ACCUSA DI EVERSIONE PER UN’AUTORIDUZIONE IN MENSA! Il 19 aprile 2005 un centinaio di studenti praticarono, in maniera assolutamente pacifica e senza incidenti, l´autoriduzione del costo del pasto alla Mensa Universitaria di Piazza Puntoni, pagando 1 euro per ogni pasto completo invece dei canonici 5,80 euro, cifra che classifica la mensa universitaria di Bologna come la più cara d´Italia. Quell'azione si collocava nell´ambito di una campagna promossa dalla Rete Universitaria per rivendicare un vero diritto allo studio e denunciare le carenze dell´Arstud (l´azienda regionale per il diritto allo studio) in particolare in riferimento alla gestione della mensa. Una mensa strutturalmente insufficiente rispetto al numero degli studenti bolognesi, per di più privatizzata e affidata in gestione alla "Concerta S.p.a.", azienda che, tra l'altro, ha in appalto anche la gestione pasti del C.p.t. di via Mattei. A circa un anno di distanza (e non a caso a meno di venti giorni dall´Euro May-Day 2006) la Procura di Bologna, nella fattispecie il “solito” Pubblico Ministero Paolo Giovagnoli, notifica, in relazione ai fatti di quel 19 aprile, a 9 studenti la denuncia di violenza privata con l´aggravante dell´eversione dell´ordine democratico, ad altre 11 persone quella per manifestazione non autorizzata, mentre si accusa esplicitamente la Rete Universitaria di essere una associazione politica che si muove con finalità eversive. Solo l’ultimo capitolo del teorema con cui negli ultimi mesi la Procura di Bologna sta tentando di criminalizzare le lotte sociali giocandosi già in altre quattro inchieste l’accusa di eversione (autoriduzione al cinema Capitol, occupazione di uno stabile in via del Guasto e di due treni in occasione della manifestazione del 6 Novembre 2004 a Roma e dell'euromayday 2005). Dopo essere stato smentito già due volte recentemente dalla Corte di Cassazione Giovagnoli ci riprova tentando di colpire un collettivo studentesco, riconosciuto nel panorama politico cittadino e che da sempre agisce alla luce del sole, impegnato da anni in una battaglia contro una mensa insufficiente, privatizzata e, dati alla mano, molto più costosa della media delle mense universitarie italiane. Pensiamo anche che sia giunto il momento di dare una risposta forte a chi continua a fare un uso strumentale e politico del codice penale ed in particolari di leggi speciali antiterrorismo varate oltre 25 anni fa, in ben altro clima politico. Quindi alla Procura di Bologna facciamo sapere che queste intimidazioni non ci spaventano né potranno fermare lotte che consideriamo giuste e che rivendichiamo politicamente, perché non abbiamo commesso alcuna violenza ma semplicemente reclamato un diritto: quello di poter mangiare a prezzi accessibili a tutti, come peraltro avviene per gli studenti di molte altre città italiane. Al Rettore Pier Ugo Calzolari ed al Presidente di Arstud Marco Capponi diciamo che questa volta dovranno prendere posizione nei confronti dell´ennesimo atto repressivo che colpisce gli studenti, perché la gravità della vicenda non permette di ignorarla. Devono dire chiaramente se pensano che sia normale che 20 studenti della loro università possano essere considerati eversori per un´iniziativa di autoriduzione nella mensa più cara d´Italia. Crediamo infine che sia ora di fermare il disegno perverso di Giovagnoli e di chi lo supporta e per questo chiediamo a tutti di schierarsi. Chiediamo al movimento, a chi in questi anni ha condiviso insieme a noi pratiche e lotte, ma anche a chi del movimento non si sente parte di prendere una posizione chiara contro questo uso, strumentale e politico, di una aggravante pesantissima che rischia di condizionare la vita di molte persone con l’obiettivo di chiudere gli spazi della politica e di lotte sociali che mirano al riconoscimento e alla generalizzazione di diritti. Rete Universitaria
Sabato 25 marzo dalle 10 in Piazza Carducci PRESIDIO ANTIFASCISTA
In un contesto di precarietà esistenziale e guerra infinita stiamo assistendo ad una sempre maggiore richiesta di autoritarismo e repressione, con conseguente legittimazione e diffusione nel sociale delle organizzazioni fasciste. Per questo è fondamentale negare ogni agibilità politica a chi tra un saluto romano e una croce celtica rivendica e mette in campo pratiche razziste, sessiste e squadriste. La vigilanza degli antifascisti bolognesi ha impedito che sabato 25 la Fiamma Tricolore possa tranquillamente sfilare e tenere comizi nella nostra città al sicuro di autorizzazioni e cordoni di polizia. Ma se è vero che in questa occasione le istituzioni cittadine hanno trovato politicamente conveniente non concedere le piazze ai fascisti, rifiutiamo con forza ogni tentativo, marcato centrodestra o centrosinistra, di giocarsi la carta degli opposti estremismi. A chi, Cofferati in testa, mette sullo stesso piano fascisti e antifascisti, pensando magari di sfruttare questo passaggio per limitare anche l’attività del movimento, rispondiamo che è vergognoso equiparare gli eredi dell’esperienza partigiana a quelli del ventennio o di Salò. Le piazze si negano con ogni mezzo ai fascisti in quanto fascisti, se le prendono gli antifascisti in quanto antifascisti. Sabato 25 marzo saremo al presidio di Piazza Carducci, quale garanzia contro la presenza fascista e momento di confronto tra le realtà antifasciste bolognesi per avviare un percorso comune di discussione e coordinamento.
