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Diaz- "Blue Sky"
by lucignolo Tuesday, Dec. 07, 2004 at 1:13 AM mail:  

Chi non ha memoria del passato e' costretto a ripeterlo.

Alla Diaz quella notte non ci fu alcuna resistenza e violenza a pubblico ufficiale, lesioni personali ai danni dei poliziotti ne' detenzione di oggetti atti a offendere. La «brutale e gratuita violenza della polizia» fu del tutto immotivata. Smentita la versione dei fatti contenuta nei verbali di polizia il giudice decidera' l'archiviazione del procedimento contro i 93 no global che furono arrestati durante l'irruzione alla scuola la notte del 21 luglio del 2001 durante il G8.

La decisione verra presa dal Gip (giudice per le indagini preliminari) Anna Ivaldi (maggio 2003) che nel suo provvedimento scrive:
"La sola ricostruzione possibile sulla base degli atti di questo procedimento di quanto accadde alla Diaz nella notte 21-22.7.01 è quella che di fatto esclude che gli indagati abbiano posto in essere atti di resistenza", perché "quanto dagli stessi dichiarato non ha trovato smentita"

«Un'importante conferma della versione degli indagati proviene proprio dalle dichiarazioni di molti operatori di polizia. A tale proposito bisogna premettere che esse, pur non consistendo in vere e proprie ammissioni, hanno però un particolare valore, in quanto chi le ha rese ha in sostanza smentito la versione dei fatti contenuta nei verbali; è quindi arduo ipotizzare che la scelta di rendere tali dichiarazioni sia stata ispirata da altro che dal rispetto della verità»

"Dei funzionari di polizia sentiti i soli a riferire di atti di resistenza sono alcuni appartenenti al reparto mobile ma, a fronte di tali dichiarazioni, vi sono quelle di altri poliziotti dello stesso reparto che li negano mentre affermano di avere, invece, constatato che molti di coloro che poi vennero arrestati presentavano lesioni"

"i funzionari interrogati hanno reso versioni discordanti circa l'ingresso nella scuola, tutti attribuendo ad altri di esservi entrati per primi"

Il castello di denunce costruito contro i manifestanti, massacrati di botte ed arrestati nel corso del famigerato blitz alla Diaz, crolla in maniera definitiva e si ritorce su una piccola parte dei poliziotti che nel luglio 2001 picchiarono, imprigionarono e sottoscrissero verbali falsi. (
"le firme sono illeggibili" - "la circostanza che siano emersi elementi che hanno indotto il pm a ipotizzare il reato di falso in relazione ai verbali...esclude che da tali verbali possa desumersi alcuna certezza circa l'effettivo svolgimento dei fatti" )

Il tredici Dicembre 2004 il gup Daniela faraggi deciderà se accogliere - e in che termini - la richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Genova, che vuole processare 29 tra superpoliziotti, funzionari e alcuni dirigenti dell'antiterrorismo, imputati per reati di falso, calunnia e lesioni gravi in concorso.

Preveggenza
Una comunicazione (
Acquisita agli atti dalla Procura) partita quella sera dalla questura al servizio di emergenza medica «118», dimostra la preveggenza della polizia che prima ancora di sfondare alla Diaz già chiedeva di inviare in via Cesare Battisti «diverse» ambulanze.


"Blue sky"

I pm l'hanno ribattezzato "Blue sky". E' un filmato (
di Primocanale, una rete televisiva genovese) che sbugiarda in maniera clamorosa i vertici della Polizia di Stato e sottolinea un dato di fatto: il falso e la calunnia, almeno nella redazione del verbale di arresto dei 93 no-global e di sequestro delle fantomatiche armi, ci sono stati.
Nel filmato si vede un capannello di poliziotti : sulla sinistra si riconosce il braccio destro di La Barbera, Giovanni Luperi che regge un sacchetto celeste (da cui fu coniato il termine blue sky per il filmato) che sta parlando con Spartaco Mortola, l’ex capo della DIGOS genovese.

Qualcuno che regge un casco con l'altra mano apre il sacchetto, i presenti guardano all'interno. Luperi parla al cellulare, sembra quasi chiedere consiglio al suo interlocutore.

Luperi risponde a una telefonata del suo superiore, il prefetto Arnaldo La Barbera (terza conversazione tra i due dopo quelle delle 00.33 e 00.38), l'unica contestuale a quella effettuata da un altro funzionario ripreso dalla telecamera, ore 00.38, durata dieci minuti.

Il telefonista del film e' Giovanni Luperi
ex vice Ucigos poi dirigente della polizia di prevenzione, oggi alla guida della task-force antiterrorismo dell’Unione europea", da indagato ( interrogatorio del 12 giugno del 2002) riferisce: «Ho visto due molotov conservate in un sacchetto di plastica, non ricordo chi avesse in mano il sacchetto e non so dove le avessero trovate». Il 25 luglio si avvale della facoltà di non rispondere.

Il sacchetto, che contiene le false bottiglie molotov gira di mano in mano, tra molti dirigenti presenti sul posto. «Io mi ricordo:vengo chiamato al telefono e mi rimane in mano questo sacchetto di bottiglie. Sono rimasto abbastanza inopportunamente con il sacchetto in mano». A chi consegnarle? «Quando ho finito la telefonata mi sono reso conto che ero rimasto solo con questo sacchetto, perché il gruppo che era lì si era dissolto e allora ho cercato qualcuno».
(La persona cui vengono consegnate le molotov è la dottoressa Mengoni della Digos di Firenze.)


«Stupidamente forse ho voluto verificare questo sacchetto e me lo sono trovato in mano».
«Voglio fare una premessa: io sono andato lì e non volevo andarci, solo perché c'è andato il prefetto La Barbera». «La Barbera sparisce e io rimango senza macchina. Beh, dico, mi porteranno indietro quelli della Digos, ma Mortola (l'ex capo della Digos genovese, ndr) sparisce e io rimango senza macchina, a quel punto senza nemmeno l'ausilio delle Digos».

«Le ho viste, queste due bottiglie molotov, stese su uno striscione. Ritengo che fosse un qualche suggerimento ad uso stampa. Qualcuno aveva intenzione di far riprendere le immagini fotografiche del materiale sequestrato all'interno della Diaz».


«Se ho commesso un errore è di non essermi reso conto di quello che era successo lì dentro, se ho una cosa di cui mi devo rammaricare è proprio questa»

«Mi sono assunto alcune responsabilità che a mio avviso non mi competevano, cercare di dare un minimo di organizzazione nel bailamme in cui nessuno capiva più nulla; poi ho raggiunto il mio referente (La Barbera) e da quel momento ho smesso di interessarmi a tutta la vicenda»

Il pm Zucca suggerisce: «Lei parla degli "equipaggi misti"( per rastrellare le strade della città), i cosiddetti pattuglioni». Luperi: «Furono costituiti la sera del 21». Da chi? Luperi: «Gratteri mi disse che si era messo d'accordo con la Barbera». Zucca: «La Barbera quale ruolo avrebbe avuto in questo?». Luperi: «Non lo so, così mi disse Gratteri ».

Francesco Gratteri, allora dirigente Sco, uno dei dirigenti indagati,( "Secolo XIX"31 settembre) "La cosa che mi stupì- ha riferito ai pm - fu, a distanza di brevissimo tempo dal mio arrivo, l' arrivo delle telecamere e dei fotografi. Tant' è che mi arrabbiai con qualcuno, non tanto per la presenza delle telecamere, quanto per il fatto che la loro presenza richiamava i ragazzi che stavano sopra, come se stimolasse, la presenza delle telecamere, quei ragazzi a protestare vivacemente".

la scena delle false molotov

Così argomenta Francesco Gratteri, capo dell'Antiterrorismo, uno dei poliziotti più noti e potenti, l'uomo che ha arrestato le nuove Brigate Rosse ma anche quello che rappresentava il Ministero dell'Interno nella notte della Diaz.

Di fronte ai sospetti di essere in qualche modo coinvolto nei falsi, Gratteri s'infuria ancora: «La persona che ha sfondato il quadro di Bagarella contro la parete l'ho m andata a casa, dopo che non dormiva da tre giorni e da tre notti, perciò io non le faccio queste cose e non le fanno quelli che stanno con me». «Se delle persone volutamente e secondo un progetto hanno sistemato delle bottiglie molotov o degli altri strumenti di reato, o strumenti con cui sono stati commessi reati, sotto i miei occhi questo non è accaduto. Però condivido: certe cose dovevano essere sicuramente fatte meglio. Non riesco a controllare tutto contemporaneamente. Non riesco a controllare quello della squadra mobile, del reparto mobile o dello Sco che piglia le bottiglie e le porta là, questo è il problema »

L'attuale numero uno dell'antiterrorismo osserva il filmato che riprende la scena: «Non ho assolutamente ricordo». Il pm: «E' il momento più significativo del rinvenimento di queste bottiglie». Gratteri: «Guardi, io questo non lo ricordo ». «Io questa scena non la ricordo, guardi». «Probabilmente sono passate in mano a tutti, voglio dire che possono essere passate pure in mano a me, dico io».

