Il terrore via web partiva dalla Liguria. Berlusconi il bersaglio principale.
Un magrebino traduceva in arabo i messaggi che poi venivano lanciati in internet con foto e video Informativa riservata dell'intelligence al ministero degli Esteri «Cellula anarchica minacciava il governo con falsi comunicati». Tutto è stato concepito in Liguria. Da una cellula anarchica divenuta motore propulsivo di un episodio clamoroso di guerra informatica: per alimentare timore nella popolazione e per «screditare il governo agli occhi dell'opinione pubblica». Lo sostiene un'informativa riservatissima inviata nei giorni scorsi dai servizi segreti al ministero degli Esteri. Ricostruisce, l'intelligence, i passi di un progetto mediatico articolato e complesso. Una vicenda che intreccia falsi comunicati di minaccia alla notizia (che si è poi rivelata falsa) dell'esecuzione delle due Simona; l'attività di un gruppo anarco-insurrezionalista alla chiusura, da parte dell'Fbi, dei server del sito antagonista Indymedia. Che cosa spiega il documento? Il progetto ruota intorno alle figure di due giovani anarchici. Attenzione: gli 007 italiani sono convinti che non siano né terroristi, né fiancheggiatori delle forze che in Iraq si oppongono all'intervento della Coalizione. Differenti le loro finalità: utilizzare internet per creare, in Italia, un sentimento diffuso di inquietudine e di paura. Una strategia mirata, un bersaglio preciso: il governo Berlusconi. E' la riprova di quanto il ministero ha sostenuto a più riprese. Gran parte dei proclami comparsi sui siti arabi partivano in realtà dall'Italia. Troppo precisi, dettagliati, in alcuni casi, i riferimenti alla situazione politica nel nostro Paese. Il caso eclatante il 22 settembre scorso. Un gruppo islamico afferma di aver ucciso Simona Torretta e Simona Pari, le due volontarie italiane sequestrate due settimane prima in Iraq. L'annuncio è firmato dall'Organizzazione della Jihad; annuncia la morte per decapitazione delle due ragazze rapite dalla sede dell'organizzazione non governativa "Un ponte per...". Ancora il premier nel mirino: «Il governo italiano capeggiato dal vile Berlusconi non ha dato ascolto alla nostra unica condizione, il ritiro delle truppe». La rivendicazione di un omicidio mai commesso compare poco dopo la mezzanotte sul sito Yaislah.org. Sono ore di ansia, di disperazione. Poi il comunicato della Farnesina: «Il messaggio non è attendibile».
Nel frattempo gli 007 indagano. Trovano riscontri e conferme. E individuano nella galassia anarchica gli ideatori del progetto di guerra informatica. Non c'è un solo episodio. Come sempre, il mondo sommerso dell'insurrezionalismo si muove su piani distinti, separati. Anche se la situazione irachena permette di modificare i piani iniziali: non più solo ordigni, non più solo esplosioni, ma il tentativo di condizionare con l'arma del web l'informazione e l'opinione pubblica. Il caso ligure è il più eclatante. Perché non prevede solo la realizzazione di comunicati minacciosi. Il falso, in questo caso, è un video. Gli insurrezionalisti (spiegano ancora gli uomini dei servizi) si trovano però alle prese con due problemi. Il primo: i messaggi devono apparire attendibili. Devono resistere al vaglio degli esperti, almeno per qualche giorno. Secondo: devono comparire su siti arabi, in maniera da accreditarne la veridicità. Senza lasciar traccia.
Poi il contatto. I due anarchici incontrano un magrebino, abita anche lui in Liguria. Accetta di collaborare e la strategia si arricchisce di un nuovo tassello. Non più solo testi. Ma anche la realizzazione di un filmato. Il testo viene stilato e in questa stessa pagina ne riportiamo la versione integrale. Il magrebino lo legge. Ma si rifiuta di comparire nel video: è un volto noto, tra i cittadini islamici che abitano nella sua città. Secondo le informazioni dei servizi segreti il secondo contatto è con due tecnici di Indymedia, il sito della realtà antagonista che ha un'ampia sottosezione italiana. A Indymedia i due anarchici chiedono una consulenza telematica. Ed espongono la loro esigenza: far apparire immagini, audio e minacce scritte sui siti che, apertamente, sostengono le frange più violente dell'estremismo islamico. Qui s'innesta l'episodio, ancora per molti versi misterioso, del sequestro del server principale di Indymedia da parte dell'Fbi. Sono le sei del pomeriggio del 7 ottobre scorso. I federali si presentano alla porta della sede americana di Rackspace; nella filiale europea, in Inghilterra, risiedono i server che ospitano le edizioni locali del sito antagonista, tra cui italy.indymedia.org. Per due macchine scattano i sigilli; gli hard disk vengono sequestrati.
L'informativa dell'intelligence italiana fa specifico riferimento a queste circostanze. Dopo alcuni giorni in cui è fittissimo il mistero su tutta la vicenda, si scopre che la richiesta di sequestro era partita dalla procura della Repubblica di Bologna. L'inchiesta? Quella sulla lunga serie di attentati dinamitardi firmati dalla Fai, la Federazione Anarchica Informale. Un cartello che comprende anche la Brigata Venti Luglio di Genova: ha rivendicato gli ordigni contro la questura e la caserma della polizia di Sturla. Lo stesso ambiente in cui, secondo gli 007, sono stati ideati i falsi messaggi sulla rete. Marco Menduni
PROTESTE DOPO LA CHIUSURA Indymedia, quel server nel mirino dell'Fbi BolognaPolemiche, appelli per la libertà d'espressione, accuse di totalitarismo. Il sequestro dei server di Indymedia, avvenuto nel pomeriggio dello scorso 7 ottobre, ha scatenato un'ondata di proteste. La chiusura del server europeo, in Inghilterra, ha bloccato le pagine internet delle edizioni nazionali, tra cui quella italiana, costretta ad attrezzare in fretta e furia un nuovo sito d'emergenza ridotto all'osso. L'Fbi, dalla ricostruzione dei responsabili del sito no-global, ha agito sulle direttive della procura di Bologna, impegnata nelle indagini sugli anarco-insurrezionalisti. Il pm cercava di individuare gli autori di alcuni messaggi apparsi sul sito. Indymedia, infatti, ospita qualcunque comunicazione giunga al suo indirizzo internet. La mancata convalida del sequestro (giudicato eccessivo rispetto alle richieste del magistrato) ha portato alla restituzione degli hard disk. Indymedia ha spiegato che comunque, per precisa scelta editoriale, è impossibile individuare gli autori dei messaggi. 23/10/2004
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