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Congo: c'è la Costituzione, mancano ancora pace e giustizia.
by mazzetta Tuesday, May. 24, 2005 at 1:50 PM mail:

Sono giorni storici per il Congo, ma la quiete per il paese africano è ancora un miraggio.

Congo: c'è la Costit...
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E’ stata presentata in questi giorni la nuova costituzione, frutto di anni di mediazione e di pressioni internazionali, che dovrebbe essere votata entro giugno, salvo un rinvio già scontato di qualche mese.
Il presidente Kabila jr. ha presentato orgoglioso al mondo quello che da Kofi Annan è stato definito semplicemente “Un buon passo”. La nuova costituzione prevede: l’istituzione di 25 province, un compromesso tra unionisti e federalisti; il riconoscimento di tutte le etnie presenti nel paese al momento dell’indipendenza del ’60, risolvendo la questione dei Tutsi nell’Est; ed una divisione del potere tra un primo ministro di nomina parlamentare e un presidente a nomina diretta. L’età minima per fare il presidente è stata abbassata da trentacinque a trenta anni, non in omaggio alla giovanissima età media del paese, ma con un occhio all’età di Kabila Jr., trentatreenne rimpiazzo del padre assassinato, e rappresentante diretto del potere reale nel paese.
Non è un caso se i materiali per le elezioni saranno forniti dall’azienda belga Zetes Pass: 10.000 macchine fotografiche digitali, 10.000 macchine digitali per impronte, 10.000 cellulari ed altrettanti generatori; l’ennesima prova che gli interessi dei paesi dominanti fanno tornare a casa i fondi che in teoria vengono spesi per gli aiuti; il Belgio non è certo il Bengodi dell’elettronica di consumo.
Nel frattempo la missione Onu nel paese è diventata la più numerosa al mondo, oltre 14.000 uomini principalmente da India, Pakistan, Bangladesh e Nepal, l’ultimo mix dopo le pessime prove di occidentali e nordafricani, troppo inclini ad approfittare della popolazione locale.
In compenso gli asiatici si sono dimostrati pronti ad accettare battaglia nel distretto dell’Ituri, la zona vicina all’Uganda in mano a decine di bande di armati rimasti senza guerra. Il nuovo approccio, molto duro, comporta che i soldati dal basco azzurro stiano realmente combattendo e disarmando le bande; anche se sono stati riportati episodi di uso eccessivo della potenza bellica, le popolazioni locali sembrano gradire, a costo di pagare il prezzo di diverse vittime civili duranti le operazioni più cruente. L’azione dell’Onu, che in Ituri schiera carri armati ed elicotteri e usa tutta la sua potenza di fuoco, manca però nel Kivu, dove ex milizie alleate del Ruanda conducono stragi e stupri senza alcun contrasto; nella zona la Monuc resta nei tradizionali limiti di osservatore; le milizie in questione, oltre ad essere vicine al Ruanda che ha mire sulla zona, furono alleate del padre di Kabila nella sua conquista del potere.
In Congo si sta provando, in silenzio, quel nuovo profilo di intervento internazionale -pesante- che da anni si reclama come necessario nei confronti delle crisi mondiali.
Resta un intervento che non impedisce la conservazione al potere di un leader chiaramente imposto dall’esterno del paese, per ora giocato ipocritamente contro le resistenze militarmente meno significative, e perfettamente allineato alle esigenze dei tradizionali padroni del paese, che non sono certo i congolesi.
Il Congo sembra destinato a rientrare definitivamente sotto la tradizionale influenza delle forze colonizzatrici, almeno per i prossimi anni, visto che non si vede chi potrebbe insidiare la rielezione di Kabila ed il potere dei suoi sostenitori, che saranno quindi padroni del paese per almeno altri sei anni. Tutto questo dopo aver perso almeno cinque milioni di abitanti negli ultimi dieci anni, avendo ancora un numero imprecisato di profughi dispersi dentro e fuori le frontiere. Un paese ricchissimo devastato dalla lotta infinita per impadronirsi delle sue incredibili risorse. Nonostante oltre un secolo e mezzo di dominazione , nonostante le uniche infrastrutture costruite dai generosi occupanti siano solo una ferrovia ed una diga; nonostante il Congo sia sempre stato un esportatore netto, il paese è tra i più indebitati dell’Africa, con un rapporto deficit/pil del 225%, 12 miliardi di dollari di debito, circa dodici volte il volume dell’export annuo.
Forse la stranezza dipende dall’equità degli scambi imposti ai poveri congolesi dagli astuti mercanti e politici bianchi, se è vero che già Morton Stanley trattando con i due più grandi re della zona, ottenne per conto di re Leopoldo II il dominio assoluto sul paese al prezzo di :“un capo di buon vestiario al mese”; per ciascuno dei due re, poi trucidati. Chissà se ai congolesi hanno mai pagato qualcosa ad un prezzo onesto, nel paese che è considerato uno scandalo geologico e un paradiso minerario, ora anche saccheggiato nel legno delle foreste, a rischio di vedere cementato il corso del fiume Congo per un progetto internazionale dalle dimensioni triple di quello della diga delle Tre Gole in Cina; chiaramente per produrre energia che non serve ai congolesi, ma ai paesi vicini e alla vanità della Banca Mondiale. Hanno già Inga I e Inga II, questa sarebbe Grand Inga, un complesso sistema di dighe, che ha entusiasmato i paesi donatori. Il progredire della relativa pacificazione significa anche l’avvicinarsi di spettri come questo.

