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Lawrence Ferlinghetti, in carcere l’immaginazione
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Aldo Nove Friday, Oct. 14, 2005 at 10:40 PM |
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Lawrence Ferlinghetti, in carcere l’immaginazione
di Aldo Nove
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«Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche / trascinarsi per strade di negri in cerca di pere rabbiose, / hipsters dalla testa d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte»...: questi i versi più famosi della raccolta di poesie Urlo di Allen Ginsberg, edito da Lawrence Ferlinghetti, assieme allo stesso Ginsberg e a Gregory Corso il più grande rappresentante della Beat Generation.
Fu proprio per questi versi, per questo libro, che Lawrence Ferlinghetti, che ne fu editore, venne arrestato: eravamo a San Francisco, alla fine degli anni Sessanta. Allora, una generazione in rivolta provava a inventare nuovi mondi, attraversando inferni e improvvisando paradisi.
Nel cuore pulsante di un’America ricca di fermenti creativi. C’erano gli hippy e chi ne era scandalizzato. Lo scandalo era la reazione di una nazione benpensante a chi infrangeva le regole del perbenismo andando incontro al presente, "urlandogli" addosso tutta la propria vitalità. Lo scandalo era una diversità voluta ed ostentata, un rifiuto che diventava arte e dissoluzione, ma anche bellezza e insomma vita. Era un altro mondo. E’ pensando a quegli anni, a quegli avvenimenti che fa impressione il recente arresto di Ferlinghetti a Brescia, dove l’ormai anziano poeta è stato scambiato per un "extracomunitario" Possiamo chiederci: "scambiato in che senso"?
Un americano è un extracomunitario. E’ stato detto che ogni poeta è "ebreo, negro e comunista". Potremmo aggiungerci anche "palestinese", ad esempio, o gay o, appunto, "extracomunitario". E’ la diversità a essere respinta. Ma oggi più che mai la diversità che viene rifiutata (e quindi, letteralmente: arrestata) è quella marginale, marginale rispetto alla globalizzazione. Al centro del mondo sta il capitale, lo sappiamo tutti.
Ai margini, sull’orlo del baratro, dove se ti ci ritrovi c’è sempre un’autorità spinta a farti cadere, ci stanno gli estranei al capitale, del resto attratti verso di esso perché non sono dati altri mondi. Perché c’è un mondo solo e tutti gli altri ne stanno fuori e non importa se tutti gli altri sono la stragrande maggioranza degli esseri umani. Banale. Lezioso. Vero. Ecco, il recente "incontro" (sotto forma di arresto) della cultura beat con il leghismo razzista (sembra un delirio, è infatti lo è) è emblema di questa impossibilità.
Ad essere arrestata, e da tempo incarcerata, è l’immaginazione, vampirizzata dalle corporation. Se viviamo sognati dalla Nike e dalla Coca-Cola cosa ce ne facciamo dei poeti e degli extracomunitari? Sono eccedenze inutili e fastidiose. Appena un po’ fastidiose, ma che vanno tolte di mezzo. E’ prossimo l’anniversario della morte di Pasolini. Lo viviamo con commozione ma anche con profondo imbarazzo, con amarezza. Pasolini ci manca anche perché oggi non c’è nessuno che si avvicini alla sua statura di figura capace di guardare diversamente il mondo.
Allo stesso tempo, ci chiediamo se sia possibile farlo, in un sistema rodatissimo di comunicazioni bruciate e autoreferenziali, dove non si riesce più a distinguere il festino letale di Lapo dalle lacrime di Enzo Paolo Turci sull’isola dei famosi. Le dicerie sulle preferenze sessuali del ministro Calderoli dal problema se Eva Henger si sia davvero pentita o meno di essere stata una pornostar, con qualche ciclone di mezzo e un pochettino di Iraq, un tanto al giorno ma non troppo chè ci siamo annoiati. Tutto in un unico flusso freddo e smagliante e disumano.
