisto dei terreni intorno alla sua villa di Macherio. In
primo grado è assolto dall'appropriazione indebita e
dalla frode fiscale. Per i due falsi in bilancio contestati scatta la prescrizione. In appello è confermata l'assoluzione per i
due primi reati; è assolto per uno dei due falsi in bilancio, per il secondo si
applica l'amnistia. • Berlusconi è accusato di
aver pagato i giudici di Roma per ottenere una decisione a suo favore nel Lodo
Mondadori, che doveva decidere la proprietà della casa editrice. Il giudice
dell'udienza preliminare Rosario Lupo ha deciso l'archiviazione del caso, con
formula dubitativa. La Procura ha fatto ricorso alla Corte d’appello, che nel
giugno 2001 ha deciso: per Berlusconi è ipotizzabile il reato di corruzione
semplice, e non quello di concorso in corruzione in atti giudiziari; concesse le
attenuanti generiche, il reato dunque è prescritto,
poiché risale al 1991 e la prescrizione, con le attenuanti genriche, scatta dopo
5 anni. Il giudice ha disposto che restino sotto processo i suoi coimputati
Cesare Previti, Giovanni Acampora, Attilio Pacifico e Vittorio Metta. • Berlusconi è accusato di aver corrotto i giudici durante
le operazioni per l'acquisto della Sme. Rinviato a giudizio insieme a Cesare
Previti, Renato Squillante e altri. Il processo di primo grado si Ë celebrato
presso il Tribunale di Milano, dopo che la Cassazione ha respinto la richiesta
di spostare il processo a Brescia o a Perugia, per legittimo
sospetto reintrodotto per legge nell'ottobre 2002. Un'altra legge, il
"lodo Maccanico", votata con urgenza nel giugno 2003, impone la sospensione di
tutti i processi a cinque alte cariche dello Stato, tra cui il presidente del
Consiglio. Ma il Tribunale ha accettato la richiesta di pubblico ministero e
parte civile di chiedere alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla
eventuale incostituzionalitý del "lodo". •
Berlusconi era accusato di aver indotto la Rai, da presidente del
Consiglio, a concordare con la Fininvest i tetti pubblicitari, per ammorbidire
la concorrenza. La Procura di Roma, non avendo raccolto prove a sufficienza per
il reato di concussione, ha chiesto l'archiviazione,
accolta dal Giudice dell'udienza preliminare. •
Berlusconi era accusato di aver pagato tangenti a dirigenti e funzionari
del ministero delle Finanze per ridurre l’Iva dal 19 al 4 per cento sulle pay tv
e per ottenere rimborsi di favore. La Procura di Roma ha chiesto l'archiviazione, accolta dal Giudice dell'udienza
preliminare. • Le procure di Caltanissetta e
Firenze indagano da molti anni sui «mandanti a volto coperto» delle stragi del
1992 (Falcone e Borsellino) e del 1993 (a Firenze, Roma e Milano). Le indagini
preliminari sull'eventuale ruolo che Berlusconi e Marcello Dell'Utri possono
avere avuto in quelle vicende sono state formalmente chiuse con archiviazioni nel 1998 (Firenze) e nel 2002
(Caltanissetta). Continuano però indagini per concorso in strage contro ignoti e
i decreti d'archiviazione hanno parole pesanti nei confronti degli ambienti
Fininvest. • La procura di Palermo ha indagato su
Berlusconi per mafia: concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio di
denaro sporco. Nel 1998 l'indagine è stata archiviata
per scadenza dei termini massimi concessi per indagare. Indizi sui rapporti di
Berlusconi e Dell'Utri con uomini di Cosa nostra continuano a essere segnalati
in molte sentenze. • Berlusconi, Dell’Utri e altri
manager Fininvest, responsabili in Spagna dell'emittente Telecinco, sono
accusati di frode fiscale per 100 miliardi e violazione della legge antitrust
spagnola. Sono ora in attesa di giudizio su richiesta del giudice istruttore
anticorruzione di Madrid, Baltasar Garzon Real. Il giudice Garzon ha chiesto di
processare Berlusconi in Italia o di poterlo processare in Spagna. Di fatto, il
processo è sospeso.
Deputato
della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Da
ufficiale della Guardia di finanza, nel 1979 ebbe la sorte di interrogare un
giovane imprenditore emergente di nome Silvio
Berlusconi, a proposito della confusa situazione proprietaria e
finanziaria della sua società Edilnord. Berlusconi rispose che della Edilnord
era soltanto un "semplice consulente". Berruti, nel suo rapporto conclusivo,
prese per buona la versione di Berlusconi, permettendo così l'archiviazione
dell'accertamento valutario che ipotizzava la dipendenza della Edilnord da
società estere. Poi si dimise dalla Guardia di finanza e andò a lavorare per
Berlusconi. Prima delle dimissioni, però, fece in tempo a essere arrestato con
l'accusa di corruzione nell'ambito dell'inchiesta per lo scandalo Icomec, una
storia di tangenti che scoppiò prima di Mani pulite (al processo fu assolto). Da
consulente Fininvest, invece, è stato di nuovo arrestato, nel 1994, per
favoreggiamento a Berlusconi nell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di
finanza. Condannato in primo grado (10 mesi) e in appello (8 mesi). Come
avvocato del gruppo Fininvest, ha trattato, fra l’altro, l’acquisto del
calciatore Gigi Lentini (poi oggetto di un processo
in cui Ë imputato). Nel gennaio 1994 Berlusconi gli ha affidato l’organizzazione
della campagna elettorale di Forza Italia a Sciacca e nella provincia
d’Agrigento. Con buoni risultati, tra i quali il coinvolgimento di Salvatore Bono (cognato del boss dell’Agrigentino Salvatore Di Gangi) e di Salvatore
Monteleone, arrestato nel 1993 per concorso in associazione a delinquere
di stampo mafioso e diventato, appena uscito dal carcere, referente di Forza
Italia a Montevago. Per i suoi servizi, Berruti e stato premiato con un posto in
Parlamento già dal 1996. Con il Berruti avvocato e poi politico, convive il
Berruti uomo d’affari: in Sicilia possedeva una societa, la Xacplast, che un
rapporto dei carabinieri indicava come partecipata da uomini d’onore delle
famiglie mafiose di Sciacca. Il collaboratore di giustizia Angelo Siino ha parlato anche di un incontro tra Berruti e
il boss Nino Gioè, proprio nel periodo di
progettazione delle stragi del 1992-93.
Biondi, Alfredo Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia,
per Forza Italia. Avvocato, ex deputato liberale, ex ministro della Giustizia
nel primo governo Berlusconi (quando tentò, invano, di far passare il famoso
"decreto salvaladri"). Nel 1998 ha patteggiato la pena di 2 mesi di arresto e 6
milioni di multa per frode fiscale: aveva evaso le tasse su parcelle
professionali per quasi 1 miliardo.
Deputato
della Lega nord, eletto a Milano. Ministro per le riforme. Ha precedenti penali
per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, ai quali somma il vilipendio
alla bandiera. Ha detto in pubblici comizi che lui con il tricolore «si pulisce
il c...». Dalla procura di Verona è stato indagato per attentato all'integritý
dello Stato, per presunte attivitý eversive delle ´camicie verdiª. Per uscire da
questa situazione, il ministro della Giustizia Castelli e altri esponenti della
maggioranza hanno presentato proposte di leggi su misura per depenalizzare i
reati commessi da Bossi e amici. Ma il leader indiscusso del Carroccio è stato
condannato, con sentenza definitiva confermata dalla Cassazione, anche per
tangenti: 8 mesi al processo per la maxitangente Enimont, per un contributo di
200 milioni regalati da Carlo Sama e incassati dal cassiere Patelli.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Veneto. è stato il regista del nuovo accordo tra
Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, che ha portato la Casa delle libertà alla
vittoria elettorale del 2001. Era prete paolino e manager pubblicitario di
Famiglia cristiana. Don Aldo, giovane e brillante, era il braccio destro del
mitico don Emilio Mammana, che aprì il primo ufficio
pubblicità di Famiglia cristiana a Milano, facendo uscire il settimanale
dall'ambiente provinciale di Alba e dalle sacrestie. Grazie a don Mammana,
Famiglia cristiana divenne uno dei settimanali italiani più venduti e più
ricchi di pubblicità. Accanto a don Mammana c'era sempre lui, don Aldo, pretino
giovane e spregiudicato, guardato con un po' d'apprensione dalle segretarie, per
via dei suoi modi, non proprio da prete fedele al voto di castità. I soldi che
faceva girare erano tanti e il ragazzo era svelto. Forse troppo. Tanto che don
Zega, allora direttore di Famiglia cristiana, arrivò ai ferri corti con
don Aldo. Sarà per questo, o per una donna che era entrata stabilmente nella sua
vita, ma comunque Brancher lasciò i paolini, cambiò vita, abbandonò il
sacerdozio. Ma non la pubblicità: divenne collaboratore di Fedele Confalonieri e
manager di Publitalia, la concessionaria di pubblicità della Fininvest. "Don
Aldo sta facendo carriera", dicevano di lui i suoi vecchi colleghi di
Famiglia cristiana. La carriera sembrò interrompersi nel 1993, quando fu
arrestato da Antonio Di Pietro per tangenti (300
milioni al ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, per la pubblicità contro l'Aids assegnata dal
ministero alle reti Fininvest). è subito ribattezzato "il Greganti della
Fininvest" perché in cella non aprì bocca, non raccontò i segreti delle tangenti
Fininvest. Condannato (in appello) a 2 anni e 8 mesi per falso in bilancio e
violazione della legge sul finanaziamento ai partiti. Per la sua fedeltà
aziendale fu premiato: divenne responsabile di Forza Italia nel Nord e poi, nel
2001, candidato alla Camera in Veneto, eletto senza problemi e subito nominato
da Berlusconi sottosegretario alle Riforme e alla devoluzione. Lavora accanto al
neo-ministro Umberto Bossi, che ha convinto ad
abbandonare i toni anti-Berlusconi per allearsi nel 2001 con Forza Italia.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Sicilia, nella quota proporzionale, sotto il simbolo
di An. è indagato per il business della formazione professionale: gli inquirenti
sospettano che durante il suo incarico di assessore regionale al Lavoro abbia
favorito enti di formazione della sua provincia.
Deputato della Repubblica. Esponente del Ccd, salernitano, eletto in
Campania. Fu arrestato nel 1993, quando era sindaco socialista di Vibonati
(Salerno), per irregolaritý nel finanziamento di progetti per l'occupazione.
Prosciolto per questa vicenda, viene rinviato a giudizio per abuso d'ufficio, a
scopo patrimoniale, nella gestione degli appalti per il prolungamento di una
tangenziale.
Calderoli, Roberto
Deputato della
Repubblica. Esponente della Lega nord, di cui è segretario. Come Bossi, è stato
condannato nel 1998, in primo grado, a 8 mesi per resistenza e oltraggio a
pubblico ufficiale, per aver partecipato ai disordini davanti alla sede della
Lega in via Bellerio; è indagato per scontri con la polizia a Brescia; e per
attentato all'integritý dello Stato nell'inchiesta di Verona sulle ´camicie
verdiª.
Senatore
della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà in Lombardia. Banchiere,
socialista, fu presidente della Bnl. è stato inquisito e arrestato per
corruzione, bancarotta fraudolenta e altri reati. Se l'è cavata con alcuni
patteggiamenti e un risarcimento di 800 milioni di lire.
Deputato
della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nella lista della Margherita in
Campania. Dopo essere stato portavoce della Dc durante la segreteria di Arnaldo
Forlani, oggi è coordinatore della Margherita. Pregiudicato: condannato a 1 anno
e 4 mesi per falsa testimonianza: per coprire l'emersione della maxitangente
Enimont. Per quel reato fu arrestato durante Mani pulite e la sua fotografia in
manette divenne un'immagine-simbolo di Tangentopoli.
Deputato
della Repubblica. Eletto per Forza Italia nel collegio di Corsico (Milano). Il
suo nome compare nelle liste della loggia massonica P2: fascicolo 945, numero di
tessera 2232, data di iniziazione 12 dicembre 1980. All'epoca della scoperta
degli elenchi Cicchitto era deputato e membro della direzione del Psi. è uno dei
pochi ad aver ammesso di aver sottoscritto la domanda di adesione.