mazzetta@reporterassociati.org

i precedenti
http://italy.indymedia.org/news/2005/03/741709.php
http://italy.indymedia.org/news/2004/12/688765.php
http://italy.indymedia.org/news/2004/07/585597.php

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Corsa all'oro e miseria; le multinazionali in campo
by mazzetta Monday, Jun. 06, 2005 at 9:43 AM mail:

Rights-DRC:Another Demonstration of the Paradox of Plenty




Inter Press Service (Johannesburg)

June 2, 2005
Posted to the web June 2, 2005

Moyiga Nduru
Johannesburg

A report by the New York-based Human Rights Watch claims the competition for gold in the Democratic Republic of Congo has led to widespread abuses in the central African country.

According to 'The Curse of Gold', released Wednesday, tribal militias backed by Uganda and Rwanda have fought for control of extensive gold deposits in north-eastern DRC, as the region struggled to extricate itself from civil war.
http://marimbalafon.com/

From 2002 until 2004, about two thousand civilians were killed and tens of thousands displaced in the battle for one of the most important mining areas, Mongbwalu - this as militants sought to enrich themselves from gold, the profits from which also financed their war effort. Ethnically-motivated killings, torture and rape were also reported in the scramble for reserves of the ore.

Human Rights Watch (HRW) describes the militias, the Nationalist and Integrationist Front (FNI) and the Union of Congolese Patriots, as being "proxies" for Uganda and Rwanda, which occupied Congo-Kinshasa during the country's five-year civil war (1998 to 2003).

Investigations by the United Nations have found that Uganda and Rwanda were themselves guilty of illegal resource exploitation in the DRC during the war, in which they backed various rebel groups.

"(Uganda's) soldiers took direct control of gold-rich areas and coerced gold miners to extract the gold for their benefit. They beat and arbitrarily arrested those who resisted their orders," observes the HRW report, adding that gold worth more than nine million dollars is believed to have passed into Ugandan hands in the course of the war.

The rights group says the post-war period in the DRC has seen AngloGold Ashanti, a leading producer of gold, set up operations near Mongbwalu, after having provided "financial and logistical support" to the FNI. This was in spite of the group's poor human rights record - and the fact that it remained outside the Congolese peace process.

AngloGold Ashanti, a subsidiary of the international mining group Anglo American, allegedly paid eight thousand dollars to the FNI. While the company had already won rights to the region's gold concessions in 1996, the advent of war forced AngloGold Ashanti to withdraw from the DRC until late 2003.

HRW notes further that gold mined under duress on behalf of armed groups continues to be exported to Uganda, from where it is sold on the international market. This has made gold the East African country's third largest export, even though Uganda clearly lacks the ability to produce substantial quantities of ore locally.

"Official statistics show that Ugandan gold production accounts for less than one percent of the official gold exports. When we asked the ministry of energy and mineral development representatives to explain this discrepancy they refused to comment," Anneke Van Woudenberg, a senior researcher at HRW, told a press conference held in Johannesburg, Wednesday.

"The gold is smuggled out of Congo and when it arrives in Uganda it becomes legal. Then a certificate is issued to export it to Europe and beyond," she added.

Uganda has denied any involvement in the looting of Congo's resources. The Kampala government first crossed into the DRC to help depose long-time dictator Mobutu Sese Seko - later turning against the man installed in his place: Laurent Kabila.

When Uganda and Rwanda starting backing rivals to Kabila, the Congolese leader and his successor - son, Joseph - solicited support from Angola, Namibia and Zimbabwe. The UN has also pointed a finger at Zimbabwe regarding the illegal exploitation of Congolese resources. As with Uganda, both Rwanda and Zimbabwe deny such allegations.