Cosa c’entra, allora, in tutto questo, Lawrence Ferlinghetti? Nulla. Non c’entra nulla. E’ davvero un extracomunitario. E’ fuori dal gioco. Il gioco nostro non ha senso e continua, ripete se stesso all’infinito, si annoia e si moltiplica espandendosi di volume. Volume degli affari, indici di ascolto. Ferlinghetti, come Corso e gli altri poeti della Beat Generation, ha attraversato il mondo in autostop. Provate oggi a fare l’autostop.
Vi è capitato di recente di vedere qualcuno fare l’autostop? Non si fa più. E’ una modalità di trasporto, ma anche di relazionarsi con il mondo, che implica una disponibilità all’incontro. O allo scontro. Oggi siamo troppo terrorizzati per poterla anche solo pensare. Ferlinghetti girava per le città storiche d’Italia con uno zaino, un paio di mutande, una scatola di tonno, un libro... Immaginatevi oggi una figura di questo genere.
Semplicemente è stata cancellata. Non è pensabile. Non la si suppone e non si pone. Non c’è. Dal beat al bite al megabite al gigabite e ancora implementando il flusso del know how della disumanità. Ben arrivato al potere, Business Assoluto. Arrivederci, immaginazione.
http://www.liberazione.it/giornale/051014/default.asp
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ANCORA STELLE BIZZARRE .....
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Prospettiva Nevskj Friday, Oct. 14, 2005 at 10:57 PM |
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"ANCORA STELLE BIZZARRE GUIZZANO VELOCISSIME ESPLODONO - RIBELLI ERRANTI PERFINO QUI NELLO SCHEMA PERFETTO DI QUALCHE UTOPIA PASSANDO VELOCISSIME STRAPPANDO LA RAGNATELA D'ARGENTO - COME NEL PALMO DI UNA MANO LO SCHEMA PERFETTO DELLA LINEA DELLA VITA DEL CUORE E DELLA TESTA ATTRAVERSATA ALL'IMPROVVISO DA UNA CATACLISMICA LACRIMA - EPPURE NON TUTTE SEPARATE NON TUTTE PERSE NELL'OSCURITA' TUTTE TENUTE ANCORA INSIEME IN QUALCHE CENTRO IMMOBILE PERFINO ORA NELL'ALBA QUASI INCENDIARIA MENTRE ANCORA UN'ALTRA RIBELLE CHE BRUCIA INTENSAMENTE SFREGA IL SUO FIAMMIFERO SULLA NOSTRA NOTTE"
Lawrence Ferlinghetti
Lawrence Ferlinghetti nacque a Yonkers a New York nel 1919. Suo padre morì pochi mesi prima della sua nascita. La madre , Clemence , impazzì e fu ricoverata in un ospedale pubblico e Lawrence finì in un orfanatrofio. Ferlinghetti andò alla "University of North Carolina" a Chapel Hill. Durante la sua permanenza all'università Ferlinghetti divenne il direttore del giornale dell'università e continuò a scrivere poesie , che aveva cominciato a scrivere a 16 anni. Dopo la laurea , Lawrence servì la Marina Americana (United States Navy) durante la seconda guerra mondiale. Ferlinghetti tornò in seguito a Bronxville e finì alla "Columbia University Graduate School" dopo l'esperienza con la Marina. Lawrence dopo avere terminato gli studi alla Columbia University decise di andare in Francia , dove lavorò al dottorato di laurea in poesia alla Sorbona di Parigi. Successivamente tornò a San Francisco dove insieme a Peter Martin iniziò la pubblicazione di un giornale chiamato "City Lights." City Lights fu un tentativo di dare voce al fermento culturale dell'area della Baia di San Francisco. Dopo poco tempo i due aprirono una libreria sotto i loro uffici , e il nome scelto per la libreria fu quello del gionale. Questa libreria "The City Lights bookstore" si trova ancora oggi nel luogo originale. Ferlinghetti