Iraq, settembre 2003. Da soli 4 mesi George Bush aveva dichiarato la guerra vinta e finita. L'esplosione dell'insurrezione e del terrorismo tagliagole era di la' da venire. Per un soffio il nostro ambasciatore, Pietro Cardone, non cadde vittima del "fuoco amico". Strana l'amnesia relativamente a questo precedente gravissimo dell'omicidio Calipari manifestata non solo dalla stampa, ma anche dai media.
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Iraq, settembre 2003. Da soli 4 mesi George Bush aveva dichiarato la guerra vinta e finita. L'esplosione dell'insurrezione e del terrorismo kamikaze e tagliagole era di la' da venire.
Per un soffio il nostro ambasciatore, Pietro Cordone, non cadde vittima del "fuoco amico".
Rituali "scuse" al nostro governo dai massimi livelli dell'amministrazione americana. Nessuna inchiesta si cui si abbia notizia, nessuna punizione per lo sparatore. Unica conseguenza: la sostituzione del nostro ambasciatore quasi ammazzato (forse a richiesta dello stesso, e sarebbe ben comprensibile, ma non ne siamo certi). Vicenda dimenticata in fretta a tutti i livelli.
Pietro Cordone, arabista e studioso, ambasciatore Italiano in Iraq (attualmente l'ambasciatore e' Gian Ludovico de Martino di Montegiordano), girava il paese arabo per cercare di preservarne, grazie alle sue competenze, il patrimonio culturale. E lo faceva, un giorno di settembre del 2003, a bordo di un'auto non blindata e accompagnato dalla moglie, da un interprete iracheno e dal proprio autista. Questi particolari, ove fosse necessario, chiariscono al di la' di ogni dubbio come, allora, la tensione in Iraq fosse ancora piuttosto bassa, a dir poco, e come l'invocarla per "spiegare" il grilletto facile dei soldati USA non avesse senso. Anzi, testimonia della preesistenza delle famose "regole d'ingaggio", che danno ai soldati americani il diritto di uccidere chiunque e di restare impuniti, a prescindere dalla "tensione". Regole d'ingaggio che costituiscono una lampante violazione della Convenzione di Ginevra e che non risulta siano applicate ne' dal Contingente Inglese, ne' da quello Italiano.
E testimonia, soprattutto, di come invocare la "tensione" che affliggerebbe i soldati USA per "giustificare" l'agguato all'auto sulla quale viaggivano Calipari e la Sgrena non sia altro che un vergognoso espediente per nascondere la verita'.
Il 19 settembre 2003, in pieno giorno, in condizioni di visibilita' normalissime, l'auto del nostro ambasciatore fu colpita da una fucilata esplosa un soldato americano che viaggiava su un convoglio USA che l'auto del nostro diplomatico stava (incautamente?) cercando di sorpassare, si badi bene, in autostrada, in condizioni di normale traffico, presso lo svincolo per Tikrit. In quel caso l'ambasciatore dovette la vita, con ogni probabilita', alla morte del suo interprete iracheno, colpito in pieno dal proiettile, mirato, esploso dal soldato americano. Secondo l'ambasciatore, intervistato al TG1, il soldato si sbraccio' per indicare al veicolo italiano di rientrare dalla corsia di sorpasso e immediatamente dopo -pochi secondi- prese la mira e sparo', senza dare tempo all'autista di rientrare. L'unico proiettile esploso dall'americano, evidentemente ben mirato, attraverso' il cuore dell'interprete iracheno, che sedeva sul sedile anteriore, il resto del suo corpo, il sedile, ed ebbe ancora la forza di graffiare il braccio di Cordone. Il nostro ambasciatore, curiosamente (?) senti' di dover specificare di non aver violato nessun "check point" ed espresse la speranza che gli americani fornissero un qualche risarcimento alla vedova dell'interprete ed ai suoi due bambini.
Suona strana l'amnesia manifestata non solo dalla stampa, ma anche dai media, persino dal Manifesto, relativamente a questo precedente gravissimo della sparatoria costata la vita a Nicola Calipari.
Un precedente che dovrebbe chiudere la bocca a chiunque cerchi di giustificare l'ingiustificabile comportamente di quella che non e' piu' possibile definire se non soldataglia statunitense.
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