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Carcerati e dimenticati
by mazzetta Thursday, Sep. 29, 2005 at 4:02 PM mail:

Uno di quei problemi che non interessano a nessuno.


Problema:
Il nostro paese dispone di istituti penitenziari in grado di ospitare circa ventimila persone.
In realtà i detenuti sono prossimi ai quarantamila, il doppio.
A curare questa umanità è impegnato un numero di persone che è un terzo di quello che dovrebbe occuparsi dei ventimila.
Presto, grazie ad una legge per evitare la galera ad un amico del presidente del Consiglio, altri ventimila dovrebbero aggiungersi a questa umanità disgraziata.

Soluzione del problema:
Il ministro dell'Ingiustizia Castelli vuole costruire nuovi istituti di pena.
Dal mondo delle carceri si alza una flebile voce e fa notare che anche costruendo altre carceri, non c'è personale a sufficienza per gestirle, e già questo basterebbe a classificare come una boutade insensata la soluzione ministeriale.

In realtà la proposta del governo sorvola sui problemi di un mondo, quello carcerario, con levità superiore a quella con la quale si parla di fuorigioco davanti ad un aperitivo.
Per il governo le sofferenze di queste persone, e anche di quanti sono condannati a condividerne le pene ed i drammi indossando una divisa, non esistono.

Non esistono le condizioni incivili nelle quali sono costretti a vivere, non esiste l'imbarbarimento del pianeta carcere, che, costretto dalla mancanza di risorse, si trasforma sempre più in un meccanismo che moltiplica la pena, e non già un istituto frequentato da cittadini in attesa di rientrare nella società.

Un inferno invisibile nel quale il cittadino incarcerato vede dissolversi ogni diritto, minacciata la sua salute, e dimenticata la sua dignità. Un inferno dal quale salvare gli amici a tutti i costi; la degna punizione per chi non si adegua alle regole che nessuno rispetta.
Ai carcerati il nostro paese non riconosce nemmeno quanto prevede nelle sue stesse leggi, e la classe politica se ne frega. Diversamente non saremmo un paese nel quale l'organizzazione della giustizia è affidata ad un ingegnere per il quale il diritto è un oggetto misterioso e ad un partito per il quale i delinquenti ( quando non sono amici) vanno uccisi sul posto; magari affidandone l'esecuzione ad altri cittadini armati allo scopo.
Queste migliaia di persone, e le loro famiglie, non possono contare su nessuno; non sulle leggi che cambiano sempre a loro sfavore, non sul dettato costituzionale ormai tenuto in conto come le belle favole, non sull'attenzione dei campioni dei diritti civili e nemmeno sulla mitica carità cristiana.

La nostra società spinge sempre di più verso un modello competitivo nel quale gli ultimi sono abbandonati per non togliere risorse ai primi; un modello nel quale le galere devono essere una punizione per i cattivi, con tanti saluti alle balle sul reinserimento sociale e sulla dignità ed i diritti umani.
Una tendenza autolesionista, che dietro alle invocazioni per una maggiore sicurezza nasconde la verità devastante della demolizione della giustizia e del disastro nel quale versano le forze dell'ordine, ridotte a patetiche macchiette con le pezze al culo.
Questo prodigio dell'occidente non ha i soldi per pagare gli straordinari del personale sottodimensionato, non ha carburante per le macchine di polizia e carabinieri, e quindi pensa di arrestare la criminalità confiscando qualche motorino ai liceali che impennano, o economizza stipando esseri umani come animali nelle stalle.

Nelle strade dilaga impunito il crimine, mentre all'interno delle prigioni quelli che hanno avuto la sventura di esser presi scontano la pena anche per chi resta fuori. Aumentano i suicidi, le malattie, la promiscuità; diminuiscono l'assistenza e l'offerta educativa; muoiono anche i sogni dietro le sbarre.

