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Odio il carcer
by odio il carcere Friday, Jun. 06, 2003 at 2:19 PM mail: odioilcarcere@inventati.org

Opuscolo informativo sulla situazione delle detenute e dei detenuiti in Italia.

PERCHE' IL CARCERE ???

Questa domanda brucia sulle labbra di quanti, donne e uomini, si sono imbattuti, anche una sola volta - per vicende personali o di conoscenti - nell'oscenità obbrobriosa di quel luogo chiamato carcere.
Tranne per quelli e quelle che, per misero egoismo, rimuovono l'interrogativo, per le altre e gli altri costituisce un dilemma che non trova alcuna risposta, ma non trova a tutt'oggi nemmeno un ambito di dibattito serio e socialmente rilevante.


Noi di "odio il carcere" vogliamo con questo scarno opuscolo iniziare a riempire questo vuoto preoccupante e aiutare chiunque lo voglia ad aumentare le proprie conoscenze e addentrarsi un po' nell'orrido dell'universo carcerario.
"Odio il carcere" è un aggregato di compagne e compagni che sono attivi in centri sociali e radio di movimento. Questo aggregato funziona come un'assemblea nella quale si discute per aumentare le conoscenze di ciascuna e ciascuno e per realizzare iniziative volte a favorire la comunicazione tra "interno del carcere" ed "esterno" e diffondere la consapevolezza sulle strutture segregative.

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parole … dal carcere …….
“Se io sono un criminale, e lo nego apertamente, sono esattamente quale voi mi avete fatto. La criminalità è roba vostra! Essa è prodotta e riprodotta continuamente, inevitabilmente, deliberatamente dalla società classista.” (Milano S. Vittore, dicembre 1971)
e … dagli esperti…….
"Il numero dei detenuti ha molto poco a che fare con il crimine. Il numero dei detenuti è piuttosto causato dallo stato generale di fiducia all’interno della società e dall’equilibrio politico." ( K. J. Làng - direttore del sistema carcerario in Finlandia).
"Si deve scoprire un crimine che si adatti alla punizione e ricostruire la natura dell’internato per adattarla al crimine." ( Erving Goffman - in Asylums - Einaudi 1968)
"L’analisi di un’istituzione totale, funzionale ad un sistema sociale come il nostro, è dunque la dimostrazione di quanto paga chi si trova costretto a pagare per dare agli altri la possibilità di vivere nella “norma” e nel “benessere”." (Franco e Franca Basaglia)
"E' facilmente comprensibile lo stato d’animo di chi varca la soglia di un carcere. Finisce tutto. Rimangono soltanto il numero di una pratica, un fascicolo ricolmo di carte, una collocazione nello spazio e nel tempo freddo e ostile di un apparato amministrativo che assorbe, pervade, scruta, classifica, giudica. A questo punto lo sconvolgimento dell’animo del detenuto è totale e compenetra gli strati più reconditi della personalità, generando una particolare grave distonia ai vari processi psichici di percezione, di rappresentazione, di ideazione." (Osservatorio psicologico di Amsterdam)
secondo alcuni analisti dove sta dirigendosi il sistema repressivo ?…
…Molti fenomeni, anzi, rivelano una tendenza del potere giudiziario ad affermarsi in quanto ‘potere’. La crescente giuridicizzazione di ambiti di vita che prima erano sottoposti a forme di autoregolazione –in ambiti propri- di per sé non è affatto sintomo di allargamento della democrazia. Indica se mai, non meno che cresce il numero di ambiti di vita cui lo Stato contemporaneo è interessato. Per cui la giuridicizzazione nel mentre offre garanzie, crea contemporaneamente nuove dipendenze. …Ieri l’ingiustizia appariva come la negazione del diritto, oggi deriva anche dall’eccesso del diritto. Il lato tragico della democrazia moderna è di sfociare nell’ingiustizia tramite l’applicazione dei suoi stessi strumenti giuridici … aumentano le angosce, le paure: e la diffusione del pan-penalismo* è anche una reazione all’insicurezza delle nostre società… Quando la politica non offre più riferimenti per simbolizzare l’esperienza sociale, la trista figura del "mascalzone" fa il suo rientro in democrazia: in assenza di nemici esterni, sono il crimine e il criminale a fornire le immagini paurose che creano l’unità”. ( A. Garapon: La repubblica penale.)
*)per panpenalismo si intende quella tendenza a far ricadere sotto la giurisdizione del Codice Penale quei comportamenti che precedentemente erano affrontati dalla società con altri mezzi, in genere col dibattito politico o sociale.
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Cara lettrice e caro lettore di questo opuscolo ...
Nella città in cui vivi c'è uno o più carceri. Sai dove si trova? Sai che oltre quelle mura, dietro quelle sbarre sono rinchiusi corpi di donne e uomini cui è stato tolto tutto, cioè la libertà? Sai quanta sofferenza e morte dispensano queste istituzioni totali?
Sai che tutto questo non serve ad altro che a placare il desiderio di vendetta/ punizione/ castigo/ espiazione/ odio/ rivalsa ... per chi non sa dare risposte al disagio/ inquietudine/ incertezza ... di vita?
Basta che ti soffermi un po' a pensare e scoprirai che tutto questo serve a catturare il consenso della gente alle politiche dei poteri forti; proprio di quei poteri che sono impegnati a continuare a togliere quei pochi residui diritti di chi lavora e di chi cerca lavoro. Quei poteri che, volendo abolire "la sicurezza ai diritti", vogliono gabellare in cambio di ciò che tolgono "il diritto alla sicurezza" inteso come militarizzazione di ogni spazio sociale contro un inventato "nemico interno".
Ma se il carcere è -nel suo insieme- questo intreccio di assurdità e pericolose prospettive, al proprio interno il carcere nasconde ulteriori e peggiori segregazioni:
ad esempio, il carcere minorile, che tiene incarcerati i corpi di ragazzi e ragazze che dovrebbero correre per i prati, giocare per conoscere, conoscere per crescere e non essere chiusi dietro mura che schiacciano la loro personalità e la loro gioia di vita; e poi il manicomio giudiziario; i centri di detenzione per extracomunitari/e; il carcere per le persone malate e tossicodipendenti ... ecc., ecc…

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sovraffollamento
by odio il carcere Friday, Jun. 06, 2003 at 2:20 PM mail:

sovraffollamento
Le presenze in carcere alla fine del 2002 superavano i 57.000 detenuti e detenute, a fronte di una capienza degli oltre 200 istituti penitenziari di circa 42.000 posti.
E' la maggiore presenza nelle carceri italiane che si registra negli ultimi 50 anni; bisogna infatti risalire al secondo dopoguerra, al 1949 per trovare una popolazione detenuta superiore, 58.400 presenze, ma allora si usciva da una guerra devastante con livelli di sopravvivenza al di sotto del sopportabile e un conseguente di disordine sociale caratterizzato da attività in gran parte al di fuori della legalità. Oggi i reati di qualsiasi tipo sono molto al di sotto dei livelli di allora, inoltre la tendenza degli ultimi anni segnala una notevole diminuzione; e allora perché questa furia carceraiola? Perché?

Confrontiamo i dati delle presenze in carcere degli ultimi 10 anni:
Genn. 1991 = 35.485
Genn. 1995 = 46.525
Genn. 1998 = 47.811
Genn. 1999 = 49.010
Luglio 1999 = 50.472
Genn. 2000 = 51.862
Luglio 2000 = 53.184
Genn. 2001 = 53.798
Luglio 2001 = 55.113
Genn. 2002 = 55. 780
Genn. 2003 = (oltre) 57.000

Se confrontiamo le crescita di carcerazione in Italia con quella di altri paesi europei, vediamo che solo in Spagna e Inghilterra in questi ultimi 10 anni si è avuto un altrettanto incremento. Non è strano, le politiche di smantellamento dei diritti sul lavoro e sulle garanzie sociali sono state effettuate con particolare ferocia proprio in questi 3 paesi.