Deputato
della Repubblica. Eletto a Milano. è stato condannato a un anno di reclusione
per voto di scambio nel dicembre 1994. Poi è arrivata la condanna in appello, il
rinvio in Cassazione e l’assoluzione nel nuovo appello. Ora l’ex deputato
socialista Francesco Colucci, riconvertito a Forza Italia, è tornato in pista
con la Casa delle libertà, che lo ha fatto eleggere in un collegio sicuro:
quello milanese di Baggio, dove, ironia della sorte, si è scontrato con un
apripista di Mani pulite: Pierluigi Mantini, candidato dell’Ulivo, l’avvocato
che per primo denunciò un certo Mario Chiesa, non ancora mariuolo. Nel marzo
1992 a Colucci fu sequestrato un archivio informatico con migliaia di nomi
accanto ai quali erano segnati i favori concessi: dalle assunzioni nel settore
pubblico ai ricoveri in ospedale. Al processo, l’avvocato Domenico Contestabile
(oggi senatore di Forza Italia) lo difese affermando che la raccomandazione non
è reato. Alla fine Colucci fu assolto. Il giudice non ritenne sufficientemente
provato il collegamento tra i favori concessi e i voti ottenuti. Ora si
ricomincia.
Senatore
della Repubblica. Eletto nel collegio di Lodi per la Casa delle libertà.
Compagno di scuola e poi manager e prestanome di Berlusconi, era in contatto con
Gaspare Gambino, imprenditore siciliano vicino a Pippo Calò, il cosiddetto cassiere romano di Cosa nostra.
Attraverso Comincioli, la Fininvest realizzò affari con il faccendiere sardo
Flavio Carboni. Cambiali con girata di Comincioli
passarono a uomini della Banda della Magliana per poi finire nelle mani di Pippo
Calò. Per i suoi rapporti con Cosa nostra e banda della Magliana è stato
imputato a Roma (e poi assolto). Accusato per bancarotta fraudolenta, è stato
latitante per alcune settimane. Poi imputato nel processo per le false fatture
di Publitalia.
Craxi, Vittorio (detto Bobo) |
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Deputato della Repubblica. In preparazione.
Deputato
della Repubblica, Udeur. Fu arrestato nel 1999, quando era sottosegretario al
Tesoro (governo di centrosinistra). » sotto inchiesta per le tangenti
all'ospedale Garibaldi di Catania. Malgrado l'arresto e l'indagine in corso, Ë
stato ugualmente candidato dall'Udeur e poi eletto deputato. Ora Ë in attesa di
processo.
Deputato
della Repubblica. Ex presidente del Consiglio, ex segretario e oggi presidente
dei Ds. Fu indagato a Bari per un finanziamento
illecito ricevuto da Francesco Cavallari, il re delle cliniche pugliesi,
legato alla malavita barese, che gli versò almeno una ventina di milioni.
D'Alema si salvò grazie alla prescrizione.
Senatore
della Repubblica. Eletto a Trapani. Di Forza Italia. Sottosegretario all'Interno
nel secondo governo Berlusconi. Già vicepresidente della commissione Finanze,
per un breve periodo è stato il responsabile economico di Forza Italia. La
famiglia D’Alì Stati è una delle più potenti, facoltose e riverite del
Trapanese. Le immense tenute agricole, le saline tra Trapani e Marsala, le molte
proprietà e (fino al 1991) la quota di controllo della Banca Sicula costituivano
l’impero governato con autorità da Antonio D’Alì
senior, classe 1919, che fu direttamente amministratore delegato della
banca di famiglia fino al 1983, anno in cui fu coinvolto nello scandalo P2 (il
suo nome era nelle liste di Gelli) e preferì passare
la mano al nipote Antonio junior, che poi nel 1994 aderì a Forza Italia e fu
premiato con un bel seggio al Senato. La Banca Sicula era uno dei più importanti
istituti di credito siciliani per numero di sportelli e per mezzi amministrati.
All’inizio degli anni Novanta la banca trapanese, già corteggiata anche
dall’Ambroveneto di Giovanni Bazoli, fu acquistata e incorporata dalla Banca
Commerciale Italiana, alla ricerca di un partner per superare la sua storica
debolezza in Sicilia. In seguito all’operazione, Giacomo
D’Alì, professore associato di Fisica, figlio di Antonio senior e cugino
di Antonio junior il senatore, è entrato a far parte del consiglio
d’amministrazione della Banca Commerciale. La Banca Sicula, prima di rigenerarsi
dietro le rispettabilissime insegne della Commerciale, era stata oggetto di un
allarmato rapporto di un commissario di polizia, Calogero
Germanà, che poi, trasferito a Mazara, aveva subito un attentato da parte
di Leoluca Bagarella in persona e oggi è dirigente
della Dia (la superpolizia antimafia) a Roma. Il rapporto ipotizzava che
l’istituto di credito fosse uno strumento di riciclaggio di Cosa nostra. E
sottolineava il fatto che come presidente del collegio dei sindaci della banca
fosse stato chiamato Giuseppe Provenzano (il futuro
deputato di Forza Italia e presidente della Regione Sicilia), già commercialista
della famiglia Provenzano (l’altra, quella dell’attuale numero uno di Cosa
nostra). Il rapporto non ebbe però alcun seguito. Prima dell’incorporazione, la
Banca Sicula aveva realizzato un aumento di capitale di 30 miliardi. Niki Vendola, allora vicepresidente della Commissione
parlamentare antimafia, nel 1998, in un rapporto inviato alla Vigilanza della
Banca d'Italia, chiese: da dove erano arrivati quei soldi? Chi aveva finanziato
la ricapitalizzazione? La risposta della famiglia D'Alì: tutto regolare;
l’aumento di capitale della Banca Sicula è stato finanziato da Efibanca, “contro
pegno di un rilevante pacchetto azionarioè, senza ingresso di nuovi soci; il
finanziamento è stato poi “integralmente estinto con il ricavato della
successiva vendita delle azioni alla Comit, che provvide a versare direttamente
all’Efibanca le somme di competenzaè. La famiglia D’Alì ha avuto come
campieri alcuni membri delle famiglie mafiose dei Messina Denaro. Francesco Messina Denaro, il vecchio capomafia di Trapani,
fu per una vita fattore dei D’Alì, prima di passare la mano – come boss e come
“fattoreè – al figlio Matteo Messina Denaro, classe
1962, che dopo essere stato uno degli alleati più fedeli di Totò Riina ai tempi dell’attacco stragista allo Stato è
oggi considerato il boss emergente di Cosa nostra, forse il nuovo capo della
mafia siciliana, all’ombra del vecchio Bernardo
Provenzano. A riprova dei rapporti tra la famiglia D’Alì e il boss,
l'allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia Nichi Vendola
nel 1998 esibì i documenti che provano il pagamento a Matteo Messina Denaro,
ufficialmente agricoltore, di 4 milioni ricevuti nel 1991 dall’Inps come
indennità di disoccupazione. A pagargli i contributi era Pietro D’Alì,
fratello di Antonio il senatore e di un Giacomo D’Alì che, negli anni Settanta,
era stato attivista di un gruppo neofascista siciliano. Anche il fratello di
Matteo Messina Denaro, Salvatore, ha lavorato per i
D’Alì: è stato funzionario della Banca Sicula e poi, nel 1991, è passato alla
Commerciale. Peccato che nel 1998 sia stato arrestato per mafia. C’è
un’altra vicenda in cui le strade dei D’Alì si incrociano con quelle dei boss di
Cosa nostra. Francesco Geraci, notissimo gioielliere
di Castelvetrano, gran fornitore di preziosi alla famiglia di Totò Riina, dopo
essere stato arrestato con l’accusa di essere uno dei prestanome di Riina, ha
raccontato: “Nel 1992 Matteo Messina Denaro mi ha chiesto di acquistare dai
D’Alì un terreno per 300 milioni da regalare a Riinaè. Si tratta della tenuta di
Contrada Zangara, a Castelvetrano. I firmatari del contratto sono Francesco
Geraci il gioielliere e Antonio D’Alì il futuro senatore. “Io sono intervenuto
solo al momento della firmaè, racconta Geraci. “Dopo la stipula andai spesso
alla Banca Sicula e mi feci restituire i 300 milioniè. Quel terreno, poi, nel
1997 è stato confiscato in quanto considerato parte dei beni di Riina. I
D’Alì hanno sempre ribattuto su tutto. Francesco Messina Denaro, dicono, fu
assunto dal nonno di Antonio junior, l’ingegner Giacomo D’Alì, classe 1888,
quando “si era ben lontani dall’evidenziarsi di fenomeni che rivelassero la
instaurazione di un’economia criminaleè. Matteo Messina Denaro era “alle
dipendenze come salariato agricoloè, “fino a quando non si scoprì chi fosseè. Il
passaggio della tenuta di Zangara dai D’Alì a Riina è “una vicenda svoltasi
all’insaputa del venditoreè. Gli impegni di senatore a Roma non lo distolgono
dall’attività a Trapani: con Francesco Canino (Cdu) e
Massimo Grillo (Ccd) costituisce il triumvirato
informale che decide la politica della città. Anzi, ne è l’uomo emergente,
mentre gli altri due hanno dovuto negli ultimi anni accusare dei colpi. È questo
triumvirato che nel maggio 1998 raggiunge l’accordo per candidare a sindaco di
Trapani Nino Laudicina. Pochi giorni dopo l’elezione,
Canino (uno dei politici più bersagliati dalle critiche di
Mauro Rostagno) viene arrestato per concorso nell’associazione mafiosa
che avrebbe monopolizzato gli affari e spartito gli appalti del Comune di
Trapani. Poi, nell’ottobre 2000, tocca all’assessore Vito
Conticello, arrestato mentre intasca una tangente. Era entrato in giunta
solo otto mesi prima, spinto da D’Alì, che subito dopo l’arresto lo difende:
“Conosco la capacità lavorativa dell’assessore Conticello e la sua correttezza;
mi auguro, pertanto, che il risultato dell’azione investigativa al più presto
riveli una diversa valutazione dei fattiè. Salvatore
Cusenza, della segreteria regionale dei Democratici di sinistra, insieme
ai politici dell’opposizione denuncia il partito degli affari e chiede
chiarezza. D’Alì ribatte: “Colgono ogni occasione per criminalizzare gli
avversari, con tentativi di sciacallaggio politico di stampo bolscevicoè. Il 24
aprile di quest’anno è il turno del sindaco Laudicina, arrestato per corruzione
con altre sette persone. Perfino il vescovo di Trapani grida: “È arrivata l’ora
di reagire. No allo strapotere, è ora di svegliarci!è. D’Alì dichiara: “Nessuno
può arrogarsi il diritto di giudizi sommari, né di strumentalizzazioniè. Da
oggi comunque Antonio D'Alì, un tempo oggetto di indagini di polizia, alla
polizia darà ordini.
Senatore
della Repubblica, Casa delle libertà. È il patron di imprese come Baricentro e
Barialto, oltre che il capofila della società che gestisce l'interporto di Bari.
È stato condannato a 1 anno e 4 mesi per voto di scambio: secondo i giudici
avrebbe pagato per ottenere una contropartita di circa 2 mila voti di
preferenza. Il partner dello scambio, però, sarebbe stato il pericoloso clan
mafioso locale dei Capriati. Nel 2002, nuova indagine: il suo gruppo avrebbe
ottenuto illecitamente prestiti dalla Banca Meridiana, nonostante 115 miliardi
di esposizione debitoria.
Senatore
della Repubblica. Eletto nel 2001 nel collegio più chic di Milano. La
legislatura precedente era deputato. Tra i collaboratori pi˜ vicini a Berlusconi
fin dagli anni Settanta, Ë considerato l'´inventoreª, nel 1993, di Forza Italia.
Accusato di bancarotta fraudolenta per il crac
Bresciano (un'azienda del discusso finanziere siciliano Filippo Alberto
Rapisarda). Arrestato nel 1995 dai magistrati di Torino per le false fatture di Publitalia (la societý che raccoglie
pubblicitý per le tv di Berlusconi). Indagato per i fondi
neri di Publitalia anche a Milano (nel 1994 aveva evitato l'arresto solo
grazie alla soffiata del Tg5 di Enrico Mentana, che dando la notizia aveva fatto
cadere le esigenze di custodia cautelare). A Milano Ë imputato pure di estorsione aggravata (per aver mandato il boss di Cosa
nostra Vincenzo Virga a fare il "recupero crediti" nei confronti di Vincenzo
Garraffa, titolare di una squadra di pallacanestro sponsorizzata da Publitalia).
A Palermo Ë accusato di concorso esterno nell'associazione
mafiosa Cosa nostra e di calunnia aggravata
nei confronti di alcuni collaboratori di giustizia (Dell'Utri aveva assoldato
due falsi pentiti perchÈ raccontassero di essere stati convinti in carcere ad
accusare Dell'Utri di mafia). A Madrid, in Spagna, Ë accusato di gravi
irregolarità nella gestione di Telecinco.