Rete Universitaria
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[07-03-2006] UN CHECKPOINT AL 36
Apprendiamo da avvisi appesi sui muri della Biblioteca di Discipline umanistiche di Via Zamboni 36 che l'accesso alla stessa sarà limitato agli studenti di Lettere e Filosofia, Scienze della Formazione, Lingue e del Polo di Ravenna.
Già di per sé ciò costituisce una limitazione inaccettabile: in primis perché l'accesso al sapere dev'essere universale, e non si capisce perché per sua cultura personale uno studente di medicina ad esempio non possa volersi leggere un libro di filosofia. In secondo luogo, perché molti corsi di laurea permettono di inserire nel proprio piano di studi corsi di altre Facoltà, per i quali possono essere necessari i libri della biblioteca di Via Zamboni. Infine è noto che il "trentasei" svolge un irrinunciabile ruolo di punto di incontro per studenti di tutto l'ateneo, creando un'oasi di socialità non mercificata nel cuore di una Zona Universitaria sorvegliata e militarizzata in maniera sempre più opprimente. L'unica, di fatto, dal momento che ogni tentativo di riappropriazione dal basso di spazi autogestiti nell'ateneo si scontrato con l'oggettiva carenza di aule o con risposte militari volute dalla gestione Calzolari (A.U.L.A. in Piazza Scaravilli, sgomberata dalla DIGOS lo scorso 22-11). Mentre gli spazi di proprietà Azienda Regionale per il Diritto allo Studio come le Scuderie o la mensa di Piazza Puntoni sono trasformati in locali commerciali i cui prezzi (e la presenza di buttafuori!) ne impediscono di fatto l'accesso alla maggioranza degli studenti.
Ma come se tutto questo non bastasse, sono ancor più preoccupanti le modalità con cui la limitazione degli accessi alla biblioteca verrebbe attuata: un apposito lettore (già installato) analizzerebbe i nostri badge, permettendo l'accesso solo a quelli che risultino rilasciati dalle facoltà giuste. Un vero e proprio checkpoint telematico. Teoricamente con un lettore del genere sarebbe possibile registrare ogni nostra entrata al 36, violando la nostra privacy, accumulando su di noi dati sensibili potenzialmente disponibili per ogni fine, inclusi quelli giudiziari. Paranoia? Forse, ma appare più che giustificata ricordando che solo cinque anni fa durante l'occupazione del 36 stesso furono trovate ben sei telecamere nascoste negli indicatori luminosi delle uscite di emergenza, attive da quattro anni, non segnalate in alcun modo.
Barriere fisiche o economiche, checkpoint, selezioni, filtri pretendono di costringere il nostro quotidiano e la nostra vita entro limiti predeterminati e ineludibili, imponendoci bisogni preconfezionati e soluzioni a senso unico. Banche dati, impianti di videosorveglianza, microfoni nascosti, e ovviamente la pervasiva presenza di sbirri anche in borghese nel tessuto cittadino e universitario, ci sorvegliano, rendendo possibile reprimere chiunque travalici, contesti o abbatta tali limiti.
Respingiamo al mittente con rabbia e determinazione quest'ultimo tentativo di imbrigliarci e controllarci, attuato in uno dei fulcri della vita studentesca a Bologna, come nuovo passo della lotta per un'università e una città smilitarizzate, in cui al potere non sia più permesso spalancare miriadi di occhi e orecchie sulle nostre vite, dove spazi sempre maggiori siano conquistati dalla libera socialità e dall'autogestione degli studenti e dei precari!
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[20-02-2006] NON E' UNO SCHERZO!
L'ARSTUD (azienda regionale per il diritto allo studio) ha appena stanziato un fondo di 2 milioni di euro per l'installazione degli impianti di condizionamento dell'aria negli studentati. Si è quindi stabilita una gara d 'appalto, con la quale l' ARSTUD destinerà appunto 2 milioni di euro ad un' azienda che si impegnerà a gestire l'installazione dell'aria condizionata.
Ci sembra una scelta che si commenta da sola. Restando in tema di studentati, i posti-letto garantiti dall'ARSTUD a Bologna sono solo 1470, a fronte di oltre 100.000 studenti, di cui quasi 50.000 fuorisede. Non sarebbe meglio investire sulle strutture ed aumentare il numero dei posti-letto piuttosto che dare la priorità all'aria condizionata? A maggior ragione considerando che la quasi totalità degli studenti che abitano gli studentati nei mesi estivi tornano alle rispettive città di provenienza, lasciando gli studentati pressoché inutilizzati. E a maggior ragione in una città come Bologna, dove gli affitti sono esorbitanti e il problema della casa è sempre più sentito.