CONFRONTO TRA LIVELLI DI CARCERAZIONE NEI PAESI EUROPEI (n. detenuti per 100.000 abitanti) - Andamento negli ultimi 10 anni
-1991- -2001-
Irlanda del Nord 106 - 93
Spagna 92 - 114
Inghilterra 91 - 124
Austria 87 - 83
Francia 84 - 80
Germania 79 - 98
Danimarca 66 - 61
Italia 56 - 93
USA 350 - 944 (6.467.000 persone complessivamente sotto controllo penale di cui: 1.933.532 persone detenute; 3.839.500 in libertà condizionata; 725.500 libertà sulla parola dopo aver scontato parte della condanna; gli Stati Uniti stanno vivendo da 20 anni a questa parte, dall'epoca Reaganiana, una delle più intense campagne di carcerazione della loro storia: i livelli di carcerazione si sono addirittura quadruplicati)

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Dei 57.000 presenti nelle carceri italiane, i condannati/e costituiscono il 55,25%, (chiamati "definitivi" ossia condannati con pena definitiva)
in attesa di giudizio sono il 42,45% = quasi la metà è dunque costituita da persone che non essendo ancora state condannate sono da considerarsi innocenti.
il restante 2,30% sono soggetti a misura di internamento
I condannati /e hanno da scontare condanne di questa entità:
il 31,46 % fino a 3 anni (quasi 10.000 persone)
il 21,73% da 3 a 5 anni
il 23,81% da 5 a 10 anni
il 14,04% da 10 a 20 anni
il 6,33% oltre i 20 anni

ma il residuo pena per i "definitivi" (ossia quelli condannati con pena definitiva) è:
fino a un anno il 30,63% (9.600 persone)
da 1 a 3 anni il 31,44% (9.840 persone)
da 3 a 5 anni il 15,51%
da 5 a 10 anni il 11,99%
da 10 a 20 anni il 6,28%
oltre 20 anni il 1,50%


Ciò vuol dire che oltre il 62% deve scontare meno di 3 anni; circa 20.000 persone che, secondo le leggi italiane non dovrebbero trovarsi in carcere ma in misure alternative, al fine di avviarsi al "reinserimento sociale" come afferma la Costituzione Italiana e le Leggi vigenti (non applicate). Se cessasse questa vergognosa ILLEGALITA' della legge italiana nella fase dell'applicazione, oltretutto svuoterebbe di 20.000 presenze il carcere riportandolo a livelli fisiologici.

Nell'immediato il superamento delle attuali condizioni di sovraffollamento è una delle priorità che ci si deve porre, così come hanno denunciato e richiesto le lotte nel carcere di questi ultimi mesi, che purtroppo hanno cozzato, ancora una volta contro la cecità del sistema politico italiano. La prima conseguenza drammatica dell'attuale situazione è la pessima qualità della vita per quanto riguarda la socialità interna e con l'esterno e le condizioni igienico - sanitarie.
Sovraffollamento significa anche mancanza del rispetto dei diritti delle persone detenute, soprattutto di quelle che dispongono di meno mezzi:

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sanità penitenziaria
by odio il carcere Friday, Jun. 06, 2003 at 2:21 PM mail:

sanità penitenziaria

Il carcere di per sé produce sofferenza fisica. La privazione dell'autonomia nei movimenti, la negazione dell'affettività fisica, la costrizione in ambienti angusti che sono alla base della vita carceraria (anche in quella meglio funzionante) creano come reazione dolore nel corpo. Sintomatologie psicosomatiche di forma più o meno grave sono all'ordine del giorno in ogni carcere. A ciò si aggiunga la precarietà delle condizioni igienico-sanitarie e lo scarso livello di assistenza medica e profilassi per rendersi conto che il problema della malattia in carcere andrebbe affrontato anche nel caso che vi facessero ingresso solo individui sani. Così purtroppo non è: in carcere entrano malati e malate di Aids, persone afflitte da cardiopatie, epatite, tubercolosi e altre malattie gravi; in carcere entrano persone con gravi forme di handicap fisico.
Per queste persone e per quelle che contraggono la malattia durante la detenzione il diritto alla salute in carcere subisce violazioni quotidiane.

Fino al 1998 chi era in carcere non aveva lo stesso diritto alla salute al pari degli altri cittadini. Difatti nelle carceri vi era un "corpo" di medici penitenziari alle dipendenze del Ministero di Giustizia che più che "curare" chi ne aveva bisogno controllava che il detenuto o la detenuta non "fingessero" malattie per evitare il carcere. Dopo anni e anni di lotte nelle carceri e da parte di alcuni settori maggiormente consapevoli della società, si è riuscito a far approvare una Legge che afferma un diritto sacrosanto: la parità di trattamento tra chi sta dentro e la cittadinanza in merito alla salute:
Questo è stato il prodotto di quella lunga battaglia; leggete le belle parole che vi sono scritte:
Decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230 – Riordino della medicina penitenziaria, a norma dell'art. 5, della legge 30 novembre 1998, n. 419:
Art. 1 – diritto alla salute dei detenuti e degli internati
1. I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali.
2. Il S.S.N.(servizio sanitario nazionale) assicura, in particolare ai detenuti e agli internati:
a. livelli di prestazioni analoghi a quelli garantiti ai cittadini liberi
b. azioni di protezione, di informazione e di educazione ai fini dello sviluppo della responsabilità individuale e collettiva in materia di salute
c. informazioni complete sul proprio stato di salute all'atto dell'ingresso in carcere, durante il periodo di detenzione e all'atto della dimissione in libertà
d. interventi di prevenzione, cura e sostegno del disagio psichico e sociale
e. l'assistenza sanitaria della gravidanza e della maternità, anche attraverso il potenziamento dei servizi di informazione e dei consultori, nonché appropriate, efficaci ed essenziali prestazioni di prevenzione, diagnosi precoce e cura delle donne detenute o internate
f. l'assistenza pediatrica e i servizi di puericultura idonei ad evitare ogni pregiudizio, limite o discriminazione alla equilibrata crescita o allo sviluppo della personalità, in ragione dell'ambiente di vita e di relazione sociale, ai figli delle donne detenute o internate che durante la prima infanzia convivono con le madri negli istituti penitenziari
3.Ogni Azienda USL, nel cui ambito è ubicato un istituto penitenziario, adotta un'apposita Carta dei servizi sanitari per i detenuti e gli internati.
4. I detenuti e gli internati conservano l'iscrizione al servizio sanitario nazionale per tutte le forme di assistenza, ivi compresa quella medico-generica
5. Sono iscritti al Servizio sanitario nazionale gli stranieri, limitatamente al periodo in cui sono detenuti o internati negli istituti penitenziari. Tali soggetti hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai cittadini liberi, a prescindere dal regolare titolo di permesso di soggiorno in Italia
6. I detenuti e gli internati sono esclusi dal sistema di compartecipazione alla spesa delle prestazioni sanitarie erogate dal servizio sanitario nazionale
Art. 2 – Principi
1. Lo Stato, le regione, i comuni, le aziende USL e gli istituti penitenziari uniformano le proprie azioni e concorrono responsabilmente alla realizzazione di condizioni di protezione della salute dei detenuti e degli internati, attraverso sistemi di informazione e educazione sanitaria per l'attuazione di misure di prevenzione e lo svolgimento delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione contenute nel P.S.N., nei P.S.R. e in quelli locali
2. L'assistenza sanitaria ai detenuti e agli internati è organizzata secondo principi di globalità dell'intervento sulle cause di pregiudizio della salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, di integrazione della assistenza sociale e sanitaria e di garanzia della continuità terapeutica
3. Alla erogazione delle prestazioni sanitarie provvede l'Azienda Sanitaria. L'amministrazione penitenziaria provvede alla sicurezza dei detenuti e a quella degli internati ivi assistiti.
…………..
Bellissime parole che il mondo intero ci invidia: prova di civiltà e maturità…. PECCATO CHE QUESTA BELLA LEGGE E' RIMASTA CARTA STRACCIA; DAL 1999 I GOVERNI CHE SI SONO SUCCEDUTI SI SONO BEN GUARDATI DALL'APPLICARLA
….PECCATO CHE IL MINISTRO DELL'ECONOMIA TREMONTI, INCURANTE DELLA GIA' TRAGICA CONDIZIONE ATTUALE, ABBIA RECENTEMENTE (IN OCCASIONE DELLA FINANZIARIA) ABBASSATO I FONDI EROGATI ALLA MEDICIMA PENITENZIARIA,SOTTRAENDO 20 MILIONI DI EURO DAI 92 DESTINATI ALL'ANNO ALL'ASSISTENZA SANITARIA IN CARCERE. UN TAGLIO DI UN QUINTO DELLA SOMMA TOTALE A DANNO PROPRIO DI QUELLE STRUTTURE,CHE RAPPRESENTANO LUOGHI PATOGENI PER ECCELLENZA.
L'INTERDIZIONE NEI CONFRONTI DELLA TORTURA E DELLA MENOMAZIONE FISICA DEL DETENUTO,IN FAVORE DI ALTRE FORME DI DISTRUZIONE PROGRESSIVA ED INVISIBILE (L'ERGASTOLO),CARATTERIZZATE DA UN'APPARENZA NON VENDICATIVA E NON CRUENTA,NON DEVE FAR DIMENTICARE QUANTO IL CARCERE POSSA ESSERE ANCORA SOFFERENZA, MALATTIA,TORTURA FISICA E PSICHICA,MENOMAZIONE,HANDICAP

