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Lo Stato contro Guido Chiesa e i Wuming: ancora censura
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Quiz Saturday, Oct. 23, 2004 at 6:02 PM |
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Il film "Lavorare con Lentezza" potrebbe essere ritirato dalle sale
ALL'ARMI 24 ottobre 2004 | wu_ming@wumingfoundation.com Ho ricevuto questa mattina alle 7 una telefonata dall'avvocato della fandango Ludovico Blini: mi ha raccontato di essere stato contattato ieri sera dall'avvocato dello stato Luciana Muscoli la quale gli ha annunciato l'intenzione del Ministero dell'Interno e dell'Alto Comando dei Carabinieri di fare richiesta di risarcimento danni e eventuale sequestro del film avvalendosi della procedura d’urgenza. Questo non appena avranno avuto il benestare del ministero per lo stanziamento del denaro necessario a depositare la somma cauzionale di 2 milioni di euro presso il tribunale di Roma.
Le ipotesi di reato contestate purtroppo non si fermano alla semplice diffamazione a mezzo stama (art. 595 c.p. con aggravante perché l'offesa sarebbe rivolta ad un'autorità costituita dello stato). Ancora più gravi sono le conseguenze del ricorso all'articolo Art. 290 c.p. - Vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze armate (punito con la reclusione da sei mesi a tre anni).
L'avvocato mi ha detto che Guido risulta irrintracciabile per il weekend e lo invito a mettersi in contatto nel caso stesse leggendo queste righe sul sito.
Dopo l'attacco a Indimedia (partito da Italia e Svizzera), è evidente che sia in corso un giro di vite nei confronti di chi produca controinformazione in Italia. Stando alle accuse rivolteci, questo stesso sito, per i materiali che contiene, potrebbe subire il medesimo attacco. E' possibile che nei prossimi giorni cacceremo via qualcosa per non prestare il fianco agli avvoltoi.
Per ora le informazioni sono poche e fumose. Oggi rientro di corsa a Bologna e raccolgo maggiori elementi. Entro domattina postero' un'informativa dettagliata nella sezione news.
http://www.lavorareconlentezza.com/commenti.phpsc
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è vero, circa
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giuliano Sunday, Oct. 24, 2004 at 6:30 AM |
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il post sul sito e' stato smentito, ma o parlato personalmente kon uno degli autori e mi ha detto ke in realta' ci sono delle preokkupazioni in questo senso. kissa' ke il post non sia terrorismo di sbirri. in ogni kaso, visto ke il film tratta da una certa angolazione l'omicidio di lorusso e ci sono allusioni a ordini dall'alto ecc. non mi stupirei se fosse vero. meglio stare all'erta. okkio...
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Uhhhh!!! Carino!!!
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La Gioconda Sunday, Oct. 24, 2004 at 3:52 PM |
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Da http://italy.indymedia.org/news/2004/10/662994_comment.php
Fanno pena loro e il loro film, ma almeno non fanno più danni come quando si chiamavano Transmaniacon o Collettivo "Julius Evola" (cambiano sempre nome per dimenticarsi chi sono...). Becco da Contropotere questa bella commemorazione:
WM1 ci ha dottamente spiegato che Francesco Lorusso non fu colpito alla schiena, ma al petto mentre stava in piedi, fermo, con il peso sul piede sinistro e la mano destra sul fianco. Solo dopo il colpo infatti si girò, accennò qualche passo e cadde al suolo. È stato consultato l’avv. Leone, legale della famiglia Lorusso al processo, e l’autopsia - controfirmata da Leone - smentisce la vulgata o, se si preferisce, la leggenda urbana completamente erronea di un vile colpo alla schiena.
Nulla di meno ci si aspettava da WM1 sempre pronto a rimettere le cose al loro posto e a rettificare le vulgate mendaci. Non è stato WM1 a illuminarci anni fa sull’inesistenza delle camere a gas, a discettare sulle docce nazi (che sarebbero state solo per lavarsi e, al limite, contro i pidocchi), a negare l’esistenza di campi di sterminio nazi?
Certo, la filologia di WM1 si è senz’altro evoluta e ora consulta persino le autopsie, come Leonardo per far sorridere la Gioconda.
