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Lettera aperta ai lavoratori della cooperativa sociale “La Testarda”
by Gli amici di Sara, i nemici del padrone Thursday, Nov. 23, 2006 at 9:31 PM mail:

ANCHE SE VOI VI CREDETE ASSOLTI SIETE LO STESSO COINVOLTI - Lettera aperta ai lavoratori della cooperativa sociale “La Testarda”

ANCHE SE VOI VI CREDETE ASSOLTI SIETE LO STESSO COINVOLTI

Lettera aperta ai lavoratori della cooperativa sociale “La Testarda”



Nel mese di giugno una vostra collega veniva scaricata dalla vostra cooperativa perché incinta.

Ha lavorato presso di voi per circa un anno frequentando contemporaneamente un corso di 1000 ore per ottenere la qualifica di OSS su esplicita richiesta della vostra direzione che prometteva, in seguito a questo, un contratto a tempo indeterminato. Senza questa promessa difficilmente avrebbe retto le difficoltà che tale gravoso impegno comporta, impegno che la vedeva contemporaneamente a scuola e al lavoro.

Per un principio di onestà nel rapporto lavorativo ha rivelato il suo stato interessante poco prima della fatidica data d’assunzione e, come molti sanno, a parole è stata rassicurata, nei fatti, liquidata.

Il sistema legale vigente (leggi Treu e Biagi), permette queste forme di discriminazione, ma ciò non significa che queste leggi siano giuste, essendo studiate per favorire il precariato e il ricatto sociale. Un ambiente di cooperativa (vero, e non di facciata) permette ai soci di dire la loro e di non subire supinamente ogni scelta dall’alto. (Sappiamo di persone, nella vostra cooperativa, che hanno atteso due, fino a tre anni un contratto che li garantisse minimamente, migrando da un contratto a tempo determinato all’altro, la cooperativa quindi non ha mai smesso di tutelare se stessa a discapito di chi ci andava a lavorare. Possiamo comprendere che la situazione delle cooperative è critica date le problematiche insite nel lavoro preso in appalto dalle ASL e dai servizi sociali, ma se un ingiusto trattamento economico è il prezzo, un giusto trattamento contrattuale e vivibili condizioni lavorative ne dovrebbero essere il riscatto).

Nei primi due mesi abbiamo atteso invano una risposta di solidarietà e siamo venuti a conoscenza di una riunione d’equipe nella quale la nostra amica lavorava, in cui la grande maggioranza decideva che avrebbe dovuto essere assunta, tutelata nel periodo della maternità per tornare infine a lavorare con voi. Scelta solidaristica e giusta.

Di tale scelta il CDA non ha tenuto minimamente conto alla luce del fatto che all’interno della cooperativa c’erano altre quattro maternità in atto. Numero normalissimo se si valuta la maggioranza femminile in età fertile del personale (sappiamo anche che alcune di queste donne la loro maternità la stanno terminando …).

Da indiscrezioni avute pare che quella di silurare le maternità dove possibile fosse una scelta fatta a monte, una scelta che se fosse vera, ci sembra profondamente arrogante e discriminante.

Tale indirizzo, di stampo “imprenditorial-efficentista-produttivista” esclude per sua natura quei meccanismi di supporto sociale che devono essere alla base dell’operare umano, oggetto di dibattiti e discussioni nel passato e nel presente, anche e soprattutto, negli ambienti cooperativistici “rossi”, conseguenza logica dell’applicazione dell’etica.

In questo imbarazzante clima di silenzio, dopo ben due mesi di attesa di una promessa risposta, (ti facciamo sapere entro una settimana le ultime parole della referente di servizio…) alcuni solidali, esterni alla cooperativa hanno intrapreso una strada di denuncia diretta operando nel campo dell’informazione. Nello stesso momento in cui lì da voi vigeva il silenzio, ovvero la rimozione dell’evento, all’esterno si apriva un dibattito che ha dato vita ad alcune scelte ed azioni.