Al di la delle astratte teorie umanitarie, esaminiamo da vicino, in modo scientifico, quelle che sono le primissime ripercussioni del corpo incarcerato.
LA VERTIGINE,LA PERDITA DI SE':
L'uomo che entra nella cinta sconosciuta e sbarrata della prigione è colpito immediatamente dalle vertigini.
Deportato in un mondo in cui più nulla lo rassicura, egli si perde nel proprio smarrimento; i riferimenti dello spazio e del tempo si dissolvono.
Ciascuno di noi può occupare il suo posto nel mondo solo appoggiandosi agli oggetti investiti di se. Ed è allora che l'ingresso in prigione segna la rivoluzione dei parametri di percezione della realtà esterna. La vertigine rappresenta dunque il vuoto avvolgente, il nulla minaccioso, il baratro aspirante della morte.
Quando questi malesseri si manifestano in forme più gravi, per poco non arrivano a far cadere per terra coloro il cui equilibrio è più precario. Tuttavia, anche se in forme meno gravi, condizionano ogni detenuto, costituendo una sorta di mordenzatura, sulla quale si fissano progressivamente tutte le modificazioni sensoriali del recluso.
L'OLFATTO:CONTAMINAZIONE E ANESTESIA
Lo sconvolgimento dell'olfatto è sottile quanto l'interpretazione degli effluvi sensoriali.
La prigione è innanzitutto un odore. E' questo odore che urta le narici di chi entra, un odore composto, greve, che ristagna e impregna. Un odore che rende tutto uniforme, talmente invadente da diventare irrespirabile, per cui l'unica soluzione per tollerarlo è amputarsi l'olfatto.
Tale perdita dell'odorato è individuabile sin dai primi mesi di detenzione. Il 31% dei detenuti, segnalano il fatto di non essere più in grado di sentire i profumi, gli odori, nei primi quattro mesi di detenzione. Nei quattro mesi successivi, la mancanza di olfatto è condivisa da circa il 40% dei detenuti.
LA VISTA
La reclusione firma il decreto di morte degli sguardi scambiati, complementari alla parola. L'occhio non si articola più alla bocca, non è più al servizio dell'espressività del discorso. Per questo forse gli occhi erranti del detenuto sono spesso sfasati e non fissano quasi mai il viso dell'interlocutore.
Il detenuto inoltre è condannato ad avere la vista corta. Lo sguardo infatti impossibilitato a raggiungere l'orizzonte si abbassa, arenandosi sulle brevi distanze. Il fatto di munirsi di lenti quindi, spesso non è che una soluzione alla vista corta, poichè ad indebolirsi non è l'occhio ma lo sguardo. Peggio ,la vista non smette mai di abbassarsi, il processo marcia lentamente ed inesorabilmente.

L'UDITO
Circa il 60% della popolazione detenuta segnala nel periodo cruciale dell'incarcerazione,che va daiquattro agli otto mesi,uno stato di iperacutezza dell'udito non certo priva di fastidi.Dopo un anno il 50% dei detenuti dichiara di aver acquisito un'anomala sensibilità uditiva,che sembra accompagnarli poi per tutta la durata della pena.
Questa iper-sensibilità senza dubbio permane a lungo,anche dopo la scarcerazione,poichè il 34% dei probazionari dichiara di mantenerla.
L'esasperazione dell'udito provoca tuttavia disturbi al 23% dei detenuti,dopo sei mesi di prigione,e al 28% dopo un anno.
IL TATTO
In prigione la superficie del corpo non ha più ne tatto ne contatto.La vera superficie cutanea del detenuto e' diventata la pelle del"dentro",che delimita l'estensione interna dell'io,e lo rassicura.
La superficie cutanea esterna non serve che come segnale di allarme.
Anche la percezione termica viene stravolta.Il freddo penitenziario come l'odore della prigione,è una sensazione che provano tutti i detenuti,qualunque sia la stagione o la temperatura esterna.
Il freddo permane aggressivo,e spesso proviene dall'interno dell'uomo.

L'IPOTESI CHE IL CARCERE IN SE SIA,O POSSA RISULTARE, UN'ISTITUZIONE TOTALE PATOGENA,CAPACE DI INDURRE TURBE PSICO-FISICHE CHE DETERMINANO NEL RECLUSO,SOTTO FORMA DI SOFFERENZA LEGALE,UN SURPLUS DI AFFLIZIONE,E QUINDI DI CONDANNA,COSTRINGE UNA VOLTA DI PIU' A DOMANDARSI CON FORZA QUALI ALTERNATIVE ESISTANO ALLA PENA DETENTIVA,CHE E' ANCORA E SOPRATTUTTO UNA PENA CORPORALE,QUALCHE COSA CHE DA DOLORE FISICO E CHE, AL DI LA DELLE ENORMI RIPERCUSSIONI PSICOLOGICHE, PRODUCE MALATTIA E MORTE.