Complessa la sua vicenda processuale, costellata di leggi su misura. A
Torino, nel 1998, Ë condannato in appello a 3 anni e 2 mesi per false fatture e
frode fiscale continuata della società Publitalia. Ma prima che la sentenza
diventasse definitiva, il Parlamento (a maggioranza Ulivo) approvÚ in tutta
fretta una legge che permetteva il patteggiamento anche in Cassazione: Dell'Utri
la usÚ, rimediando uno sconto che ridusse la pena a 2 anni e 6 mesi, sotto la
soglia dei 3 anni oltre i quali si deve entrare in carcere. Restava aperto il
problema delle pene accessorie: 5 anni d'interdizione dai pubblici uffici.
Perso, in forza di quella pena, il seggio in Parlamento, Dell'Utri sarebbe
finito in cella, perchÈ nel frattempo i giudici di Palermo avevano chiesto il
suo arresto per la vicenda dei falsi pentiti. Dell'Utri chiede allora che gli
sia applicato l'indulto del 1989 (anche se gran parte dei reati contestati sono
successivi). La Corte d'appello di Torino respinge la richiesta, ma poi la
Cassazione l'accoglie: cosÏ niente pene accessorie, niente arresto. La pena
definitiva scende ancora, in sede d'esecuzione, a 1 anno e 8 mesi (sotto la
soglia dei 2 anni, quindi senza neppure l'obbligo dell'affidamento ai servizi
sociali), perchÈ il governo Amato (centrosinistra) depenalizza alcuni reati
fiscali e finanziari. Da Milano, intanto, arrivano altre piccole pene per false
fatture e falso in bilancio, considerate ´in continuazioneª con la condanna di
Torino. La pena complessiva, dunque, risale oltre i 2 anni. Ci pensa la nuova
legge sul falso in bilancio (2001, governo Berlusconi), che risolve il problema.
A Palermo i due processi d'argomento mafioso (quello per concorso esterno
squaderna una imponente mole di prove della vicinanza tra Dell'Utri e Cosa
nostra) arrivano alle fase finali, quando una apposita legge (quella cosiddetta
´d'attuazioneª dell'articolo 68 della Costituzione, che con il contributo del
verde Marco Boato dilata a dismisura i privilegi e le immunitý dei parlamentari)
si rendono inutilizzabili, nei confronti di deputati e senatori, i tabulati
telefonici. Proprio i tabulati erano la prova dei contatti tra Dell'Utri e i
falsi pentiti assoldati per azzerare le accuse di mafia. L'accusa si oppone a
gettare alle ortiche quelle prove, perchÈ raccolte comunque prima del
provvidenziale arrivo della legge. Deciderý il tribunale. Tutto questo non
ha impedito a Silvio Berlusconi di candidarlo al Senato, nel collegio più
centrale di Milano. Marcello lo aveva confessato in tv: "Mi candido per
legittima difesa". Tra un processo e l'altro, teggia a uomo di cultura: il 20
giugno 2003, per esempio, ha inaugurato la Biblioteca del palazzo del Senato,
alla presenza del presidente del Senato Marcello Pera e del capo dello Stato
Carlo Azeglio Ciampi.
Senatore
della Repubblica. Eletto nel collegio di Milano-Niguarda-Sesto per la Casa delle
libertà. è tra i repubblicani che con Giorgio La Malfa sono passati con
Berlusconi. In passato è stato vicesegretario nazionale del Pri e più volte
parlamentare. Una testimone racconta che a fine anni Settanta Del Pennino era
tra i frequentatori delle bische clandestine gestite a Milano da Angelo
Epaminonda. Lì era chiamato "Del Pennazzo". Il 13 maggio 1992, agli albori di
Mani pulite, quando era deputato del Pri e capogruppo repubblicano alla Camera,
è stato raggiunto da un'informazione di garanzia. L' ipotesi di reato:
ricettazione, per aver ricevuto denaro provento di tangenti. Nel 1993 la Camera
ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere per violazione delle
norme sul finanziamento pubblico dei partiti: i magistrati di Milano l'avevano
richiesta per contributi in denaro che Del Pennino avrebbe ricevuto da fondi
neri costituiti presso l' Associazione industriale lombarda (Assolombarda). A
luglio 1994 Ha patteggiato una pena di 2 mesi e 20 giorni (convertita nella
sanzione di 4 milioni) nel processo per le tangenti Enimont. A ottobre 1994
altro patteggiamento: di una pena di 1 anno, 8 mesi e 20 giorni per tangenti
relative alla Metropolitana milanese. Il 25 gennaio 2000 la settima sezione
penale del tribunale di Milano lo ha prosciolto nel processo per le tangenti
Atm, per le forniture di autobus all azienda dei trasporti milanese (in
precedenza, lo stesso tribunale aveva respinto una sua richiesta di
patteggiamento, perché la pena concordata con il pubblico ministero non era
stata ritenuta congrua rispetto alla gravità dei fatti contestati). Alla fine
del 2000 Antonio Del Pennino è rientrato nel Pri, giusto in tempo per
partecipare al "ribaltino" che ha portato il glorioso partito ad allearsi con
Berlusconi.
Senatore
della Repubblica. Eletto in Abruzzo, con il recupero proporzionale, nella lista
del Girasole. Del Turco fa parte del partito socialista di
Enrico Boselli, alleato con il centrosinistra. è stato dirigente
sindacale, vicesegretario generale della Cgil. Poi, dopo il crollo di Bettino Craxi accusato di tangenti, nel 1993 è stato
eletto segretario del Psi. è stato ministro nel secondo governo Amato. Il
costruttore Vincenzo Lodigiani, arrestato per
tangenti nel 1993, ha dichiarato di aver dato soldi anche a Del Turco, quando
era dirigente sindacale.
Senatore
della Repubblica, Casa delle libertà. Importante imprenditore bellunese del
settore degli occhiali, è stato processato per avere nei primi anni Novanta
utilizzato in maniera illecita finanziamenti dell'Unione Europea. Se l'è cavata
con una condanna patteggiata.
Drago, Giuseppe |
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saigon Tuesday March 09, 2004 at 04:39 PM |
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Senatore
della Repubblica, Casa delle libertà. Importante imprenditore bellunese del
settore degli occhiali, è stato processato per avere nei primi anni Novanta
utilizzato in maniera illecita finanziamenti dell'Unione Europea. Se l'è cavata
con una condanna patteggiata.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Modica. Notabile ed ex vicepresidente
nazionale del Ccd, 45 anni, ex presidente della Regione siciliana (tra il 1998 e
il 1999), nel 2003 è stato condannato a 3 anni e 3 mesi a Palermo per peculato e
abuso d'ufficio: aveva prelevato 230 milioni di lire dalle casse regionali. La
Corte dei conti gli ha poi imposto di restituire le somme, come ha fatto con il
suo predecessore, Giuseppe Provenzano, di Forza Italia, anch’egli inquisito per
gli stessi motivi.
Deputato
della Repubblica. Eletto in un collegio di Roma. Il suo nome compare negli
elenchi della loggia massonica segreta P2: fascicolo 646, numero di tessera
1878, data di iniziazione 10 ottobre 1978. Fiori, all'epoca deputato
democristiano, ha smentito di essere iscritto. Oggi è membro di An.
Senatore
della Repubblica, Forza Italia. Ex democristiano, andreottiano, è stato accusato
di tangenti per l'appalto dell'ospedale Garibaldi di Catania. Nel 1999 la
procura chiese anche di poterlo arrestare, ma il Senato negò l'autorizzazione a
procedere. Erano circolate trascrizioni di intercettazioni telefoniche che lo
accusavano pesantemente, ma ora non ve n'è più traccia: sparite. In una
videocassetta, invece, è ancora possibile vedere e sentire il mafioso Enrico
Incognito urlare: "Firrarello, anche tu mi hai abbandonato". Nel 2001, passato
dall'Udeur a Forza Italia, Ë stato rieletto. Per lui Ë stato chiesto il rinvio a
giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, turbativa d'asta e
corruzione.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Giarre. è nato a Desio, in
Lombardia, ma fa l'imprenditore in Sicilia, nel settore della telefonia, ben
introdotto nei subappalti della telefonia di Stato (quando c'era). Nel 1994
"scese in campo" sotto le bandiere di Forza Italia, fu eletto alla Camera nel
collegio di Giarre e divenne sottosegretario al Bilancio nel governo Berlusconi.
Gli investigatori della Dia (la Direzione investigativa antimafia) lo misero
sotto osservazione perché Gioacchino La Barbera, uno dei mafiosi responsabili
della strage di Giovanni Falcone, nei giorni precedenti e seguenti la strage
aveva comunicato anche con cellulari intestati a un’azienda di Floresta.
Questioni di lavoro, spiegò La Barbera. Uscito pulito da questa storia
palermitana, Floresta entrò in una vicenda catanese: un collaboratore di
giustizia, Giuseppe Scavo, raccontò di aver visto Floresta negli uffici
dell’autoparco di Sebastiano Sciuto, uomo d’onore calabrese del clan Ercolano,
poi arrestato in seguito all’operazione Orsa Maggiore. Le affermazioni di Scavo
sono rimaste però senza conferme e riscontri, così la procura ha chiesto
l’archiviazione del caso
Senatore
della Repubblica, Ccd. Ex democristiano ed ex sindaco di Formia. Nel 1992 è
stato accusato di aver creato una società sportiva per ottenere finanziamenti
che, secondo i magistrati, in realtà sarebbero stati la contropartita di licenze
edilizie concesse illecitamente. Per questo è stato anche arrestato. Un
imprenditore lo ha poi accusato di aver chiesto 300 milioni, riparazioni
gratuite in casa sua e l'assunzione di alcune persone nell'azienda. Per questa
vicenda Forte è ancora in attesa di giudizio.
Senatore
della Repubblica. Eletto in Veneto, nel collegio di Verona città. Ex
parlamentare democristiano, oggi fa parte di Forza Italia. Il suo nome compare
negli elenchi della loggia massonica P2: fascicolo 533, numero di tessera 1705,
data di iniziazione 1 gennaio 1977. Frau ha ammesso di aver conosciuto Licio
Gelli, ma ha smentito la sua iscrizione alla P2.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Puglia. Un nome, una garanzia. Già, ma qual è il
nome? Nel collegio dove Silvio Berlusconi l’ha
candidato, in Puglia, è Carlo Frigerio, com'era scritto sui manifesti. A Milano,
dove da decenni fa politica, è Gianstefano. Eppure è sempre lui: come segretario
regionale della Dc in Lombardia (e cassiere occulto del partito) ha incassato
decine di tangenti, è stato arrestato tre volte tra il 1992 e il 1993, è stato
coinvolto in molti processi. è accusato di aver accettato mazzette per le
discariche lombarde, per il depuratore di Monza, per gli appalti alle Ferrovie
Nord. Alcune tangenti le ha ammesse, pur minimizzando il proprio ruolo. Ha
confessato, per esempio, di aver ricevuto 150 milioni da Paolo Berlusconi, in cambio dei permessi alla Fininvest per
gestire la discarica di Cerro Maggiore. Ha accumulato tre condanne
definitive: 1,4 anni per finanziamento illecito ai partiti, 1,7 per
finanziamenti illeciti e ricettazione, 3,9 per corruzione e concussione. Ciò
nonostante, dopo aver lasciato la Dc si è inventato una nuova vita come
consigliere personale di Silvio Berlusconi e influente membro di Forza Italia,
di cui dirige il centro studi. Mentre i giudici dell’esecuzione stavano
esaminando le sentenze definitive che pesano su di lui per decidere il cumulo
della pena da scontare, Gianstefano scompare e ricompare, in Puglia, Carlo: lì
si è conquistato un bel seggio in Parlamento. Il 31 maggio, primo giorno di
riunione della nuova Camera dei deputati, Frigerio, è stato arrestato. Dovrà
scontare una pena di 6 anni e cinque mesi. Affidato poi ai servizi sociali, ha
avuto il permesso dal giudice di sorveglianza di frequentare il Parlamento per
qualche giorno al mese: come pratica di riabilitazione (ma il giudice forse non
conosceva il tasso di devianza di quell'ambiente...).