Tra queste una che vi ha tanto scandalizzato, a nostro parere, per la lettura superficiale che le è stata data. Stiamo parlando di alcune scritte sui muri della vostra sede, in difesa del diritto alla maternità e indicanti uno dei maggiori responsabili dell’accaduto. La sede di via Pianezza è stata esclusa in virtù dell’iniziale solidarietà espressa. Alcune scritte sono apparse anche in altri precisi luoghi legati alla discussione politica, dato che uno dei responsabili dell’accaduto è politicamente attivo in ambienti che denunciano il precariato, mentre di fatto, evidentemente a loro insaputa, ne abusa in virtù del … “bene” … dei conti della cooperativa).

In base a una strana logica (civismo? benpensare? borghesismo?) queste scritte sono state considerate fatto ben più grave del barbaro motivo che le aveva causate. Problema di linguaggio? Linguaggio economico, irriverente ed ampiamente utilizzato nel passato e nel presente nelle lotte in tutto il mondo. Ciò non toglie che nessuno, nei mesi precedenti e successivi, vi ha impedito di mostrare concretamente, con i vostri metodi e linguaggi tale solidarietà, eppure non lo avete fatto.

Ecco invece avviarsi (quanto manipolato lo possiamo immaginare noi che conosciamo bene i burattinai dell’accaduto…) un perverso meccanismo che vede le vittime trasformate in carnefici. Ecco comparire, come per magia, sia dentro che fuori la cooperativa, teoremi circa improbabili congiure, voci che smentiscono le promesse d’assunzione e travisano l’accaduto sbandierando false giustificazioni giusto per salvare la faccia. In realtà la conferma di assunzione poco prima della scoperta della gravidanza era arrivata a Sara in più occasioni, per bocca dello stesso responsabile del personale, della referente di servizio e di alcuni colleghi con cui quest’ultima aveva parlato, un vero peccato, per i bugiardi, che lei entusiasta ne avesse parlato con i suoi amici e compagni di studio prima ancora di sapere di essere incinta, l’assunzione definitiva, secondo gli accordi, avrebbe dovuto partire dal 20 giugno; sempre nello stesso periodo durante le riunioni di equipe le veniva proposta la co-referenza di un utente: difficile pensare che si affidi la referenza di un ragazzo ad una operatrice che di lì a poco finisce il contratto se non perché la si vuole inserire stabilmente.

Come quindi paragonare la premeditata insolenza di una scritta cancellabile in cinque minuti con la violenza della discriminazione su una donna che porta in sé affanni ed afflizioni e, nel caso specifico anni di oggettiva difficoltà?

Ai nostri occhi il confronto non è possibile, ma a occhi menefreghisti e distratti, intenti solo a trovare una giustificazione al proprio disimpegno solidaristico, tutto questo può sfuggire.

Sta di fatto che la nostra amica nulla sapeva delle scritte, e di altre iniziative quali lettere e cartoline di sdegno, adesivi, discussioni, ecc delle quali sembra esservi sfuggito anche il tono ironico. Cose che la futura mamma ha saputo solo dopo la loro attuazione, giustamente impegnata a farsi valere tramite vie sindacali e a distrarsi dal sentimento di abbandono e sfiducia che provava nei vostri confronti per tentare, nonostante tutto, di vivere serenamente quel momento tanto importante e delicato quale è la gravidanza.

Ci siamo anche impegnati a parlare direttamente con alcuni membri della vostra cooperativa. Privatamente esponevano dubbi e a volte sdegno nei confronti di certi metodi e di una precisa direzione intrapresa dalla vostra dirigenza. Ma quello che più ci ha impressionato è stato che le stesse persone parlavano a condizione che non fosse resa pubblica la loro identità, fatto molto grave, riscontrabile solo in situazioni di dipendenza da piccola impresa. Queste persone insomma si sentono vittime di un complesso meccanismo di ricatto (comprendi, ho famiglia… potrebbero rendermi la vita impossibile… ecc).

Lo schierarsi col più forte anche se scorretto, l’omertà, il silenzio di fronte alle ingiustizie e ai disagi sono sintomi evidenti.

Un'altra forma di discriminazione sulla maternità l’abbiamo riscontrata nella recente decisione di dividere gli utili della cooperativa in base alle ore effettivamente eseguite: com’è possibile, ci chiediamo noi, che maternità e malattia (che auspichiamo onesta), momenti tanto delicati dell’esistenza, possano divenire oggetto di discriminazione?

