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Di ritorno dall'Iraq
by LUISA MORGANTINI Tuesday, Feb. 11, 2003 at 2:04 PM mail:

di ritorno dall'Iraq, un paese che solo ora stava uscendo dall'isolamento internazionale. I sogni e le speranze dei bambini «Voglio vivere, voglio studiare»





«Cominciavamo a respirare dopo anni terribili di totale embargo, dopo le distruzioni della guerra del '91. Qualche maglia si era aperta non soltanto con il programma "Petrolio in cambio di cibo", ma anche con vari tipi di scambi commerciali. Finalmente si erano aperte alcune ambasciate soprattutto presenze di diplomatici a livello internazionale. Dopo anni di totale isolamento si era aperto anche l'aeroporto di Bagdad, con voli da Hamman, Damasco, El Cairo, e anche interni tra Baghdad e Bassora. Adesso tutto ricomincia, siamo qui in attesa delle bombe che cadranno su di noi. Perché non ci lasciano vivere in pace? Io non lo so ma non credo proprio che noi abbiamo bombe nucleari, certamente Bush ne ha tantissime e tante e tante Israele. E allora perché? Saddam non piace possiamo o no decidere noi? Sono giovane, voglio vivere, voglio studiare, adoro i prodotti della terra, studio agricoltura ma non ho neanche i libri sui quali studiare». Karim, è uno studente timido, mi vuole invitare a casa sua a pranzo, l'ho incontrato per strada mentre cercavo di raggiungere i parlamentari europei. Fa il taxista per poter guadagnare qualcosa. La sua famiglia non è poverissima, sua madre è una insegnante elementare, il padre è morto durante la guerra in Iran.
Nell'andare verso l'albergo guardiamo insieme le nuove costruzioni a Baghdad: il palazzo della televisione, i nuovi edifici ministeriali, le strade larghe, i nuovi ponti, i passaggi, i tunnel. Karim dice «in questa strada però c'era un vecchio bagno ottomano. Era molto bello, ma per costruire questa strada abbiamo perso un pezzo della nostra storia, della nostra cultura. Però questa strada è utile».

Da tre anni non tornavo a Baghdad. Sono sorpresa dalla diversità, dal maggiore ordine, dalla minore miseria che vedo in alcuni quartieri. Naturalmente andiamo a Saddam City, il quartiere povero, con fogne ancora a cielo aperto, miseria, mancanza di lavoro, assenza di servizi. Eppure Baghdad mi sembra sia cresciuta molto negli ultimi tre anni, poi però quando parlo con le persone sento dire che gli insegnanti continuano a prendere otto/dieci dollari al mese, i medici undici e tutti sono totalmente dipendenti dalle razioni di cibo che vengono redistribuite grazie al programma "Petrolio in cambio di cibo". Aiuti che non sono però forniti, come anche molti parlamentari della nostra delegazione pensano, dalla comunità internazionale al popolo iracheno che soffre la fame sotto un embargo che dura ormai dalla guerra del Golfo. Si tratta delle risorse irachene, la vendita dei barili di petrolio, il cui ricavato non può essere usato liberamente dal governo iracheno, ma deve sottostare a precise regole dettate dalle risoluzioni delle Nazioni Unite. Una umiliazione per il popolo iracheno che non ha nessuna sovranità sulle proprie risorse naturali, economiche e sociali, come ci dice il rappresentante dell'Undp a Baghdad.

Attraversiamo i quartieri popolari, la gente acquista, i negozi sono pieni di merci. Karim dice che tutti fanno compere perché la prossima settimana ci sarà la festa musulmana. Mi sembra di impazzire. Guardo queste case, questi negozi, questa gente, i tanti bambini che sono per le strade. Non si sente alcuna aggressività, ma una impalpabile rassegnazione. Eppure i nostri media e i governanti ci danno una versione di questo popolo come fanatico e crudele. Penso con disperazione che tutti questi lavori, queste vite umane, queste costruzioni, questa fatica umana, tra 15 giorni potrebbe essere polvere. Dal cielo potrebbero arrivare le 3mila bombe promesse da Bush.