Senatore
della Repubblica, Forza Italia. Secondo l'ex segretario del Psi Giacomo Mancini,
Gentile, durante la campagna elettorale del 1992 era scortato da "un nutrito
stuolo di personaggi molto noti alla giustizia". Secondo alcuni collaboratori di
giustizia gli era stato garantito dalla 'ndrangheta l'appoggio elettorale. Lo
hanno votato ed è così entrato a palazzo Madama.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Augusta. Giuseppe, detto
Pippo, è esponente del Cdu. Ha 53 anni, è medico di Solarino ed ex sindaco di
Priolo. Deputato regionale dal 1991 al 1996 per la Dc, è poi transitato
nell’Udeur di Clemente Mastella ed è stato anche componente della commissione
Sanità. Nel 1998 è stato arrestato e poi condannato a tre anni (tribunale di
Siracusa, primo grado) per una mazzetta di 25 milioni per l’appalto di lavori
nella pineta cittadina. Il leader del Cdu Rocco Buttiglione lo aveva definito
«un prezioso capitale per la sua città, per la regione e per l’intero partito».
Dopo la condanna lo ha nominato coordinatore regionale del Cdu siciliano.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Sicilia. Forzista doc. Nel 1998, quando era
vicecoordinatore per la Sicilia di Forza Italia, la procura di Palermo chiese il
suo arresto per complicità con la mafia. Silvio Berlusconi commentò: "Essendo
Giudice vicecoordinatore di Forza Italia in Sicilia e avendo avuto quindi
rapporti con l’onorevole Gianfranco Micciché, non si
può neppure immaginare alcun alone di dubbio intorno a lui, perché altrimenti
non avrebbe potuto avere quell’incarico". Secondo l’accusa, Giudice era al
diretto servizio della cosca mafiosa di Caccamo, i cui uomini si vantavano di
averlo fatto eleggere e gli telefonavano fin dentro il palazzo di Montecitorio
per ricordargli la sua dipendenza e per ordinargli che cosa doveva fare:
"Gasparino, guarda che siamo stati noialtri a metterti lì", gli ripetevano. Gli
elementi raccolti dall’accusa erano tali da far escludere alla giunta
parlamentare per le autorizzazioni a procedere che ci fosse fumus persecutionis
nei confronti del parlamentare. Perfino il "supergarantista"
Filippo Mancuso, in giunta, non aveva avuto nulla da eccepire contro la
richiesta dei magistrati. Eppure la Camera dei deputati il 16 luglio 1998 bocciò
(303 voti a 210, con 13 astenuti) la richiesta d’arresto. Non solo, i deputati
sottrassero al giudice elementi di prova: impedirono (287 voti a 239, con 3
astenuti) l’utilizzo processuale dei tabulati Telecom, quelli da cui erano
documentati i rapporti e la dipendenza di Giudice dagli uomini delle
cosche.
Senatore
della Repubblica. Eletto in Liguria, nel collegio di Chiavari. Ex democristiano,
nel 1994 sedeva in Parlamento tra i banchi del centrosinistra, ma saltò
(nomen omen) nel centrodestra, permettendo a Silvio Berlusconi di avere
la maggioranza per formare il suo primo governo (e avendo in premio una poltrona
di sottosegretario alla presidenza del Consiglio). Nel 2001 è stato rieletto per
Forza Italia. Appena messo piede in Senato, il primo giorno d'attività di
Palazzo Madama, ha ricevuto un invito a comparire spedito dalla procura di
Milano: per una vicenda che risale a quando Grillo era sottosegretario di un
governo di centrosinistra e permise l'affidamento di una consulenza miliardaria
per uno studio sull'Alta velocità ferroviaria in Liguria. L'ipotesi di reato su
cui la procura di Milano indaga è truffa aggravata. Nel 2003 si distingue in
Senato proponendo un emendamento alla legge Gasparri sulle tv che toglie le
telepromozioni dal mazzo dell'affollamento orario degli spot pubblicitari,
regalando cosÏ a Mediaset parecchi miliardi.
Senatore
della Repubblica. Giornalista, dopo essersi occupato negli anni Sessanta e
Settanta di golpe e servizi segreti, è passato a occuparsi soprattutto di
magistrati. Si è fatto notare insultando, quando era in vita, Giovanni Falcone, che poi ha glorificato da morto, per
contrapporlo ai magistrati vivi, di Milano e Palermo, sempre da criticare. Nel
1991 infatti, mentre era in discussione la nomina di Falcone a capo della
Procura nazionale antimafia e di Gianni De Gennaro a
capo della Dia, Jannuzzi scrive sul Giornale di Napoli un articolo
intitolato "Cosa nostra uno e due" in cui di Falcone e De Gennaro dice: «è una
coppia la cui strategia, passati i primi momenti di ubriacatura per il
pentitismo ed i maxi-processi, è approdata al più completo fallimento: sono
Falcone e De Gennaro i maggiori responsabili della dèbacle dello Stato di fronte
alla mafia... L'affare comincia a diventare pericoloso per noi tutti... dovremo
guardarci da due Cosa nostra, quella che ha la Cupola a Palermo e quella che sta
per insediarsi a Roma... Sarà prudente tenere a portata di mano il passaporto» (
29 ottobre 1991). Dal boss di Cosa nostra Pippo Calò
ha ricevuto 5 milioni per pubblicare un libro che poi non ha mai scritto. è
pluriquerelato per una serie infinita di diffamazioni nei confronti di
magistrati e uomini per bene. Ora cominciano ad arrivare le condanne definitive.
Però niente carcere, per il giornalista viveur, che prima scappa a
Parigi, poi ottiene una inedita immunità parlamentare assoluta, garantita dal
presidente del Senato Marcello Pera: «Il senatore
Jannuzzi gode dei privilegi e delle immunità discendenti dagli incarichi
ricoperti nelle istituzioni europee. Ne deriva che in tutti gli Stati membri del
Consiglio d'Europa e dell'Unione europea il senatore Jannuzzi gode di
un'immunità assoluta dalla giurisdizione».
Deputato
della Repubblica. Ex segretario del Pri ai tempi della "prima repubblica", ha
portato il suo partito ad aderire alla Casa delle libertà. Come tanti altri
segretari di partito degli anni di Tangentopoli, è stato condannato a 6 mesi per
aver percepito finanziamenti illeciti, provenienti dalla maxitangente
Enimont.
Deputato
della Repubblica. Eletto a Palermo (quota proporzionale). Oggi è un esponente di
An e parlamentare della Casa delle libertà. Tanti anni fa, il 24 ottobre 1969,
quando aveva 32 anni, fu fermato vicino a Palermo dai carabinieri insieme a
quattro camerati (tra cui Pierluigi Concutelli, capo militare
dell’organizzazione neofascista Ordine nuovo). Nella sua automobile fu trovata
una quantità considerevole di armi da guerra avvolte in carta da giornale.
Concutelli fu condannato a 2 anni, Lo Porto a 16 mesi. Lo Porto è stato poi
indagato (senza conseguenze penali) per rapporti con ambienti mafiosi.
Deputato
della Repubblica, Ds. Ex presidente della Regione Basilicata, Ë indagato a
Potenza per lo scandalo delle mazzette Inail, con l'accusa di associazione a
delinquere finalizzata alla corruzione. Nel 2002 la Camera ha respinto la
richiesta d'arresto.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Merate. Esponente di
Comunione e liberazione, vicino alla Compagnia delle opere. E' stato candidato
dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta giudiziaria sulla cascina San
Bernardo di Milano. Da assessore al Comune di Milano, insieme al collega Antonio
Verro, aveva fatto approvare una concessione per far diventare la cascina un
centro polivalente con finalità sociali. Poi, con un repentino cambio di marcia,
la cascina era stata trasformata in una struttura sanitaria privata da 20 posti,
naturalmente affidata agli amici della Compagnia delle
opere. Subito dopo l'elezione alla Camera, come prevedibile, è arrivata
la richiesta di rinvio a giudizio per truffa e falso. Poi
prosciolto.
Maccanico,
Antonio
Parlamentare della Repubblica. Eletto nelle file
dell'Ulivo, ha perÚ dato il suo nome al provvedimento che ha salvato Berlusconi
dai processi, il ´lodo Maccanicoª, appunto. CioË la legge che garantisce
l'impunitý alle cinque pi˜ alte cariche dello Stato, tra cui il presidente del
Consiglio (che era l'unico ad averne impellente bisogno). Prima del lodo
salva-Berlusconi, aveva dato il suo nome anche alla legge salva-Retequattro:
varata con l'Ulivo al governo, rimendava alle calende greche l'esecuzione di una
sentenza della Corte costituzionale che imponeva alla rete berlusconiana di
andare sul satellite o chiudere. Nel 2003 Maccanico, non contento delle due
prodezze precedenti, recidivo, avanza una nuova proposta (bipartisan, ovvero
cerchiobottista, ovvero un nuovo regalo a Berlusconi) in materia televisiva: una
sorta di disarmo bilanciato Rai-Mediaset. Il nome di Maccanico, oltre che
accanto alle leggi salva-Silvio, compare anche nelle intercettazioni telefoniche
realizzate dal Servizio centrale operativo della polizia nel 1995-96 durante le
indagini di Ilda Boccassini e Gherardo Colombo sulle ´toghe sporcheª. Maccanico,
infatti, era in contatto telefonico con il giudice Renato Squillante, poi
arrestato, processato e condannato per corruzione giudiziaria. In quel periodo
(i primi mesi del 1996), Maccanico era impegnato a varare un ´governissimoª che
mettesse insieme (Ë un suo pensiero fisso) destra e sinistra, con Lorenzo Necci
superministro. L'operazione non andÚ in porto, si andÚ alle elezioni e vinse
l'Ulivo di Romano Prodi. Necci, qualche mese dopo, invece di andare al governo
finÏ in galera, per un giro di tangenti (si scoprÏ, tra l'altro, che riceveva 20
milioni al mese dal faccendiere Pierfrancesco Pacini Battaglia). Interrogato dai
magistrati di La Spezia, Necci ci tenne a far sapere che, dopo il suo arresto,
non era stato abbandonato, ma aveva anzi goduto di ´una maggiore attenzione dal
mondo politicoª. Mentre si trovava agli arresti domiciliari, aveva ricevuto
lettere e telefonate, spiega, ´sintomo di un certo timore rispetto a quello che
io potrei rivelare all'autoritý giudiziariaª... Chi sono i politici che si fanno
vivi con l'arrestato che potrebbe parlare (ma non parlerý)? Necci li elenca:
Gianni Letta che lo invita a cena con Berlusconi, la signora Donatella Dini,
Massimo D'Alema e, appunto, Antonio Maccanico. ´Mi ha inviato una lettera di
stimaª, detta a verbale Lorenzo Necci.
Maceratini, Giulio
Parlamentare della Repubblica. Come
militante delle organizzazioni neofasciste italiane, negli anni Sessanta e
Settanta ha avuto un ruolo importante nella strategia della tensione. Dirigente
dapprima, a partire dal 1960, di un gruppo neonazista e antisemita chiamato
Gioventù mediterranea, in stretta relazione con il gruppo Avanguardia nazionale
giovanile di Delle Chiaie, Maceratini è poi diventato dirigente di Ordine nuovo,
l'organizzazione di Pino Rauti. Quando le due organizzazioni eversive di Delle
Chiaie e Rauti si riuniscono nel Fronte nazionale, in vista del golpe di Junio
Valerio Borghese del 1970, Giulio Maceratini è nominato da Borghese dirigente
giovanile del Fronte. Due anni prima, nel 1968, era tra i giovani che
parteciparono a un famoso viaggio "di studio" nella Grecia dei colonnelli.
Maceratini fu poi, secondo una testimonianza al processo di piazza Fontana, uno
dei responsabili dei campi paramilitari neofascisti in Italia. Intervistato da
Paolo Biondani sul Corriere della sera nel dicembre 2002, il neofascista Martino
Siciliano ha dichiarato: «Ho sentito con le mie orecchie Rauti e Maceratini
spiegare che dovevamo passare all’eliminazione fisica degli avversari
politici».
Deputato
della Repubblica. Eletto nel collegio di Varese. Leghista, ex ministro
dell'Interno nel primo governo Berlusconi. è coinvolto in tre inchieste
giudiziarie. Per gli scontri con la polizia, inviata a perquisire la sede della
Lega a Milano, è stato condannato in primo grado a 8 mesi per oltraggio e
resistenza a pubblico ufficiale. Come capo delle "camicie verdi", è indagato
dalla procura di Verona per reati come attentato contro l'integrità dello Stato.
Infine, la procura di Roma lo vuole processare per favoreggiamento di una
presunta compravendita di voti. Candidato al ministero della Giustizia nel
governo Berlusconi, ha dovuto farsi da parte, tra le polemiche. Ma è comunque
diventato ministro al Welfare.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Sicilia, al proporzionale, nelle liste di Forza
Italia. Il suo nome compare nelle liste della loggia massonica P2, scoperte nel
1981: aveva presentato la domanda d'iscrizione, poi non perfezionata. Martino ha
sempre negato, ma nei documenti P2 c'è una domanda d'iscrizione da lui stesso
firmata, con data 6 luglio 1980, e la testimonianza del "fratello" presentatore,
il collaboratore di Licio Gelli Giuseppe Donato. è ministro alla Difesa.