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tossicodipendenza
by odio il carcere Friday, Jun. 06, 2003 at 2:22 PM mail:

tossicodipendenza

TOSSICODIPENDENTI IN CARCERE
Anni n. di presenze
1990 7.299
1991 11.540
1992 13.970
1994 14.742
1998 14.081
2000 14.600 (di cui stranieri n. 3.837)

SIEROPOSITIVI attuali IN CARCERE - 1.459 (di cui 1.205 tossicodipendenti);
affetti da HIV conclamata - 128

SOSTANZE DA CUI DERIVA LA TOSSICODIPENDENZA:
Eroina - 63,5%
Cocaina - 16,2%
Metadone- 2,8%
Alcool - 1,9%

LETTERA APERTA SU TOSSICODIPENDENZA E CARCERE DA UN DETENUTO DI REBIBBIA NUOVO COMPLESSO (ROMA) - Febbraio 2000
Questa è una lettera aperta a tutti coloro che si occupano, vivono in prima persona o di riflesso il problema della tossicodipendenza. Credo che il ragionamento vada impostato su tre punti principali: le cause, che sono sociali; gli effetti, che sono sociali; i rimedi, che sono anch'essi di valore sociale.
Si dovrebbe aprire un grosso spiraglio rispetto all'attenzione che la società riserva a questo problema. Deve essere la società in prima persona a mettere in gioco se stessa e valutare serenamente quello che il problema della tossicodipendenza realmente rappresenta. Altrimenti non si viene a capo di nulla. Per le persone detenute per droga, che sono tante, tra le 15 e le 20 mila, credo che il carcere non serva a niente.
Chi entra in carcere essendosi fatta l'ultima pera o l'ultima sniffata un'ora prima o anche più, dentro non riesce a risolvere il suo problema di tossicodipendenza. Anzi, tutto ciò che potrebbe fare fuori per riuscire a combattere la dipendenza qui dentro viene completamente impedito. Dentro vivi in uno stato di cattività, non riesci a esprimere socialità insieme agli altri perché stai chiuso, i rapporti familiari, spesso già compromessi dalla condizione di tossicodipendenza, con la carcerazione vengono completamente distrutti.
Tra le cause sociali la prima è l'emarginazione. In carcere sono ben pochi i tossicodipendenti provenienti dalle classi sociali più ricche, i "figli di papà". Una marea di gente che ha i soldi fa uso di droga pesante, lo sappiamo tutti. C'è chi ha le narici d'oro e chi ha le siringhe d'oro, ma loro non hanno problemi con il carcere, non sono una mina sociale. Noi siamo la mina sociale, però per noi non viene fatto nulla a parte il carcere.
Da Roma in carcere vanno i figli del Laurentino 38, di Tor Bella Monaca, dei quartieri popolari, quelli che non vanno a scuola, che non hanno un'educazione rispetto all'uso (e abuso) delle droghe. Sono loro che nel caso delle cosiddette droghe pesanti vengono coinvolti nella spirale della "rota", del dover assolutamente procurarsi della droga. Per chi non ha davanti a sé prospettive, una pera, quando l'hai assaggiata, resta comunque una bella "sanata". ……
Consideriamo adesso i rimedi e dunque i risultati che fin qui si sono ottenuti. Per quegli oltre 15 mila tossicodipendenti che sono oggi detenuti il carcere abbiamo detto che non serve a nulla. Servirebbe dunque una grande azione riformatrice, come ormai emerge dal dibattito in corso sulla tossicodipendenza. Occorre intraprendere una politica antiproibizionista che svuoti il carcere da quelle migliaia di persone che vi sono rinchiuse per pochi grammi di eroina, cocaina e fumo. Non proibire l'uso delle droghe e la somministrazione controllata devono essere le linee su cui muoversi per questo tentativo. Non credo siano la panacea di tutti i mali, ma restano strade che non possono continuare ad essere escluse. Non voglio dilungarmi sulle questioni legate agli altri paesi europei e mondiali. Siamo in Italia e ragioniamo sull'Italia. Depenalizzazione e somministrazione controllata sono nel nostro caso una delle strade possibili. Se però vogliamo restare con i piedi per terra, sappiamo che questi 15 mila detenuti domani non usciranno e per loro il carcere continuerà ad essere nocivo, a non risolvere il problema della tossicodipendenza. In carcere non esistono le strutture adeguate per intervenire, non viene data la possibilità di capire il perché si abusa delle sostanze. Arrivato in carcere non trovi il Sert, gli operatori, le comunità. Esistono sulla carta, ma rispetto alla domanda, la risposta che forniscono equivale praticamente a zero. …..
Guardiamo al caso di Ciuffreda, il ragazzo morto recentemente a Regina Coeli per "collasso". Noi sappiamo bene quali sono le ragioni per cui muori quando entri in carcere. Se entri con 180cc di metadone e dentro al carcere non te lo danno puoi morire di crisi d'astinenza da metadone, l'eroina di stato. E' una cosa molto semplice, su cui ci possono essere pochi dubbi. Dato che una percentuale oscillante tra il 30 e il 40 per cento dei detenuti è tossicodipendente il carcere andrebbe dotato degli strumenti idonei ad affrontare la questione. …..
Perché il carcere non serve a nulla? Perché se anche dovesse scattare una molla, magari perché hai la fortuna di poter parlare a lungo con lo psicologo, l'educatore, le comunità; se anche si riesce a capire il perché voler smettere di drogarsi, di essere dipendente, di tornare in carcere e fare una vita schifosa, anche in quel caso non si riesce, nella stragrande maggioranza dei casi, ad ottenere un risultato concreto. La ragione è che il carcere ti ferma anziché metterti in movimento. Ti ferma e tu stai dove stai. Noi diciamo: "stai bene così, fatti la galera".
Rebibbia, febbraio 2000

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extracomunitari e composizione popolazione
by odio il carcere Friday, Jun. 06, 2003 at 2:23 PM mail:

I non-italiani in carcere: i cosiddetti "extracomunitari"

Percentuale della PRESENZA DETENUTI/E NON ITALIANI (STRANIERI) 29,5 % (pari a 16.500 persone)

NUOVI INGRESSI IN CARCERE: 2001 totale 80.000 di cui STRANIERI 35,8 % (pari a 28.650 persone)

Percentuale di ingressi di stranieri sul totale negli ultimi 8 anni:
Nel 1987 12,3 % nel 1990 17,0 % nel 1995 26,8% nel 1996 28,1 %
nel 1997 30,5 % nel 1998 33,0 % nel 1999 33,4 % nel 2000 36,2 %

PROVENIENZA DEI DETENUTI STRANIERI:
Nord Africa 7.305; Paesi europei non dell'Unione 5.278; America meridionale 1.370;
Altri paesi africani 1.565; Asia 630; Unione europea 403; America centrosettentrionale 147

L'aumento dei livelli di carcerazione dei migranti propone un emergere preoccupante di dinamiche razziste nella gestione della giustizia italiana. Perché i detenuti stranieri sono così tanti? Qualcuno penserà: perché commettono più reati! Non è affatto vero! Il motivo reale risiede in alcuni meccanismi molto comprensibili: gli stranieri non hanno un domicilio dove trascorrere gli arresti preventivi in attesa del processo, e quindi i magistrati glielo fanno trascorrere in carcere; la mancanza di domicilio è anche il motivo per il quale gli stranieri e le straniere non possono accedere alle misure alternative e scontano le condanne fino all'ultimo giorno; e poi c'è la scarsa assistenza legale (di avvocati). Altri motivi sono anche le retate, sempre più frequenti, che le "forze dell'ordine" realizzano nei confronti dei luoghi frequentati dai migranti, è questo il dato più preoccupante.
Oltre alla presenza di migranti nelle carceri italiane vi è l'ancor più preoccupante espansione dei cosiddetti CPT i famigerati "centri di permanenza temporanea" dove vengono reclusi coloro che arrivano su queste terre dopo viaggi in condizioni terrificanti. Vengono reclusi senza aver commesso alcunché, in attesa di essere espulsi. In questi CPT non vengono garantiti nemmeno quei pochi diritti che nelle carceri si hanno.