L'unico provvedimento serio verso questa umanità costretta a pagare ben più di quanto abbia ricevuto in condanna, sarebbe un'estesa amnistia, che però non è proposta da nessuno.
L'amnistia è un provvedimento poco popolare nei periodi nei quali si parla solo di law & order, o di "legalità".
Poco tempo fa ne è stata promulgata una, un mostriciattolo inefficace giusto per solleticare i caritatevoli cristiani, non è servita a niente.
Nei programmi di alcuni partiti dell'Unione è presente la richiesta di amnistia per i reati commessi nel corso di rivendicazioni e lotte sociali, ma nulla traspare per i detenuti diversi.
Dicevano un tempo che il livello di civiltà di un paese si misura dallo stato delle sue prigioni; se è vero siamo davvero messi male, perchè le nostre prigioni ormai sono una fogna.

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le soluzioni
by il pugnettista Thursday, Sep. 29, 2005 at 4:27 PM mail:

nel programma politico che sto scrivendo il tema delle carceri è centrale. e si compone di 3 misure centrali:
> costruzione di 42 nuove carceri regionali, ovvero carceri da non più di 500 persone. due per regione.
> in queste carceri vige il regime di lavori forzati socialmente utili: pulizia canali; costruzione piste ciclabili; rimessaggio scuole; costruzione centri per la terza età. quindi 20 mila persone sono cosi sistemate
> raddoppio degli stipendi delle guardie carcerarie
con queste 2 misure il problema si risolve.
1.gli altri 20.000 stanno meglio
2.si crea lavoro (per la costruzione delle carceri)
3.si crea lavoro socialmente utile
4.le guardie carcerarie sono più contente

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Correzione
by Papillon-Rebibbia Thursday, Sep. 29, 2005 at 4:28 PM mail:

Ottimo articolo. Solo una correzione: a oggi i detenuti sono 60.000 contro un massimo contenibile di 41.000. Castelli, il furbetto, lo ha portato a 62.000, sulla carta.
E' il gioco delle tre carte sulla pelle dei reclusi che vivono stipati come polli di batteria in condizioni disumane.
Per questo noi detenuti ed ex detenuti della Papillon da almeno 5 anni a questa parte chiediamo AMNISTIA E INDULTO PER TUTTI NESSUNO ESCLUSO. Per questo e molto altro promuoviamo in continuazione le proteste pacifiche nelle carceri.
Grazie per il tuo interesse alla questione carceraria.

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pardon
by mazzetta Thursday, Sep. 29, 2005 at 4:54 PM mail:

Ho preso i numeri da una fonte che credevo attendibile, controllerò, grazie

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ho la soluzione
by carcerato Thursday, Sep. 29, 2005 at 6:47 PM mail:

ABOLIAMO IL CARCERE!

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statistiche
by mazzetta Saturday, Oct. 01, 2005 at 10:08 PM mail:


ho controllato
ecco le statistiche giuste:
Per riepilogare in Italia ci sono 207 carceri. Al 31 agosto 2005 erano presenti 59.649 detenuti, di cui 56.806 uomini e 2.843 donne, a fronte di una capienza regolamentare di 42.959 unità. Ci sono quindi 16.690 detenuti in più rispetto ai posti letto regolamentari
come conferma:
http://www.ristretti.it/areestudio/statistiche/giugno2005/index.htm
da un ottimo sito sul tema
http://www.ristretti.it/avvio/recenti/2005/settembre2005.htm
in alcuni istituti è già rinchiuso un numero doppio di persone rispetto alla capienza.

e la segnalazione di un testo che mi pare interesante


Sul carcere
.
Repressione o recupero?
Un libro di Vincenzo Guagliardo
Dei dolori e delle pene
Saggio abolizionista e sull'obiezione di coscienza
edizioni "Sensibili alle Foglie"
[un contributo del c.s.o.a. ex Snia-Viscosa]
.
Vincenzo Guagliardo, a partire dal grande libro della sua esperienza
di reclusione che dura da 20 anni, accompagna il lettore
nel cuore del dibattito sul diritto penale, nelle sua storia e genealogia,
fino al suo collasso, alla sua implosione di senso
indicata nella sua moderna forma premiale
Già Brecht aveva richiamato l'attenzione sulla sottile differenza tra chi le "banche le fonda e chi le sfonda", cogliendo una verità che risuonerà più volte nelle rivolte sociali e politiche del Novecento: criminale è chi condanna gran parte degli uomini all'alternativa tra la miseria dell'esclusione o l'esclusione dell'asservimento.