Deputato
della Repubblica, Forza Italia Secondo le indagini dell'ufficiale dei
carabinieri Giuseppe De Donno, che per mesi ha lavorato sotto copertura tra le
imprese candidate ad aggiudicarsi gli appalti dei treni ad alta velocità in
Campania, era uno dei collettori delle tangenti da destinare ai politici.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Ragusa. Esponente di Forza Italia. Quando
era presidente della Provincia di Ragusa, nell’agosto 1998, fu arrestato con
alcuni suoi collaboratori con l’accusa di corruzione: avrebbe ricevuto denaro da
sei professionisti che volevano ottenere incarichi per lo studio e lo sviluppo
di progetti ambientali (come la bonifica delle discariche e il piano
territoriale provinciale) finanziati dall’Unione europea. Al momento
dell’arresto, il coordinatore regionale di Forza Italia Gianfranco MiccichË
denunciò l’inizio di "una campagna d’agosto" contro il suo partito e lo
definì"uno dei più stimati amministratori siciliani". Il capo d’imputazione era
pesante: "associazione per delinquere finalizzata ad atti di corruzione". In
attesa che si concludesse il processo a suo carico, è entrato in Parlamento.
Subito dopo, nel giugno 2001, è stato condannato in primo grado a 1 anno e 2
mesi.
Viceministro
dell'Economia, uomo forte di Forza Italia in Sicilia. Pi˜ volte Ë stato sfiorato
da sospetti di rapporti con uomini di Cosa nostra. Il boss Mario Fecarotta,
arrestato perchÈ prestanome di Riina, lo ha chiamato al telefono 38 volte in due
mesi, chiamandolo Gianfrancuccio e chiedendogli aiuto per un appalto. MiccichË Ë
stato anche coinvolto in una brutta storia che ha a che fare con la cocaina: uno
spacciatore siciliano, poi arrestato, lo andava a trovare fin dentro il
ministero.
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, per Forza Italia, dopo che per
volere di Silvio Berlusconi era stato candidato nel collegio di Cefalù.
Avvocato, per molti anni è stato presidente della Camera penale (l'organismo che
riunisce gli avvocati) di Palermo, dopo aver retto la Camera penale di Termini
Imerese. Tra i suoi assistiti vi sono boss di rango di Cosa nostra, come i
membri della famiglia Madonia e Nino Giuffré; e anche il collega avvocato
Francesco Musotto, processato (e poi assolto) con l'accusa di aver ospitato
nella sua villa il capomafia Leoluca Bagarella. Anche Mormino, insieme ad altri
due penalisti, è finito sotto inchiesta per contatti con gli ambienti mafiosi,
sulla scorta delle dichiarazioni di cinque collaboratori di giustizia. Ma nel
maggio 1996 la procura di Palermo ha chiuso l'indagine contro di lui, non avendo
trovato elementi sufficienti a dimostrare che i contatti non fossero di natura
esclusivamente professionale. Dopo la lettera di avvertimento inviata
nell’estate 2002 dai boss agli avvocati-parlamentari “colpevoli” di non
mantenere le promesse alla mafia, e dopo una nota del Sisde sul tema, a Mormino
è stata assegnata dalla polizia una tutela, che ha però rifiutato. Il suo ex
assistito Giuffrè, dopo il suo "pentimento", lo cita tra i politici in contatto
con Cosa nostra. Per questo la procura palermitana nel 2003 ha riaperto le
indagini: per concorso in associazione mafiosa. Secondo GiuffrË la sua
candidatura sarebbe stata appoggiata da Bernardo Provenzano in cambio di un
alleggerimento della pressione giudiziaria sugli uomini di Cosa nostra.
Deputato
della Repubblica, Alleanza nazionale. Ex presidente del consiglio comunale di
Afragola, eletto parlamentare in Campania. è stato rinviato a giudizio per le
pressioni che, insieme ad altri, avrebbe esercitato nei confronti di una società
che gestisce un centro commerciale: la loro richiesta sarebbe stata quella di
circa 250 assunzioni, in cambio dei permessi necessari alla società per le sue
attività. Esemplare la sua difesa: "Normale attività politica, tesa a creare posti di lavoro". Nel
1999 fu comunque costretto a dimettersi da presidente del consiglio comunale di
Afragola. In tempo per essere portato dal suo schieramento a Roma, in
Parlamento.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Termini Imerese, per la Casa delle
libertà. Ha 59 anni e una lunga esperienza all’Assemblea regionale siciliana. Ex
democristiano, lascia alle spalle una contrastata esperienza di assessore
regionale alle Finanze, nella quale tentò di coprire parte del buco di bilancio
con una tassa sul metano Snam che attraversa il territorio siciliano. Fu
coinvolto nel processo per le assunzioni pilotate alla Forestale di Palermo,
assieme ad altri 35 imputati. Fu anche inquisito e arrestato per voto di
scambio. Assolto dal tribunale di termini Imerese, gli è stato riconosciuto un
risarcimento di 250 milioni per ingiusta detenzione.
Deputato
della Repubblica. Avvocato siciliano, esponente di Forza Italia. Nino Giuffrè,
l’ultimo dei “pentiti”, lo cita tra i politici in contatto con Cosa nostra. Dopo
un’intervista di Giuseppe Lumia critica nei confronti del deputato forzista Nino
Mormino, Nitto Palma dichiara: «All’inabissamento della mafia sarebbe utile
succedesse anche l’inabissamento di una certa parte dell’antimafia». Sua è la
proposta di tornare all’immunità parlamentare, abrogata nel 1993
Deputato
della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Ex
democristiano, è stato per anni deputato dc e sottosegretario al Tesoro e alla
Difesa nei governi del pentapartito. Nel secondo governo Berlusconi è finalmente
ministro: di un nuovo dicastero che si chiama "Attuazione del programma di
governo": una sorta di musiliana "Azione Parallela". Nell'estate 1981,
Pisanu, sardo e amico di Armando Corona (che poi
diventerà Gran Maestro della massoneria) conosce in Sardegna il banchiere Roberto Calvi (tessera P2 numero 1624). L'uomo che fa
incontrare Calvi e Pisanu è Flavio Carboni,
faccendiere sardo che era in contatto con un imprenditore milanese che voleva
fare affari in Sardegna: Silvio Berlusconi (tessera
P2 numero 1816). Pisanu è il padrino politico di Carboni, che presenta come un
«interlocutore valido per le forze politiche richiamantesi alla stessa
aspirazione, cioè quella cattolica». Dichiara Pisanu al magistrato titolare
dell'indagine su Calvi e il suo Banco Ambrosiano: «Il Carboni si diceva
congiuntamente interessato alle televisioni private in Sardegna: ciò in
un'ottica di inserimento nella regione del circuito televisivo Canale 5, facente
capo al signor Silvio Berlusconi di Milano. Il Carboni mi spiegò che il
Berlusconi aveva interesse a espandere Canale 5 alla Sardegna, talché lo stesso
Carboni si stava interessando per rilevare a tal fine la più importante rete
televisiva sarda, Videolina. Sempre riferendosi all'oggetto delle sue attività,
il Carboni mi disse di essere in affari con il signor Berlusconi non solo con
riferimento all'attività televisiva, ma anche con riguardo a un grosso progetto
edilizio di tipo turistico denominato "Olbia 2". Fin dall'inizio ritenni di
seguire gli sviluppi delle varie attività di Carboni, trattandosi di un sardo
che intendeva operare in Sardegna e che peraltro mostrava di avere vari
interessi e vari contatti con persone qualificate» (Testimonianza Pisanu al pm
Dell'Osso). Poi Carboni ebbe vari guai giudiziari. Girò assegni del Banco
Ambrosiano agli usurai della Banda della Magliana. Subì arresti e condanne. Ma
almeno fino alla primavera 1982 restò in stretto contatto con Giuseppe Pisanu
che, mentre era sottosegretario al Tesoro, si interessò attivamente della
vicenda Calvi-Ambrosiano. Nei mesi frenetici che precedono la scoperta della
bancarotta dell'Ambrosiano e la fuga all'estero di Calvi, Pisanu incontra Calvi
per quattro volte, sempre accompagnato da Carboni. L'ultimo appuntamento avviene
il 22 maggio 1982, quando Pisanu vola a Milano sull'aereo di Carboni. Poi, il 6
giugno, il sottosegretario risponde in Parlamento ad alcune interrogazioni sulla
situazione della banca di Calvi, dopo che erano ormai filtrate voci sulla
drammatica crisi finanziaria che stava attraversando. Pisanu risponde
tranquillizzando: la situazione è normale; il sottosegretario non accenna
minimamente alla gravissima situazione debitoria in cui versa il Banco Andino,
controllato dall'Ambrosiano. Alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla
P2, dichiarerà Angelo Rizzoli: «A proposito
dell'Andino, Calvi disse a me e a Tassan Din che il
discorso dell'onorevole Pisanu in Parlamento l'aveva fatto fare lui. Qualcuno mi
ha detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800
milioni da Flavio Carboni». Dopo lo scandalo P2 e il crac Ambrosiano, nel
gennaio 1983 Pisanu è indotto a dimettersi da sottosegretario al Tesoro. «A
causa di fatti incontrovertibili», secondo una dichiarazione del deputato
radicale Massimo Teodori al Corriere della sera: «I rapporti strettissimi
e continuativi fra Pisanu e Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi tramite
Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni per la sistemazione del
Corriere della sera; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni quando,
sottosegretario al Tesoro, il ministro prendeva importanti decisioni
sull'Ambrosiano» (Corriere della sera, 22 gennaio 1983). Il 18 luglio
1982 Calvi fu trovato impiccato sotto un ponte di Londra. Pisanu, dopo le sue
dimissioni, scomparve per molto tempo dalla scena. Ricompare nel 1994, quando
torna in Parlamento e diventa vicecapogruppo dei deputati di Forza Italia:
lasciata la Dc, si è schierato con il partito di Berlusconi, ex socio d'affari
del suo protetto Carboni. E Berlusconi, nel 2001, pur di dargli una poltrona da
ministro, inventa il curioso dicastero dell'"Attuazione del programma". Accanto,
alle riunioni di governo, avrà il più feroce dei suoi accusatori, ai tempi della
vicenda Calvi: Mirko Tremaglia.
Deputato della Repubblica. Eletto a Roma. Avvocato personale di Silvio
Berlusconi, ha ereditato l’incarico professionale dal padre, che aiutò il
giovane Silvio a fondare la Fininvest, in un turbine di strane società svizzere
e di anonime fiduciarie. È dunque uno dei consulenti che conoscono i segreti
delle origini di Berlusconi. Nato a Reggio Calabria, crebbe professionalmente
nello studio del padre, a Roma. Pur non avendo mai rinnegato le sue origini
politiche neofasciste, nel 1994 Berlusconi gli chiese di "scendere in campo" con
Forza Italia e lui accettò un posto al Senato prima e un ministero poi. Nel 2003
Ë stato condannato a 11 anni nel processo "toghe sporche" Imi-Sir-lodo
Mondadori, per aver corrotto i giudici di Roma perché emettessero sentenze
favorevoli a Silvio Berlusconi e alla Fininvest. Ora è in attesa della sentenza
per il secondo processo "toghe sporche", quello sulla compravendita della Sme.
Cesare Previti ha rischiato (come Amedeo Matacena e Gianni De Michelis) di non
trovare posto nelle liste di Forza Italia. Per lui però Berlusconi alla fine ha
fatto un’eccezione, piazzandolo nel posto sicuro di capolista di Forza Italia
nel proporzionale in Calabria, oltre che nel collegio uninominale di Roma Tomba
di Nerone.
Senatore della Repubblica. Proviene dalla Valle d’Aosta e dal suo partito più
forte, l’Union valdotaine. è stato presidente della giunta regionale della Valle
d’Aosta, ma all’inizio degli anni Novanta è stato condannato per reati contro la
pubblica amministrazione. è anche in attesa di un altro processo, accusato di
essere socio occulto di una società finanziata dalla Regione. In quanto
condannato, per legge non può più ricandidarsi negli enti locali (Comuni,
Province, Regioni); allora si è candidato, con successo, al Senato. Ora, però, è
in attesa di una “riabilitazione penale”. Se la otterrà, potrà ricandidarsi alla
presidenza della Regione Valle d'Aosta per il centrosinistra, che evidentemente
non ha trovato niente di meglio che un pregiudicato.
Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà in Abruzzo, nel
collegio di Teramo. Presidente democristiano della giunta regionale abruzzese
nei primi anni Novanta, fu arrestato (con l'intera giunta) nell'ambito di
un'indagine giudiziaria sui finanziamenti europei alla Regione. L'accusa: aver
falsificato la graduatoria per l'assegnazione dei fondi. Patteggiò una condanna
a 1 anno e 4 mesi. Poi, nel 1999, fu rieletto consigliere regionale, nelle liste
di Forza Italia (fu il candidato che ottenne il maggior numero di voti nella
regione Abruzzo, oltre 12 mila). Divenne vicepresidente della giunta e assessore
alla Sanità. Ma Salini, in quanto condannato, era ineleggibile al Consiglio
regionale e su questo sta infatti decidendo il tribunale amministrativo
regionale dell'Aquila, che potrebbe anche decretare lo scioglimento
dell'assemblea, rendendo quindi necessarie nuove elezioni. Ineleggibile alla
Regione, Salini si è presentato al Senato, nel 2001, ed è stato eletto.
Deputato
della Repubblica, Forza Italia. Indagato a Potenza per lo scandalo delle
mazzette Inail, con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata alla
corruzione. Nel 2002 la Camera ha respinto la richiesta d'arresto.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Liguria. Classe 1948, di Imperia, democristiano nato
in una famiglia democristiana. Il padre Ferdinando, dirigente Inps, fu
segretario della Dc locale e sindaco d’Imperia fin dal 1952. Due anni dopo
dovette dimettersi, perché travolto da uno scandalo: il cognato aveva ottenuto
il posto di primario chirurgico nell’ospedale locale e si malignava che fosse
stato aiutato dal potente sindaco democristiano. Erano altri tempi, bastava
niente per costringere alle dimissioni. Ma la politica restò una malattia di
famiglia. Il testimone passò dapprima al figlio maggiore, Alessandro, che
divenne anch’egli sindaco d’Imperia nel 1972, poi ancora nel 1977, e nel 1979 fu
eletto in Parlamento. Claudio era il più piccolo dei tre figli del notabile dc.
Ma venne anche il suo momento. Aveva respirato aria democristiana fin dalla
culla: sua madrina di battesimo era stata Maria Romana De
Gasperi, figlia del grande capo della Dc. Già negli anni del liceo e poi
dell’università si era impegnato nel movimento giovanile democristiano. Non è un
teorico, ma un amministratore, un organizzatore: diventa presidente
dell’ospedale Novaro, poi dell’Unità sanitaria locale; è anche segretario
provinciale della Dc. Nel 1982, a 34 anni, diventa sindaco d’Imperia, come il
padre Ferdinando, come il fratello Alessandro. è una festa, in famiglia. Peccato
che un anno dopo esploda lo scandalo dei casinò. è il primo grande intreccio tra
politica e affari in cui compare, nel nord del Paese, lo zampino della mafia. La
storia è complessa e ancora oggi non svelata in tutte le sue pieghe, ma è
semplice nella sua essenza: si era saldato un triangolo, tra imprenditori che
puntavano a gestire le case da gioco, politici che concedevano gli appalti per
la gestione, ma volevano qualcosa in cambio, e mafiosi che attorno ai casinò
ronzano da sempre e che hanno ottimi argomenti, finanziari e non solo, per
arrivare al controllo del business. Nella notte di giovedì11 novembre 1983
polizia, carabinieri e guardia di finanza circondano e perquisiscono a tappeto i
casinò di Sanremo, Campione d’Italia, Saint Vincent e Venezia. Gli arrestati
sono una quarantina. Il «blitz di San Martino», come verrà chiamato, convolge
imprenditori, politici e boss mafiosi, e azzera due gruppi dirigenti locali, gli
amministratori pubblici del Comune di Sanremo e della Valle d’Aosta. Che cosa
era successo, nei mesi precedenti? In Liguria si erano affrontati due gruppi,
che puntavano a conquistare la gestione del casinò di Sanremo. Da una parte Michele Merlo, titolare della società Sit, che aveva
stretto accordi con i democristiani Osvaldo Vento,
sindaco di Sanremo, e Manfredo Manfredi, parlamentare
d’Imperia. Dall’altra il conte Giorgio Borletti,
ultimo rampollo della famiglia che a Milano aveva fondato la Rinascente, che era
tornato dal Kenya, aveva fondato la società Flower’s paradise e per battere
Merlo e conquistare il casinò si era rivolto ai socialisti milanesi Antonio Natali e Cesare Bensi.
Per vincere, sia Merlo, sia Borletti avevano messo mano al portafoglio. Erano
state pagate o programmate tangenti per 4 miliardi («parte a Roma»: ma di questo
non si è mai appurato niente). Dietro ciascuna delle due cordate, poi, si
muovevano, nell’ombra, altri personaggi: il finanziatore di Merlo, per esempio,
era Ilario Legnaro, uomo legato ai clan catanesi di
Nitto Santapaola e a Gaetano
Corallo, che aveva già messo le mani sul casinò di Campione; quanto a
Borletti, si era affidato a Lello Liguori, il re dei
night, il padrone del Covo di Nord-Est di Santa Margherita, che gli aveva
presentato alcuni “amiciè come Angiolino Epaminonda
detto il Tebano, Salvatore Enea detto Robertino e
Giuseppe Bono. Il primo era il principe della «mala»
a Milano, gli ultimi due erano i boss delle «famiglie» palermitane al Nord.
Bella gara: da una parte la Sit, con democristiani e catanesi, dall’altra la
Flower’s paradise, con socialisti e palermitani. Con queste formazioni, naturali
i ricatti, le minacce, il doppio gioco, i tradimenti... Il sindaco Vento,
interrogato dai magistrati dopo l’arresto, spiega: nel partito, il metodo delle
tangenti è stato accettato non soltanto «per motivi economici, ma anche
politici», perché «chi non accettava il piano di corruzione di fatto si
isolava», «il dissenso avrebbe significato una vera e propria emarginazione». In
questo clima teso e confuso, si arriva alla gara, il 25 marzo 1983. I commissari
nominati dai partiti aprono le due buste con le offerte di canone al Comune per
la gestione del casinò di Sanremo. La Sit di Merlo offre 21 miliardi, la
Flower’s paradise di Borletti 18 miliardi e 900 milioni. Destinata a vincere, a
suon di tangenti, era la Sit, ma evidentemente qualcuno all’ultimo momento aveva
fatto il furbo ed era passato dall’altra parte: la commissione aveva stabilito
che l’offerta non poteva superare i 20 miliardi e 980 milioni, così la Sit è
sconfitta perché, in questo gioco miliardario, sfora il tetto per 20 miseri
milioni... Scoppia il finimondo. Tra i politici è tutto un accusarsi a vicenda.
Tra le due imprese invece comincia la guerra delle carte bollate, con ricorsi in
Giunta, al Tar, al Coreco, al Tribunale... è in questa baraonda che fa la sua
comparsa sulla scena Claudio Scajola, sindaco di Imperia ed esponente autorevole
della Dc provinciale. Il 20 maggio 1983 si reca, con il collega di Sanremo
Osvaldo Vento, a un incontro segreto con Borletti, a Bourg Saint Pierre, in
Svizzera. è Vento, che stava trattando con entrambi i contendenti, a chiedere a
Borletti di poterlo incontrare, «in modo riservato», insieme a un altro
politico, «in un clima di sospetto e di timore che potesse essere violata la
segretezza», scrive il magistrato. Borletti accetta. L’incontro avviene in un
ristorante. Dopo il blitz di San Martino, il conte racconterà che «i due
politici sostanzialmente gli comunicarono che subito dopo le elezioni avrebbe
ottenuto la casa da gioco», ma «ad alcune condizioni»: la prima, che «la
gestione fosse improntata a criteri di imparzialità nei confronti delle forze
politiche e quindi senza etichette socialiste»; la seconda, che «venisse
compiuto un “gesto”che potesse controbilanciare l’offerta fatta dal Merlo a
favore degli sfrattati» (Merlo aveva offerto al Comune di Sanremo centinaia di
milioni per dare un’abitazione ad alcune famiglie restate senza casa); terzo,
che venisse pagata una tangente di 50 milioni. Borletti riferisce subito tutto
al suo avvocato Pier Giusto Jaeger e ad altre due
persone (
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saigon Tuesday March 09, 2004 at 04:43 PM |
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Deputato
della Repubblica. Eletto in Liguria. Classe 1948, di Imperia, democristiano nato
in una famiglia democristiana. Il padre Ferdinando, dirigente Inps, fu
segretario della Dc locale e sindaco d’Imperia fin dal 1952. Due anni dopo
dovette dimettersi, perché travolto da uno scandalo: il cognato aveva ottenuto
il posto di primario chirurgico nell’ospedale locale e si malignava che fosse
stato aiutato dal potente sindaco democristiano. Erano altri tempi, bastava
niente per costringere alle dimissioni. Ma la politica restò una malattia di
famiglia. Il testimone passò dapprima al figlio maggiore, Alessandro, che
divenne anch’egli sindaco d’Imperia nel 1972, poi ancora nel 1977, e nel 1979 fu
eletto in Parlamento. Claudio era il più piccolo dei tre figli del notabile dc.
Ma venne anche il suo momento. Aveva respirato aria democristiana fin dalla
culla: sua madrina di battesimo era stata Maria Romana De
Gasperi, figlia del grande capo della Dc. Già negli anni del liceo e poi
dell’università si era impegnato nel movimento giovanile democristiano. Non è un
teorico, ma un amministratore, un organizzatore: diventa presidente
dell’ospedale Novaro, poi dell’Unità sanitaria locale; è anche segretario
provinciale della Dc. Nel 1982, a 34 anni, diventa sindaco d’Imperia, come il
padre Ferdinando, come il fratello Alessandro. è una festa, in famiglia. Peccato
che un anno dopo esploda lo scandalo dei casinò. è il primo grande intreccio tra
politica e affari in cui compare, nel nord del Paese, lo zampino della mafia. La
storia è complessa e ancora oggi non svelata in tutte le sue pieghe, ma è
semplice nella sua essenza: si era saldato un triangolo, tra imprenditori che
puntavano a gestire le case da gioco, politici che concedevano gli appalti per
la gestione, ma volevano qualcosa in cambio, e mafiosi che attorno ai casinò
ronzano da sempre e che hanno ottimi argomenti, finanziari e non solo, per
arrivare al controllo del business. Nella notte di giovedì11 novembre 1983
polizia, carabinieri e guardia di finanza circondano e perquisiscono a tappeto i
casinò di Sanremo, Campione d’Italia, Saint Vincent e Venezia. Gli arrestati
sono una quarantina. Il «blitz di San Martino», come verrà chiamato, convolge
imprenditori, politici e boss mafiosi, e azzera due gruppi dirigenti locali, gli
amministratori pubblici del Comune di Sanremo e della Valle d’Aosta. Che cosa
era successo, nei mesi precedenti? In Liguria si erano affrontati due gruppi,
che puntavano a conquistare la gestione del casinò di Sanremo. Da una parte Michele Merlo, titolare della società Sit, che aveva
stretto accordi con i democristiani Osvaldo Vento,
sindaco di Sanremo, e Manfredo Manfredi, parlamentare
d’Imperia. Dall’altra il conte Giorgio Borletti,
ultimo rampollo della famiglia che a Milano aveva fondato la Rinascente, che era
tornato dal Kenya, aveva fondato la società Flower’s paradise e per battere
Merlo e conquistare il casinò si era rivolto ai socialisti milanesi Antonio Natali e Cesare Bensi.
Per vincere, sia Merlo, sia Borletti avevano messo mano al portafoglio. Erano
state pagate o programmate tangenti per 4 miliardi («parte a Roma»: ma di questo
non si è mai appurato niente). Dietro ciascuna delle due cordate, poi, si
muovevano, nell’ombra, altri personaggi: il finanziatore di Merlo, per esempio,
era Ilario Legnaro, uomo legato ai clan catanesi di
Nitto Santapaola e a Gaetano
Corallo, che aveva già messo le mani sul casinò di Campione; quanto a
Borletti, si era affidato a Lello Liguori, il re dei
night, il padrone del Covo di Nord-Est di Santa Margherita, che gli aveva
presentato alcuni “amiciè come Angiolino Epaminonda
detto il Tebano, Salvatore Enea detto Robertino e
Giuseppe Bono. Il primo era il principe della «mala»
a Milano, gli ultimi due erano i boss delle «famiglie» palermitane al Nord.