pubblicò il suo primo libro di poesia "Pictures from a Gone World" nel 1955 per la City Light , la casa editrice da lui fondata. La sua seconda raccolta " Coney Island della mente" (A Coney island of the mind) uscì nel 1958 e divenne un successo enorme , tanto che fino ad oggi ha venduto oltre un milione di copie. Nella sua attività di editore fù il primo a pubblicare la discussa opera di Allen Ginsberg , "L'urlo" (Howl). Dopo la pubblicazione di "Howl" , Ferlinghetti fu accusato di pubblicazione di opera oscena ed indecente. Ferlinghetti possedeva un capanno rustico a Big Sur che divenne la principale ambientazione del romanzo di Jack Kerouac del 1962 "Big Sur". Ferlinghetti appare nel libro come il sensibile Lorenzo Monsanto , che aiuta il personaggio (alias Jack Kerouac) a ritirarsi fra la natura per sfuggire al demone dell'alcol , ottenendo pessimi risultati. Ferlinghetti fu una delle menti più "politiche" tra i Beats , e continuò la sua attività di lotta per tutti gli anni sessanta. Egli attribuì la sua salda partecipazione ai principi pacifisti alle sue esperienze personali di guerra. Oggi Lawrence Ferlinghetti continua a vivere a San Francisco.
La poesia di Ferlinghetti
La poesia di Ferlinghetti e' insieme popolare e colta , si lascia leggere con piacere e fa leggere per le numerosek citazioni. Egli è uno dei poeti più letti negli Stati Uniti e uno dei più dotati , un testimone prezioso sui decenni che ha attraversato e di ciò che ha visto in tutta la sua intensa vita. Non c'è nulla nel suo discorso poetico che non possa parlare ad un giovane ragazzo di oggi , nulla di scostante. E' proprio questa capacità di parlarci e sorprenderci sempre di nuovo che fa di Ferlinghetti un poeta indispensabile , che non si può ignorare. L'opera più fortunata di ferlinghetti è senza dubbio "Coney Island della mente" (Coney Island of the mind) , edita nel 1958 comprendente 29 poesie senza titolo. Il titolo dell'opera allude alla spiaggia di Brooklyn destinata ad area di intrattenimento fin dalla metà del 1800 , luogo del primo luna park. Potrebbe essere tradotto con Luna park della mente : e quindi in quanto tale , distinto dal luogo reale , l'accento cade sulla trasformazione fantastica di una realtà colorita e saporita. Si notano vaghi echi dei " paesaggi della mente " di impronta romantica Wordsworthiana. L'intera opera di Ferlinghetti è quanto di più complesso e variegato si possa incontrare. Apparentemente facile e fluida , la sua energia poetica scorre attraverso dimensioni linguistiche e simboliche che si sostanziano di continui rimandi visivi e musicali. Il suo stile è asciutto e votato ad una attentissima scelta di ritmi e di lessico che approda all'inglese come ultima sponda , dopo aver navigato nel mare francese , portoghese , spagnolo e italiano ( conosciuti per tradizione familiare ) e averne ibridamente assimilato atmosfere e colori. Ispirata ai grandi maestri europei , la sua poesia ha creato un incontro ideale , ma anche una contaminazione sul piano artistico con i grandi maestri europei. Ferlinghetti rende omaggio a Chagal , Picasso , Monet , Yeats , Eliot , Pound rievocando le loro atmosfere e rivisitandoli nei luoghi a loro più cari. Ferlinghetti intarsia parole e concetti spaziandoli visivamente in sequenze in cui capoversi e pause sono una guida di lettura , un accompagnamento ritmico e sonoro.