Nonostante il miglioramento, potrà scrivere su “Repubblica” e “Unità”, ma si dice che quegli stalinisti del “Manifesto” non accettino alcuna collaborazione da WM proprio per via del loro revisionismo. Sarà solo una vulgata, anzi una leggenda metropolitana!
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Commento:
PRIMA facevano i revisionisti sulle camere a gas, POI (cambiato nome) hanno preso le difese degli storici negazionisti per salvaguardare (con la scusa di Voltaire) la libertà d’espressione in tutte le sue accezioni.... PRIMA fanno tanta filologia visuale su come è morto Francesco Lorusso, POI dichiarano che il film “Lavorare con lentezza” non è un film ‘storico’, ma una reinterpretazione creativa, libera, fantastica del 77. Si prende un dettaglio vero e ci si costruisce intorno un quadro falsificante. Poi lo si pubblicizza con le tecniche della ‘guerriglia informativa’. Beffe ai giornali, autoinsinuazioni vittimistiche, minacce presunte di sequestro, centinaia e centinaia di biglietti gratis con i soldi pubblici... Come si chiama questo? REVISIONISMO. Basta prendere il saggio ispiratore di Francesco Berardi (Bifo) sulla “Nefasta utopia” degli anni 70 per aver chiaro come funziona questo tipo di revisionismo: da una parte la creatività (legittima e vincente), dall’altra la lotta organizzata (nefasta e perdente). Ma se ormai anche la destra difende tutti i “suoi” indifendibili anni 70!!! Ora è in lavorazione un film su i fascisti Mambro e Fioravanti e il regista Francesco Patierno ha dichiarato: “Attraverso la storia di queste due persone vogliamo tracciare un quadro della fine degli anni 70 in cui l'Italia era sull'orlo di una guerra civile”. Quest’ORLO non si vede affatto in “Lavorare con lentezza”. Tutti i compagni escono dal film dicendo: “Sì, è carino”...
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rintronati
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......... Sunday, Oct. 24, 2004 at 5:56 PM |
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se il fake se lo fossero fatti da soli non sarebbe così ridicolo e beffardo, coi nomi stupidini ecc. per capire cos'è successo basta andare nel loro forum, è uno scherzo che qualcuno ha fatto a loro, lo hanno smentito subito, l'hanno buttata in ridere, non hanno dato nessuna forma di amplificazione alla cosa, però c'è sempre il deficientello che ormai è rintronato a colpi di indy e lo stato qui la censura là, che non capisce che lo stato non ti telefona prima per dirti che ti denuncia, per giunta di domenica mattina e che ormai crede a tutto e di più, così legge solo il post senza i commenti, lo copia e lo mette qui sopra, così altri rintronati potranno commentarlo e prendersela coi wm, tirare in ballo cazzate e - grande spauracchio - "MAMMA MIA IL REVISIONISMO!!!!". Sì, l'avvocato "Luciana Muscoli" è revisionismo. Sì, certo, il capo della cospirazione è Bifo, va bene. Sì, sì, le camere a gas, certo. La falsificazione della morte di Lorusso, come no (guai a informarsi e scaricare la ricostruzione dei fatti a cura di Franca Menneas, collaboratrice dell'avvocato Giuseppe Leone che con Gamberini rappresentò la parte civile al processo). Certo, è innegabile, è un film pericolosissimo, fatto da chissà quale potere occulto. I Wu Ming sono gli agenti della reazione mondiale. Voltaire? Pericolosissimo antisemita! Una volta lo hanno visto che stringeva la mano ad Arafat. Tutti uniti nel negare l'Olocausto e nello sporcare la memoria del '77, agli ordini di Bifo e Bin Laden. Una vergogna.