Ma gli studentati non sono certo l'unico settore d'intervento dell' ARSTUD. Non sarebbe meglio coprire la totalità delle borse di studio, evitando di produrre quella categoria degli "idonei non assegnatari" che è l'emblema del diritto allo studio negato all'università di Bologna? Non sarebbe meglio investire nel settore delle mense, visto che la struttura di Piazza Puntoni (peraltro non gestita direttamente dall'ARSTUD, ma privatizzata e affidata alla CONCERTA) è chiaramente insufficiente rispetto al numero di studenti ed è oltretutto la più cara d'Italia?
Ci piacerebbe pensare solo ad una gestione illogica e paradossale dei fondi da parte dell' ARSTUD. In realtà temiamo e crediamo che una logica ci sia. La logica dei fondi pubblici dirottati verso aziende o cooperative "amiche" attraverso il meccanismo degli appalti e delle esternalizzazioni. Si può sospettare cioè che l' ARSTUD stia ingigantendo le cifre destinate ad un determinato intervento al fine di rimpinguare il guadagno dell'azienda a cui affiderà l'appalto?
Diverse volte negli ultimi anni abbiamo cercato di porre il problema del diritto allo studio, ed in modo particolare della gestione della mensa universitaria, anche con azioni forti come le autoriduzioni. La risposta dell' ARSTUD è sempre stata di questo tipo: "Abbiamo pochi fondi e li gestiamo nel modo migliore possibile, ma non siamo in grado di risolvere tutti i problemi che ponete". Questa decisione li smentisce definitivamente. E' chiaro insomma che l' ARSTUD ha effettivamente poche risorse (la regione Emilia Romagna investe nel diritto allo studio circa la metà dei fondi stanziati dalla regione Toscana), ma le gestisce nel modo peggiore, con più attenzione agli appalti favorevoli da procurare alle aziende amiche che non alle reali esigenze degli studenti.
E' ora di dire basta alle privatizzazioni, alle esternalizzazioni, alle interferenze private nella gestione dei fondi dell'università, ai tagli al diritto allo studio.
A partire dallo scandaloso e inaccettabile episodio dei 2 milioni di euro per l'aria condizionata dobbiamo essere in grado di attivare percorsi di controinformazione e di denuncia, di mobilitazione e di conflitto, che mettano in discussione le politiche generali dell'ARSTUD e pongano in modo forte e determinato il problema di un vero diritto allo studio e di un' università realmente accessibile a tutti.
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[13-01-06] La fiaccola dell'ipocrisia Il carrozzone mediatico e commerciale dei giochi olimpici invernali si dà in mostra oggi nella nostra città. Ciò che si cela dietro la falsa retorica di pace e fratellanza delle Olimpiadi non è altro che un’asfissiante campagna promozionale attraverso cui alcune delle più potenti corporation globali traducono il ritorno d’immagine di questa sfavillante vetrina in ingenti profitti e vi lavano le nefandezze su cui, lontano dai riflettori, basano i propri imperi economici. Non stupisce trovare tra chi si spartisce la torta del business Torino 2006 accanto a Coca-Cola e McDonald’s, la S.Paolo - IMI, seconda banca armata italiana e la Adecco, multinazionale del lavoro interinale, che ha ricevuto in appalto la fornitura di manodopera precaria e a basso costo. Precari i contratti, ma non meno precarie le condizioni di lavoro a cui sono costretti gli operai, in gran parte migranti, degli innumerevoli cantieri teatro di continui incidenti, quattro mortali resi noti fino allo scorso maggio. Da non dimenticare poi le devastazioni ambientali provocate nelle valli del torinese per opere che richiederanno inoltre costose spese di manutenzione nonché di dubbia utilità futura; nuovi impianti sportivi, in primis, ma anche la realizzazione o l’ampliamento di strade e autostrade e la costruzione di seggiovie, cabinovie, alberghi, parcheggi, strutture per l'innevamento artificiale. Tutto ciò aggrava lo scempio ambientale in zone, quali la Val di Susa, già gravemente minacciata dalla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino - Lione. Intanto il capoluogo piemontese si rimette a nuovo. Gli sgomberi di occupazioni abitative e centri sociali, i divieti di svolgere manifestazioni nel centro cittadino e il parallelo impegno dei sempre più asserviti sindacati confederali a non indire scioperi o altre forme di agitazione, costituiscono deliberate politiche di marginalizzazione e soffocamento del conflitto sociale. Insieme a precise scelte urbanistiche tese a ridisegnare d’autorità il tessuto cittadino, si va a creare così un’illusoria quanto inaccettabile facciata di pacificazione e progresso. Riteniamo quindi imprescindibile che anche a Bologna si dia un netto segnale di opposizione all’ipocrita auto-celebrazione dei Giochi e del codazzo dei suoi sponsor che nel passaggio di città in città della fiaccola olimpica trova la sua più sfacciata manifestazione.
Rete Universitaria - Bologna
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