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Il poeta e' clandestino
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Alessandro Portelli Saturday, Oct. 15, 2005 at 1:19 PM |
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FERLINGHETTI
Generazione beat. Il verso straniero di un protagonista
ALESSANDRO PORTELLI
La storia inquietante e ridicola dell'arresto di Lawrence Ferlinghetti a Brescia la possiamo srotolare da diversi capi. Per esempio, ci possiamo soffermare su come l'identificazione fra straniero e sospetto accomuna le leggi dello stato e le paure di un'anziana signora sola. Da un lato la legislazione (autolesionistica, in un paese che vive di turismo?) secondo cui gli stranieri di passaggio in Italia devono registrarsi in questura o venire segnalati da chi si trova ad ospitarli, come un rischio vagante da sorvegliare. Dall'altro la signora che, davanti ad un uomo innocuo di 86 anni, che però parla una lingua arcana e scatta fotografie, non trova di meglio che immaginare chissà che attentato e chiama la polizia. Altro che Emilia paranoica, qui è paranoica l'Italia intera, e si copre di ridicolo. Io vorrei seguire un altro percorso. Non è la prima volta che Lawrence Ferlinghetti finisce in galera: l'avevano arrestato nel 1956 per oscenità, per essere stato l'editore di Howl di Allen Ginsberg. Ma c'è tutta la differenza del mondo fra un carcere subito per l'affermazione di libertà di parola e di pensiero, e un arresto subito per la negazione della parola e del nome come quello di Brescia. Fra questi due arresti corre tutta la distanza che separa forme diverse della marginalità nei nostri tempi e nel nostro mondo.
Da sempre, i beat americani rivendicano una marginalità orgogliosa come alternativa di libertà (penso a Ferlinghetti a Berlino, che davanti al rischio di venire risucchiato nei grandi magazzini - «Greater Woolworth's, microcosmo della dolce America» e memoria dell'unisono marciante nazista - invoca un ritorno di Dio come «innocenza del mondo/un canto un verso una libera frase»), una marginalità come libera individualità (penso ancora a Ferlinghetti, che anni fa, in un affollato Centro Studi Americani di Roma, ci proponeva il cowboy come figura di autosufficiente libertà individuale - un po' paradossale se pensiamo che in fondo i cowboys erano braccianti, salariati agricoli; ma comprensibile se li pensiamo attraverso i simboli e i paesaggi della musica e del cinema. Nel 1958 in una poesia che si riappropriava di tutti i simboli americani rovesciandone il senso, Ferlinghetti aveva scritto: «aspetto/la scoperta/di una nuova simbolica frontiera del West»). Tirarsi fuori dalla «Coney Island della mente» (1958) in cerca del «significato segreto delle cose» (1969) al di là di «tutti gli osceni confini» (1984), per scoprire una frontiera alternativa dove ciascuno possa essere una persona: per dirla con Bourdieu, insomma, marginalità come distinzione.
Della questura di Brescia, Ferlinghetti ha fatto invece l'esperienza della marginalità come indistinzione: nell'Italia paranoica, ci ha rivelato, lo straniero non è una persona distinta ma è confuso in un insieme predefinito, senza faccia e senza nome. Da Lampedusa a Brescia, il marginale di massa non ha faccia e non ha identità, è fino a prova contraria clandestino: anziché la marginalità visuale delle City Lights, le luci della città che danno il nome alla sua straordinaria libreria e casa editrice di San Francisco, Ferlinghetti è piombato nel buio dei Cpt, delle guardine, delle periferie. Lawrence Ferlinghetti per le strade di Brescia è senza documenti, come gli indocumentatos messicani che attraversano di nascosto i fiumi e i muri che separano l'America profonda dall'America sognata.
E qui si chiude un cerchio. Quinto figlio d'immigrati italiani negli Stati uniti, Ferlinghetti tornava a Brescia per vedere la casa da cui era partita la sua famiglia: era un immigrante di ritorno in visita alle sue radici. «Da anni», scriveva nel 1979, «i vecchi italiani continuano a morire/in tutta l'America/i Piemontesi, i Genovesi, i Siciliani che puzzavano di aglio e peperoni...» davanti alla casa dei suoi genitori, Lawrence Ferlinghetti si è ritrovato come i suoi genitori allo sbarco in America: straniero, con un cattivo odore, senza lingua, senza nome e senza diritti. E c'è voluto l'intervento di un sindaco per restituire - a lui che da sempre denuncia «l'enorme capacità che ha la società di ingerire i suoi elementi più dissidenti» - il nome, la fama, e quel tanto di libertà che è possibile in tempi come questi.