Franco Gratteri, uomo di punta della lotta alla mafia e pupillo di De Gennaro, fa la figura di quello che c'era ma forse dormiva: tutta colpa dei celerini, dice Gratteri, perdendo tempo solo a spiegare della squadretta da lui mandata "per errore" al Media center della scuola di fronte (computer distrutti, hard disk trafugati...) e a correggersi come può dopo la visione del filmato che lo inquadra a pochi metri da Gilberto Caldarozzi (suo vice) che confabula con Luperi con la busta in mano (manifesto del
7 gennaio 2003)

Gratteri non sa indicare chi abbia ritrovato le molotov. Quando ammette che nessuno ha cercato, in quel frangente, di capirlo. Il magistrato: «Non è possibile, non è possibile. Consultati tutti i funzionari, praticamente li abbiamo interrogati tutti, nessuno è in grado di dirci chi ha trovato e che cosa». Gratteri: «Posso essere d'accordo sul fatto che questo non sia decoroso».

«Ricordo che quella sera ho fatto un paio di telefonate a Manganelli (vicecapo della polizia), una per riferire su quanto stava accadendo e sulla presenza dei feriti, una per riferire della presenza delle molotov (...) Troiani l'ho
riconosciuto sul giornale e davo per scontato il ritrovamento durante la perquisizione (...) (interrog. 30 luglio 2002)


Qualcosa di anomalo e' successo

....ci sono episodi già denunciati di comportamenti anomali?
«A me personalmente non risulta. E’ ovvio che qualcosa di anomalo è successo, ma si sta indagando. Da quel che mi hanno detto anche la resistenza è stata lunga, organizzata e accanita. Non credo che sia possibile, come dice qualcuno dei ragazzi, che dentro la scuola dormissero tutti quando è stata fatta l’irruzione. E’ stato tale il frastuono fatto per superare la resistenza fuori, fra lanci di bottiglie, pietre e cancelli sbarrati, che la gente si è svegliata anche nei condomini di fronte».

«L’intervento è stato sicuramente troppo energico. E degli eccessi probabilmente ci sono stati. Qualcuno, a livello singolo, può aver fatto delle fesserie o essersi abbandonato a episodi di esagerazione gratuita. Ma di sicuro non si può parlare di un’azione di massa né si può dire che è stata richiesta dal vertice».

Notizie ne' vere ne' false, verosimili...

<>


Verosimilmente gli antefatti dell' irruzione

<
Nell'occasione, il personale notò la presenza di numerose persone verosimilmente riconducibili ai cosiddetti black bloc. Rientrato in questura - ed è stato fatto rientrare da me -, il funzionario mi riferì l'episodio che in quel momento poteva connotarsi anche per aspetti di ordine pubblico e, nel rispetto delle competenze che ho già precisato, provvidi ad accompagnare il dottor Di Bernardini perché riferisse l'episodio al questore di Genova.

Nella stanza del questore di Genova si trovavano anche altri dirigenti, tra i quali il prefetto Andreassi, il prefetto La Barbera, il collega Luperi, il dottor Murgolo ed altri funzionari. Il questore, sentito il racconto del dottor Di Bernardini, attivò il dirigente della DIGOS, dottor Mortola, che, a seguito di un suo personale sopralluogo, appena rientrato in ufficio riferì di avere constatato la presenza in via Battisti di persone verosimilmente riconducibili ai cosiddetti black bloc. Lo stesso dottor Mortola in merito riferì di aver avuto un contatto telefonico con un rappresentante del Genoa social forum, che permise di acquisire ulteriore contezza che presso la scuola era possibile una infiltrazione di elementi non conosciuti al Genoa social forum, anche per la confusione conseguente alla partenza di migliaia di manifestanti, dopo la conclusione del corteo del pomeriggio.


Nella circostanza si decise, con il questore e con gli altri dirigenti citati, di procedere ad una perquisizione a norma dell'articolo 41 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, per la ricerca di armi che, com'è noto, furono poi rinvenute: mazze di ferro, coltelli, bottiglie molotov. Si stabilirono pertanto le modalità di intervento perché all'operazione prendessero parte il reparto mobile di Roma, il personale della DIGOS e della squadra mobile di Genova, nonché del reparto prevenzione e crimine dei carabinieri. Hanno concorso all'atto di polizia giudiziaria anche 60 dei 482 uomini a mia disposizione, dei quali soltanto sette appartenenti al Servizio centrale operativo, guidati da sei funzionari.

Con il dottor Caldarozzi e una aliquota del personale del Servizio centrale operativo che ho già detto, sono giunto in via Battisti quando già i reparti avevano fatto ingresso nella scuola e non ho pertanto cognizione diretta delle fasi della irruzione. Il personale del Servizio centrale operativo e delle squadre mobili ha cooperato all'attività di perquisizione e di individuazione delle persone presenti. Il verbale di perquisizione e di arresto è stato quindi trasmesso, con la sottoscrizione degli operanti, all'autorità giudiziaria di Genova dalla squadra mobile e dalla DIGOS di quella questura. >>

Per sbaglio, casualmente....

Da diversi rapporti -trasmessi da Canterini-risulta anche che già alle 21,30 erano stati tutti allertati per un'operazione da compiere intorno alle 22,45-23. Lei dice che intorno alle 21,30, casualmente, si è verificato questo fatto che poi ha dato luogo, al ritorno del dottor Di Bernardini in questura, ad una serie di riunioni, e così via. Vi è incongruenza tra questi tempi, perché se il fatto è avvenuto alle 21,30, non è possibile che alla stessa ora già fosse stato previsto. Addirittura, i giornalisti affermano di essere stati preavvisati alcune ore prima che sarebbe successo qualcosa del genere. (componente commissione parlamentare sul G8)

<
Gratteri ha poi ribadito che la polizia è entrata per sbaglio nel Media Center del Genoa Social Forum (dentro la scuola Pascoli, di fronte alla Diaz) … e appena Gratteri saputo dell' irruzione lì, aveva ordinato ai suoi uomini di ritirarsi. Non ha spiegato, però, come mai nello 'sbaglio di irruzione' i solerti agenti hanno provveduto a distruggere gli hard disk dei computer del Genoa Legal Forum, dove guarda caso cominciavano ad essere registrate le denuncie e i racconti delle violenze subite dai manifestanti in quei giorni.

Se dovessi impostare un'indagine su quanto accaduto alla Diaz partirei dal dato che a provocare il caos dentro la scuola potrebbe essere stato qualcuno del reparto mobile o di altri reparti, così come l'episodio dell'accoltellamento simulato (...) Penso anche che l'episodio delle bottiglie sia stato montato per giustificare quanto accaduto dentro la
Diaz. (...) sarebbe importante determinare chi abbia comandato a Troiani di venire alla Diaz».( Gratteri interrog. 30 luglio 2002)

"Oggi forse non ripeterei quello che ora forse ritengo un errore, e cioè essermi recato là"

Qualcuno ha esagerato

«Io penso che l'episodio dell'accoltellamento simulato sia stato determinato dal fatto che qualcuno ha esagerato... Che l'episodio dell'accoltellamento potesse in qualche maniera parare, giustificare, coprire l'eccesso di violenza usato»


"Ma chi c'era alla scuola?" "Chi c'era?",
risponde il poliziotto con un sorriso ironico, "c'erano Minnie, Pippo e Topolino"

e anche Gilberto Calderozzi, capo e vice capo dello Sco, insieme con una dozzina dei loro uomini, si trovavano nel bel mezzo dell'azione...
"Verso le 22 una macchina della polizia viene bersagliata da un lancio di oggetti provenienti dalla scuola. Uno degli agenti a bordo chiama subito un suo amico che si trova in via Trento, la via cioè che passa proprio dietro alla sede del Gsf. L'amico in questione è Gilberto Caldarozzi che, in quel momento, sta effettuando dei "controlli" insieme a sette/otto agenti dello Sco. Questo fatto viene confermato da Lalla. Ma che ci faccia Caldarozzi in via Trento resta ancora un mistero: lo Sco, secondo il piano di sicurezza, doveva occuparsi della zona rossa e non del pattugliamento
delle strade" (da il manifesto del 3 agosto 2001)

Mezza ammissione

"Devo anche ammettere, per onor di verità, una cosa che è stata detta in quest'aula. Dal momento che allo SCO era stato demandato di verificare all'interno della zona rossa eventuali disservizi, come mai lo SCO stava al di fuori di essa? Una delle domande che mi ha fatto l'ispettore Micalizio è stata la seguente: tu sapevi che lo SCO stava al di fuori? Io ho risposto di no; egli ha detto che il questore avrebbe dovuto saperlo ed io ho accettato il rilievo " (Francesco Colucci questore - Audizione )


Alle ore 22.20 circa del 21 luglio venivo informato che

Parla il questore Francesco Colucci

"Alle ore 22.20 circa del 21 luglio venivo informato che, mentre transitavano in via Cesare Battisti al comando di un funzionario della squadra mobile di Roma, alcune pattuglie miste della «mobile» e DIGOS (Divisione investigazioni generali e operazioni speciali) erano state oggetto di una aggressione con lanci di pietre e bottiglie nonché a mezzo di calci inferti alle auto, un'aggressione messa in atto da più di cento persone, molte delle quali vestite di nero. Nella circostanza nel mio ufficio erano presenti, tra gli altri, il vicecapo vicario della polizia, prefetto Andreassi, il direttore centrale della polizia di prevenzione, prefetto La Barbera, il dirigente superiore Luperi, il dirigente superiore Gratteri, direttore del servizio centrale operativo.
Il dirigente della DIGOS fece subito presente che in via Cesare Battisti vi erano degli studi scolastici concessi al Genoa social forum da comune e provincia per insediarvi il centro stampa: nella circostanza si ritenne utile incaricarlo di compiere un attento sopralluogo.(...)