Bella gara: da una parte la Sit, con democristiani e catanesi, dall’altra la
Flower’s paradise, con socialisti e palermitani. Con queste formazioni, naturali
i ricatti, le minacce, il doppio gioco, i tradimenti... Il sindaco Vento,
interrogato dai magistrati dopo l’arresto, spiega: nel partito, il metodo delle
tangenti è stato accettato non soltanto «per motivi economici, ma anche
politici», perché «chi non accettava il piano di corruzione di fatto si
isolava», «il dissenso avrebbe significato una vera e propria emarginazione». In
questo clima teso e confuso, si arriva alla gara, il 25 marzo 1983. I commissari
nominati dai partiti aprono le due buste con le offerte di canone al Comune per
la gestione del casinò di Sanremo. La Sit di Merlo offre 21 miliardi, la
Flower’s paradise di Borletti 18 miliardi e 900 milioni. Destinata a vincere, a
suon di tangenti, era la Sit, ma evidentemente qualcuno all’ultimo momento aveva
fatto il furbo ed era passato dall’altra parte: la commissione aveva stabilito
che l’offerta non poteva superare i 20 miliardi e 980 milioni, così la Sit è
sconfitta perché, in questo gioco miliardario, sfora il tetto per 20 miseri
milioni... Scoppia il finimondo. Tra i politici è tutto un accusarsi a vicenda.
Tra le due imprese invece comincia la guerra delle carte bollate, con ricorsi in
Giunta, al Tar, al Coreco, al Tribunale... è in questa baraonda che fa la sua
comparsa sulla scena Claudio Scajola, sindaco di Imperia ed esponente autorevole
della Dc provinciale. Il 20 maggio 1983 si reca, con il collega di Sanremo
Osvaldo Vento, a un incontro segreto con Borletti, a Bourg Saint Pierre, in
Svizzera. è Vento, che stava trattando con entrambi i contendenti, a chiedere a
Borletti di poterlo incontrare, «in modo riservato», insieme a un altro
politico, «in un clima di sospetto e di timore che potesse essere violata la
segretezza», scrive il magistrato. Borletti accetta. L’incontro avviene in un
ristorante. Dopo il blitz di San Martino, il conte racconterà che «i due
politici sostanzialmente gli comunicarono che subito dopo le elezioni avrebbe
ottenuto la casa da gioco», ma «ad alcune condizioni»: la prima, che «la
gestione fosse improntata a criteri di imparzialità nei confronti delle forze
politiche e quindi senza etichette socialiste»; la seconda, che «venisse
compiuto un “gesto”che potesse controbilanciare l’offerta fatta dal Merlo a
favore degli sfrattati» (Merlo aveva offerto al Comune di Sanremo centinaia di
milioni per dare un’abitazione ad alcune famiglie restate senza casa); terzo,
che venisse pagata una tangente di 50 milioni. Borletti riferisce subito tutto
al suo avvocato Pier Giusto Jaeger e ad altre due
persone (Lorenzo Acquarone e
Sergio Carpinelli). Quando i magistrati di Milano cominciano a indagare
sui casinò, Borletti racconta dell’incontro e i tre confermano. Ecco allora che
anche Scajola viene arrestato. Nella loro requisitoria, i pubblici
ministeri Corrado Carnevali e
Marco Maiga scrivono: «Sono stati raccolti elementi sufficienti
per giustificare e imporre il rinvio a giudizio dei due prevenuti (cioè Vento e
Scajola, ndr). A loro carico vi sono le dichiarazioni precise e dettagliate
della parte offesa (Borletti, ndr), inequivoche nella loro portata accusatoria;
le stesse dichiarazioni hanno trovato conferma in numerose testimonianze
(Lorenzo Acquarone, Sergio Carpinelli, Pier Giusto Jaeger)». E ancora: «Benché
l’imputato Scajola abbia recisamente respinto l’addebito, sostenendo che la
richiesta oggetto di contestazione non venne mai avanzata nel corso della
conversazione, (...) le sostanziali ammissioni sul punto del Vento (...) devono
debbono ritenersi determinanti in ordine all’effettiva sussistenza del reato, di
cui sono presenti gli elementi costitutivi tutti. La presenza dello Scajola nel
particolare contesto, (...) l’avere il Borletti, nelle confidenze effettuate ai
testi di cui sopra si è detto, riferito l’indebita richiesta a lui avanzata ad
entrambi i pubblici amministratori presenti nell’occorso, devono essere ritenute
circostanze sufficienti perché lo stesso Scajola sia chiamato a rispondere del
reato a titolo di concorso morale nel medesimo». Il giudice istruttore Paolo Arbasino, ricevute le richieste del pubblico
ministero, non ritiene invece che gli elementi a carico di Scajola siano
sufficienti per un rinvio a giudizio e il 31 gennaio 1989 lo proscioglie.
Scajola aveva spiegato di essere andato all’incontro con Borletti, ma soltanto
per capire la situazione, che era alquanto confusa. Aveva confermato di aver
posto il problema della «gestione imparziale»(cioè non filo-socialista) del
casinò, ma aveva ribadito di non aver chiesto, né sentito chiedere, alcuna
tangente. Per la cronaca: la guerra per il casinò di Sanremo finisce con un
accordo tra le due cordate che prevede il ritiro di Borletti, in cambio di 1
miliardo e 900 milioni subito, più 4 miliardi in seguito, a grosse rate mensili.
Il processo per lo scandalo dei casinò termina invece con molte condanne
definitive, che confermano nella sostanza l’impianto accusatorio. E Claudio
Scajola? Ritorna subito a fare politica. Torna a sedere sulla poltrona di
sindaco nel 1990, sempre sotto le bandiere della sua Dc. Nel 1995 ci riprova, ma
intanto la Dc si è dissolta in cento rivoli. Mette in piedi una lista fai-da-te,
«Amministrare Imperia», che si scontra con una lista dell’Ulivo e una del Polo.
Nella foga della campagna elettorale, degli avversari di Forza Italia e An dice:
«Sono soltanto dei fascisti». Vince il centrosinistra. Ma l’anno dopo,
nell’aprile 1996, mostra di essersi ricreduto: si candida alla Camera per Forza
Italia e viene eletto. Amministratore tenace, organizzatore efficiente,
democristiano a 24 carati, si fa subito notare da Silvio
Berlusconi, che gli affida un compito impegnativo: costruire il partito.
Nominato coordinatore nazionale di Forza Italia, lavora sodo. Trasforma il
“partito di plastica” in un partito vero. Come premio, Berlusconi gli affida il
più delicato dei ministeri, quello dell’Interno: con Scajola, al Viminale torna
un democristiano doc, uno della tempra dei Taviani, Scelba, Restivo... Scajola,
per i suoi trascorsi è, effettivamente, un esperto del ramo. A Genova, però, non
lo dimostra: responsabile dell'ordine pubblico al G8, sbaglia tutto. Poi lascia
senza protezione il consulente ministeriale Marco Biagi. Quando questi viene
ucciso dalle Br, Scajola prima scarica le responsabilità sui prefetti, a cui
aveva dato ordini di ridurre le scorte; poi dichiara che Biagi, colpevole di
chiedere insistentemente di essere protetto, era un "rompicoglioni". Troppo
perfino per il panorama politico italiano, anche perché le dichiarazioni di
Scajola vengono riportate da due grandi quotidiani, Corriere della sera e
Sole 24 ore. Scajola è così costretto alle dimissioni da ministro.
Sostituito da uno che a sua volta dieci anni prima era stato costretto a dare le
dimissioni da sottosegretario (Pisanu,
vedi...). Ma tornerà, vedrete...
Deputato
della Repubblica. Eletto nel collegio di Treviso. Ex democristiano, oggi è
esponente di An. Il suo nome compare negli elenchi della loggia massonica P2:
fascicolo 623, numero di tessera 1814, data di iniziazione 26 gennaio 1978.
All'epoca, Selva era direttore del Gr2 Rai. Ha smentito di essere iscritto alla
loggia. Sospeso dalla Rai dal Consiglio d'amministrazione, ha presentato ricorso
al pretore del lavoro, che però lo ha respinto.
Deputato
della Repubblica, Forza Italia. Grande difensore di Craxi nel Parlamento del
1992 (allora vi era entrato come deputato liberale), è un pregiudicato per
truffa ai danni dello Stato (assenteista, ha preso lo stipendio senza andare a
insegnare). È stato indagato per aver avuto rapporti con uomini della
'ndrangheta, quando è stato candidato in Calabria. È un collezionista di querele
per diffamazione: suo pezzo forte è dare dell'assassino ai magistrati di Mani
pulite, ma sa variare sul tema in modo molto creativo. Cacciato dal governo
Berlusconi nel 2002 (era sottosegretario si Beni culturalei) per dissidi con il
ministro Urbani.
Senatore
della Repubblica. Eletto ad Agrigento. Membro del Ccd, è stato sindaco di
Agrigento. Nel 2003 ha subito una condanna in appello a 1 anno e 6 mesi di
reclusione per avere permesso l’abusivismo edilizio in cambio di vantaggi
elettorali. Con Sodano sono stati condannati a un anno di reclusione anche
alcuni suoi ex assessori. Gli imputati, secondo l’accusa, non avrebbero posto in
essere né provvedimenti né iniziative per bloccare l’abusivismo edilizio tra il
1991 e il 1998, non solo nella Valle dei Templi, ma in tutta la città. Imputato
in un altro processo per irregolaritý urbanistiche in contrada Favara e nella
realizzazione di un depuratore, ha cercato, invano, di bloccare il dibattimento
appellandosi alla legge Cirami.
Deputato
della Repubblica, Ppi. Ex sindaco di Marcianise, in Campania, politicamente
molto vicino a Ciriaco De Mita. è stato arrestato per irregolarità edilizie
avenute nel 1986 e processato per altri abusi, sempre nel settore delle
costruzioni. Assolto, è stato candidato dall'Ulivo in Campania.
Senatore della Repubblica, Ccd. Catanese, ex andreottiano, nel 1995, in
qualità di presidente di una Usl, è stato condannato per un concorso truccato.
Ha patteggiato una pena di un anno e mezzo e ha evitato il carcere, approdando
poi in Parlamento.
Senatore della Repubblica, Forza Italia. Attuale responsabile della Sanità
per Forza Italia. è stato condannato per falso, con sentenza definitiva, nel
2000, perché quando era medico a Busto Arsizio aveva contraffatto e poi
distrutto un esame clinico di una bambina nata con problemi cerebrali. Una
sentenza successiva ha tuttavia negato la responsabilità del medico e ora il
senatore Tomassini vuole chiedere la revisione del processo.
Urbani, Giuliano
Deputato della Repubblica.
Eletto in Lombardia, nel collegio di Vimercate. è un professore, Giuliano Urbani, docente di Scienza politica all'università
Bocconi. Nel 1985 è tra i fondatori del circolo Società
civile di Milano. Nel 1994 la sua critica della vecchia politica si
acquieta nel nuovo partito di Silvio Berlusconi:
partecipa addirittura alla formazione di Forza Italia, in cui confluisce la sua
Associazione per il Buon Governo. Berlusconi lo premia con una candidatura in
Parlamento, in cui entra nel 1994. Subito dopo lo chiama a reggere il ministero
della Funzione pubblica. Oggi, nel secondo governo Berlusconi, è ministro dei
Beni culturali, un po' infastidito dal protagonismo del suo sottosegretario
Vittorio Sgarbi. Parallelamente alla politica, Urbani
ha mantenuto una attività professionale: è stato a lungo, per esempio,
presidente di Domina, una delle società del finanziere Ernesto Preatoni. Soprannominato "il raider di Garbagnate",
Preatoni era stato per anni oggetto di indagini da parte della magistratura
italiana e della Consob, l'autorità di controllo della Borsa. Gli innumerevoli
procedimenti giudiziari aperti sulle sue attività finanziarie non erano mai
riusciti ad approdare a una condanna, ma Preatoni aveva comunque pensato di
cambiare aria, trasferendo i suoi affari prima in Islanda e poi in Estonia,
diventata, come tutto l'Est europeo dopo la caduta del comunismo, un paradiso
per le scorribande finanziarie. La sua holding finanziaria e immobiliare era
diventata la Pro Kapital, con sede a Tallin, in Estonia. La società italiana
Domina aveva però continuato a controllare le attività turistiche del gruppo,
tra cui un noto villaggio a Sharm el-Sheik. Centro dell'impero di Preatoni resta
la Peak Mount Corporation, con sede nella inespugnabile (ai giudici) Vaduz.