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the beat goes on & on & on & on
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antiquario del futuro Saturday, Oct. 15, 2005 at 7:05 PM |
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certo. incredibile, che un americano con origini italiane, venga a fotografare una stradina di brescia, deliziandosi di un viaggio ricerca nei suoi sogni/ricordi, e una vecchietta di merda, tele/dipendente, e dunque polizia/dipendente, debba farlo arrestare, come sospetto terrorista,e quest'uomo sia: lawrence ferlinghetti!!!!!! e' veramente incredibile, interessante e tristissimo/deprimente. deprimente: perche' la paranoia , non solo emiliana, evidentemente; ci dimostra che viviamo in un paese ridotto al degrado piu' infame, in un momento storico alquanto infelice, perlomeno come mancanza di spirito trasformatore....e comunque per il tutto quanto messo insieme........ancora una volta un vecchio beat vero terrorista spirituale si trova a dover affrontare il tema dei permessi........di soggiorno...fogli di via!!!!!!ecc. interessante: perche' un qui'/pro/quo' che puo' capitare a chiunque, e capita sicuramnete molto molto spesso a "stranieri" in questo provincilalissimo paese....questa volta sia capitato ad un "giant" della letteratura contemporanea.........sconosciuto e famosissimo allo stesso tempo.........serve quasi a togliere un po' di polvere alle memorie sessantottine e settantasettine, nichilizzate, atrofizzate, e ovviamente anche per questioni generazionali....un po' abbandonate nel tempo che scorre con un accellerazione sempre maggiore....... incredibile: che si debba ritornare a menzionare gente del calibro di gregory corso, allen ginsberg e ferlinghetti appunto proprio in una occasione tale - perfetta semplificazione e specchio dei tempi - ironia della sorte e provocazione, ancora una volta beat!!!! l'origine dello spirito beat e' molto anteriore all'epoca dei sotterranei di kerouac.........serebbe un po' come studiare se e' nato prima l'uovo o la gallina........ il beat puo' essere individualismo dei cawboys e collettivismo degli indiani .... infatti ci siamo entusiasmati con entrambi questi due stereotipi/personaggi di film cinematografici e in film cerebrali; proiezioni di consci ribelli e sognatori/sognatrici - cliche' prototipi di mistici terroristi.....bellagente!!!!!!! un dubbio pero' mi rimane........"in cerca di droga rabbiosa"...non era molto piu' bella come traduzione (infatti era la prima traduzione - dell'epoca - quella di fernanda pivano - quandola parola pera/pere non era stata codifiata e aquisita nel lessico nazionale, per via di cattive abitudini di massa) anche se ad onor del vero, l'originale di ginsberg dice "fix", quindi buco, quindi pera ....."in cerca di pere rabbiose"? no, non e' una bella traduzione; mi piace molto di piu' la prima e originaria della pivano..."in cerca di droga rabbiosa" quella rabbia , quela droga, quella musica jazz, rock e poi addirittura tecno, quella voglia di sesso, e viaggi e sperimentazione e ricerca spirituale, e lotta politica e molto molto ancora e di piu' che fu e che e' il beat e che sara' --- si!!! perche' questo e' il bello......il beat non e' mai finito......e.....matrix ne e' la dimostrazione. ( a proposito di beats, qualcuno ha mai notato che c'e' una notevole simiglianza o similitudine tra il personagio -cosidetto uomo delle montagne - di cui andarono a studiare e fare ricerche durante un viaggio in iran william borroughs e john giorno una quarantina di anni fa', ed il mitico osama bin laden di oggi? )
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beat happening
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Matteo Guarnaccia Saturday, Oct. 15, 2005 at 7:51 PM |
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BEAT HAPPENING
Lo scrittore e artista beat Lawrence Ferlinghetti, in Italia per una mostra, è stato «bloccato» dalla polizia a Brescia perché senza documenti, extracomunitario indesiderato
MATTEO GUARNACCIA
