# Subject: Israele che fa? mazzetta
# Date: Sat, 15 Jul 2006 20:12:10 +0200
Il suicidio di Israele.
Israele attacca, ma paradossalmente rischia come non mai di andare incontro ad una vittoria di Pirro capace di metterne in discussione l'esistenza, o almeno l'esistenza del suo attuale assetto e della percezione della sua immagine anche presso le opinioni pubbliche amiche; nonostante molti politici occidentali stiano infatti sostenendo l'azione israeliana, con una decisione un tempo sconosciuta e con l'adesione anche di vasti settori della sinistra, è evidente che le giustificazioni addotte per l'aggressione al Libano siano ancora meno sostenibili di quelle grazie alle quali Bush invase l'Iraq.
Ogni guerra nasce dalla menzogna, dalla denuncia di un casus belli da prendere a pretesto e dalla costruzione dolosa di un nemico. L'invasione israeliana del Libano si giova della propaganda antislamica (o islamofobica) costruita negli ultimi anni dal mainstream globale da una parte e dalla menzogna sulla "minaccia" all'esistenza di Israele dall'altra, la falsa immagine di Israele "aggredito" dai cattivi musulmani che la"circondano". Cattivi che assediano questa autoproclamata, solitaria, oasi democratica nel Medioriente; poco importa che anche il Libano abbia un governo laico eletto democraticamente, così come la Palestina, tra poco gli apologeti d'Israele potranno ricominciare con la propaganda de "l'unica democrazia in Medioriente" perché i due governi non saranno più.
Nulla accade per caso quando si arriva alla guerra e non è difficile vedere nell'attuale situazione mediorientale un passaggio di staffetta tra gli Stati Uniti in difficoltà e i loro alleati israeliani. Quanto accade ora è stato sicuramente pianificato e previsto da molto tempo e probabilmente concertato tra i più alti gradi militari e politici dei due paesi. Tutto è già stato scritto da tempo nei piani dei think tank neoconservatori parecchio tempo fa.
Israele per parte sua non potrebbe comportarsi diversamente, poiché sono ormai parecchi anni che il paese è sotto il controllo di una diarchia militar-religiosa che può trovare il suo scopo solo nella guerra. Un filo ininterrotto lega il sabotaggio della pace di Oslo agli avvenimenti odierni. Nethanyau ponendo condizioni inaccettabili e al di fuori degli accordi ad Arafat sapeva di imboccare la via della prepotenza, paralizzando non solo il governo Clinton, ma ponendo le basi per il futuro intervento in Medioriente dell'amministrazione Bush allora alle porte.
Lo stesso filo conduce all'assassinio di Rabin, attraversa la passeggiata sulla Spianata delle Moschee di Sharon, l'accantonamento della Road Map, fino ai fatti recenti: l'annuncio dell'annessione unilaterale di parte dei Territori Occupati annunciata da Olmert e il bombardamento di Gaza e del Libano. Si tratta di un filo legato da una parte alla superiorità militare, dall'altra dalla tenuta di un'immagine a lungo costruita attraverso una massiccia propaganda, un tipo di filo che però nella storia non si è mai dimostrato a prova di rottura e che quando ha ceduto ha attirato su chi vi faceva affidamento la sventura e la condanna della storia.
Il problema principale di Israele è che il paese si fonda su un assetto costituzionale del tutto inadeguato alla situazione e allo stesso tempo si nutre di una cultura costruita su tre pilastri: una auto-rappresentazione dell'israeliano come di una vittima impegnata in un'eterna difesa da nemici che ne vogliono la distruzione attraverso una "soluzione finale" di tipo nazista; il totale disprezzo del diritto internazionale e dei diritti umani (degli altri) e infine la convinzione che Israele nasca ed esista per seguire un disegno divino.
Da queste premesse alla conseguenza della creazione di un paese perennemente militarizzato e profondamente razzista il passo è breve, da qui alla commissione di atti illegali e veri propri crimini contro l'umanità è un passo che è già stato compiuto. Il "destino manifesto" ha sempre trascinato le nazioni alla catastrofe e il rischio che Israele percorra la strada già percorsa dalla Germania e da altri sfortunati paesi non è un paradosso, ma la conseguenza più incombente che quanti vivono il sogno sionista dovrebbero preoccuparsi di affrontare con urgenza.