Chi va in carcere?

COMPOSIZIONE SOCIALE DELLA POPOLAZIONE DETENUTA

Disoccupati 48,7%
Occupati 44,3%
In cerca di occupazione 5,1%
Studenti 1,3%
Casalinghe 0,6%

==========================
tra gli occupati queste le percentuali:
Operai 71,5%
Lav. in proprio o coadiuvante 12,7%
Libero professionista 8,1%
Imprenditore 4,6%
Dirigente o impiegato 3,1%
==========================

COMPOSIZIONE PER ETA'
18 - 20 anni 2,87 %
21 - 29 anni 27,99 %
30 - 39 anni 36,79 %
40 - 49 anni 20,68 %
50 - 69 anni 10,99 %
oltre 70 anni 0,42 %
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minori
by odio il carcere Friday, Jun. 06, 2003 at 2:24 PM mail:

minori

L'età della cosiddetta "responsabilità penale" ossia l'età in cui si può essere processati sta scendendo paurosamente in tutto il mondo:
Il record negativo è tenuto da India, Irlanda, Stati Uniti e Sudafrica, dove a 7 anni si è "penalmente responsabili"
in Gran Bretagna dove si può essere processati e puniti già all'età di 10 anni, e vi è una campagna stampa ad abbassare ulteriormente questo limite;
anche in Australia, Nuova Zelanda, il limite è posto a 10 anni;
in Canada, Corea del Sud e Marocco il limite è posto a 12 anni
in Francia il limite è stato portato all'età di 13 anni; così come in Algeria, Polonia e Tunisia;
in Giappone il limite è stato portato da 16 a 14 anni;
sempre a 14 anni è il limite in Italia, Israele, Cina e Germania;
in Danimarca, Egitto e Svezia il limite è posto a 15 anni;
in Argentina, Portogallo e Spagna il limite è posto a 16 anni;
in Belgio, Brasile e Messico il limite è a 18 anni.
(Vi è un dibattito in Italia, con presentazione di disegni di legge, per portare la "soglia della punibilità" da 14 a 12 anni e considerare l'età di 16 anni perché la ragazza o il ragazzo venga considerato come un adulto, dal punto di vista penale).


ARRESTI E DETENZIONE DI MINORI
Nel solo primo semestre del 2001 gli ingressi di minori in carcere in Italia è stato di 833
In particolare: 718 ragazzi (di cui 242 italiani e 476 stranieri) e 115 ragazze (11 italiane e 104 straniere)
In tutto l'anno 2000 gli ingressi nel minorile (nei 20 Istituti Per Minori in Italia) sono stati 1.886 di cui 779 italiani e 1.107 stranieri.
I minori denunciati nel corso del 2001 dalle forze dell'ordine sono stati 22.132 (in diminuzione rispetto al dato del 1991 che vedeva 26.738 denunciati). Ma si nota una stranezza nell'ultimo decennio:
-mentre i denunciati sono diminuiti del 17,4%, i condannati sono aumentati dal 2.306 del 1991, a 3.466 nel 2001 con un incremento del 50 %.

Sebbene i dati parlano chiaro diminuiscono gli arresti ed aumentano le condanne anche per i minori, su di loro vi è da dire che alla fine anni '80 inizio dei '90 denunce, custodie e condanne diminuivano incridibilmente grazie all'applicazione del nuovo codice minorile il famoso DPR 448; poi piano piano sono salite custodie e condanne in relazione sopratutto ai minori stranieri perchè in parte hanno fallito o non sono state affatto applicate le misure previste dal 448, cioè le case famiglia, le comunità,i centri diurni, le messe alla prova che cancellano del tutto reato e pena,in parte perchè si è istituzionalizzato con la custodia cautelare costante il controllo dei minori zingari, in parte perchè sono aumentati di grado non di numero i reati de@ ragazz@ italian@ a cui spesso danno risposte giudiziare i giornalisti prima dei giudici ( vedi erika ed omar ed altri omicidi ),poi vi è l'elemento legato al centro di prima accoglienza ossia il luogo con sbarre ma senza guardie dove un minore resta al massimo 5 giorni prima dell'interrogatorio con il gip che decide la misura cautelare; ebbene se prima i ragazzi italiani la scampavano ed aspettavano il processo in libertà diversamante dagli zingari e dagli stranieri, ora si comincia ad applicare lo stesso criterio per tutt@: la custodia cautelare che è ovviamente solo punitivo; ed allora chiediamoci perchè questa tendenza assomiglia tanto a quella del carcere degli adulti quando per anni si è detto da più parti che se il carcere minorile non si poteva eliminare bisognava renderlo residuale !!!!
A questo proposito risulta interessante contrastare le tendenze di tutti i paesi europei in merito all'abbassamento dell'età imputabile e, per quello che riguarda l'Italia l'abolizione del Tribunale Minorile; questo benedetto/maledetto tribunale nasce nel '34 sotto il fascismo ed in una cosa funzionava nel mettere insieme le competenze amministrative che riguardano la vita dei minori premesso che un minore non può vivere per libera scelta come un adulto completamente da solo perchè ha bisogno di essere accudito e seguito; insomma sto tribunale lo seguiva passo passo nella vita sia se nasceva da madre sola, sia se nasceva in una famiglia santificata davanti a dio e davanti agli uomini, sia se i genitori divorziavano, sia se un genitore ammazzava l'altro, sia se una famiglia chiedeva di adottarlo, sia se si veniva stuprati e bastonati in famiglia ed in ogni luogo, sia infine se il minore stuprava, rubava o uccideva magari quel genitore che l'aveva maltrattato da quando era nato. Rispondeva cioè a quella lettura dei comportamenti minorili che vengono definiti circolari, ossia comportamenti in cui entrano in gioco molti attori sociali tanto da non poter addossare sooooolo al minore la responsabilità di quello che ha commesso; ovviamente il legislatore fascista non aveva in testa queste concezioni, ma oggi lasciare al TM solo le competenze penali significherebbe favorire la risoluzione dei conflitti che vivono i minori solo ed esclusivamente con la punizione, con il carcere indipendentemente dal fatto che il minore compie dei reati o delle azioni definite asociali.
L'altro argomento da affrontare è quello che io leggevo nel report in merito al corpo, alla costrizione del corpo; ma quello che scatta per tutt@ adulti e minori è l'autocensura, la negazione del corpo che per i minori è meno consapevole e più grave perchè siamo davanti a persone che stanno crescendo, dove intervengo a favore della crescita dei fattori psico-bilogici molto potenti che appunto ti fanno crescere oppure ti lasciano un danno irrecuperabile; si potrebbe anche dire che molti dei ragazzi e delle ragazze che finiscono in carcere non hanno pienamente giocato nella vita ed anche per questo commettono reati, ma appunto che famo li puniamo e non li facciamo mai più giocare????

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lavoro
by odio il carcere Friday, Jun. 06, 2003 at 2:25 PM mail:


lavoro
La Costituzione Italiana e le leggi affermano che "il carcere deve consentire il reinserimento sociale del detenuto, attraverso il lavoro" e che il detenuto viene aiutato a trovare questo lavoro per essere reinserito nella società. Tralasciando le valutazioni critiche in merito a queste affermazioni legislative, va sottolineato che il lavoro in realtà non si trova, non lo trova chi è libero figuratevi chi è detenuto, quando lo si trova è in condizioni di supersfruttamento.
Il lavoro dentro il carcere addirittura è una chimera, ovviamente anche questo "concesso" con discrezionalità dalle direzioni. (Vedi più avanti a proposito delle "misure alternative")

Detenuti lavoranti negli istituti penitenziari italiani: n. 13.838 pari al 25% del totale persone detenute.