come di consueto, la raccomandazione impartita a pagina 179

"Alle ore 23 circa, all'interno della sala riunioni della questura, si svolse una riunione operativa cui presenziai insieme al prefetto La Barbera e nella quale ebbi modo di ribadire a tutti, come di consueto, la raccomandazione impartita a pagina 179 della mia ordinanza del 12 luglio di improntare l'attività alla massima moderazione, cautela e prudenza. Preciso di aver lasciato la riunione prima che fosse terminata la discussione sulle modalità operative dell'attività. Alle ore 23,30 l'operazione aveva inizio secondo modalità sulle quali ritengo non poter al momento fornire valutazione alcuna, trattandosi, come già sostenuto, di materia oggetto di approfondita indagine giudiziaria. "

Aggiungo che circa un'ora dopo - a fronte delle notizie che si ricevevano dai funzionari sul posto tramite comunicazioni telefoniche e che riferivano di una situazione assai delicata per l'ordine e la sicurezza pubblica all'esterno dell'edificio scolastico - disponevo l'invio di ulteriori contingenti dell'Arma dei carabinieri, sotto la direzione del vicequestore vicario dottor Calesini, allo scopo di fronteggiare eventuali intemperanze verso il personale impegnato nell'operazione di polizia giudiziaria da parte di una folla di persone che si andava radunando sulla strada. "

Credo che vi fosse una linea di comando....

"FRANCESCO COLUCCI, Questore. Si sono recati diversi funzionari alla scuola Diaz, circa venti, venticinque. Io sto parlando dei due funzionari della questura di Genova, il dirigente della squadra mobile ed il dirigente della DIGOS. Per quanto riguarda la squadra mobile sono andati il dottor Gratteri, direttore dello SCO, il dottor Caldarozzi ed altri funzionari che erano a Genova aggregati alla squadra mobile. Io volevo mandare anche il dottor Lapi come funzionario mio referente diretto, ma in quella riunione mi venne ricordato che il dottor Lapi era stato ferito durante la manifestazione; va a suo merito che egli, nonostante fosse ferito, sia tornato nuovamente in servizio. È stato allora inviato il dottor Murgolo - ciò risulta anche nella mia ordinanza - che mi doveva affiancare per tutto quanto riguardava l'ordine pubblico. Lui si è offerto, e si è recato sul posto. A questo punto vi erano sia la linea di comando sia l'organizzazione. Successivamente si sono recati sul posto altri due funzionari che dirigevano i
due reparti della polizia e dei carabinieri e che dovevano essere di riserva in questura; li ho mandati lì per fronteggiare una minaccia all'ordine pubblico.
Io non sto dicendo la mia verità ma la verità oggettiva, con la coscienza tranquilla e serena. Ripeto che questo servizio è stato condiviso da me per primo, non mi sto tirando fuori. Credo che vi fosse una linea di comando anche se poi, durante l'esecuzione, quella confusione per la quale il magistrato sta svolgendo la sua attività giudiziaria; vi è stata ben venga quest'ultima se ciò servirà a fare maggiore chiarezza. D'altra parte anche alcuni funzionari, come il dirigente della DIGOS ed il dirigente della squadra mobile, trovandosi alla presenza di altri referenti ministeriali, chiaramente hanno avuto un minimo di perplessità su come si doveva svolgere l'intera operazione.

Una decisione contestuale

"Con riferimento alla perquisizione della Diaz in base all'articolo 4 del Testo unico, ricordo che l'attività prevista da tale articolo è di polizia giudiziaria. Con riferimento alla firma degli atti, ricordo altresì che sono stati firmati dal dirigente della mobile e dal dirigente della DIGOS di Genova. Ripeto ancora che si è trattato di una decisione contestuale, condivisa da tutti. (Commenti del senatore Bobbio), anche da ufficiali di polizia giudiziaria dello SCO presenti. "


FRANCESCO COLUCCI, Questore. Ho affermato nella mia relazione che nel mio ufficio la sera famosa perquisizione erano presenti oltre al questore - il dirigente della DIGOS mi fa un appunto -il vicecapo vicario della Polizia, prefetto Andreassi, e il suo segretario dottor Costantino, il direttore della direzione centrale polizia di prevenzione, il prefetto La Barbera, il primo dirigente Giovanni Fiorentino, il dirigente superiore Giovanni Luperi, il dottor Gratteri, direttore dello SCO, il dottor Gilberto Caldarozzi, dirigente dello SCO, il dottor di Bernardini e il dottor Murgolo, vicequestore vicario di Bologna. Il dottor di Bernardini è il funzionario che ha subito un'aggressione. Quando il dottor di Bernardino e il dottor Caldarozzi ci raccontano dell'aggressione subita, dopo esserci tutti consultati, si decide di procedere all'intervento ai sensi dell'articolo 41. Dico «si decide» perché sarebbe stato minimale affermare che l'intervento era stato deciso dal questore, vista la presenza nella stanza di altri esponenti qualificati del dipartimento."

E' stata un' idea condivisa....

"È stata una idea condivisa. Ripeto pertanto che si è trattato di un'idea condivisa da tutti, me compreso. Devo inoltre dire - la mia coscienza mi impone di farlo - che il prefetto La Barbera mi ha sollecitato - io non vi avevo nemmeno pensato, data la situazione di grande stanchezza - per fare intervenire sia l'elicottero sia i Vigili del fuoco con le fotocellule ed il gruppo elettrogeno.
Con questo voglio dire che mi assumo le mie responsabilità decisionali e non mi nascondo dietro un dito: la linea è stata condivisa. Non ricordo che ci sia stata qualche indicazione diversa, ma se il prefetto La Barbera, il direttore dello SCO o il vicecapo della Polizia mi avessero chiesto cosa fare avremmo riflettuto ancora di più.



Per quanto riguarda le scuole Pertini-Diaz lei parla di scelte operative. È vero: ho assistito, nella sala delle riunioni, al briefing tenutosi sul modo in cui intervenire, dato che il luogo non era facilmente raggiungibile. Dopo essermi preoccupato di fornire il supporto di un reparto inquadrato e di ribadire, così come ho detto nella mia relazione, la necessità di procedere con massima cautela e prudenza (e mentre dicevo questo era vicino a me - e l'ha sentito benissimo - anche il prefetto La Barbera), ho lasciato la riunione (anzi, se vogliamo essere più precisi, sono sceso giù per vedere il momento della partenza). Del resto, essendo questore di Genova, ho anche altri compiti ed altri incarichi.


Dal momento che si trattava esclusivamente di un'azione di polizia giudiziaria, una volta curato un certo aspetto con i miei referenti sul posto qualunque altra mia parola sarebbe stata di confusione in quel contesto.
Infine, non è esatto - mi consenta - quello che lei ha detto in riferimento al cancello, che è stato aperto con un mezzo nostro e non con quello di un privato (Commenti del senatore Tomassini)... Non è vero, è stato un mezzo del reparto mobile a sfondare il cancello.

FRANCESCO COLUCCI, Questore. Occorrerebbe fare una disquisizione giuridica in merito ai poteri del capo della Polizia sul questore di Genova: la legge parla chiaro e si riferisce all'autorità nazionale di pubblica sicurezza, che è il ministro, il quale dà gli input politici al prefetto ed altri input tecnici al direttore generale del dipartimento, il quale li trasferisce in capo al questore. Forse, ci si dimentica che il direttore generale del dipartimento è anche capo della Polizia. Quindi c'è una sorta di rapporto gerarchico tra capo della Polizia e questore. È un discorso un po' complesso che andrebbe, a mio giudizio, approfondito in altra sede; qui io mi permetto solamente di socchiudere una finestra. Non sta a me dare altri giudizi ed altre giustificazioni. Il capo della Polizia mi è sempre stato molto vicino per quanto riguarda questa attività. Non poteva fare altrimenti, è giusto così e lo ringrazio anche per questo. Sarebbe da sciocchi pensare che un evento straordinario possa essere delegato al questore senza alcuna preoccupazione: oltre al supporto logistico, materiale, affettuoso ed umano, vi è qualcosa di più. Ecco perché ribadisco il mio ringraziamento al capo della Polizia ed al dipartimento, perché mi sono stati veramente molto vicini. "

si pente il prefetto

Arnaldo La Barbera, l'uomo della stagione d'oro dell'antimafia, il poliziotto tutto d'un pezzo caduto in disgrazia dopo il G8 di Genova muore a Verona dopo una lunga malattia
( il 12 settembre 2002). Allora capo dell'antiterrorismo (Ucigos), quando viene sentito dai magistrati nel giugno del 2002 dichiara:

"L'errore che è stato fatto è stato quello di passare là...come versare benzina sul fuoco"

Ma quel sabato 21 luglio 2001 il Di Bernardini riparla con Gratteri e Caldarozzi dei fatti (la finta sassaiola di via Battisti) e quindi c'è la prima riunione, poco dopo le 22, nell'ufficio del Questore a cui partecipano anche il prefetto Ansoino Andreassi allora numero due della polizia, il prefetto La Barbera, Gratteri, Caldarozzi, Nando Dominici (ex capo della Mobile di Genova), Spartaco Mortola (ex capo della Digos di Genova) insomma i vertici della polizia italiana presenti a Genova. Nasce l'operazione Diaz in base all'articolo 41 del Tulps (la ricerca di armi):

"L'idea forse partì da La Barbera, ma tutti furono d'accordo, senza eccezione", dice Lorenzo Murgolo, vice questore vicario della Questura di Bologna, il 22 giugno dell'anno scorso in Procura.