Tali sono i metodi che attualmente si applicano in quella che viene definita “l’ottica imprenditoriale”, quell’ottica che (a differenza delle altre cooperative “rosse e bianche” torinesi che conosciamo, ti manda i controlli a casa appena sei ammalato allo scopo di farti “rigare dritto”, quell’ottica che si nutre di precariato abusandone fin quando gli è possibile, allo scopo di incentivare il rendimento creando differenze tra i lavoratori, indirizzandole, di fatto a coltivare ognuno il proprio orticello astenendosi da quello spirito di solidarietà che solo può aiutare i lavoratori, gli uomini in generale e gli stessi utenti.

La verticizzazione dei poteri nel CDA (espropriati quindi alle equipe), snatura la cooperativa che diviene luogo qualsiasi di sfruttamento (neanche 900 euro al mese, notti e turni non pagati ai confini della stessa contestata legalità), il socio diventa un dipendente ordinario, ricattabile, aggrappato al proprio misero posto di lavoro, non più attivo e propositivo, se non superficialmente, nella gestione del lavoro e quindi della cooperativa, si accontenta di poche centinaia di euro ottenute dalla penalizzazione di qualcun altro per illudersi che così va tutto bene e rieleggere alla direzione le stesse persone arroganti e manipolatrici.

Ogni dissenso si risolve in voci di corridoio, succube di promesse di maggiore e migliore lavoro (per lo più non mantenute), di simpatie e antipatie personali, di favoritismi e amicalismi, deve anche fare buon viso agli amministratori in carica. L’importante è che non disturbi, che si sottoponga alle direttive, non importa se giuste o meno (come nel caso della nostra amica), il gruppo (in realtà agglomerato di individualisti) svilupperà sempre un’autogiustificazione: “è normale, il mondo và così…”

Ma proprio questo disgustoso meccanismo, indotto dall’esterno, dalle condizioni che ci vengono poste da chi ci vuole automi stacanovisti, che induce competitività tra i lavoratori creando le differenze e che li vuole meglio sfruttare annunciando tempi migliori, cioè “l’andazzo generale”, rende tutti complici di tale disgregazione. Quando il mercato del lavoro assume un volto disumano non è forse giunto il momento di porsi qualche domanda?

Sempre, ma in particolar modo per quel che riguarda il lavoro col disagio, siamo convinti che sottomettersi supini a certi meccanismi vigenti nel mondo del mercato-lavoro porta, come già possiamo osservare, solo alla mortificazione delle persone-lavoratori a spese della qualità (ma non della quantità…) del servizio offerto con conseguenze disastrose per utenti e operatori.

Ma certo, tutto il mondo va così, non c’è mai peggio al peggio…

Ci rendiamo conto della problematicità di dare un equilibrio agli interessi di chi lavora, utenti e cooperativa, ma fatti come quello accaduto alla nostra amica e altri emersi dalla nostra ricerca, a cui accenniamo in questa lettera, sono segnale molto, molto triste.

Oggi tutto questo è capitato a una vostra collega, un domani potrà capitare a voi, o magari a vostra figlia.

A pochi giorni dalla nascita della bambina ribadiamo la nostra solidarietà alla nostra amica, per un presente e un futuro a misura d’uomo (e non a misura d’impresa) e prendiamo le distanze da tutti quegli atteggiamenti che nel miope tentativo di tutelare solo la propria dimensione personale creano di fatto disgregazione sociale e dramma individuale.

Lei vedrà una nuova vita sbocciare a cui accudirà nonostante il vostro squallore, a voi un centinaio di euro in più alla chiusura dell’anno.

Gli amici di Sara, i nemici del padrone.

'--_._--' '--_._--' '--_._--' '--_._--' '--_._--'

P.S. (Questa lettera è stata scritta a più mani e firmata da 106 persone i cui nomi essendo qui fuori contesto verranno citati solo nel cartaceo inviato per posta ai destinatari. Alcuni dei firmatari sono educatori o OSS, fanno quindi lo stesso lavoro di Sara, conoscono bene sia la realtà della cooperativa in questione che quella di altre realtà simili).

Se qualcuno non ha avuto l'occasione di lasciare il proprio nome e volesse farlo può farlo qua, ci occuperemo di far pervenire anche il suo nome.

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Bisogna andare oltre lo squat e riprogettare Wednesday, Nov. 29, 2006 at 9:17 PM
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