Detenuti che lavorano all'esterno delle carceri: totale 2.031 pari al 3,6% del totale detenuti di cui:
-semiliberi - 1.451
-in lavoro all'esterno (art.21) - 364
-soci cooperative - 123
-lavoro a domicilio - 93
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

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controllo psichiatrico
by odio il carcere Friday, Jun. 06, 2003 at 2:26 PM mail:

controllo psichiatrico

Nel sistema penitenziario italiano sopravvivono ancora bel 6 OPG ossia Ospedali Psichiatrici Giudiziari: Barcellona Pozzo di Gotto (Messina); Napoli; Aversa; Montelupo Fiorentino; Reggio Emilia; Castiglion delle Stiviere (Mantova) è l’unico smilitarizzato. Sono i famigerati Manicomi Criminali; quanto di più terribile può capitare ad un essere umano. In questi luoghi vige ancora: il letto di contenzione, l'elettroshock, oltre abbondanti minestroni di psicofarmaci. Ma la cosa ancor più grave è che lì dentro il tempo… si ferma. Non vale ai fini dell'espiazione della condanna il tempo trascorso all'interno di un OPG: per questo meccanismo per scontare qualche mese puoi restare rinchiuso tutta la vita.
Sono oltre mille attualmente gli internati “socialmente pericolosi” rinchiusi negli OPG
Il manicomio criminale è un luogo orrendo tanto nel significato letterale che simbolico. La concezione del disturbo mentale e le modalità di cura e di riabilitazione derivanti dalla legge 180 rendono non più accettabile (oltre che di dubbia costituzionalità) l’esistenza stessa dell’OPG e soprattutto gli automatismi giuridico-psichiatrici che definiscono l’infermità di mente e con essa l’incapacità di intendere e di volere come giudizio assoluto riferito alla totalità della persona e dunque negazione della persona stessa.
La presenza in Italia, unico paese d'Europa, degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), rappresenta un monumento alla barbarie umana, sociale e psichiatrico-giudiziaria. Un'eredità del codice fascista Rocco, non eliminata nemmeno dalla legge 180.
Gli OPG infatti, sono dei veri e propri LAGER, dove sono stati innalzati muri e al cui interno sono state installate telecamere e potenti riflettori; ovunque si trovano cani addestrati e secondini armati di tutto punto. La socializzazione viene ostacolata in ogni modo e ogni giorno gli internati sono sottoposti ad ogni genere di torture fisiche e psicologiche.

"La Psichiatria, come branca specifica del sapere medico, nasce dalla costola della Giustizia. Origine, questa, che non è rimasta senza effetto sulle relazioni tra i due organismi: con un pendolarismo pieno di senso, abbiamo assistito ad un alternarsi di dialoghi amorosi e di arroccamenti diffidenti e risentiti. L'asintotico spostamento della Psichiatria dalla parte del comprendere, con il crescente abbandono di quelle zone clinico-teoriche nelle quali la questione del "controllo sociale" tiene un posto di rilievo, ha creato uno strozzamento progressivo e insanabile del cordone ombelicale che la lega alla Giustizia. (Da un intervento al I2° Congresso Nazionale AMAPI [Associazione di Psichiatria Penitenziaria] tenutosi a Parma nell'ottobre 1993)

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alcune considerazioni
by odio il carcere Friday, Jun. 06, 2003 at 2:28 PM mail:

MA ADESSO … RICAPITOLIAMO E RAGIONIAMO SUL COSA FARE

Fin dal suo concepimento il carcere svolge la funzione di luogo dove isolare e punire quei fenomeni di disagio sociale a cui non si sa, o più probabilmente non si vuole, dare altra risposta. Il tutto volendo far credere che la detenzione possa servire alla rieducazione ed al reinserimento nel "corpo sociale". Che questo non avvenga salta agli occhi sia fermandosi a riflettere sul dato che la stragrande maggioranza di chi è stato in carcere vi fa ritorno per lo stesso reato (evidentemente perché una volta fuori è nuovamente sospinto nella precarietà e nell'esclusione), sia osservando le condizioni imposte all'interno delle carceri: sovraffollamento, mancanza di medicinali, infermerie fatiscenti, operatori sanitari e sociali insufficienti, percosse, isolamento, censura, negazione di ogni forma di affettività.
Il carcere sembra allora essere il luogo destinato all'annientamento della persona e come tale non ha ragione di esistere!
Non si può d'altronde aspettare l'abolizione del carcere senza intervenire subito/ora per "svuotarlo" il più possibile e per far rispettare i diritti e i bisogni di ogni persona anche se in regime di detenzione.

La situazione italiana
Nel corso dell'ultimo decennio la situazione carceraria italiana ha subito notevoli cambiamenti. Da un lato vi è stata la riforma del sistema carcerario legata all'entrata in vigore della Legge Gozzini, dall'altro si è assistito ad un notevole aumento della popolazione detenuta che ha portato alle attuali condizioni di sovraffollamento.
La legge Gozzini ha introdotto la possibilità di ricorrere a pene alternative al carcere (lavoro esterno, semilibertà, affidamento esterno), nonché l'opportunità di usufruire di permessi per uscire temporaneamente dal carcere. Tutto ciò, però, è stato sottoposto al perverso meccanismo della premialità, trasformando così la detenzione in un ulteriore grado di giudizio in cui il comportamento intramurario del detenuto o della detenuta diventa l'oggetto dell'osservazione da parte delle autorità carcerarie e giudiziarie.
La prima conseguenza è stata la scomparsa, per un periodo, di quasi ogni forma di protesta interna in nome di un comportamento sempre più individualista, attento alle possibili ripercussioni negative legate a comportamenti non omologati. Alle lotte e alle rivolte si è andato sostituendo un crescente processo di isolamento individuale che ha fatto crescere in modo preoccupante il ricorso a sostanze stupefacenti, episodi di autolesionismo e i casi di suicidi (riusciti e non).
Il premio si è sempre più spesso legato ad una disposizione collaborativa in cui il patteggiamento, la confessione, la denuncia dei complici hanno man mano assunto un ruolo crescente. Soprattutto per i reati con pene più lunghe si è andato perdendo qualsiasi collegamento tra reato e pena; i collaboratori di giustizia ottengono privilegi da parte dello Stato tanto maggiori quanto più alta è la loro collocazione all'interno delle organizzazioni criminali.
L'aumento vertiginoso di popolazione detenuta ha coinvolto per la grandissima parte persone imputate per reati minori. La politica repressiva sugli stupefacenti e sui fenomeni di microcriminalità continua a riempire le carceri italiane di persone provenienti dalle classi sociali più disagiate rinfoltite dalle nuove ondate migratorie. Per queste persone le possibilità di usufruire di misure alternative al carcere è un'illusione. La precarietà della loro situazione economica, familiare, abitativa si traduce nell'impossibilità di ottenere un'adeguata assistenza legale e qualsiasi forma di affidamento esterno.