Qualche forzatura giuridica

Spartaco Mortola, ex capo della Digos di Genova,
oggi responsabile dell’ufficio tecnico-logistico della questura di genova, al terzo interrogatorio, il primo da indagato, riferisce: «Ho visto per la prima volta le bottiglie dentro la scuola, a piano terra, dove mi trovavo (...) Ho dato disposizione di metterle con gli altri reperti sul telone»

Sulle modalità del ritrovamento Mortola dice : «Effettivamente ho fatto un po' di confusione, sono emotivamente
scosso (...) Prendo atto che gli elementi evidenziati nell'arresto e perquisizione non sono stati sufficienti per attribuire i reati ai singoli arrestati (...) A posteriori posso dire che c'è stata qualche forzatura giuridica, ma abbiamo pensato che contestando il reato associativo fosse superabile il problema dell'attribuzione dei singoli fatti (...)». Il 30
luglio(2002) ancora Mortola: «Ricordo che le bottiglie mi vennero portate in sacchetto chiaro, sgualcito, all'interno della scuola, da due agenti del reparto mobile».

Spartaco Mortola riconosce che quella notte arrestare i manifestanti fu probabilmente "una forzatura giuridica".

Il sopralluogo

Mortola, il capo della Digos genovese, viene mandato a fare un sopralluogo in piazza Merani, sopra la Diaz.
Al termine della ricognizione che precede l'assalto - dopo che quattro auto, dichiara il vicequestore Di Bernardini sono state prese a pietrate - «A seguito dell'episodio,ipotizzando la presenza dei responsabili degli incidenti di piazza, lo scrivente si recava sul luogo al fine di svolgere una opportuna ricognizione. Giunto in piazza Merani avevo modo di accertare che sulla stessa, con funzioni di ;vedette', intenti a bere birra sostavano alcuni giovani. La stessa situazione veniva rilevata nelle strade circostanti l'edificio scolastico Diaz. Davanti a questo, inoltre, sostavano circa 150 persone, nella quasi totalità vestite di nero, che erano in possesso di un consistente numero di bottiglie di vetro contenente birra».

Mortola poi telefona a un referente del Gsf , Stefano Kovac, che lo avrebbe informato che la situazione non era del tutto sotto controllo. Secondo Mortola avrebbe anche detto che potevano esserci soggetti non graditi,
degli infiltrati, probabilmenteanche dei black bloc, ma Stefano Kovac, responsabile logistica del Genoa Social Forum durante i giorni del G8, sentito come teste dal pm Enrico Zucca, smentisce tutto e ribadisce che il giorno del blitz notturno della polizia alla scuola Diaz, aveva pregato Spartaco Mortola, dirigente della Digos, di non alzare la tensione perchè la situazione era sotto controllo.

Mortola aveva avvistato «un centinaio di tute nere». Nessuno dei tanti capi, critica Micalizio (superispettore del governo), «ebbe dubbi su quella segnalazione».

Mortola il 27 ottobre 2001, ‘’Era comunque stato previste e altamente probabile che ci sarebbe stata una reazione di resistenza da parte degli occupanti dell’edificio scolastico, come era desumibile dagli episodi ai danni delle pattuglie’’.

Belinate

Nell' interrogatorio di fronte al pm Enrico Zucca il 23 luglio 2002
l'ex capo della digos di Genova dichiara a proposito delle false Molotov, che un altro poliziotto, il capo della Mobile di La Spezia, Filippo Ferri, non sapendo dove «collocarle», avrebbe chiesto consigli al pm di turno: Pinto. E Pinto, avrebbe consigliato di collocarle nell'atrio: un luogo accessibile a tutti e tale da permettere di accollare il possesso dei due ordigni a tutti e 93 gli ospiti della Diaz.

Mortola incalzato da Zucca smentisce poco dopo le sue affermazioni che in seguito liquiderà come «belinate»; Ferri, interrogato sull'argomento, ha smentito di avere mai parlato con Pinto la notte del blitz.

«La Diaz è ancora una pagina oscura di questa seconda Repubblica - ha dichiarato Pinto - in cui sono rimasto coinvolto in maniera oggettiva. La stranezza è che io risulto coinvolto da parte di soggetti che si dicono all'oscuro di tutto».

Turlupinato

Gli avvocati di Mortola insistono: «II nostro cliente ribadisce con veemenza, nel caso in cui qualche falsità sia stata perpetrata, di essere stato turlupinato». Spartaco Mortola le molotov: le vede per la prima volta al piano terra della scuola, gliele mostrano due agenti del reparto mobile ("Guardate cosa abbiamo trovato"). Con lui ci sono due colleghi che non ricorda bene: forse La Barbera, Gratteri. Dice di aver visto dentro la Diaz "circa 50 persone a piano terra, tranquille e apparentemente non ferite", spiega gli errori nell'attribuzione delle prove a carico dei manifestanti sostenendo che "si era creata confusione". E quando gli si chiede del perché dell'arresto dei 93, risponde: "Posso solo dire, a posteriori, che c'è stata

Piu' o meno verso le 23.00 o giu' di li'...

Sono più o meno le 23.00 e dalla questura partono due colonne di mezzi capeggiate da Spartaco Mortola che arrivano alla scuola, trovano il cancello chiuso, lo sfondano con una camionetta ed entrano.

Silvio Romanelli, legale del capo del reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini, ha presentato al procuratore aggiunto Francesco Lalla, coordinatore del pool di pm che conducono le inchieste sui fatti del G8, una memoria in cui si riassumono i compiti e le responsabilità di un dirigente come Canterini.In sostanza, secondo il documento, il capo di un reparto mobile mette a disposizione i suoi uomini per i diversi servizi in vari posti. Ma gli
agenti sono sotto la direzione dei comandi provinciali, quindi della questura e dei funzionari della questura stessa. Secondo Romanelli, durante la perquisizione alla scuola Diaz c'erano due battaglioni di 40 uomini l'uno, uno dei quali era sotto la dirigenza della questura e l'altro delcapo della Digos Spartaco Mortola. Canterini, sempre secondo l'avvocato, era stato convocato in questura a Genova alle 22:30 dove gli era stato detto che i suoi uomini sarebbero
dovuti intervenire alla scuola Diaz alle 23:30. All'istituto scolastico, Canterini è stato presente in quanto c'erano i suoi uomini ma non in veste di dirigente.

Per sentito dire

Massimiliano Di Bernardini uomini della Digos di Genova, del reparto prevenzione crimine e del reparto mobile sono in azione di perlustrazione. «Alle ore 22,30 circa - relaziona Di Bernardini -, con l’unità operativa mi avvicinavo in via Trento transitando per via Battisti, ove nei pressi dell’Istituto scolastico "Diaz" eravamo costretti a rallentare notevolmente la marcia poiché la strada era impegnata da diverse autovetture che procedevano a passo d’uomo. Nella circostanza notavo che l’Istituto e i marciapiedi adiacenti erano occupati da un nutrito gruppo, circa 200 persone, molti dei quali indossanti capi di abbigliamento di color nero, simile a quello tipicamente usato dai gruppi definiti "Black bloc"».

Sempre secondo Di Bernardini: «A causa della ridotta ampiezza della carreggiata, le quattro vetture in dotazione, di cui le ultime due recanti i colori d’Istituto, si trovavano a stretto contatto con gli astanti che, accortisi del ridotto numero dei mezzi, iniziavano un folto lancio di oggetti e pietre contro il contingente, cercando di assaltare le autovetture. Nella circostanza si udiva chiaramente gridare: "Sono solo quattro, sono solo quattro". A tal punto, per altro inseguiti dalla folla, riuscivamo, azionando anche i segnali di emergenza, a guadagnare una via di fuga, sempre sotto il tiro di oggetti contundenti».
(la Stampa, 30 luglio 2001)

«Nel corso delle indagini, ha spiegato il magistrato(Zucca) - e` emerso che nessun poliziotto ha scritto esattamente cosa era successo davanti alla Diaz, anzi tutti hanno dato versioni contrapposte o per sentito dire».
Questo episodio pero` non risulta dai verbali dei superiori, tra cui il funzionario romano Massimiliano Di Bernardini, che scrisse solo di una fitta sassaiola, specificando in seguito, davanti ai pm, che gli era stata riferita, come anche il lancio di un bullone. Di Bernardini scrisse pero` di aver visto di persona lanciare una bottiglia di birra sopra una delle quattro auto civetta della polizia e un manifestante che si aggrappava allo specchietto retrovisore di una vettura.

Di Bernardini poi sosterra' di aver riportato «fatti riferiti da altri».

"Eravamo in grande tensione per il pericolo scampato", dirà Di Bernardini ai pm del suo arrivo al bar, "Circa il lancio di oggetti che io non posso testimoniare direttamente, ho sentito che un agente del Reparto Mobile di Roma che era a bordo del Magnum che chiudeva la fila della nostra pattuglia, appena sceso dalla vettura mi ha detto le testuali parole : "dottore, ci hanno tirato addosso di tutto, bottiglie, pietre". E' l'unica fonte da cui ho tratto l'informazione su quanto è successo." (17 giugno 2002).