AngloGold Ashanti, in its turn, has poured cold water on the HRW report.

At an impromptu press conference organised in Johannesburg Wednesday, the company's chief executive officer, Bobby Godsell, described the document as "unfair, unjust, unhelpful and flawed."

Nonetheless, the company did admit to making payments to the FNI.

"We have acknowledged the payment by AngloGold Ashanti to the FNI in January (2005) of an extorted sum of 8,000 dollars, and further sums totalling about 1,000 dollars last year in respect of an authorised arrangement related to cargo delivered to the local airstrip," AngloGold Ashanti said in a statement.

"AngloGold Ashanti does not and will not support militia or any other groups whose actions constitute an assault on efforts to achieve peace and democracy (in the DRC)," the firm added. "Should we find ourselves in a situation where there is pressure on our staff again to yield to extortionate demands, we will consider that to be grounds for our withdrawal from the exploration project."

Rights campaigners would doubtless view this as a strategy that should have been adopted earlier.

"As a company committed to corporate social responsibility, AngloGold Ashanti should have waited until it could work in Mongbwalu without having to interact with abusive warlords," said Van Woudenburg in a HRW press release issued Wednesday.

"Congo desperately needs business investment to help rebuild the country, but such business engagement must not provide any support to armed groups responsible for crimes against humanity," she added.

A Swiss-based gold refining company, Metalor Technologies, is also named in the HRW report, which says it bought potentially suspect gold from Uganda. But, following consultations with the rights group, Metalor has announced the suspension of gold purchases from Uganda.

Van Woudenberg believes the deployment of UN peacekeepers and government troops would ultimately bring militias in north-eastern Congo under control - and prevent the mass smuggling of gold into Uganda.
Relevant Links
Central Africa
Congo-Kinshasa
Crime and Corruption
Human Rights
Civil War and Communal Conflict
Mining

At present, a force of almost 17,000 peace keepers is thinly spread over the DRC's extensive territory, in a bid to make remote regions governable ahead of elections that are expected to take place next year. Congo is currently ruled by an interim government of national unity, headed by Joseph Kabila.

About four million people are believed to have died in the country' s civil war, both as a direct result of the conflict, and because of the hunger and illness that fighting inflicted on communities.




SA Left Out of Global Mining Boom - Study







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Business Day (Johannesburg)

June 3, 2005
Posted to the web June 3, 2005

John Fraser
Johannesburg

WHILE the world was in the grip of a mining boom last year, it passed SA by, a recent report by PricewaterhouseCoopers shows.

In fact, South African companies had a tough 2004, with lower returns and a squeeze on profits - due to higher costs and the strong rand.

The PricewaterhouseCoopers report was based on data from 40 mining companies that accounted for 80% of global total market capitalisation in mining.

"We called the report Enter The Dragon - but an earlier draft was called Enter the Dragon; Exit the Springbok," said Hugh Cameron, the PricewaterhouseCoopers partner in charge of mining. He was at the local launch of the report, which was released in London at the beginning of this week.

Cameron said last year was "spectacular" for the global mining industry, with a 19% rise in market capitalisation, revenue up 39%, and profits doubling for a second year in a row.

By contrast, it was "a tough year for the industry in SA".

The market capitalisation of South African mining firms fell 9%, revenue was up just 3% in rand terms and profits in rand terms tumbled 42%. Return on equity slumped to 9,7% from 17,5% the previous year.

Cameron said the problems of local mining companies were due largely to significant cost pressures in rand terms, combined with the effect on earnings from the stronger local currency.

Cameron said the most recent weakening of the rand had brought a dramatic improvement for local gold producers, with the rand gold price shooting up from R82000/kg to R92000/kg in the space of a fortnight.

"If the rand settles at R7 to R7,50 to the dollar, and commodity prices remain where they are, we will see some very good results," said Cameron.

He said the global mining industry had outperformed both the Dow Jones and the Standard & Poor's 500 stock market indexes for the last three years, due to base metals and energy stocks "and this trend is likely to continue this year".

Cameron said commodity prices had been performing well in dollar terms, but were "pretty flat" in rand terms - meaning that SA producers had been unable to cash in on the commodities boom being led by China.

He said those global companies that had achieved the best return for shareholders last year had all been in the base metals, uranium and coal sectors.
Relevant Links
Southern Africa
Mining
Economy, Business and Finance
South Africa

The PricewaterhouseCoopers report noted that said mining companies had large cash reserves and Cameron said this represented "quite a big war chest" to fund acquisitions.

He said junior mining companies were exploring more, "and when they find something, the majors buy them out".

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