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i WM e il Manifesto
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pablo Sunday, Oct. 24, 2004 at 6:03 PM |
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Veramente, al contrario di quel che ho sentito ripetere qui su Indy diverse volta (con un copia e incolla sempre dello stesso messaggio), il Manifesto ha sempre recensito molto bene i libri dei Wu Ming, non ci voleva mica tanto a verificarlo, su wumingfoundation c'è la sezione "Rassegna stampa". Un esempio:
Da "Il Manifesto", giovedì 25 Gennaio 2001
L'epopea di un combattente ai margini dei sentieri dell'odio Dalla resistenza alle risaie del Vietnam. "Asce di guerra", il libro sulla vita di Vitaliano Ravagli che sarà presentato domani a Roma GERALDINA COLOTTI
Portare alla luce storie dannate, cancellate o rimosse. Scoprire "la rabbia, lo sporco e la dinamite" dietro le frasi fatte ripetute dai pulpiti che consegnano "al presente quello che chiede". Ovvero disseppellire Asce di guerra (Tropea, pp. 376, L. 29.000). Questo l'intento di Wu-Ming, officina collettiva in cui militano alcuni degli autori di Q, ora in libreria con un romanzo (in pochi mesi già alla seconda edizione) incentrato su alcuni episodi in ombra della resistenza e del dopo resistenza. Coautore e protagonista centrale ne è il sessantasettenne Vitaliano Ravagli, il "vietcong romagnolo": partigiano mancato (è ancora un bambino, e poverissimo), comunista "fuori linea" dopo (non sopporta gattopardismi e burocrazie), combattente nelle lotte di liberazione in Indocina degli anni cinquanta. Infine reduce a vita e testimone infastidito delle varie italie succedutesi da allora. In Asce di guerra, dunque, Ravagli racconta. Voce narrante incontrata e raccolta da un'altra voce narrante, quella di Daniele Zani, giovane avvocato bolognese impegnato nella difesa di immigrati in via di espulsione o di altri, consimili, "rifiuti sociali" della città di Vitali e Guazzaloca. Daniele si aggira fra tute bianche, madri "rifondarole" e vecchi (più o meno istituzionali) partigiani. Alla ricerca di una cerniera fra passato e presente, di una memoria priva di oleografie e capace, magari, di spiegargli i centri di accoglienza temporanea, cioè quei lager per immigrati costruiti dagli eredi del partito "che veniva da lontano e andava lontano". Così, egli rimpiange di non aver mai parlato davvero con suo nonno, il partigiano "Soviet", "perché quello che i vecchi ci raccontano dipende anche dalle domande che gli rivolgiamo". E inizia a frequentare gli archivi, a sfogliare libri "noiosi", a raccontare ad amici stralunati di Volante Rossa e di "Triangolo della morte". Chi sono gli uomini che sono dietro delle espressioni divenute quasi impronunciabili? Indesiderati. Spediti a Praga per non disturbare la via italiana al socialismo o reinseriti sottovoce, in un'impossibile acclimatazione fianco a fianco ai fascisti amnistiati dal "Migliore". Fra loro, la storia di Ravagli. Piena di miseria e rancore. E' infilato in Indocina insieme a un piccolo ma consistente drappello di italiani, a combattere (in due brevi riprese) in Laos e in Vietnam a fianco dell'esercito di liberazione. Tutti, però, combattenti "invisibili", guardati con sospetto da quelle formidabili "formiche rosse" che non capivano la loro motivazione, inquadrati nelle pattuglie di irregolari appoggiate dai cinesi. Di fronte, la ferocia dei meo, "bande di ragazzi, quasi bambini, feroci come belve, che ammazzavano, stupravano, bruciavano vivi", indigeni pagati dalla Cia. Il sadismo degli anticomunisti ma anche l'odio, il desiderio e l'esercizio di vendetta che si incistano nell'esercito di liberazione. Alcuni degli italiani muoiono nelle risaie. Ravagli torna dopo meno di un anno, a un passo dall'intossicazione da violenza e tormentato dagli incubi. Questo, in definitiva, è il libro di Wu Ming. Volutamente duro, premeditatamente demistificatorio, responsabilmente ideologico. E pertanto non è un libro "raffinato". Spiacerà ad alcuni degli estimatori di Q (del quale, pure, ripropone la concezione storiografica) ma sarà forse apprezzato dalle aree culturali dell'antagonismo. C'è infatti, alla base del romanzo, un'esigenza di memoria che vien fatta valere nella forma più plausibile per gli "invisibili" di oggi. Il tema dell'irregolarità, di una contro-storia scevra persino dalle illusioni degli indirizzi culturali alternativi al togliattismo, di un'idea di "perdente" meno nobile e più ruvida di quanto abbia prodotto la vena storiografica dell'"altro" movimento operaio. Quando Ravagli racconta le torture dei filo-americani, quando elenca i suoi incubi o il succedersi delle azioni partigiane, siamo fuori da ogni descrizione edificante. Le asce di guerra, secondo Wu Ming, si seppelliscono ai bordi dei "sentieri dell'odio". E il loro disseppellimento è possibile in una moltiplicazione di storie, in un proliferare di "identità frattali", in una successione di link che "infetti" i meccanismi di mercato senza timore di subirne l'effetto di recupero. Wu Ming non è certo Malraux, ma neanche Debord. Chi è dunque? Un collettivo di "senza nome" che gira per centri sociali (in tre mesi è già alla ventesima presentazione) a raccontare perché "le storie vengono prima degli autori". Venerdi 26, alle 19,30 sarà a Roma, ospite del laboratorio culturale del Corto Circuito (via F. Serafini, 57, tel. 067217682), insieme al "Vietcong romagnolo".