Il pm Zucca rivela che tre nuovi agenti sono stati indagati perche', in una relazione tardiva, hanno riferito di un grosso sasso che aveva sfondato un vetro blindato del loro furgone, tanto che il mezzo venne poi portato in una officina della polizia.

Il difensore di Di Bernardini, Massimo Lauro, ha commentato: «Il mio assistito riferi` ai magistrati di aver saputo da un agente del reparto mobile di un sasso che aveva sfondato la camionetta. Mi pare dunque che non ci sia niente di nuovo sotto il sole».
(La Repubblica maggio 2003)

Un folto lancio di oggetti e colleghi scomparsi

«Alle ore 2 Iniziava un folto lancio di oggetti e pietre contro il contingente. Gridavano: "Sono solo quattro". Inseguiti dalla folla, azionando i segnali di emergenza, guadagnavamo la via di fuga». Secondo il verbale sono le 22.30. Un’ora dopo inizia la perquisizione alla Diaz.

L’ispettore Massimiliano Di Bernardini stende in prima persona il rapporto sulla fitta sassaiola, poi ammette di non essere stato presente e di aver raccolto testimonianze di colleghi. Colleghi non si riescono a individuare, né si trova traccia di auto danneggiate.

E' vero ma io non c'entro


Il commissario Massimiliano Di Bernardini, disse di avere visto Piero Troiani alla Diaz con le due bottiglie molotov in mano mentre si dirigeva verso il vice capo del Servizio centrale operativo, Gilberto Caldarozzi

I pm gli contestano i ricordi di almeno due funzionari presenti quella notte in via Battisti: "Le due molotov erano nelle mani del vicequestore che per primo aveva segnalato la sassaiola alla Diaz, Di Bernardini".

Se dunque lui conferma, il cerchio è chiuso. Ma Di Bernardini fa qualcosa di diverso, che reingarbuglia la matassa: "E' vero - dice - le molotov le avevo in mano io, ma mi vennero consegnate da Troiani".

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"blu sky" 2
by lucignolo Tuesday, Dec. 07, 2004 at 1:24 AM mail:  

"Una leggerezza", ammette il vice-questore Pasquale Troiani. Fu una "leggerezza" portare nella scuola Diaz le due molotov per incastrare i 93 no-global ospiti dell'istituto.

In alcuni videogrammi Pietro Troiani non ha i gradi sulla divisa. Qualche minuto dopo ricompare, sfilando con il reparto mobile di Roma alla fine della turbolenta perquisizione, con i gradi.

Ascoltato come teste il primo luglio del 2002 Troiani dichiara: «Il mio autista Michele Burgio mi si avvicina e mi dice che in macchina o nelle immediate vicinanze o per terra vicino alle macchine, sono state trovate due
molotov (...) Ho portato le bottiglie al dottor Massimiliano Di Bernardini e me ne sono andato via».

Nel verbale d' interrogatorio 9 luglio 2002, Troiani dichiara:«Prendo atto che Burgio avrebbe dichiarato all'Autorità giudiziaria di aver ricevuto una mia telefonata con la quale gli avrei chiesto testualmente di "portare quelle cose". Nego la circostanza di aver riferito a Burgio questo invito». «Confermo di aver detto a Burgio di portarmi le bottiglie». «Credo che sia possibile che qualcuno mi abbia detto della presenza delle molotov prima di partire per la Diaz, sotto la Questura...io dissi a Di Bernardini che sul mezzo c'erano queste bottiglie...e Di Bernardini mi disse di portargliele, credo ci fosse anche Caldarozzi davanti. Quando le ho portate mi ha chiesto dove fossero state trovate ho detto che erano state trovate nel cortile o nell'immediatezza delle scale d'ingresso. Questa è stata la mia leggerezza e me ne rendo conto, che per volermene sbarazzare e non fare un verbale di sequestro...».

"dissi a Burgio di portarmi le bottiglie"


Nel pomeriggio aveva parlato di quelle molotov al generale Valerio Donnini, responsabile dei Reparti mobili italiani che viaggiava sul furgone da lui guidato. "Quando è arrivato il dottor Donnini gli ho fatto presente che c'erano le bottiglie (chiedendo se non era il caso di portarle in questura, spiega in un altro passaggio) e lui si è rivolto a me in modo alterato, come se avessi fatto una domanda stupida o che comunque non dovevo fare". La sera, davanti alla Diaz, "ho ricevuto una telefonata del dottor Troiani che mi ha detto di portare le cose che avevamo sul mezzo".

Ed e' squillato il telefono

E' diventato "famoso" per una telefonata di 22 secondi, quella che a mezzanotte e 34 di quel sabato notte le fece il suo superiore, il vicequestore Pietro Troiani che le chiedeva di portare nella scuola "il sacchetto". «Stavo mangiando alla Fiera e il mio capo dice di mettermi al volante. Quando usciamo quasi ci scontriamo con una camionetta del Nucleo antisommossa, quelli di Canterini. Poi ero là fuori, vicino al mezzo parcheggiato in cima a via Battisti. Avevo appena rovesciato dell´acqua sulla testa di un ragazzo ferito e litigato con la centrale operativa perché non si riusciva ad avere un´ambulanza. Ed è squillato il telefono. Era il mio superiore che mi dava un ordine».
Quell´ordine, lei si è reso conto che conteneva il principio di un reato? «Guardi, l´ordinamento prevede che a un comando di un certo genere si possa disobbedire. Ma quello era il mio superiore, io in polizia ci vivevo e non
pensavo ancora ad andarmene». Con il sacchetto preso dal furgone ha raggiunto la Diaz. «Sì, ma non sono entrato nell´edificio. Troiani era nel cortile e lì mi sono fermato. Ho dato un´occhiata dentro e ho visto una situazione che non mi piaceva». ( repubblica 23 ottobre-2002)

Interrogato il 4 luglio del 2002, Michele Burgio confessa:«le bottiglie molotov le ho trovate sul mezzo che guidavo,
un magnum blindato in dotazione al reparto mobile di Napoli...mi sono accorto per la prima volte delle bottiglie perché ho sentito puzza di benzina, ero già sotto la Questura dove avevo credo riportato il dott. Donnini o forse ero andato a prenderlo lì perché è possibile che si fosse allontanato da corso Italia con un altro mezzo. Mentre aspettavo fuori dalla questura ho appunto sentito questa puzza, mi sono girato e lì ho visto un sacchetto in plastica verde, l'ho preso in mano per sentire le bottiglie e le ho annusate».

Il pm Zucca allora gli chiede se non fosse stato opportuno consigliare al dott. Donnini di «depositare le bottiglie in questura». Sì, risponde Burgio, «l'ho detto ma forse per questo mi ha risposto in malo modo».

«Mi aveva chiamato il dott. Troiani per fare un servizio in cui era prevista la presenza di cinque Magnum per formare una pattuglia...dovevamo fare un giro di controllo per scovare gli anarchici..di lì a poco siamo stati raggiunti da un'altra pattuglia ed ho sentito che era stato tirato un sasso da una macchina della polizia. Abbiamo avuto quindi l' ordine di riportarci in questura».

Burgio racconta:«c'era molta confusione davanti alla scuola...dopo un po' ho ricevuto una telefonata dal dott.
Troiani che mi ha detto di portare le cose che avevamo sul mezzo, riferendosi alle bottiglie. Io ho preso il sacchetto e mi sono fatto largo tra la folla...ho riconosciuto l'ispettor Tucci, che è stato il mio caposquadra e gli ho chiesto dove fosse Troiani che lui mi ha indicato; ricordo che stava parlando con due funzionari...effettivamente - aggiunge l'
autista - può darsi che un primo funzionario a cui si era rivolto Troiani mostrando il sacchetto, fosse andato a parlare con altri funzionari portandole con sé..».

Il primo a trovare le famose molotov fu il 21 luglio il vicequestore Pasquale Guaglione in corso Italia. «...fu proprio lì che in un cespuglio trovai le due bottiglie nel sacchetto...rimasi con il sacchetto in mano e cercai di individuare dove metterle e in quel momento incrociai il dott. Donnini (Valerio Donnini al G8 era responsabile del coordinamento operativo e logistico dei contingenti dei reparti mobili, dei reparti volo, delle squadre nautiche e delle unità speciali) e mi avvicinai a lui mostrandogli il reperto. Donnini le vide e mi disse “queste le prendo io” e le depositò nel suo mezzo...Confermo anche che il dott. Donnini nel prendere le bottiglie commentò sulla loro importanza come reperto». E in effetti proprio quest’ultimo ammise poi di averle messe sulla sua jeep. Quella guidata dall’autista Michele Burgio che il giorno trasporta Donnini e la sera condurrà Pietro Troiani alla Diaz.

