di Alison Weir
Come il New York Times minimizza le morti palestinesi
Poco più di una settimana fa, alcuni membri della nostra organizzazione, If Americans Knew, si sono incontrati con il public editor del New York Times, Daniel Okrent, per discutere i risultati di un dettagliato studio sulla copertura delle notizie dal Medio Oriente da parte del Times negli ultimi due anni. Okrent stava per scrivere un articolo sull'argomento e noi avevamo pensato che il nostro studio sarebbe stato una risorsa importante. Abbiamo dunque spiegato le nostre ricerche e gli abbiamo dato una copia del rapporto in 23 pagine, assieme ad altre 40 pagine di documentazione in supporto.
Allo scopo di trovare la misura più chiara ed oggettiva possibile, il nostro studio esamina come le agenzie di notizie riportano le morti tra le due popolazioni, israeliani e palestinesi. Fondamentalmente, contiamo le morti riportate per entrambe le parti coinvolte nel conflitto, e poi le paragoniamo al numero reale di morti avvenute. Crediamo che ciascuna morte sia ugualmente tragica, al di là della razza, religione, appartenenza etnica. Speravamo che anche il Times condividesse questa prospettiva.
La nostra analisi statistica della loro copertura, tuttavia, ha dimostrato che vi era forte discrepanza su come le morti venivano presentate, a seconda dell'appartenenza etnica della vittima. Ad esempio, abbiamo scoperto che, nel 2004, in un periodo in cui erano stati uccisi 8 bambini israeliani e 176 bambini palestinesi - con un rapporto di 1 a 22 - i titoli di testa e gli articoli principali del Times riportavano della morte dei bambini israeliani sette volte più spesso che la morte dei bambini palestinesi.
Un ulteriore studio di un mese ha indicato che la disparità cresceva ulteriormente allorché veniva analizzato l'intero articolo, in cui le morti israeliane (attraverso la ripetizione delle notizie di morti precedenti) venivano citate dieci volte più spesso di quelle palestinesi.
La copertura delle morti in altre fasce di età da parte del Times, sebbene meno marcatamente appariscenti, ha mostrato la stessa distorsione. Nel primo anno dell'attuale rivolta palestinese, che iniziò nell'autunno del 2000, scoprimmo che il Times riportava il 42% delle morti palestinesi ed il 119% di quelle israeliane (gli articoli di approfondimento frequentemente spingevano la copertura delle morti israeliane oltre il 100%). In altre parole, il Times parlava delle morti israeliane oltre tre volte in più di quelle palestinesi, nonostante il fatto che, a quell'epoca, i palestinesi uccisi fossero tre volte più numerosi degli israeliani.
Distorsioni del genere davano al lettore l'impressione che venisse ucciso lo stesso numero di persone in entrambe le parti - o che gli israeliani fossero più numerosi - mentre la realtà era esattamente il contrario. In particolare, scoprimmo che gli articoli del Times ripetevano così spesso le notizie della morte di bambini israeliani che, in taluni periodi, riportavano delle morti israeliane ad un tasso del 400%. Per contro, la maggioranza delle morti palestinesi, in particolare quelle dei bambini, non veniva riportata affatto dal Times.
Secondo i gruppi israeliani per la difesa dei diritti umani ed altri che incessantemente raccolgono dati su tutti i bambini uccisi nel conflitto, almeno 82 bambini palestinesi furono assassinati prima che lo fosse un israeliano - e la causa più frequente di queste morti erano "gli spari alla testa". Eppure, quasi nessuno ne e' al corrente, dal momento che la copertura del Times e di altri quotidiani occulta o minimizza consistentemente questa realtà. In altre parole, abbiamo scoperto che la copertura della questione mediorientale da parte del New York Times esibisce una parzialità altamente disturbante.
