Aggiornamento Filiarmonici
"Per qualcuno da mesi. Johnatan, Moses e gli altri 148 ragazzi sanno cosa li sta aspettando. Dirkou è una gabbia e il Sahara e il Ténéré sono le sue sbarre. Di disperati come loro, prigionieri dell'oasi, ne hanno contati diecimila. Per non morire di fame lavorano gratis. Nelle case dei commercianti o nei palmeti. Lavano pentole, curano orti e giardini, raccolgono datteri, impastano mattoni. In cambio di una scodella di miglio, un piatto di pasta, il caffè, qualche sigaretta. Volevano arrivare in Italia, sono diventati schiavi. Solo dopo mesi di fatica il padrone li lascia andare, pagando finalmente il biglietto per la Libia: 25 mila franchi, 38 euro e 50. Impossibile chiedere aiuto. Anche solo far sapere a mogli e genitori che non si è ancora morti. Non c'è banca, non c'è Internet. Il telefono a Dirkou non esiste. Ha la voce timida, Gereké Oussane, 32 anni, maliano di Koulikoro, sul fiume Niger, dieci anni da tassista in Camerun e ora schiavo nella casa di un commerciante: "I militari e la polizia mi hanno preso tutti i soldi. Arrivato qui, ho saputo che avevano bisogno di un giardiniere. Mi sveglio alle 5.30, preparo la colazione per la famiglia. L'ultimo mio compito della giornata? Bagnare il giardino, dalle undici a mezzanotte. L'accordo con il mio padrone era due mesi di lavoro gratis, poi lui mi avrebbe dato i 25 mila franchi per la Libia. Però sono arrivato a Dirkou all'inizio di settembre e dopo tre mesi... Io ho paura di finire come quelli prigionieri da più di un anno. Sono diventati pazzi e vivono nella boscaglia". Uno di loro gira ogni mattina nel mercato. Si accontenta di una manciata di farina, un pezzo di pane. Ma se gli vuoi parlare, scappa spaventato. Mohamed Youssef, 26 anni, a Kumasi in Ghana aggiustava televisori. Adesso fa il muratore dall'alba al tramonto, per un pugno di riso. "Sono in viaggio con mio fratello e siamo bloccati da tre settimane - racconta -. Proprio non riesco a immaginare come faremo ad andarcene. Non pensavo fosse così dura. Sette mesi fa uno dei miei fratelli ha fatto la stessa rotta. Ora è a Napoli, uno zio è a Torino. Perché sono partito? Perché sono sposato, ho un bambino di due mesi. E quando vedi che la tua famiglia non ha abbastanza da mangiare, è l'uomo che deve fare qualcosa. Prima di uscire di casa, mia moglie mi ha dato un abbraccio, forte, lunghissimo. Non aveva altro da regalarmi". Sul registro del municipio gli abitanti di Dirkou sono tremila. Famiglie kanuri e tubù, qualche tuareg e i figli degli arabi libici scappati dall'occupazione italiana. C'erano soltanto la base dell'esercito e le cave di bicarbonato, qui intorno. Ma tre anni fa è esploso il traffico dei clandestini. E l'anno scorso anche la polizia ha voluto aprire un commissariato. Questione di soldi, razzie, estorsioni. Milioni di euro da dividere con i militari."
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http://www.filiarmonici.org/sahara.html
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