I governi che si sono succeduti da quello di Netanhyau a quello di Olmert hanno coltivato il sogno della soluzione di forza, aderendo al disegno dei neoconservatori americani con la speranza non troppo dissimulata di ottenere vantaggi territoriali e un dominio assoluto sul Medioriente. Purtroppo per Israele questo disegno è figlio di una destra occidentale non lontana da quella che tenne a battesimo ed allevò il nazismo. La propaganda americana non è molto diversa da quella nazista e pur coprendo le proprie azioni con alte dichiarazioni di principio è fondata principalmente sulla menzogna e sul razzismo.
La menzogna ha permesso di giustificare lo scatenamento della guerra in Medioriente, il razzismo costruito spargendo a piene mani la peggiore disinformazione sugli "islamici" è diventato lo strumento attraverso il quale ottenere il voto ed il sostegno della parte più retriva e disinformata delle opinioni pubbliche occidentali. Una propaganda, ancora una volta, molto simile a quella nazista, non a caso i musulmani sono stati accusati di voler conquistare il mondo (già sentita?) e di voler sottomettere gli infedeli, così come è evidente la costruzione continua di un numero infinito di false notizie riguardo a complotti, attentati ed intenzioni criminali, costruite a tavolino tra le scrivanie dei servizi segreti e le redazioni di un mainstrem più che compiacente e disponibile a farsi acritico megafono della superiorità occidentale, una storia che va dalle balle sulle armi di distruzione di massa, passa per i numerosi Lincoln Group che hanno pagato la stampa irachena e termina ai giorni nostri con le sinergie tra i servizi segreti italiani e utili giornalisti e testate schierate sul fronte dello "scontro tra civiltà".
Il problema per Israele è rappresentato dal fatto che questo schema non ha mai retto all'esame della storia e che, prima o poi, ha mostrato di essere irrealizzabile travolgendo chi vi aveva riposto fiducia e portando alla rovina le popolazioni che ne erano state sedotte. Non è la retorica del "pueblo unido que mas sera vencido" a condannare questo schema di dominio, ma una sua debolezza intrinseca, in quanto per realizzarsi e mantenersi richiede la mobilitazione perenne di una quantità di risorse, anche intellettuali, che si è dimostrata insostenibile.
Oggi Israele si trova a dover coprire il fallimento statunitense e a dare nuovo impulso al piano di devastazione del Medioriente. Ci è arrivato perché lo ha voluto e progettato, non si può pensare che con la posta in gioco la dirigenza israeliana abbia navigato a vista. In questo senso non è difficile leggere un unico piano che va dall'omicidio di Hariri (che ha costretto la Siria ad abbandonare il Libano) all'escalation contro i palestinesi. L'ipocrita "piano di ritiro", che grazie alla compiacenza dei media globalizzati è stato spacciato come un passo verso la pace e non come l'arrogante annessione unilaterale che è in realtà, non è stato seguito infatti da gesti di distensione verso i palestinesi, ma al contrario da una escalation di aggressioni e di vessazioni.
Nonostante la rinuncia dei palestinesi agli attentati contro i civili, Israele ha infatti trasformato Gaza in una prigione a cielo aperto, sulla quale ogni tanto lanciare missili per assassinare i dirigenti palestinesi e quanti si trovassero a passare di lì per caso. La gestione della propaganda israeliana chiama queste carneficine "esecuzioni mirate", così come chiama le colonie illegali "insediamenti" o il muro dell'apartheid "barriera difensiva. Al di là di questi artifici semantici la realtà sul campo ci racconta che gli ultimi avvenimenti non sono una reazione difensiva, ma un'escalation cercata e voluta. Il sistematico ricorso alla menzogna che ha sollevato indignazione anche recentemente, quando dopo aver provocato una carneficina tra le famiglie palestinesi in spiaggia una "inchiesta" israeliana ha concluso che la responsabilità fosse di una mina di Hamas. Un tentativo pietoso che ha retto giusto il tempo della pubblicazione nella "notizia" e dell'immediata smentita alla quale anche fonti israeliane sono state costrette dall'assurdità di un'invenzione del genere.
Il lancio, che dura da anni, dei quasi innocui (sono proiettili poco potenti e precisi) razzi Kassam da Gaza ha determinato una rappresaglia sulla popolazione civile (che è vietata dalle leggi internazionali) che si è risolta in numerose stragi. Una conseguente azione militare dei palestinesi, che hanno attaccato i militari israeliani catturandone uno, ha determinato una rappresaglia ancora più violenta che ha portato all'invasione e alla devastazione di Gaza, un territorio nel quale ormai milioni di persone vivono recluse prive di elettricità e dei servizi minimi essenziali.