Da dove cominciare?
Il nostro obiettivo è riuscire ad inserire l'abolizione del carcere e il superamento del Codice Penale come prospettive da accompagnare ad una più generale trasformazione della società.
Crediamo d'altronde che si debba e si possa intervenire da subito per cambiare le condizioni del carcere e della giustizia in Italia.
Il primo passo è quello di riuscire a creare una sensibilità diffusa sui problemi carcerari, rompere quel muro di silenzio così funzionale al mantenimento dello status quo: il carcere non deve più rappresentare un luogo isolato dal resto della società.
Per questo è necessario intrecciare rapporti con i detenuti e le detenute e i loro familiari, interloquire con tutte quelle persone che subiscono direttamente o indirettamente il carcere, lavorare nei territori che funzionano da "serbatoi umani" per gli istituti.
Da un lato, dunque, stabilire un rapporto col "dentro" che permetta di controllare, denunciare e confrontarsi con quella che è la realtà quotidiana degli istituti penitenziari italiani oggi, dall'altro un intervento "fuori" che sia in grado di far nascere una mobilitazione dal basso.
Il monitoraggio delle condizioni carcerarie deve potersi affidare a strutture stabili di controllo che svolgano un ruolo di ascolto, difesa dei diritti, amplificazione delle rivendicazioni interne da far nascere al di fuori delle istituzioni giudiziarie e carcerarie.
In questo percorso, se si vuole mettere in campo un intervento incisivo, è necessario venire in contatto con tutte quelle realtà che già si occupano di carcere, giustizia ed emarginazione.
L'impostazione abolizionista deve costituire il fondamento ideale per potersi confrontare con realtà diverse con cui poter operare per ottenere risultati concreti.
Una società senza galere e senza giudici non si può raggiungere senza una sua radicale trasformazione.
Non riteniamo accettabile neanche la prospettiva di un carcere per pochi "elementi socialmente pericolosi" o autori di "crimini particolarmente odiosi".
Per riuscire ad ottenere da subito dei cambiamenti è necessario prendere atto delle forze in campo e porsi degli obiettivi a breve e medio termine che partano dalla situazione attuale delle carceri e del sistema giudiziario italiano.

Le linee guida e gli aspetti su cui intervenire in questo percorso pensiamo possano essere :

Codice Penale
Contestiamo l'esistenza stessa del Codice Penale perché siamo concettualmente contro la pretesa di valutazione oggettiva in termini di giorni, mesi, anni da trascorrere in galera che ignora le motivazioni reali alla base di una trasgressione. E' la pena che fabbrica il criminale partendo da un crimine e da una persona che lo ha commesso e questo processo di criminalizzazione non può che avere effetti negativi sull'individuo e sulla società.
Il Codice Penale italiano in particolare deriva con successive modifiche e aggiustamenti direttamente da quello scritto in epoca fascista. Il procedimento di aggiunte successive si è dimostrato fallimentare ed ha portato a un vero e proprio collasso dell'intero sistema penale. Il legislatore è stato in grado solo di sommare reati su reati, giungendo così ad una spaventosa invadenza del penale nella vita di ogni persona.
La ferma convinzione della necessità di superare del tutto l'idea stessa di punizione ci stimola a dare vita ad un processo di riflessione sui concetti di sanzione, risarcimento, riconciliazione che riesca a fornire valide alternative alla pena.
Come obiettivi immediati ci poniamo:

Abbassamento generalizzato delle pene
Le pene previste nel nostro Codice Penale sono tra le più alte d'Europa.
Si è sempre cercato di giustificare questa situazione chiamando in causa il meccanismo della premialità in grado di rendere la pena effettiva più breve di quella inflitta. La minaccia costituita dalla lunghezza smisurata della pena rientra infatti tra gli strumenti di pressione nei confronti della persona detenuta al fine di ottenerne la collaborazione.
Non si può neanche addurre come giustificazione della lunghezza delle pene la loro funzione deterrente. Il caso dei paesi in cui esiste la pena di morte sta a dimostrare in maniera eclatante che per i reati più gravi non è certo la durezza della condanna a far desistere dal commetterli: essi infatti sono per lo più originati da motivazioni profonde che prescindono dalle possibili conseguenze.
Inutile dire che in un paese che sbandiera sin dalla Carta Costituzionale il fine rieducativo della pena l'esistenza dell'ergastolo, oltre ad essere una mostruosità, costituisce una palese contraddizione.

Depenalizzazione dei reati minori
Per molti di questi reati è necessario pensare a forme di sanzione che non prevedano il carcere che possono andare dall'ambito amministrativo e civile fino a misure simili alle attuali pene alternative post-carcerarie (vedi più avanti).
Vi sono casi in cui occorre operare scelte a livello politico che cancelli no l'attuale connotazione criminale di alcuni gesti e comportamenti. In particolare riteniamo necessaria la liberalizzazione delle sostanze stupefacenti e la depenalizzazione dei reati legati al conflitto sociale.

Misure alternative alla detenzione
La concezione attuale delle pene alternative va radicalmente trasformata sia per quel che riguarda la loro concessione, sia per quel che concerne la loro attuazione.
Attualmente la concessione delle misure alternative e dei benefici è sottoposta al vaglio del Tribunale di Sorveglianza che, accertata l'esistenza dei presupposti, decide in maniera del tutto discrezionale per quanto riguarda l'esito.
Questa discrezionalità negli anni si è rivelata essere un limite molto grave. Gli effetti più eclatanti sono stati una completa disomogeneità di trattamento a seconda del tribunale (e talvolta del magistrato) di competenza;
un'eccessiva influenzabilità in direzione restrittiva da parte delle campagne forcaiole condotte sui mass media e spalleggiate dai paladini della cosiddetta sicurezza sociale; uno strumento in più per mettere in atto meccanismi di controllo-punizione-repressione da parte di alcuni settori della magistratura.
Nella maggior parte dei casi le misure alternative alla detenzione sono concesse a coloro che dispongono di una rete di appoggio esterna (famiglia, casa, attività lavorative, avvocato) abbastanza solida da fornire una garanzia sufficiente per il Tribunale di Sorveglianza. Ecco allora che le disuguaglianze e le ingiustizie sociali pesano doppiamente sulla persona detenuta proveniente da un contesto di povertà o di emarginazione rendendo più difficile la sua uscita e il suo reinserimento.
I dati relativi al 1997 parlano da soli : respinto il 75% delle richieste di arresti domiciliari, il 70% di semilibertà, il 60% degli affidamenti in prova al servizio sociale e il 55% degli affidamenti esterni per tossicodipendenti.
La concessione delle pene alternative deve diventare un automatismo slegato da qualsiasi logica premiale. Vi devono poter accedere tutte le persone detenute in base a meccanismi fondati sulla quantità di pena scontata. Si deve superare il binomio esclusivo lavoro - pena esterna prevedendo anche altre forme di occupazione da parte della persona sottoposta alla misura alternativa (studio, volontariato, attività sociali). In questo senso si deve poter creare una rete esterna (la più ampia e articolata possibile) in grado di accogliere le persone provenienti dal carcere.
Analizzando le condizioni di vita imposte a coloro che usufruiscono di semilibertà e articolo 21 (lavoro esterno) ci si rende conto che si è di fronte a nuove forme di vita condizionata ben lontane dal favorire il progressivo reinserimento nella vita sociale che tali misure affermano di perseguire.
Il rientro serale in carcere ha effetti spesso devastanti per quel che riguarda le relazioni sociali ed affettive della persona semireclusa impedendo la conquista di autonomia e sicurezza in se stessa già tolte dal precedente periodo detentivo.
Occorre allora pensare e sperimentare forme di pene alternative in cui scompaia del tutto la struttura carceraria e con essa la componente afflittiva della pena rendendo il periodo di espiazione una concreta possibilità di costruzione delle condizioni per poter condurre un'esistenza il più possibile stabile e autonoma.
Oggigiorno, a più di dieci anni dall'entrata in vigore delle legge Gozzini, si deve constatare che le pene alternative alla reclusione si sono sommate anziché sostituite alla reclusione portando così a circa 100.000 persone il totale di coloro che sono sottoposti e sottoposte a misure punitive in Italia.
Invertire questo andamento significa passare dalle pene alternative a vere e proprie alternative alla pena.