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secondo esempio
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Pablo Sunday, Oct. 24, 2004 at 6:04 PM |
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Il Manifesto di venerdì 14 maggio 2004:
La defezione di un supereroe Fuga per la libertà Una storia ai margini dell'Appennino, tra mistero e considerazioni filosofiche sulla crisi della modernità, "Guerra agli umani", un romanzo di Wu Ming 2
Mauro Trotta
Romanzo di "avventura globale", è forse questa la migliore definizione, coniata del resto dallo stesso autore, per cercare di inquadrare Guerra agli umani (Einaudi, pp. 318, € 14,50), esordio da solista di Wu Ming 2, uno dei fondatori dell'omonimo collettivo di scrittura, a cui si devono, tra l'altro, testi del livello di Q - con il nome di Luther Blissett - e di 54. L'assolo del senza nome n. 2 (Wu Ming in cinese mandarino significa "anonimo") in realtà sfugge a qualunque definizione precisa, sospeso com'è tra il romanzo filosofico à la Voltaire, il noir più duro, il pamphlet di denuncia e il romanzo avventuroso più sfrenato. E la narrazione - come negli altri romanzi scritti collettivamente - procede quasi per accumulo, inglobando temi, argomenti, situazioni e personaggi differenti, riuscendo, però, ad armonizzarli in un affresco davvero avvincente. La storia prende l'avvio quando il protagonista, Marco "Walden", abbandona la città e, trasformatosi in "supereroe troglodita", va a vivere in una grotta sull'Appennino. Con sé porta non soltanto oggetti e strumenti utili alla sopravvivenza nei boschi, ma anche marijuana, libri, un portatile con una scorta di pile e un bel po' di cd musicali. Tra gangster, combattimenti fra animali e fra uomini e animali, pseudofacoceri, lupi, bariste rabdomanti che fanno credito solo a chi legge libri, ecoterroristi, survivalisti, bracconieri e cacciatori, si assiste al susseguirsi, all'intrecciarsi e al dipanarsi di storie ed avvenimenti. Il tutto con riferimenti al fumetto, al cinema - geniale la citazione da Il fantasma della libertà di Buñuel - e alla letteratura. Quest'ultima già risuona nel nome del protagonista e nella sua scelta iniziale, scoperto omaggio innanzi tutto al Walden ovvero vita nei boschi di H. D. Thoreau, ma anche, per assonanza e non solo, al Marcovaldo di Calvino. Lo stile riesce a rendere in maniera assolutamente efficace il succedersi di avvenimenti e situazioni, spaziando dal drammatico al comico senza alcuna forzatura e senza far mai allentare la tensione e la suspence. Nella sua varietà di toni e nella sovrabbondanza di avvenimenti e di stilemi sembra avvicinarsi alla geniale felicità inventiva di autori come l'Edgar Rice Burroughs del ciclo di John Carter di Marte o il Philip José Farmer dei cicli dei Fabbricanti di universi o di Riverworld. Il carattere di storia collettiva, proprio del libro, fa sì che la figura di Marco "Walden" non si stagli con assoluta nettezza rispetto agli altri personaggi principali, risultando più come una specie di primus inter pares. La sua centralità, infatti, più che affermata da una sovrabbondanza degli accadimenti che lo riguardano direttamente, viene suggerita proprio dalla scrittura: solo i capitoli a lui dedicati sono scritti utilizzando la prima persona, mentre tutto il resto del libro è in terza persona. Tra tanti spunti e suggestioni che il libro suggerisce, forse la lettura più adatta a comprenderlo è quella politica. I rapporti sociali che emergono, le scelte via via compiute dai personaggi, la loro biografia, infatti, sembrano mettere in scena alcuni delle situazioni e delle categorie fondamentali emerse all'epoca della globalizzazione postfordista. Marco, innanzi tutto, è un tipico rappresentante di quell'intellettualità di massa che si trova a vivere e a lavorare all'interno della