Noti vini

Il pomeriggio del 21 luglio, poche ore prima del blitz, una pattuglia della polizia guidata da un vicequestore in servizio a Gravina di Puglia (Bari), Pasquale Guaglione, aveva trovato due molotov dentro un sacchetto di plastica nascosto in un' aiuola di corso Italia, lungo il percorso del corteo.Il funzionario aveva parlato del ritrovamento delle bottiglie incendiarie nella sua relazione di servizio. Tuttavia non era stato redatto il verbale di sequestro delle due bottiglie, considerate armi da guerra. L' assenza di questo verbale ha insospettito i pm Francesco Pinto ed Enrico Zucca. Questi hanno fatto interrogare Guaglione per rogatoria dalla procura di Bari, utilizzando un trucco investigativo. Al funzionario sono state mostrate le bottiglie incendiarie sequestrate alla Diaz, senza dirgli che erano quelle della scuola, e chiedendogli invece se erano quelle che aveva trovato in corso Italia. Guaglione le ha riconosciute subito come quelle scoperte dalla sua pattuglia, perche' distinguibili dalle etichette di noti vini.
Secondo la procura, l' assenza del verbali di sequestro degli ordigni di corso Italia ha permesso di ''riciclarli'' alla Diaz.

Tucci & Lucaroni

Due capisquadra, Carlo Lucaroni e Ciro Tucci, devono rispondere, insieme con altri funzionari e dirigenti di polizia, di lesioni gravi - che avrebbero procurato direttamente o non avrebbero impedito - ai manifestanti che erano nella scuola.

Carlo Lucaroni il 27 luglio, consegna al suo dirigente una relazione di servizio dove racconta la notte del blitz alla "Diaz": «Il personale era pronto a muoversi per le 22 e 45 perché era imminente un'operazione presso un edifico pubblico occupato abusivamente da pericolosi sovversivi». I «sovversivi»,sono quelli «che si sarebbero resi responsabili delle violenze del 20 e del 21 luglio», nei due cortei del venerdì e del pomeriggio del sabato. Loro ricevono l'ordine di mettersi in movimento alle 23. Le colonne che si avvicinano alla "Diaz" sono due, la prima con tre squadre, la seconda con quattro. Il comandante Canterini resta all'esterno dell'edificio, loro passano agli ordini dei dirigenti della Questura di Genova, primi responsabili dell'ordine pubblico secondo una legge del 1992, spiegherà poi Tucci. E Lucaroni nel suo primo rapporto conferma: «ci siamo divisi in due gruppi agli ordini di un funzionario della Digos o dell'Ucigos». Sul posto c'è una «massiccia presenza di personale in tuta atlantica e in abiti civili», vale a dire agenti di polizia di altri reparti. In totale nelle due colonne ci sono 130 agenti, settanta sono del Nucleo anti sommossa. Devono forzare il cancello davanti alla scuola, poi entrano. Ma, secondo un video a disposizione della difesa, che contrasta con altri, quando loro fanno irruzione dentro c'è già altra gente, altri agenti, forse infiltrati. (
la Repubblica, 20 settembre 2001 )

L' ispettore Ciro Tucci già interrogato dai magistrati, avrebbe raccontato di agenti che picchiavano impugnando gli sfollagente alla rovescia e di poliziotti in tenuta atlantica che prendevano a calci in testa ragazzi già a terra. Questo il racconto degli uomini del reparto mobile. Tucci avrebbe detto che gli agenti in fratino e uniforme atlantica avrebbero spinto e sarebbero entrati per primi: ma bastano pochi secondi di anticipo per picchiare e ferire 63 persone? Nessuno sa dire o ricorda chi diede l'ordine di sfondare le porte. Nessuno sa chi comandasse. Tutti sono concordi nell'affermare di aver saputo della perquisizione intorno alle 22.
(da "il manifesto" del 22 Settembre 2001)

Il vice di Canterini

Dal rapporto di Fournier risulterebbe che il funzionario venne raggiunto da una telefonata alle 21.45, mentre stava mangiando, con la qualo lo si avvertiva di radunare gli uomini per le 22.45 per un'operazione di polizia giudiziaria finalizzata all'arresto di black bloc che si erano rifugiati in un edificio occupato abusivamente. Il via libera sarebbe stato dato da un poliziotto infiltrato. Nei fatti le squadre del reparto mobile non sono pronte che intorno alle 23: si dirigono verso la questura, dove vengono divise in due colonne e messe a disposizione di due funzionari della Digos chiamati Delta 2 e Delta 4. Per vie diverse le colonne vanno verso la Diaz. Nella relazione, sembra che Fournier abbia ribadito che al suo arrivo nella scuola c'erano già altri agenti in uniforme atlantica e in fratina con la scritta "Polizia". Tutti con il volto travisato. E a questo punto, Fournier si lamenterebbe del fatto che fosse impossibile capire chi comandasse sul campo nonostante la presenza massiccia di dirigenti superiori. Un automezzo butta giù il cancello della Pertini, poi arriva l'ordine di fare irruzione dai portoncini laterali. Chi ha gridato l'ordine? Non si sa, ma i poliziotti obbediscono. Quindi Fournier descriverebbe l'irruzione nei locali della scuola: nella relazione avrebbe detto di essersi trovato di fronte a ragazzi impauriti e in pessime condizioni fisiche tra cui una ragazza mezza morta in una pozza di sangue e di avere subito ordinato via radio ai suoi di mettere via il manganello e di chiamare le ambulanze. ( "il manifesto" del 22 Settembre 2001)

Un ' azione da Macellai

Michelangelo Fournier nella scuola ricorda ragazzi pacifici "con evidenti segni di pestaggio", e di aver gridato agli agenti "Basta, basta!": "era uno sfogo istintivo e rabbioso davanti a quanto avevo visto in quei locali".

Sempre lo stesso Michelangelo Fournier, vice di Canterini, ha negato anche la circostanza riferita da tutti i pestati, che l'hanno indicato come il funzionario che disse «basta» agl altri. (Manifesto 1TPL_LOCAL_ARTICLE6\2002)

Gli agenti antisommossa
i Canterini boys

                  tutti a volto coperto e perciò di difficile individuazione
<

infierendo più volte sulle stesse già a terra

Fabrizio Basili, Ciro Tucci, Carlo Lucaroni, Emiliano Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti, Pietro Stranieri e Vincenzo Compagnone, scrivono i pm che costoro, «in concorso con altri ufficiali ed agenti, cagionavano lesioni personali varie, anche gravi, alle persone presenti all'interno dell'edificio, colpite con lo sfollagente in dotazione o con altri atti di violenza, commettendo il fatto o comunque agevolando o non impedendo ad altri tale condotta, dolosamente eccedente il limite del legittimo uso di mezzi di coazione fisica (...), colpendo con violenza le persone predette, tutte in palese atteggiamento di non offensività e di resa, in talune occasioni infierendo più volte sulle stesse già a terra».

A volto coperto

Si salvano i settanta della «truppa», che erano a volto coperto. Del resto picchiano anche molti altri, in borghese o in divisa ma mai identificati. Secondo la procura, intervennero «oltre duecento» operatori di ps, ma una lista così lunga ai pm non è mai arrivata.

I primi ad entrare

Il primo a entrare nella sede del Genoa Social Forum è un uomo del Nucleo sperimentale antisommossa. Anche il secondo, il terzo, il quarto e almeno i trenta successivi indossano i caschi e le tute scure del gruppo di élite del ministero dell’Interno. Quella è proprio la squadra comandata da Vincenzo Canterini, il dirigente del Reparto mobile di Roma.(...)
Non è molto che i poliziotti sono entrati nel giardino della scuola. Dallo sfondamento del cancello all’apertura del portone in legno della palazzina passano 45 secondi.
(...)Non avanzano subito: il passaggio è ostacolato da una panca e forse da una scrivania. Dopo 13 secondi dall’apertura del portone, un poliziotto ci salta sopra per scavalcarle e il bagliore che arriva dall’interno mette in evidenza tutta la sua uniforme. Il modello del casco è tra i più recenti, con la robusta protezione sulla nuca
(...)È proprio l’uniforme del Nucleo sperimentale antisommossa creato all’interno del Reparto mobile di Roma, la vecchia Celere. Il primo poliziotto è ormai dentro. Lo seguono gli altri. L’operazione è cominciata da appena 58 secondi e non c’è un filo di resistenza da parte degli ospiti del Gsf. ADDESTRATI - I 70 agenti antisommossa quella sera non sono affatto stanchi. (...) L’irruzione è completata in un minuto e 47 secondi. Quello che accade dopo, là dentro, non è più visibile.
(Corriere della Sera, 6 agosto 2001)

Giuda alla Diaz

"L'interrogatorio di sabato in Procura è andato benissimo. Finalmente, dopo 14 mesi, si scopre che il 'cattivo' non è Vincenzo Canterini. Che gli 'uomini neri' non sono i suoi ragazzi".

E chi è il cattivo?
"Il Giuda che ha messo le due molotov nel cortile della scuola. Il Giuda che quella notte ha tradito la fiducia di noi tutti, suoi colleghi. E dei cittadini".

Dunque è d'accordo con il questore di Genova, che ha rilegato il suo ultimo rapporto sulla notte della Diaz con una riproduzione del 'bacio di Giuda di Giotto'".
"Di Giotto e del rapporto del Questore non so niente, perché quelle carte non le conosco. Ma che ci sia stato un Giuda, a questo punto, mi sembra fuori di dubbio".

Magari si è fatto un' idea su una faccia, un nome.
"Con le mie idee non si va da nessuna parte. Contano i fatti. E dunque quel che penso me lo tengo per me. Aspettiamo invece che la magistratura, come sta facendo da più di un anno, arrivi ad una conclusione definitiva. Del resto mi pare di essere già stato molto chiaro, o no?".

A stare alla magistratura, l'uomo che, su indicazione del vicequestore Pietro Troiani, tira fuori le molotov dal furgone della celere e le colloca nel cortile della Diaz è tal A.B., del suo reparto celere.
"Alt".