Fu l'antiautoritarismo degli anni Sessanta e Settanta con la sua critica radicale alle "istituzioni totali" che preparerà il terreno per quel movimento che dai "dannati della terra" alla psichiatria democratica di Basaglia, porterà prima alla riforma carceraria del '75 e poi alla chiusura dei manicomi.

Poi più nulla, anzi il contrario. Nel volgere al tramonto il secolo sembrò volersi rivoltare contro se stesso, quasi a vendicarsi delle aspettative sollevate e tradite; gli strumenti del sistema penale divennero altrettante armi per quella "controriforma" che invaderà l'immaginario collettivo di magistrati difensori della patria, pionieri di quella cultura della penalizzazione che ha colonizzato i territori del nuovo millennio.

Disagio giovanile, culture e comportamenti sociali, proteste e contestazioni, droghe, immigrazione, persino il rapporto tra politica ed economia... ormai più niente sfugge al ricatto degli articoli del codice penale, novella carta costituzionale di un paese che ha smarrito a tal punto il senso della misura e della civiltà da eleggere il carcere a luogo di residenza inevitabile per un numero crescente di persone.

L'ultimo libro di Vincenzo Guagliardo, Dei dolori e delle pene - Saggio
abolizionista e sull'obiezione di coscienza fa dalla constatazione di questa crisi del sistema penale, paragonabile solo a quella che colpì il sistema penitenziario alla metà dell'Ottocento quando il ricorso alla reclusione come pena divenne prevalente, lo strumento di una critica radicale al carcere e al sistema delle pene ben oltre gli orizzonti a cui ci ha abituato il filone abolizionista di provenienza nord-europea.

E' un viaggio attraverso la sofferenza legale quello che ci propone, attraverso il dolore che l'umanità infligge ad un gruppo particolare di uomini, i criminali, in realtà infliggendolo a se stessa, alle proprie caratteristiche di esseri sociali minate alla base dalla dominanza del binomio merce-pena instaurato dall'avvento dello Stato moderno.

Quello del sistema penale non è solo un fallimento "relativo" a quell'1-5 per cento di reati penalizzati, mentre assistiamo, negli Usa, ad unaumento negli ultimi dieci anni del 414 per cento dei crimini più gravi, alla faccia dell'asserito potere deterrente del carcere e della pena tanto sbandierato; oppure all'assurdità di una cultura penale che ha prodotto una popolazione carceraria che si aggira intorno a cifre da fine Ottocento: 50.000 persone detenute a cui vanno aggiunte le 15.000 in pene alternative alla detenzione (già nel 1870 su 27 milioni di italiani si
contavano in Italia 70.000 detenuti...).

Questi numeri raccontano drammaticamente di un universo totalitario in espansione, dimostrazione di uno sviluppo socio-economico che mentre aumenta il disagio sociale si preoccupa unicamente dell'aumento delle misure repressive, senza cioè più alcuna delle velleità "rieducative" a cui ci ha abituato la retorica penitenziaria bensì con il solo scopo di contenere e punire.

Ma ben più grave è la crisi del sistema penale se la si confronta con l'emergere di quella nuova figura di criminale che è il "collaboratore di giustizia": "Questo esemplare di nuovo delinquente è la miglior prova del corto-circuito al quale è giunta la storia della giustizia penale, è l'eco della fine d'ogni presunta coerenza nel rapporto fra reato e pena fino al punto in cui è il sistema penale a creare, prima ancora che finisca in carcere!, un nuovo criminale assolutamente privo di scrupoli, premiato dalla legge quando sarà arrestato, stipendiato magari dallo Stato e presentato come cittadino-modello...".

Ormai è l'Inquisizione che parla, attraverso la reclusione non si combatte più la delinquenza, bensì le si dà forma e la si usa: "tutto un pensiero, dal giudice al letterato, presenta un risultato - la criminalizzazione dell'individuo - come un dato di partenza: la criminalità".