precarizzazione più assoluta. Laureato in Scienze religiose con una tesi su Disma, il cosiddeto ladrone "buono" crocefisso insieme a Gesù, ha svolto tutta una serie di lavoretti: lavacessi al cimitero, casellante, telefonista in un call center, operatore di computer. Anche i suoi rapporti sociali sono all'insegna della precarizzazione più assoluta - gli amici gli paiono intercambiabili come i lavori che ha fatto - tanto che l'unica persona che avverte della sua scelta di andare a vivere nei boschi è la sorella. Tale scelta, infine, si caratterizza più come esodo, defezione dalla società che come gesto di lotta, tentativo di creazione di un nuovo modello di vita da contrapporre a quello dominante. Sa benissimo che lo stile di vita comune è destinato al collasso, ma sceglie di esodare semplicemente perché non ce la fa più. Gaia, poi - un incontro in qualche maniera fatale per Marco - che già nel nome ricorda la terra, si caratterizza come una che tenta di resistere. È rimasta a vivere nel piccolo paese sull'Appennino senza trasferirsi in città, come gli altri della sua famiglia. Ha resistito alle mire dei fratelli che volevano vendere la libreria fondata dal nonno e l'ha trasformata in un bar, dove, però, ci sono ancora libri e dove, soprattutto, si fa credito a chi legge. Ci sono, poi, vari immigrati extra-comunitari, figure centrali nel romanzo come nel panorama della post-modernità: da chi è costretto a lavori sottopagati e degradanti, ma che comunque mantiene tutta la propria dignità e fierezza, a chi si è perfettamente integrato alla mentalità vincente e, grazie alle proprie idee e alla propria creatività, è riuscito a diventare un boss di un certo livello e a capeggiare la malavita locale. E quel tipo di società a cui il supereroe troglodita tenta di sfuggire - come egli stesso scoprirà ben presto - è assolutamente presente e dominante anche al di fuori della metropoli. Cantieri che devastano il territorio, un tipo di malavita che sembra incarnare le forme di capitalismo più avanzato con la propria capacità di estrarre profitto dall'entertainment e di instaurare stretti rapporti con il potere politico e con la borghesia benpensante, lo stesso irrompere della televisione ben presto incrociano il percorso di Marco, costringendolo a trasformarsi davvero, suo malgrado, in una sorta di supereroe, ad intervenire, cioè, e a ripensare il suo assunto fondamentale: "Nessun luogo vale un assedio". Anche perché se all'epoca della società disciplinare era possibile sottrarsi, andare via, oggi, nella società di controllo, non sembrano esistere più luoghi nei quali sottrarsi, appunto, al controllo. Da notare, infine, che l'uscita del libro è stata ritardata per scelta dell'autore che ha voluto che fosse stampato con carta riciclata ecosostenibile.
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terzo esempio
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pablo Sunday, Oct. 24, 2004 at 6:07 PM |
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da "Alias" (supplemento a Il Manifesto) del 24 aprile 1999:
RANDAGI HACKER ANABATTISTI
"Q", la generazione web di fronte alla storia "grande e terribile"
di Paolo Cassetta
C'e' ancora spazio per la storia "grande e terribile" nel romanzo contemporaneo? C'e' la possibilita' di parlarne *esplicitamente* (e di rivendicarlo con orgoglio) senza riproporre la psicologia degli eroi di Malraux, o la condanna della Morante verso il mondo della Guerra e degli Uomini? L'autore di Q (Einaudi "Stile libero", pp. 651, L.26.000) risponde di si'. E lo fa con uno sterminato romanzo ambientato nel Cinquecento europeo, in cui i protagonisti reali sono due: il mattatoio universale della Weltgeschichte e la coscienza disincantata del sovversivo contemporaneo, orfana di partiti e ideologie, ma nemica dello stagno del presente.