Urbani, stretto collaboratori di Berlusconi, è rimasto presidente della Domina
almeno fino a poco tempo fa. «Conosco Urbani da
tempo», ha dichiarato Preatoni al Corriere della sera il 9 agosto
2001, «ma di recente ha dato le dimissioni dal suo incarico in Domina». Quanto
di recente, onorevole deputato e signor ministro? Ai primi d'agosto era
circolata la notizia che la Borsa estone aveva deciso di sospendere dal listino
la Pro Kapital: gli affari di Preatoni sono troppo poco trasparenti anche per
l'Estonia, ma evidentemente non lo erano per il poco avveduto Urbani.
Deputato
della Repubblica. Eletto nel proporzionale, a Firenze, nelle liste di Forza
Italia. A Firenze lo chiamano il Berlusconi della Toscana. Presidente della
banca Credito cooperativo fiorentino, dopo un'ispezione della Banca d'Italia nel
suo istituto, è stato indagato per falso in bilancio. è editore del Giornale
della Toscana e possiede quote del Foglio di Giuliano Ferrara. Il
pubblico ministero di Firenze ha chiesto per Verdini anche un rinvio a giudizio
per violenza sessuale: sarebbe saltato addosso, nel suo ufficio, a una signora
che andava a chiedergli di ottenere un prestito dalla sua banca.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Cremona. Esponente di
Comunione e liberazione, vicino alla Compagnia delle opere. E' stato candidato
dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta giudiziaria sulla cascina San
Bernardo di Milano. Da assessore al Comune di Milano, insieme al collega
Maurizio Lupi, aveva fatto approvare una concessione per far diventare la
cascina un centro polivalente con finalità sociali. Poi, con un repentino cambio
di marcia, la cascina era stata trasformata in una struttura sanitaria privata
da 20 posti, naturalmente affidata agli amici della
Compagnia delle opere. Subito dopo l'elezione alla Camera, come
prevedibile, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per truffa e falso.
Poi prosciolto.
Deputato
della Repubblica. Eletto in Campania. Noto ai bei tempi della Prima Repubblica
come "Mister centomila preferenze" della Democrazia cristiana, ora è
parlamentare della Casa delle libertà. Ex impiegato dell’Enel, si buttò in
politica, nella Dc, con grande impegno. Si dice che nel suo ufficio elettorale
riuscisse a ricevere più di 200 persone al giorno. Il soprannome se lo guadagnò
con i risultati elettorali conseguiti nel 1985, 1987 e 1992: fu eletto prima al
Consiglio regionale della Campania (con 120 mila voti), poi alla Camera dei
deputati (con 160 mila voti) e infine di nuovo al Parlamento (con 104 mila
preferenze). Poi arrivò Mani pulite: fu indagato, arrestato e processato per
tangenti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli chiese al Parlamento
l’autorizzazione a procedere contro di lui anche per concorso esterno in
associazione a delinquere di tipo mafioso, sospettando suoi rapporti con la
Camorra. Alfredo Vito indossò allora il saio del pentimento: "Torno alla mia
famiglia; con la politica ho chiuso". Scrisse: "Lascio il mio vecchio partito,
la Dc, e invito tutti i parlamentari inquisiti a seguire il mio esempio: fatevi
da parte, perché solo così si potrà procedere al rinnovamento dei partiti e
della classe politica". Patteggiò una condanna e restituì più di 4 miliardi di
lire. Sono stati impiegati per costruire un parco pubblico alla periferia di
Napoli, ribattezzato dalla fantasia popolare "Parco Mazzetta". Ma non ha
mantenuto la promessa di stare lontano dalla politica: ha riallacciato i
contatti di un tempo, ha riaperto un ufficio a Roma ed è tornato alla carica con
la Nuova democrazia cristiana (fondata nel 2000 insieme con Flaminio Piccoli).
Nel 2001 è stato accolto a braccia aperte nella Casa delle libertà, che lo ha
portato in Parlamento.
Senatore
della Repubblica. Eletto in Sicilia. Palermitano, ex segretario del Psdi, cinque
volte deputato (la prima a soli 28 anni), tre volte ministro, è stato
responsabile tra l’altro del dicastero delle Poste e di quello della Marina. Nel
1993 è rimasto coinvolto nello scandalo Enimont con l’accusa di aver ricevuto un
finanziamento illecito di 300 milioni. Condannato in primo grado, in appello
strappa una prescrizione. Fu assolto dal Tribunale dei ministri anche
dall’accusa di aver ricevuto mazzette mentre era al ministero delle Poste.
Giovanni Brusca ha incluso il suo nome nella lista di politici che la mafia
voleva far fuori dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Nel giugno del 1999
Vizzini, amico di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri, è entrato nel
Consiglio di presidenza di Forza Italia. Nel 2001 ha vinto il confronto
elettorale nel collegio senatoriale di Palermo centro.
Amministratori pubblici, consiglieri
comunali, provinciali, regionali
Assessore
regionale in Lombardia. Politico pavese, passato dalla Dc a Forza Italia, e
manager della sanità lombarda. Ancor prima di Mani pulite, quando era
democristiano, Abelli fu arrestato e processato. Assolto, tornò alla politica. E
fu chiamato dal presidente della Regione, Roberto Formigoni, come consigliere
per la sanità. Abelli era contemporaneamente amico e consulente anche del
professor Giuseppe Poggi Longostrevi, organizzatore di una colossale truffa
(almeno 60 miliardi sottratti alla Regione Lombardia), che ha coinvolto
centinaia di medici i quali stilavano ricette false o per prestazioni gonfiate o
inutili. Formigoni ha tenuto al suo fianco Abelli anche dopo il suo
coinvolgimento nello scandalo delle ricette d'oro di Poggi Longostrevi. Anzi,
nel maggio 2000 da consulente lo ha fatto diventare assessore (alle Politiche
sociali: la Sanità era già saldamente nelle mani di Carlo Borsani, An, un altro
politico che da anni sta in quel posto, periodicamente battuto dagli scandali,
ma non si accorge di niente). Abelli viene rinviato a giudizio il 24 maggio
2000, proprio il giorno in cui insieme a tutti gli altri assessori della nuova
giunta formigoniana presta il suo "giuramento alla Lombardia e al suo popolo"
(una concessione alla Lega passata a sostenere l'ex nemico Formigoni). Viene
processato per aver fatto false fatture per oltre 70 milioni di lire ricevuti
tra il 1996 e il 1997 da Poggi Longostrevi, che, prima di togliersi la vita, li
aveva spiegati così: "Dovevo tenermi buono un personaggio politico che nel
settore contava molto". E poi aveva aggiunto: "Alcuni sono stati costretti alle
dimissioni solo per un sospetto, altri sono stati premiati con la nomina ad
assessore". La sentenza arriva nel 2003: Abelli è assolto dall'accusa di frode
fiscale, perché la nuova legge fiscale stabilisce che le fatture false siano
punite solo nel caso vi sia «il dolo specifico di far evadere le tasse»: e
Abelli alle tasse non pensava neppure, quando intascava i soldi di Poggi
Longostrevi. Le motivazioni della sentenza affermano però che Abelli ha
intascato ´72.800.000 lire per una consulenza non effettivaª. Ha insomma preso
quei soldi per chiudere gli occhi sulla corruzione: ´La consulenza mascherava un
versamento in denaro al politico per guadagnarne i favori», stabilisce la
sentenza. Che cita Longostrevi: «Per me pagare Abelli era come stipulare
un'assicurazioneª. Dopo la sentenza, Abelli resta tranquillamente al suo
posto.
Presidente della Regione Lombardia. È stato coinvolto in alcune complesse
vicende politico-giudiziarie. Scandalo "ricette d'oro". Non ha visto
né sentito nulla dell'estesissimo sistema di corruzione architettato dal
professor Giuseppe Poggi Longostrevi, che negli anni Novanta ha truffato almeno
90 miliardi alla Regione, facendo fare a centinaia di medici ricette false o per
prestazioni gonfiate o inutili. Nella motivazione della sentenza che condanna
per corruzione 175 medici che avevano accettato il "sistema Longostrevi", si
afferma che la Regione ha favorito la truffa. I giudici hanno così dimezzato i
risarcimenti alla Regione, per ´concorso di colpaª: per ´l'inidoneitý, per non
dire assenza, dei controlliª. Nessuna responsabilità penale accertata per
Formigoni, ma certamente la responsabilità politica di non aver saputo vigilare
su un settore da sempre a rischio di corruzione. E responsabilità politica di
aver voluto ai vertici della sanità regionale – prima come suo consulente, poi
come assessore alle Politiche sociali – Giancarlo
Abelli, amico di Longostrevi e sua sponda politica in
Regione. Discarica di Cerro. Roberto Formigoni ha ricevuto un avviso
di garanzia il 14 luglio 2000, per la gestione della discarica di Cerro
Maggiore, per la quale era già stato condannato Gianstefano
Frigerio, che aveva ricevuto una tangente da 150 milioni da Paolo
Berlusconi. Nel 1995, quando scoppiò in Lombardia la cosiddetta "emergenza
rifiuti", Formigoni indirizzò a Cerro (che avrebbe invece dovuto chiudere) tutta
la spazzatura regionale e si impegnò a pagare al proprietario, Paolo Berlusconi,
300 milioni al giorno per altri due anni. Nel 1999 ci fu un accordo per
bonificare la discarica. Il compito spettava ai proprietari, Berlusconi e soci,
che in cinque anni d’attività avevano realizzato, secondo un rapporto della
Guardia di finanza, "ricavi effettivi per almeno 240 miliardi". Invece Formigoni
fece pagare la bonifica a un'altra azienda, in cambio del permesso per aprire un
supermercato sull'area della discarica. Nel corso delle indagini è emerso anche
un appunto scritto a mano, il verbale di una riunione tenutasi a Milano 2 alla
presenza di Paolo Berlusconi e degli altri soci della discarica. Il foglietto
parla della costituzione, attraverso false fatture, di fondi neri all’estero per
oltre 10 miliardi, preparati per pagare in nero nuove discariche e tangenti ai
politici. Sul foglietto sono indicate anche alcune cifre ("500 milioni", "200
milioni"...) con accanto nomi o abbreviazioni ("Form", "Pozzi"...). Chi
è"Form"? Lombardia Risorse. Formigoni è indagato davanti al giudice
delle indagini preliminari per la gestione della società regionale Lombardia
Risorse (un fallimento da 22 mila miliardi). Fondazione
Bussolera-Branca. Formigoni è stato indagato e poi rinviato a giudizio, su
richiesta dei magistrati Alberto Robledo e Fabio De Pasquale, per abuso
patrimoniale d’ufficio nella gestione della Fondazione
Bussolera-Branca, che gestiva un patrimonio di 170 miliardi, poi dirottati
dai suoi amministratori verso impieghi diversi da quelli voluti dal fondatore
(la valorizzazione del patrimonio rurale dell’amato Oltrepò pavese). Da questa
vicenda giudiziaria è uscito penalmente pulito. Restano i fatti: la fondazione è
stata strappata ai suoi gestori (il professor Lancellotti), spolpata e svuotata,
con l'assenso della Regione. Formigoni partecipa nell’aprile 1999 a una cruciale
riunione con l’assessore regionale all’Agricoltura Francesco Fiori, il
funzionario Maurizio Sala, oltre naturalmente al suo braccio destro, Nicola
Maria Sanese, potentissimo direttore generale lombardo. Dopo la riunione, la
Regione emette quattro delibere: alla fondazione Bussolera-Branca è imposto di
rinunciare a tutte le cause che aveva avviato per difendersi dagli attacchi; poi
di modificare lo statuto per far entrare nel consiglio d’amministrazione due
nuovi consiglieri, Giulio Boscagli, cognato di Formigoni, e Niccolò Querci,
all’epoca segretario particolare di Silvio Berlusconi e ora deputato di Forza
Italia.
Presidente
della Provincia di Imperia. Coinvolto nella vicenda del casinò di Sanremo. Vedi
Scajola,
Claudio.
Presidente
della Provincia di Palermo. Avvocato, ex socialista, passa a Forza Italia.
Arrestato per mafia, perché nella sua casa di campagna viene ospitato un boss
mafioso latitante. Assolto. Dopo la morte di Falcone, l'assessore
al Turismo della sua giunta, su sua sollecitazione e col suo consenso,
dichiara: «Stiamo valutando, attraverso lo studio di statistiche, la
possibilità di dimostrare che a causa della strage di Capaci il flusso turistico
in provincia di Palermo ha subito un calo e quindi un danno economico». Fa
pubblicare sui giornali siciliani comunicati in occasione delle commemorazioni
della strage di Capaci in cui non compare mai la parola mafia.
Consigliere
comunale di Milano. In preparazione.
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