Tutta la nostra delegazione - siamo 30 parlamentari europei delle diverse formazioni politiche, dal nostro gruppo Gue-Verdi nordici, all'alleanza dei Verdi, ai socialisti europei (pochi) e una parlamentare danese del gruppo delle differenze e diversità, accompagnati da molti giornalisti delle testate europee - sente l'angoscia di quanta distruzione la guerra di Bush può portare. Ciò che accomuna la delegazione dei parlamentari europei è il netto rifiuto alla guerra. Alcuni pensano che bisogna dare spazio agli ispettori e che se gli ispettori trovassero veramente armi di distruzione di massa forse non si opporrebbero così tanto all'attacco. Ma la grande maggioranza di noi è contro la guerra ed è anche convinta dalle continue dichiarazioni di Bush che questa guerra è dettata dalla volontà di dominio, non soltanto per il possesso del petrolio iracheno ma per un nuovo colonialismo imperiale in tutta l'area mediorientale, anche guardando all'Asia e al futuro della Cina.

La delegazione ha deciso di non incontrarsi con rappresentanti del governo iracheno per manifestare la nostra contrarietà a Saddam Hussein. Una decisione sofferta. Alcuni di noi pensavano che un incontro anche con rappresentanti governativi non avrebbe significato un'adesione alla politica di Saddam Hussein, ma ai rappresentanti del governo avremmo potuto esprimere la nostra opposizione sia alla guerra che alla politica di oppressione e di controllo della popolazione da parte del regime.

Andiamo a Bassora, città millenaria, il vecchio centro storico degradato e fatiscente, case sventrate dai bombardamenti iraniani prima, dalla guerra civile poi, tra sciiti e sunniti, e dai successivi bombardamenti americani, i bambini escono dalle vecchie porte di legno. Incontriamo i rappresentanti del parlamento iracheno, anche loro come Karim ci chiedono perché, ma hanno anche le risposte: «L'America vuole il petrolio e vuole tenerci nel sottosviluppo. Perché voi europei non ve ne accorgete? Questa guerra è anche contro di voi. L'America ha paura di un'Europa unita».

Andiamo a vedere da lontano un impianto petrolifero, dalle ciminiere lingue di fuoco lambiscono il cielo, se ci sarà la guerra bruceranno tutti i pozzi? Visitiamo un ospedale di maternità, fotografie agghiaccianti di bambini nati deformi. Il direttore dell'ospedale ci dice che i casi di bambini nati deformi sono aumentati soprattutto negli ultimi anni, sostiene che questo è dovuto all'uso dell'uranio impoverito durante i bombardamenti Usa. Visitiamo i diversi reparti, bambini denutriti, donne con gli occhi fissi nel vuoto, un medico al quale un cameraman chiede di fare la prova della luce su camice bianco dice con una voce mesta, «sì, sì prendi pure la mia immagine potrebbe essere l'ultima volta, quando tornerete qui potremo non esserci più». E' così che vive la gente, aspettando che dal cielo piovano le bombe. Ma poi il medico aggiunge: «Non pensate però che non ci rivolteremo, non potranno distruggere tutto. Se i soldati americani verranno ad occuparci, anche io userò il fucile».

Guardiamo alla televisione la relazione di Colin Powell alle Nazioni Unite, siamo nella sala stampa irachena. Powell non dà prove, l'esperto iracheno Saidi risponde subito in conferenza stampa dicendo ai giornalisti: «Nessuna prova, le foto mostrate sono luoghi che gli ispettori hanno già visitato, la telefonata è un'invenzione, le telefonate si possono manomettere. I legami con Al Qaeda? Ridicolo». Dobbiamo fermare questa guerra, dobbiamo fare l'impossibile. Certo disarmare Saddam Hussein, così come anche Sharon, Bush e Al Qaeda. Il 15 febbraio a milioni dovremo riempire le piazze del mondo, ma è tempo per tutti coloro che vogliono pace e giustizia di fare anche l'impossibile per fermare questa guerra. Non è tempo solo di manifestazioni, la politica di Bush porta alla catastrofe.


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