Q e' infatti una "calda", benche' calcolata, operazione di mitopoiesi. Che si snoda lungo quattro decenni del sedicesimo secolo, proponendo l'anonima e straordinaria odissea di un ex studente di teologia di Wittenberg, compagno di Muentzer nella guerra dei contadini del 1524-25, attivo nella repubblica anabattista di Muenster del 1534-35, impegnato in una colossale truffa ai danni dei banchieri Fugger fra il 1538 e il 1544, e coinvolto infine nei sussulti ereticali dell'Italia della Controriforma, dove la predicazione eterodossa si incrocia con le lotte per la successione a Paolo III, e dove la stampa di libri proibiti e' un fattore dell'esito del Concilio di Trento e delle possibilita' di riavvicinamento fra cattolici e luterani.
Uno scenario di ferro e di fuoco. E un teatro di passioni, dispute teologiche e atroci sconfitte, che oltretutto fa affiorare una domanda. Chi e' Q? Chi e' la spia che, con le sue false informazioni, ha condotto Thomas Muentzer al massacro di Frankenhausen e, con la sua infiltrazione nella citta' assediata, ha favorito il tracollo delirante delle repubblica di Muenster?
La storia non si riduce a complotto. Ma la storia e' *anche* complotto, se e' vero che Q agisce per conto del cardinale Gian Pietro Carafa (futuro Paolo IV) e che il "Grande Vecchio" del Sant'Uffizio appare come l'anima nera e quasi il burattinaio di un intero periodo storico. Il quadro allora si complica. C'e' la genuina spinta escatologica di Muentzer e degli anabattisti del decennio successivo, ma c'e' anche il gioco sottile di provoazioni e tranelli messi in atto da Q. C'e' la rivoluzione che divora se stessa nell'avvitarsi finale della repubblica di Muenster, ma c'e' anche l'elemento del caso e di uno scarto diverso e imponderabile che la Storia puo' prendere in qualsiasi momento. La sequela di metamordosi a cui il protagonista e' costretto per restare fedele al suo destino e scoprire l'identita' della spia, e' allora l'atto piu' estremo di liberta nei confronti del poliedrico e inafferrabile disegno del potere. "La mente degli uomini compie strane evoluzioni e non esiste un piano che possa comprenderle tutte", si trova scritto nel finale del libro. Ma non diremo chi sara' a pronunciare queste parole. Un congegno narrativo ha pure i suoi diritti, e Q e' romanzo che vuole e sa avvincere il lettore, promettendogli in ogni caso una soluzione inaspettata.
Le cose essenziali da sapere sul libro sono del resto ormai note. Si sa che dietro il multiple name di Luther Blissett c'e' un giovane autore collettivo che ha lavorato duro sul XVI secolo, ossessionato tuttavia molto piu' da James Ellroy che dagli studi di Gastaldi sull'anabattismo o dalle ricerche di Cantimori sugli eretici italiani del Cinquecento. Si sa d'altra parte che intenzione degli autori era di opporsi al minimalismo psicologista imperante, e che, allo scopo, hanno voluto e saputo correre il rischio di una contaminazione di generi, sgradita forse ai palati piu' fini, ma egregiamente riuscita sul piano letterario. A questo punto, aprire il capitolo dei paragoni col Nome della rosa risulterebbe alquanto futile.
Piu' interessante, invece, e' interrogarsi sul tema profondo del libro, che sembra il corpo a corpo con la Storia ingaggiato da una parte delle nuove generazioni, nel tentativo di fare i conti con un secolo (il nostro, non quello di Thomas Muentzer) il cui bilancio pare amarissimo e la cui memoria giace inconsolata.
E' chiaro infatti che il Cinquecento di Q mette in forma un sentimento interessante e indicativo. La lotta di chi ci ha preceduto va rivendicata.