Un vecchietto di ottantasei anni, figlio di emigranti italiani cresciuto in America, torna al paesello natìo, Brescia, in cerca della casa paterna, bussa alla porta e chiede ai nuovi inquilini se può scattare qualche foto ricordo. I zelanti cittadini lo mandano al diavolo e, allarmati dalla presenza sospetta di quell'estraneo, chiamano la polizia che lo arresta (il commissariato parla di «accertamenti avvenuti in strada»), perché non ha con sé i documenti. Sono le 17.30 e lo sfortunato malinteso dura il tempo sufficiente (una mezz'ora) per permettere al malcapitato di provare l'ebbrezza del clandestino, un'esperienza che tanti extracomunitari sperimentano quotidianamente sulla propria pelle. Il protagonista della nostra storia è un pimpante Lawrence Ferlinghetti, l'artista dagli occhi che ridono, un signore che non ha ancora appeso al chiodo la sua voglia di «sovvertire il paradigma della realtà dominante», attualmente in Italia per una serie di reading e mostre intitolate Creazione del verbo Fluxare. Come insegnava Allan Kaprow, un vero happening per funzionare non deve essere preparato, quindi quello di Brescia (co-starring gli inquilini paranoici e gli agenti di pubblica sicurezza) è stato sicuramente il migliore del suo tour.
Il poeta non si è scomposto - nel corso della sua vita ha sperimentato ben altre difficoltà, arresti compresi, per la sua opposizione alla guerra del Vietnam e per la sua lotta in favore della libertà di stampa. Ha però sottolineato che il clima di paranoia e sospetto che inquina i nostri rapporti quotidiani, anche quelli tra le persone per la strada, non è casuale, ma è in larga parte da addebitarsi alla politica dell'amministrazione americana guidata dal «Grande Padre Bianco che sta nella Casa Bianca». Un sistema contro cui Ferlinghetti non si è ancora stancato di combattere, ovvero quella parte oscura di una nazione ossessionata dalla paura del diverso (l'altro ieri i pellerossa e i neri; ieri i marziani, gli omosessuali e i comunisti; oggi gli arabi). Un sistema, ancora convinto di essere il migliore dei mondi possibili, che pensa di avere «Dio dalla sua parte», che ha fede nel suo ruolo di faro morale per le altre nazioni. Una nazione che pare ancora la stessa descritta da Norman Mailer nel suo White Negro - «sull'orlo di una crisi di nervi, trasuda paura da ogni poro e in cui l'unico coraggio è quello isolato di gente isolata».
Ferlinghetti è uno degli ultimi superstiti di quel gruppetto di disadattati, di amici strampalati, beati e sbattuti, che mezzo secolo fa si era messo in testa di celebrare la vita sfidando l'american way of life armato di sola poesia e di voglia di pace. Gente che voleva abolire le frontiere, i controlli, la distanza tra gli esseri umani. Con lui c'erano un cattolico tormentato (Kerouac), un visionario ebreo (Ginsberg), un teppistello italoamericano (Corso), un tarantolato ladro di automobili (Cassady) e un rampollo di buona famiglia con la passione per i bassifondi (Burroughs). Amici, che con il loro stile di vita, hanno stregato le menti di milioni di persone spingendole a mettersi sulla strada alla ricerca di se stesse. I beat sono riusciti misteriosamente a tener sveglia l'anima di una nazione anestetizzata dal materialismo, salvandola dalla morte spirituale. Sono diventati gli inconsapevoli portabandiera della ribellione contro la segregazione razziale, il militarismo rampante, i diritti civili negati alle minoranze etniche e sessuali, la caccia alle streghe maccartista, la devastazione della natura, la scelta tra il morire di noia o di olocausto nucleare. Senza volerlo hanno dato voce ad un dissenso che serpeggiava sotto la patina tranquillizzante della società, hanno omaggiato vecchi poeti e fuorilegge, letto Ezra Pound e gli haiku giapponesi, ascoltato Rimbaud e Charlie Parker, studiato Walt Whitman e il surrealismo, frequentato la Rive Gauche e la cultura da strada, William Blake e John Coltrane. Si sono dedicati con profitto a intossicazioni da antologia, amori promiscui e viaggi agitati; hanno inseguito l'estasi con la parola; messo a nudo le loro menti, raggiunto nuovi livelli di pazzia, «cantando, delirando e cibandosi di stelle e facendo cadere a goccia a goccia il succo del loro cuore sull'asfalto bollente» (Kerouac, On The Road, 1957). E oggi Lawrence Ferlinghetti continua a tenere accese le luci della città.