Abolizione della carcerazione preventiva
L´Italia è uno tra i paesi in cui si fa maggiore ricorso alla carcerazione preventiva nonostante sulla carta essa sia concepita come extrema ratio e valga la presunzione di innocenza fino all´ultimo grado di giudizio (principio messo recentemente in discussione).
La pericolosità sociale, il pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato sono gli escamotage con cui la magistratura tiene in carcere decine di migliaia di persone non ancora sottoposte a giudizio. Oltre ad essere una palese violazione dei loro diritti questa situazione risponde ad una logica ben precisa in cui la carcerazione preventiva è usata come arma per estorcere confessioni, spingere al patteggiamento ed alla collaborazione o più semplicemente per punire persone nei confronti delle quali non esistono i presupposti per una condanna vera e propria.
Al solito le persone che non hanno i soldi (e si parla di milioni) per pagare l'avvocato sono di fatto escluse dalla possibilità di presentare con successo istanza di scarcerazione e devono scontare dentro tutto il periodo che precede il processo.
L'uso politico che viene fatto della carcerazione preventiva merita un discorso a parte: ne sanno qualcosa le centinaia di compagni e compagne che periodicamente vengono coinvolti in inchieste - mostro partorite dalle menti dei Pubblici Ministeri il cui unico scopo è reprimere con l'uso del carcere e degli altri mezzi a disposizione dell'apparato di controllo ogni forma di lotta antagonista.



Soppressione dei regimi di carcerazione speciale (Artt. 4-bis e 41-bis)
L'inserimento permanente nell'ordinamento penitenziario delle restrizioni dell'Art 41-bis, recentemente approvate dal Parlamento italiano sono una ulteriore prova della deriva repressiva e illegale del ceto politico italiano.
Queste misure restrittive peggiorano ulteriormente, per le persone che vi sono sottoposte, le già gravi condizioni di detenzione che si vivono nelle carceri italiane:
Pesanti restrizioni nell'effettuazione dei colloqui con i familiari: presenza del vetro divisorio, perquisizioni umilianti, riduzione delle ore di colloquio, limitazione delle persone ammesse al colloquio.
Forti limitazioni degli oggetti da tenere in cella: libri, indumenti, generi alimentari, oggetti personali.
Riduzione delle ore d'aria; riduzione ed anche abolizione totale di ogni forma di socialità con altri persone detenute e divieto per tutte le attività che si svolgono nelle carceri; esclusione da qualsiasi forma di misura alternativa alla detenzione.
Le persone sottoposte a queste misure sono quelle condannate (o semplicemente inquisite) per reati di mafia, sequestro di persona, traffico di stupefacenti, attività "eversiva" che non collaborino con la giustizia.
Il motivo dichiarato dalle autorità è quello di impedire i collegamenti con l'associazione di appartenenza, la realtà è che con tali pesanti restrizioni si vuol indurre la persona reclusa a "collaborare": unico modo per uscire da una detenzione insopportabile. E' questo un mercanteggiare inaccettabile da ogni punto di vista. Ciò che si ottiene è la distruzione della personalità.
In Italia si è applicato negli anni '70 e '80, l'Art. 90 e, successivamente, i "braccetti" che contemplavano restrizioni analoghe a quelle dei provvedimenti attuali, con in più una periodicità di "pestaggi" di notevole intensità.
Lo Stato ha ottenuto sì alcuni "collaboratori" e "dissociati", ma anche la devastazione e l'annichilimento di molti uomini e donne, fino ad alcuni casi di suicidio: un costo umano altissimo - e questo non si ha il coraggio di riportarlo tra i risultati dell'applicazione dell'Art.90 e dei "braccetti"- una vergogna per un paese che si vuol definire civile.

Detenzione politica
Poche e pochi sanno che attualmente in Italia, nell'anno 2003, vi sono ancora circa 200 persone legate al conflitto dei decenni '70 e '80 ancora detenute (parzialmente o totalmente), con una media di oltre 20 anni di carcere già scontati sulle spalle. Vanno liberate subito!
Sono quanto resta nelle galere delle oltre 5.000 persone imprigionate (quasi 10.000 inquisite perché sospettate di lotta armata; oltre centomila di fermi e denuncie per manifestazioni, cortei interni, picchetti, sabotaggi, ecc.).
Cifre che danno il senso della stagione che ha attraversato questo paese segnato dal tentativo di realizzare un percorso rivoluzionario volto al cambiamento radicale.
Il dibattito sulla "soluzione politica", ossia sulla liberazione delle prigioniere e dei prigionieri politici data da oltre un quindicennio, allorché, terminato il conflitto armato, numerosi ex dirigenti e militanti delle organizzazioni combattenti posero il problema a tutta la società.
Ma la possibilità di soluzione ha incontrato una vischiosa indisponibilità del sistema politico: possibilista a parole, ma pronto a rinviare la decisione a "tempi migliori".
Anche da parte del movimento e di quei settori sociali e politici sensibili al problema della soluzione politica per la prigionia politica in Italia è stata messa in campo una mobilitazione del tutto insufficiente a porre il problema all'ordine del giorno. Ha pesato molto, in termini negativi, l'annosa diatriba sulla forma giuridica dell'eventuale provvedimento di liberazione: indulto o amnistia.
Noi riteniamo fuorviante e non adeguato ai nostri compiti entrare nel merito del modo in cui verranno liberate le prigioniere e i prigionieri e di come rientreranno le oltre 150 persone ancora in esilio.
Crediamo invece che vadano ribaditi i criteri che devono essere alla base di una battaglia unitaria per la fine della detenzione politica : libertà per tutte e tutti, subito e senza condizioni.
A oltre 20 anni di distanza dalla fine di quel conflitto vogliono tenere ancora in galera questi compagni e compagne e impedire il ritorno delle oltre 150 persone in esilio a monito per chiunque in ogni epoca voglia lottare per il cambiamento della società.
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roma, aprile 2003 odio-il-carcere

La nostra piena Solidarietà con le sorelle e i fratelli rinchiusi vuol esprimere anche il nostro Odio del carcere e di ogni struttura che rinchiude e segrega corpi e menti.
Odiamo il carcere perché:
-vogliamo che al posto di quelle mura di cemento che oggi ci dividono, si realizzi la possibilità di comunicare e confrontarsi per ricercare insieme modi di convivenza vari e molteplici;
-vogliamo che il rifiuto del carcere, della punizione, del concetto di colpa e di espiazione, costituisca il punto di partenza per ogni critica allo stato di cose presenti di tutti e tutte, o almeno che non venga rimossa dal dibattito attuale;
-vogliamo liberarci del carcere e di ogni istituzione totale, residuo di un passato disumano di cui sbarazzarci al più presto con ogni mezzo;
-vogliamo che ogni "mondo altro possibile" che si progetta o soltanto si sogna sia anzitutto un mondo senza galere;
-e soprattutto non vogliamo mai più che di carcere si muoia e nemmeno che di carcere si viva;
ODIO IL CARCERE per contatti: odioilcarcere@inventati.org

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