E' lotta "nostra" ed e' lotta nobile, a dispetto del carico di orrori, fanatismi e ingenuita', di cui si e' rivestita per molteplici ragioni. Ma occorre "un bagaglio leggero". Occorre molta velocita' e capacita' di scarto. Occorre talvolta sedurre i potenti e in ogni caso non proseguire l'azione secondo un piano. Questo e' il bilancio di Luther Blissett. Un fuck the power che puo' convincere o meno, ma che, nel romanzo, ha il merito di intrecciarsi con un'altra importante corrente emotiva: quella della difesa degli enrages di tutti i tempi, quella della rivendicazione persino provocatoria delle "mani sporche" e della colpa necessaria all'azione storica. Cosi', Muentzer trascolora in Robespierre e giunge a lambire il nostro passato recente. Batte un cuore hegeliano, in questi hacker della storia.
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Il "collettivo Julius Evola"
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Marco C. Sunday, Oct. 24, 2004 at 6:25 PM |
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Non è mai esistito nessun "collettivo Julius Evola", e men che meno è stato un nome dei transmaniaci! La vera storia è questa: durante la Pantera, a Lettere di Bologna, tutte le sere qualcuno diceva: "Ho visto dei fasci all'inizio di via Zamboni, secondo me stasera ci attaccano", e non era mai vero un cazzo. La preoccupazione ingenua era: "Come ci comportiamo, adesso che ci siamo definiti non-violenti?". Alcuni occupanti che si definivano "Ala dura e creativa di Lettere occupata" fecero uno scherzo, e produssero la locandina (rozzamente fotocopiata) di un presunto "Centro di studi oltremarxisti Julius Evola", che indiceva una conferenza DENTRO la facoltà occupata! Ci furono reazioni fobiche pazzesche, poi quegli occupanti rivelarono che era uno scherzo, e la cosa finì lì, tra le risate. Più di 14 anni dopo, qualcuno tira fuori quel vecchio, marginalissimo episodio e lo falsifica x polemiche senza senso. allora, chi sono i veri revisionisti?
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La lingua batte dove il dente duole?
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La Gioconda Sunday, Oct. 24, 2004 at 9:18 PM |
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La lingua batte dove il dente duole? Non c’è nulla di particolare nel revisionismo, è una tecnica all’altezza dei tempi: si mette il dettaglio in primo piano, lo si isola, lo si ingrandisce, e tutto il resto si spera che non si veda più (ma c’è o c’era, e l’esperienza immediata filtra al di sotto del controllo sulla memoria ecc.). A me non piace il revisionismo, credo sia un’operazione estetizzante (un’estetizzazione della politica), ma insomma non è una tragedia, di questi tempi. Non mettetevene per il passato in cui eravate confusi, ma per quello che fate ora, o fra dieci anni dovrete ripetere: - In quell’anno, il 2004, ero molto confuso... -. Qualche imprecisione posso anche averla commessa riguardo al Collettivo Julius Evola, perché alcune cose le ho sentite raccontare... Non si trattava però di una campagna contro “l’antifascismo militonto”? Comunque alcuni files revisionisti di Trasmaniacon li ho letti (dico quelli sulle camere a gas) e ci trovo una continuità di stile, di tecnica di montaggio. Lo stesso si dica per il vecchio libro di Berardi Bifo, La nefasta utopia di Potere operaio. Se non è revisionismo, che cos’è? E mi sembra di poter dir questo: una volta il revisionismo di sinistra funzionava (ad es. per lanciare LB/WM sulle ceneri del movimento che fu), ma ora non funziona (per costruire memoria). Il film è sterile. Abbiamo bisogno di intelligenze pericolose, non di creativi da due soldi con le loro piccole nevrosi da scheletri multipli nell’armadio. A proposito: chi è Rudi?
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La lingua batte dove il dente duole?
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Gioconda (La) Sunday, Oct. 24, 2004 at 9:26 PM |
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La lingua batte dove il dente duole?