Riprendendo l'idea di Bruno Bettelheim dello "stato di massa hitleriano", l'anima del carcere è per Guagliardo la tortura, essendo il carcere quel "... raffinato derivato della tortura per ottenere una personalità spezzata; in concreto: una volontà annichilita che fornisce la 'verità' voluta, ovvero la verità giudiziaria."

Pietro Fumarola, curatore del libro, ci restituisce nelle sue "Note" il peso del condizionamento "giudiziario" che grava sulla vita politica e sociale del paese riproponendo alcune delle riflessioni più acute di L.Ferrajoli (Crisi della giurisdizione, 1984), a proposito dei guasti culturali ed istituzionali prodotti dalla "rottura emergenziale". La perdita del senso della differenza tra normalità ed eccezionalità porterà in breve tempo a che numerose funzioni di polizia vengano assorbite dalla magistratura che viene legittimata ad utilizzare direttamente "mansioni e strumenti investigativi che eravamo abituati a vedere - e talora deplorare - nella polizia".

Si arriva così a "trasformare la funzione giudiziaria in funzione poliziesca". Una trasformazione che ha lasciato un segno indelebile sino al punto che, come afferma Fumarola: "l'identificazione tra consenso alla giustizia penale e quello ai partiti politici è ormai in Italia quasi un dato strutturale e la giustizia-spettacolo ne è l'articolazione più funzionale"; tanto che la stessa "seconda repubblica è nata d'altronde proprio con caratteristiche giudiziario-spettacolari e premiali".

La denuncia di Guagliardo quindi non si ferma di fronte alla soglia del carcere, inserendosi in quel filone che con Il carcere in Italia di Salierno, Liberare tutti i dannati della terra di Lotta continua, L'evasione impossibile di S. Notarnicola, I duri di G. Naria ed altri, ci ha fatto conoscere dal di dentro la realtà estrema dell'ingiustizia ordinaria. Ergastolano, già categoria criminale per antonomasia, il prigioniero politico Guagliardo è il prototipo del "criminale assoluto", mafioso o terrorista, su cui l'attuale cultura giuridica nostrana ha costruito le sue fortune.

Proprio per questo il suo urlo di dolore non è solo quello di una "nazione" ferita, affranta, vinta che accusa la società del crimine peggiore che si possa commettere: quello contro il genere umano. Il "popolo delle carceri", drappello invisibile di quell'esercito in rotta di uomini battuti da una "modernità" che li sospinge ai margini della dignità e del lecito, attraverso le parole di Guagliardo sottolinea i limiti di una concezione stravolta del diritto che ci costringe a fare i conti con i frutti avvelenati di una società malata di giustizialismo.

La stessa "cultura della riforma" ne esce malconcia alla luce delle nuove forme di violenza e di arbitrio che vanno ogni volta inevitabilmente ad aggiungersi alle vecchie. E' il caso della Gozzini; approvata nel 1986 come riforma della legge penitenziaria, fa perno su quella stessa premialità del trattamento introdotta nella cultura giuridica dallo stravolgimento emergenziale.

"Pene più alte, discrezionalità totale, aumento della sofferenza psichica legata sia alle umiliazioni da pretesa collaborazione che all'incertezza della pena, raddoppiamento del numero dei prigionieri 'classici' dopo l'invenzione delle pene alternative portate dalla Gozzini!: questo è il caso del sistema penale italiano, un caso di 'perversione positivista' che è arrivato alla pretesa di cambiare la classe dirigente italiana; un'illusione certo, ma che è servita tuttavia a diminuire le libertà... L'intero movimento abolizionista dovrebbe assumere come esempio il caso italiano per riflettere su se stesso, per capire più in profondità l'anima del sistema penale, le sue perversioni.

Questa riflessione potrebbe aiutare a inventare una politica dell'abolizionismo che in Italia dovrebbe anzitutto ottenere, all'interno dell'attuale sistema, pene europee, meno carcere invisibile dentro e fuori i penitenziari, meno diritto penale".
.
Il caso di Salvatore Ricciardi, arrestato nuovamente il 24 marzo 1998
dopo che era stato liberato per essere sottoposto a operazione
chirurgica in quanto affetto da una grave cardiopatia,
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