A questo è seguita un'analoga azione degli aderenti ad Hezbollah alla frontiera Nord, che hanno attirato in territorio libanese le pattuglie israeliane e catturato (non si tratta di un rapimento, come non lo è stato il precedente) altri due militari. Questa azione, militarmente insignificante, è stata presa a pretesto per il bombardamento su larga scala del Libano, provocando anche qui una carneficina tra i civili e demolendo le infrastrutture di un paese sovrano che non aveva l'intenzione e ancora meno la possibilità di nuocere ad Israele.
Mentre il conflitto minaccia a parole di allargarsi alla Siria e all'Iran, monta l'evidenza del fatto che Israele stia in realtà correndo verso il baratro. Mentre vince Israele si scava una scomoda fossa, nella quale il paese potrebbe ritrovarsi all'improvviso al primo scossone della storia. Israele al momento è uno stato confessionale che discrimina gravemente i suoi cittadini in base alla religione, che occupa illegalmente da decenni territori oltre i suoi confini, che attacca e distrugge le infrastrutture civili dei paesi vicini, viola il loro spazio aereo (anche quello della Siria) e gestisce ed amministra quello che a tutti gli effetti è il più vasto campo di prigionia del pianeta, composto dalla striscia di Gaza e dai Bantustan circondati dal Muro in Cisgiordania.
Tutto questo sembra sostenibile perché esiste il supporto americano, ma è un sostegno che può essere considerato eterno?
La risposta negativa a questa domanda apre scenari che la dirigenza israeliana, come quella ebraica nel mondo, sembrano non valutare affatto. Gli americani e i loro alleati sembrano determinati a mantenere una lunga permanenza militare in Medioriente, ma la loro determinazione potrebbe non essere sufficiente. Anche per gli Stati Uniti questa guerra diventa sempre più onerosa, e il fondo del barile è già stato raschiato da tempo. Ci sono già stati episodi che hanno segnalato come sia viva negli USA la consapevolezza di aver perso in Iraq e anche se vi verranno mantenute alcune basi militari sine die e il paese diventerà una polveriera, qualcuno sarà chiamato a rendere conto di questa avventura dai costi incalcolabili. Costi sostenuti prima di tutto dai contribuenti americani, poco sensibili ai civili morti altrui, ma molto sensibili al prezzo del gallone e al costo della vita o alle tasse necessarie per coprire i buchi lasciati dai voraci contractors e dagli amici di Bush.
Il vero problema di Israele è che rischia di ritrovarsi con il Medioriente in fiamme e con il cerino in mano. Israele ha goduto dell'appoggio della destra globalizzata accogliendolo acriticamente, godendone i vantaggi temporanei, ma senza valutarne le possibili conseguenze.
La conseguenza più grave è che, di fronte all'insostenibilità della guerra, le destre occidentali trovino proprio in Israele il capro espiatorio sul quale scaricare le responsabilità di questa ennesima carneficina di stampo colonialista. Già in occasione della condanna di alcuni funzionari americani accusati di aver spiato a favore di Israele e di aver diffuso notizie false in merito a presunti pericoli islamici c'è stato chi, nella destra americana, ha cominciato a dire che la guerra è stata cominciata per "colpa degli ebrei". Anche il recente studio di due professori di Harvard, che ha illuminato (enfatizzandola) l'influenza della c.d. Lobby Ebraica all'interno dell'Amministrazione USA è stato letto da molti commentatori come la posa del primo mattone di una prossima "exit strategy" fondata sull'esibizione del capro espiatorio ebraico.
Cosa rimarrebbe di Israele in tal caso? L'immagine residua di Israele non potrebbe essere che quella di un paese "canaglia", fortemente militarizzato, autore di estesi e continuati crimini contro i diritti umani, tirannicamente impegnato a martirizzare i palestinesi e a vessare i vicini. Il capitale morale rappresentato dalla Shoà, il peccato originale dell'Occidente nei confronti dell'ebraismo, verrebbe azzerato ed Israele si troverebbe a dover gestire una percezione della sua immagine molto vicina a quella che fu del Sudafrica dell'apartheid, paese con il quale ha in passato condiviso molto, non solo le ricerche atomiche.