A.B. non è del suo reparto?
"A.B. è un ragazzo che solo formalmente apparteneva al mio reparto. Era stato distaccato a Genova per problemi familiari da molto tempo. E comunque ben prima del G8".

Dicono che il trasferimento da Roma a Genova di A.B. sarebbe in realtà più recente perché la sua deposizione in Procura avrebbe reso insostenibile il rapporto con i suoi uomini.
"Non è vero. Ripeto: quel ragazzo era stato trasferito a Genova da tempo e poi nel mio reparto nessuno intimidisce nessuno. Anche perché non c'entriamo nulla con quelle molotov. Dunque, non si vede perché dovremmo intimidire qualcuno".

Anche il vicequestore Troiani è un ex del suo reparto.
"Ben detto: è un ex. Sono anni che Troiani se ne è andato. A Genova era stato aggregato al comando logistico e soltanto in questa veste era entrato in contatto con i reparti".

Torniamo nel cortile della Diaz.
"Torniamoci".
Lei sostiene di non aver visto nessuna molotov, quella notte. Ebbene, le viene contestata un'immagine scattata nel cortile della scuola in cui lei, insieme ad altri funzionari di polizia, discute proprio accanto alle due molotov.
"Ricordo perfettamente quel momento. E ricordo anche di che discutevamo con i colleghi. Bisognava evacuare i feriti dalla scuola e creare una cintura di sicurezza intorno alla Diaz, dal momento che continuava ad affluire gente e il clima era tesissimo. Di questo discutevamo. Avevo cose più importanti cui pensare che non guardare in terra per controllare cosa c'era e accorgermi di quelle due molotov. Potrà piacere o meno. Ma è la verità. Ho sempre avuto fiducia che prima o poi sarebbe venuta fuori. Il tempo mi sta dando ragione".

Il problema allora resta Giuda?
"Sì, il Giuda di noi tutti".
(la repubblica (23 settembre 2002)

Il bacio di Giuda

La reazione alle rivelazioni sulle resposabilità di Troiani del comandante del reparto mobile di Roma, Vincenzo Canterini, uno degli indagati eccellenti per i pestaggi in quella scuola, confermano la drammaticità del momento: «Il dottor Pietro Troiani all´epoca del G8 non era più, da alcuni mesi, in servizio nel reparto mobile di Roma e nulla aveva a che fare con il reparto». La presa di distanza netta di Canterini da Troiani sembra un tentativo disperato di autodifesa, di difesa dell´azione dei suoi uomini quella notte a Genova.
(
LA STAMPA 29 luglio 2002)

«Nella confusione e nella calca sono entrato qualche minuto dopo i miei. Non solo: il mio reparto è stato travolto da
quelli della squadra mobile e della Digos»

Un celerino apolitico


Nel frattempo è diventato un dirigente del sindacato di polizia CONSAP, area di centrodestra, e in questa veste sta partecipando ad assemblee con i celerini in giro per l’Italia. Oggi parla come sindacalista perché non potrebbe rilasciare interviste. Canterini, nessun imbarazzo a incontrare Agnoletto, Casarini e gli altri? «Assolutamente no. Sono qui che svolgo serenamente il mio lavoro. Così il mio vice, Fournier, e i ragazzi. Io credo che a Genova sia caduto un velo: noi dei reparti mobili facciamo il lavoro più duro, quello più pesante, e lo dimostrano i feriti che contiamo ogni domenica.


«Con lo spirito di sempre. Il nostro reparto, posso garantirlo, è del tutto apolitico. E’ vero, i fatti di Genova ci hanno ferito perché ci siamo sentiti ingiustamente sotto accusa. Però andremo a governare l’ordine pubblico con la massima serenità».( Novembre 2001 La stampa)

E la Diaz? Le foto, i filmati, le testimonianze, le false molotov, le false coltellate? Anche qui, animo sereno e gambe in spalla. Eppoi lo dichiarò già molto tempo fa, e non cambia versione, Canterini: c'era un "giuda" quella sera alla Diaz, che tradì la fiducia dei colleghi : «Ribadisco quanto già ripetuto ogni volta che mi hanno interrogato. Arrivammo alle dieci e mezzo di sera, a decisioni già prese. Ho ricevuto degli ordini e li ho eseguiti. Non potevo fare altro; ed è amaro fare questa constatazione, visto che la vicenda mi è costata parecchio in termini di carriera e continua a pesarmi. Oggi, solo uno sprovveduto può pensare a un bieco Canterini in azione alla 'Diaz". Quello che è vero è che per un difetto di intelligence, chi ha organizzato la "Diaz" ha avuto informazioni sbagliate. Chi entrò lì, vi trovò personaggi diversi da quelli che pensava di avere davanti». (L' Unita'13.07.2003)

(...)Dirigente del I reparto mobile di Roma. La ringrazio, presidente Mancuso. Ho qui con me l'informazione di garanzia che mi è giunta dalla procura della Repubblica di Genova, da cui leggo: «L'ufficio sta procedendo ad indagini preliminari in ordine alle seguenti ipotesi di reato: delitti di cui agli articoli 110, 582, 585, 583, 40, 81 capoverso, 61 numero 9, codice penale perché, in qualità di comandante
Pag. 177, in concorso con alti dirigenti, agenti e ufficiali appartenenti alla Polizia dello Stato, nel corso di una perquisizione ex articolo 41 del testo unico di pubblica sicurezza all'interno dell'edificio scolastico Armando Diaz, alla cui organizzazione ed esecuzione partecipava, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, cagionava lesioni personali varie, anche gravi, a persone presenti all'interno del predetto edificio colpite con sfollagente in dotazione o con atti di violenza direttamente o comunque agevolando e non impedendo ad altri tale condotta, così abusando della qualifica di pubblico ufficiale ed eccedendo i limiti del legittimo uso dei mezzi di coazione fisica nell'occasione eventualmente occorrenti». Questa è l'imputazione che ho ricevuto.
Per quanto riguarda l'altra domanda, non sono sottoposto ad alcun procedimento disciplinare e, per ora, la mia amministrazione non mi ha comunicato alcunché. (...)


Dirigente del I reparto mobile di Roma. È vero, sul posto non ho individuato un funzionario che dirigesse tutta l'operazione. In ogni caso, le ricordo che nella mia relazione ho affermato che il nucleo fu diviso in due colonne, a capo delle quali erano due funzionari della DIGOS; quindi, per ciò che mi concerne, i miei uomini erano a disposizione del dottor Mortola e del suo collega.
(COMITATO PARITETICO
INDAGINE CONOSCITIVA
Seduta di martedì 4 settembre 2001-audizione di V.Canterini)

Lo sanno pure i sassi

“Ancora oggi non so chi comandava l’irruzione alla scuola Diaz”, spiega comandante del Reparto Mobile di Roma, Vincenzo Canterini, e smentisce quanto precedentemente riferito al comitato d’indagine dall’ex capo dell’antiterrorismo, Arnaldo La Barbera. “Non e’ vero - ha infatti detto Canterini - che mi sconsiglio’ il blitz”.

«Lo sanno pure i sassi. I miei uomini non sono entrati per primi nella Diaz. Ci sono stati degli errori, ma sono stati commessi a livello dirigenziale: quella sera c’è stata molta confusione... Noi non abbiamo violato la legge»
dal Corriere - 23 maggio 2002


Indossava una maglia scura in una stanza buia

“Dopo aver sfondato la porta al grido di “FERMI POLIZIA!” unitamente all’Ispettore Capo PANZIERI, entravo per primo di slancio nella stanza buia e mi trovavo improvvisamente di fronte ad un giovane dell’altezza di circa m. 1,70, del quale posso riferire solo che indossava una maglia scura, il quale con urla indistinte mi affrontava impugnando un coltello con la mano destra puntandomelo con il braccio teso verso la gola.

Servendomi dello sfollagente in dotazione riuscivo ad allontanare l’aggressore, colpendolo al torace con la punta dello stesso, ed a farlo indietreggiare. QUEST’ULTIMO TUTTAVIA, CON UNA MOSSA FULMINEA, MI COLPIVA VIGOROSAMENTE AL TORACE FACENDO AL CONTEMPO UN RAPIDO SALTO ALL’INDIETRO.
I colleghi che mi seguivano dappresso, tra cui lo stesso Ispettore PANZIERI, intervenivano in mio ausilio e bloccavano lo sconosciuto dopo averlo atterrato. Il medesimo veniva quindi immediatamente preso dagli altri colleghi e portato al piano terra nel punto di raccolta.
Immediatamente dopo che la persona era stata accompagnata fuori, grazie al riflesso della luce proveniente dal corridoio mi avvedevo, prima di uscire dalla stanza, che sul pavimento in corrispondenza del punto dove si sono
svolti i fatti sopra narrati, era presente il coltello impugnato dalla persona che mi aveva affrontato, e pertanto lo raccoglievo."

Rinfoderando lo sfollaggente

"Dopo aver dato uno sguardo anche al locale dei bagni riscendevo verso il pian terreno ma, giunto all’altezza del primo piano, rinfoderando alla cintura lo sfollagente in dotazione notavo, all’altezza del punto dove ero stato precedentemente colpito, un evidente taglio sulla giubba della mia divisa.

