"Long John" Chinaglia e gli "Irriducibili" ......
Neofascismo, camorra, racket e imbrogli vari.
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Plurisuonato come i “Fascisti su Marte” del Guzzanti cinematografico, il camerata Long John Giorgio Chinaglia, non nuovo a - vogliamo chiamarle leggerezze di vita? - per amore della su ex squadra e di certi ceffi della sua ex curva s’era messo in testa di togliere la società Lazio al non brillante presidente Lotito. Ma un conto è farlo diciamo così alla luce del sole, altro è usare metodi canaglieschi. L’avrà creduto legittimo ricordando gli slogan dei suoi detrattori calcistici o politici che gli gridavano “Chinaglia canaglia” quando uscendo dagli spogliatoi rivolgeva alla sua curva il braccio teso e salutava romanamente. Ora la Procura romana lo accusa di aggiotaggio ed estorsione nei confronti di Lotito ma anche di occulte minacce che sarebbero state rivolte all’attuale patron biancoceleste. Otto suoi compari e camerati sono finiti in manette, lui s’è salvato perché si trova nella sua residenza yankee e intervistato è caduto al solito dalle nuvole. Fa finta di non capire, gli è sempre riuscito naturalissimo, sostiene che c’è un imbroglio, indottrinato fra poco parlerà magari di persecuzione. Quel che inquieta è che con lui - e anche a sue spese perché ingenuo Giorgione ha mostrato d’esserlo più d’una volta - si muovono oscuri personaggi che si servono della manovalanza fascista che ha infettato le curve degli stadi. Anche se quella laziale è per tradizione storica una delle più nere e le connivenze d’una certa gestione del club, quella del palazzinaro Lenzini proprio con le sezioni missine degli anni Settanta dove circolavano Almirante e Fini insieme a squadristi alla Alibrandi, rappresentano un lugubre passato mai rimosso. Quelle curve - in verità di tanti club - che mostrano le croci celtiche e le svastiche, che incitano al razzismo e alle persecuzioni etniche che presidenti, consigli d’amministrazione societari non censurano, Leghe e Federazione tollerano e non puniscono sportivamente. Prefetti e Forze dell’Ordine non perseguono penalmente.
Ne scaturiscono le enclavi della vergogna che sono diventati tanti stadi italiani dove l’apologia di nazismo è legge, la violenza è teorizzata prima d’essere esercitata. Agli apprendisti stregoni alla Chinaglia che dal campo salutavano i camerati e ora pensano di fare scalate usando metodi malavitosi, andrebbe spiegato che non si operare illegalmente e non si può far intimidire il presidente in carica che si vorrebbe scalzare. Servirà una rieducazione da scandire a suon giri di campo anche se stavolta il terreno di gioco potrebbe avere un panorama un po’ speciale: non la collina di Montemario che sovrasta l’Olimpico ma il colle Gianicolo dal quale si scorgono i bracci ottocenteschi del carcere di Regina Coeli. E non dica Long John che dovrà giocare nelle serie inferiori, la retrocessione nell’immondezzaio della società se la cerca con pervicacia ormai da decenni.
Spartacus, 13 ottobre 2006
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