Questo scenario non è improbabile, ed è confermato anche dall'entusiasta adesione delle destre al disegno di Olmert. Per le tradizionali destre venate di razzismo si tratta di una win-win solution, perché i piani israeliani possono portare al consolidamento del potere coloniale occidentale in Medioriente o alla definitiva diffamazione della visione sionista, accostando le pretese e le azioni ebraiche a quelle delle tanto vituperate dittature nazifasciste uscite sconfitte dalla Seconda Guerra Mondiale: una evenienza che in qualche maniera ne gratificherebbe la loro ostilità verso l'ebraismo, incapace di mostrarsi moralmente superiore ai fascismi europei e a quello neoconservatore.
Con questo si spiegherebbe anche la scelta di campo di politici come Gianfranco Fini e di partiti come AN, che da un lato possono esibire la tradizionale muscolarità in politica estera, dall'altra godere del fatto che un fallimento delle loro politiche porterà a una parziale smacchiatura dell'album di famiglia e alla rovina delle aspettative ebraiche.
Mai come ora il pericolo per Israele è rappresentato dagli interessi occidentali, mai come ora quello che sembra un trionfo destinato ad assicurare al paese la supremazia in Medioriente potrebbe rivelarsi una trappola verso la quale la dirigenza israeliana, formatasi alla scuola della guerra e cresciuta tormentata dalla sindrome dell'assedio, corre con suprema incoscienza ed arroganza.
Il futuro per Israele non è roseo, se dovesse mancare il sostegno americano svanirebbe anche quello che ancora residua in Europa (tanto vistosamente in calo che il premier finlandese, presidente di turno dell'Unione ha dichiarato che Israele informa le sue rappresaglie a una legge peggiore di quella del taglione: " Questa è la legge di venti occhi per un occhio") e il paese si troverebbe isolato a fare i conti con una grave crisi economica, un saldo migratorio negativo, una composizione sociale nella quale è sempre più invadente la presenza di gruppi religiosi estremisti e fanatici; senza considerare che Israele non dispone di risorse naturali tali da renderlo autosufficiente.
In questa prospettiva ad Israele toccherebbe sedere per la prima volta sul banco degli accusati dalla comunità internazionale, una eventualità finora evitata, ancora con arroganza, grazie alla protezione del diritto di veto americano, ma assolutamente plausibile, visto che fino ad ora negli ultimi decenni le risoluzioni ONU di condanna al paese hanno raccolto oltre un centinaio di voti a favore e qualche unità contro. Purtroppo come sempre in questi casi, le sirene della propaganda assordano le opinioni pubbliche e le voci delle persone sagge (che ovviamente esistono anche tra gli israeliani e tra gli ebrei) risultano flebili ed inascoltate, incapaci di fermare la macchina lanciata verso l'ecatombe.
Nulla di nuovo sotto il sole, all'alba del nuovo millennio i popoli vengono ancora facilmente illusi che si possano imporre i propri disegni ad altri utilizzando la violenza e la menzogna, anche se fin dall'antichità si sa benissimo che violenza e menzogna non possono essere i pilastri sui quali fondare i progressi sociali e quelli della convivenza tra i popoli. Ancora oggi l'esercizio continuato della violenza ha costi insostenibili, anche per chi la pratica; ancora oggi le menzogne non sono eterne e prima o poi chi ne ha tratto vantaggio viene chiamato a pagarne il prezzo.
Il prezzo che Israele sarà chiamato a pagare rischia di essere molto grande, più grande di quanto qualsiasi israeliano (come già è accaduto ad altri cittadini qualsiasi di paesi che hanno riposto la loro fiducia nell'esercizio della loro supremazia militare) abbia mai potuto immaginare. Tra le tante massime coniate da Von Clausewitz, quella meno ricordata è l'affermazione per la quale la guerra è sempre un evento impredicibile, un evento che è possibile pianificare, ma che ha sempre un esito assolutamente indipendente dalle aspettative che l'hanno generata. Purtroppo pochi in Israele riescono a capire che una guerra che li vede già vincitori potrebbe scivolare nell'imprevisto e presentare loro un conto molto più salato di quanto sarebbero stati disposti a pagare.
http://liste.rekombinant.org/wws/arc/neurogreen/2006-07/msg00215.html
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