Non c’è nulla di particolare nel revisionismo, è una tecnica all’altezza dei tempi: si mette il dettaglio in primo piano, lo si isola, lo si ingrandisce, e tutto il resto si spera che non si veda più (ma c’è o c’era, e l’esperienza immediata filtra al di sotto del controllo sulla memoria ecc.). A me non piace il revisionismo, credo sia un’operazione estetizzante (un’estetizzazione della politica), ma insomma non è una tragedia, di questi tempi. Non mettetevene per il passato in cui eravate confusi, ma per quello che fate ora, o fra dieci anni dovrete ripetere: - In quell’anno, il 2004, ero molto confuso... -. Qualche imprecisione posso anche averla commessa riguardo al Collettivo Julius Evola, perché alcune cose le ho sentite raccontare... Non si trattava però di una campagna contro “l’antifascismo militonto”? Comunque alcuni files revisionisti di Trasmaniacon li ho letti (dico quelli sulle camere a gas) e ci trovo una continuità di stile, di tecnica di montaggio. Lo stesso si dica per il vecchio libro di Berardi Bifo, La nefasta utopia di Potere operaio. Se non è revisionismo, che cos’è? E mi sembra di poter dir questo: una volta il revisionismo di sinistra funzionava (ad es. per lanciare LB/WM sulle ceneri del movimento che fu), ma ora non funziona (per costruire memoria). Il film è sterile. Abbiamo bisogno di intelligenze pericolose, non di creativi da due soldi con le loro piccole nevrosi da scheletri multipli nell’armadio. A proposito: chi è Rudi?
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La lingua batte dove il dente duole?
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Gioconda (La) Sunday, Oct. 24, 2004 at 9:28 PM |
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La lingua batte dove il dente duole? Non c’è nulla di particolare nel revisionismo, è una tecnica all’altezza dei tempi: si mette il dettaglio in primo piano, lo si isola, lo si ingrandisce, e tutto il resto si spera che non si veda più (ma c’è o c’era, e l’esperienza immediata filtra al di sotto del controllo sulla memoria ecc.). A me non piace il revisionismo, credo sia un’operazione estetizzante (un’estetizzazione della politica), ma insomma non è una tragedia, di questi tempi. Non mettetevene per il passato in cui eravate confusi, ma per quello che fate ora, o fra dieci anni dovrete ripetere: - In quell’anno, il 2004, ero molto confuso... -. Qualche imprecisione posso anche averla commessa riguardo al Collettivo Julius Evola, perché alcune cose le ho sentite raccontare... Non si trattava però di una campagna contro “l’antifascismo militonto”? Comunque alcuni files revisionisti di Trasmaniacon li ho letti (dico quelli sulle camere a gas) e ci trovo una continuità di stile, di tecnica di montaggio. Lo stesso si dica per il vecchio libro di Berardi Bifo, La nefasta utopia di Potere operaio. Se non è revisionismo, che cos’è? E mi sembra di poter dir questo: una volta il revisionismo di sinistra funzionava (ad es. per lanciare LB/WM sulle ceneri del movimento che fu), ma ora non funziona (per costruire memoria). Il film è sterile. Abbiamo bisogno di intelligenze pericolose, non di creativi da due soldi con le loro piccole nevrosi da scheletri multipli nell’armadio. A proposito: chi è Rudi?
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Chi sono i veri revisionisti?
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Carrol Thursday, Dec. 16, 2004 at 7:57 AM |
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I veri revisionisti "di sinistra" sono Violante con il suo riconoscimento dei "ragazzi si Salò", ma anche quei furbetti (o coglioni)che nei movimenti hanno fatto un'operazione parallela, come il collettivo transmaniacon e le sparate contro il "mito" delle camere a gas. E guarda caso, si distinguono tutti quanti per la pratica di cambiare il "nome collettivo": PCI, PDS, DS in palamento, Transmaniacon, Luther Blissett, Wu Ming nel movimento... Il vento cambia, e loro girano...
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Sulle fonti: una domanda alla Gioconda
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Jo Condor Thursday, Dec. 16, 2004 at 5:10 PM |
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Cara Gioconda, nel tuo commento "Uhhhh!!! Carino!!!" citi "Contropotere", come se fosse un organo che conoscono tutti. Ma forse perchè le mie condizioni di vita e di lavoro non mi permettono di frequentare spesso i luoghi di ritrovo, non so niente di questo giornale? foglio? rivista? Dalla tua brave citazione mi sembra interessate. Chi lo edita? Dove si può comprare? Insomma vorrei qualche informazione su quest'organo che canta fuori dal coro delle marchette melense su Wu Ming che inondano questo forum. Grazie
Jo Condor
PS: Ho scelto uno pseudonimo ispirato alla Gioconda perché il paragone con Leonardo mi ha intrigato.
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