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Pianti degli animali che muoiono
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Lawrence Ferlinghetti Saturday, Oct. 15, 2005 at 11:13 PM |
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Pianti degli animali che muoiono
Lawrence Ferlinghetti
In un sogno dentro un sogno ho sognato un sogno tutti gli animali che muoiono tutti gli animali dappertutto che muoiono & muoiono gli animali selvatici gli animali pelosi alati animali piumati animali rapaci & piccoli & impellicciati in calore & che muoiono & muoiono nelle foreste tropicali che si riducono in pinete ed alte sierre su praterie che si riducono & mesas d’erbe rotolanti catturati battuti affamati & storditi intrappolati e commerciati specie che non intendevano essere nomadi vagando senza radici come uomini Tutti gli animali che piangono nei loro nascosti luoghi sgattaiolando via e strisciando via attraverso gli ultimi luoghi selvatici attraverso il denso sottobosco gli ultimi Grandi Boschetti oltre le montagne intersecati da rampe oltre le paludi oltre le pianure e i recinti (l’Ovest ha vinto con macchine di filo spinato) (nel nord del paese) (nel sud del paese) nelle paludi intersecate dalle autostrade
In un sogno dentro un sogno ho sognato come si sfamano & amano & corrono & si nascondono come le foche sono colpite sulle distese ghiacciate le bianche morbide pelose foche con crani a guscio d’uovo le grandi verdi tartarughe & mangiate esotici uccelli catturati & ingabbiati & impastoiati rare bestie selvatiche & strani rettili & bizzarri woozoos cacciati per gli zoo da neri e barbuti mercanti che dopo cavalcano intorno a Singapore dentro limousine tedesche con puttane francesi
In un sogno dentro un sogno ho sognato un sogno tutta la terra che si asciuga fino a cenere bruciata nel famoso Effetto Serra sotto una calotta di biossido di carbonio espirato da un miliardo di infernali motori a scoppio mescolato col dolce odore di carne che brucia E tutti gli animali che si chiamano l’un l’altro In codici che non capiamo mai La foca e il vitello urlano nella stessa voce lo stesso urlare Le ferite non guariscono mai nella comunità degli animali Noi rubiamo le loro vite per alimentare noi stessi e delle loro vite i nostri sogni sono seminati
In un sogno dentro un sogno ho sognato un sogno il quotidiano tafferuglio per l’esistenza nel modello a carica dell’universo il mondo ruota-di-carne che gira per consumarsi E in un sogno dentro un sogno ho visto come l’alito cattivo delle macchine infetta la terra e l’uomo e la cultura del consumo si mangia la terra e l’uomo e il capitalismo al capolinea mascherandosi come democrazia stupra la terra e l’uomo
Ma in un sogno ho sognato un sogno di come tutte le persone allo spartiacque della terra tutte le etnie della terra tutte le persone senza diritto di voto del mondo i padroncini d’America i giovani d’America e i poveri d’America finalmente insorgono e smantellano la civiltà industriale senza ammazzare nessuno e salvano l’umanità da se stessa.
(traduzione di Antonio Bertoli)
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