Infilavo quindi immediatamente la mano sinistra all’interno della giubba in corrispondenza del taglio ed avvertivo nettamente al tatto un solco anche sul corpetto interno di protezione in materiale plastico. Mi aprivo pertanto la
predetta giubba e constatavo sul corpetto due incisioni, una della lunghezza di circa 7 – 8 cm. e l’altra, molto più piccola, di circa 1 cm. Ricollegandomi a quanto avvenuto in precedenza, mi rendevo conto solo in quell’istante di essere stato colpito con la punta del coltello con il quale ero stato minacciato e che poi avevo rinvenuto sul pavimento. …”

L'agente Massimo Nucera fu accoltellato o no durante l'irruzione alla scuola Diaz? Secondo il professor Carlo Torre sì, i segni sugli indumenti del poliziotto del reparto Mobile di Roma sono compatibili con il suo racconto. E' tutto scritto nella perizia che il Gip Lucia Vignale aveva affidato a Torre su richiesta dei pm Francesco Albini Cardona ed Enrico Zucca come incidente probatorio e che l'anatomopatologo torinese ha consegnato in tribunale ieri mattina. Una perizia che è stata subito blindata dal magistrato ma che si potrà conoscere nei particolari il 16 aprile, quando si farà l'incidente probatorio.

(...)però, il pubblico ministero Enrico Zucca decide, a sorpresa, di far effettuare una perizia. E l'affida ai carabinieri del Reparto investigazioni scientifiche di Parma. E sul fascicolo firmato dal colonnello Luciano Garofano c'è scritto che gli esami hanno dato esito negativo: i segni non sono compatibili con il racconto del poliziotto. Dunque si tratta di tagli fatti a posteriori, di una messinscena
(da "il manifesto" del 10 Aprile 2003)

Il ferito immaginario

Il 28 luglio l’agente Massimo Nucera interviene a Padova a una conferenza stampa organizzata da Alleanza nazionale, per presentare una manifestazione di solidarietà alle forze dell’ordine dopo i fatti di Genova. Presiede l’onorevole Filippo Ascierto, maresciallo dei carabinieri e responsabile del settore sicurezza del partito. Il Mattino di Padova descrive Nucera come «un ragazzo alto, bruno, molto serio, leggermente imbarazzato dal turbine retorico dell’onorevole». L’agente spiega: «Non mi sento un eroe, ho fatto quello che mi è stato ordinato… Vorrei spiegare che ho accettato l’invito di Ascierto e di An perché la loro solidarietà mi ha aiutato a sopportare il linciaggio morale a cui siamo stati sottoposti». Poi parla della famosa irruzione: «Il nostro compito era di sfondare e uscire, e così è stato… Nessuno ha perso la testa, neanche dopo il mio accoltellamento. Chi afferma il contrario cerca solo di montare i fatti a proprio favore». «Montare i fatti», tenetelo a mente. (Diario del
28 giugno 2002 Il ferito immaginario)

I superiori

Maurizio Panzieri e gli altri funzionari di polizia sottoscrittori del verbale tra cui Filippo Ferri, Fabrizio Ciccimarra e Spartaco Mortola, superiori dell’ agente Nucera confermarono la versione dell' accoltellamento immaginario .

Accoltellamento avvenuto con "un'arma da taglio, un coltello a serramanico, marca Quittin Horse Smith & Wesson, come si legge nella relazione dell'ispettore capo di PS Maurizio Panzieri"

''Non voglio entrare nel merito delle imputazioni, ma ringrazio tutti gli amici della polizia che mi sono stati vicini''. Sono queste le prime parole di Fabio Ciccimarra , uno dei due funzionari agli arresti domiciliari, indagati nell'inchiesta sui maltrattamenti alla caserma 'Virgilio Raniero'(Napoli-marzo 2001). ''Ero tranquillo, ero sereno e convinto della mia estraneità alle accuse - continua Ciccimarra - ed ero convinto che la decisione del Riesame sarebbe stata favorevole non solo a me ma anche agli altri colleghi''.

Quel giorno, il 17 marzo del 2001, accadde di tutto. In piazza, e non solo. Le testimonianze dei ragazzi e dei manifestanti rappresentano la parte più corposa dell'ordinanza. Si parla di calci, pugni, vessazioni, perquisizioni anali e vaginali. Per questo il Gip contesta ai due funzionari Carlo Solimene e Fabio Ciccimarra le aggravanti "per non aver impedito che venissero colpite le persone, di aver fomentato i pestaggi e di aver negato l'evidenza nelle relazioni redatte". I poliziotti, sono quindi, accusati di "aver agito per motivi abietti, approfittando della condizione di minorata difesa in cui versavano le persone offese". Per il magistrato la pericolosità sociale degli agenti è dimostrata non solo da quanto avvenne in caserma, ma dalla stessa "personalità degli indagati che hanno dimostrato la tendenza ad abusare della loro qualità di pubblici ufficiali".

"Secondo le dichiarazioni accusatorie - dice il comunicato della Procura - tutti i giovani che a seguito degli scontri con le forze dell'ordine di quel giorno, o per ragioni indipendenti dalla manifestazione, si erano recati negli ospedali cittadini per farsi medicare, furono prelevati con forza, condotti presso la caserma Raniero senza alcuna valida giustificazione e lì sottoposti a gravi forme di maltrattamenti, ingiustificate perquisizioni personali e a gratuite mortificazioni".

Ciccimarra, come ha spiegato il legale, aveva il compito di dirigere l’attività di polizia che veniva svolta nella caserma, con la redazione dei verbali relativi ai giovani fermati, al sequestro delle cosiddette armi improprie e le altre attività di polizia giudiziaria.

Da Napoli a Genova
Parola di Fabio Ciccimarra
"nessuno fu costretto a mettersi in ginocchiuo e le ferite se l'erano procurate in piazza".
"Non ho sento urla, ne'visto violenza: altrimenti avrei lasciato la polizia".

Verbale madre e alcuni firmatari

Filippo Ferri capo della squadra mobile scrisse e firmò, insieme ad altri colleghi, il verbale d'arresto per i 93
giovani che si trovavano all'interno dell'istituto scolastico e che furono accusati di resistenza e lesioni con l'aggravante di far parte di un'associazione a delinquere. «Un verbale che è stato trasmesso dalla stessa
Procura ai giudici per le indagini preliminari perché lo convalidassero», ha precisato Corini, facendo intendere che anche i magistrati erano d'accordo sul quel documento, poi sostanzialmente bocciato dai GIP. L'impressione è
che in Procura la pensino diversamente: i pm si fidarono comprensibilmente dei rapporti della polizia, salvo poi scoprire che le cose non erano esattamente andate nel modo descritto. Uscendo intorno alle 20 dopo una
chiacchierata durata quasi sette ore, Ferri non ha voluto commentare. Soddisfatti sono invece apparsi i suoi legali: «Pare che i PM vogliano sapere cosa sia accaduto all'interno della scuola Diaz-Pertini, prima di attribuire singole responsabilità: Filippo Ferri ha risposto a tutte le domande e non gli è stata rivolta alcuna accusa specifica». Nel corso dell'interrogatorio sarebbero tuttavia emerse alcune discrepanze rispetto alla relazione sottoscritta cinque mesi fa. (La repubblica
2001-12-19)

Il verbale della perquisizione e degli arresti della Diaz mette nei guai due nuovi funzionari della polizia di Genova. Due persone - come ha anticipato il Secolo XIX( 2002-10-10)- di rilievo nella "geografia del quadro comando attivo"nella città durante il G8. Gli avvisi di garanzia per falso e calunnia sono infatti arrivati a Nando Dominici, ex capo della Mobile di Genova (oggi vicequestore vicario di Brescia) e Carlo Di Sarro ex numero tre della Digos, (dirigente in carica del commissariato di Rapallo).
Le accuse si riferiscono alla redazione e quindi alla firma del verbale madre, quello scritto in questura nella notte dei pestaggi a spese di quanti e quante dormivano nella scuola. Il verbale - secondo l'accusa - è stato
fatto firmare, anche a persone che non erano presenti al blitz che portò al
fermo di 93 persone di cui 62 ferite.

Falso e calunnia

Falso e calunnia sono tra di loro collegati perché, secondo la tesi dell'accusa, tutti i firmatari - 25 nomi, ormai tutti decifrati - certificarono una dinamica dei fatti diversa da quella che si è realmente consumata. Attestando sia il falso ferimento di un agente: aggredito e accoltellato, sia il falso rinvenimento delle molotov (messe lì invece per giustificare l'irruzione-massacro, gli arresti e le accuse di associazioni a delinquere).


Il verbale d'arresto, secondo i pm, lo scrissero Ciccimarra, Ferri e Di Bernardini. Perquisizione e sequestro furono invece verbalizzati da Mazzoni, che dipendeva direttamente da Gratteri.

I tre funzionari che estesero la perquisizione all'istituto di fronte alla Diaz, la Pascoli: sono Salvatore Gava, capo della mobile di Nuoro, il napoletano Alfredo Fabbroncini e il «mobiliere» romano Luigi Fazio, quest'ultimo accusato anche di percosse a un giovane tedesco.


(accoltellamento)
i funzionari che hanno avallato il racconto di Nucera dell' accoltellamento: Maurizio Panzieri, Spartaco Mortola, ex capo della Digos di Genova, Nando Dominici, Carlo Di Sarro, Filippo Ferri, Fabio Ciccimarra e Salvatore Gava.



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