Peggio ancora: dal momento che il Times e' spesso considerato il "quotidiano dei record", con centinaia di giornali minori che usufruiscono del suo servizio di notizie, le distorsioni operate dal quotidiano si moltiplicano in tutto il paese. Senza volerlo, gli editori della nazione riportano questa questione con una distorsione basata sull'etnia che molti di essi avverserebbero, se ne fossero consapevoli.
LE REAZIONI DEL NEW YORK TIMES
Dunque, abbiamo presentato ad Okrent e ad un suo assistente queste ricerche, complete di statistiche, fonti chiare, cartine ed estensiva documentazione supplementare. Gli abbiamo fornito i nomi ed i dettagli dei 32 bambini palestinesi uccisi durante il primo mese della rivolta - nessuno dei quali era stato oggetto di un articolo del New York Times (28 di questi bambini erano stati uccisi da proiettili alla testa o al petto).
Okrent e' sembrato accettare di buon grado le nostre ricerche - commentando persino, ad una delle nostre scoperte che "non ne era sorpreso". Dunque il suo successivo articolo - che avrebbe dovuto esaminare la copertura da parte del Times del conflitto mediorientale - considerato tutto ciò, e' imbarazzante. Non vi e' alcuna menzione del nostro studio di due anni, né del nostro rapporto, né delle 40 pagine di documentazioni e neanche del nostro lungo incontro (nonostante fossimo l'unico gruppo ad aver presentato di persona le nostre informazioni). Nel suo articolo di 1.762 parole, vi sono a stento tre menzioni del nostro nome. Una di queste e' una frase estemporanea, secondo cui noi "diciamo" che il Times "ignori" le morti dei bambini palestinesi che, noi "diciamo", vengono spesso sparati alla testa o al petto dai soldati israeliani. Invece di queste parafrasi, Okrent avrebbe potuto citare direttamente il nostro rapporto, menzionando anche le prove a supporto. Ci chiediamo perché non l'abbia fatto.
Un secondo riferimento, potenzialmente più dannoso, da' una rappresentazione significantemente cattiva di ciò che abbiamo detto. Nel suo articolo, Okrent scrive: "Durante la mia ricerca, alcuni rappresentanti di If Americans Knew hanno espresso la convinzione che, a meno che il conflitto non sia coperto da un eguale numero di giornalisti musulmani ed ebrei, i giornalisti ebrei dovrebbero esserne chiamati fuori. Trovo quest'asserzione profondamente offensiva".
In realtà, Okrent si riferisce alle parole pronunziate da lui stesso durante l'incontro, non alle nostre. Vi scriviamo la versione completa, che e' alquanto illuminante. Ancora prima che finissimo di presentare il nostro studio, Okrent ci ha interrotto per chiederci perché vi fossero queste distorsioni nella copertura del Times, cosa causasse la parzialità. Ci ha chiesto un suggerimento su cosa fare. Ho risposto che mi ero chiesta se vi fossero divergenze tra giornalisti ed editori che si occupavano della questione. Ho sottolineato che, dal momento che si trattava di un conflitto il cui protagonista era uno stato la cui identità ed il cui scopo di esistenza erano quelli di essere uno "stato ebraico", mi sembrava che il numero di giornalisti ebrei americani che se ne occupavano dovesse essere bilanciato da un numero approssimativamente uguale di giornalisti arabo/musulmani americani o che, addirittura, fossero incaricati di coprire il conflitto giornalisti senza alcuna predisposizione alla parzialità verso alcuna delle parti, ad esempio asiatici americani o afro-americani.
Okrent ha risposto che era impossibile trovare un numero equivalente di giornalisti arabo/musulmani ed ha ignorato la proposta di affidare la copertura della questione a giornalisti imparziali. Ha detto che non vi poteva essere "un test preliminare di etnia" e che i giornalisti ebrei non possono essere esclusi solo perché non sono sufficientemente musulmani per essere assunti dal Times. Sono d'accordo con lui sull'incongruenza del "test di etnia", ma gli ho chiesto se ritenesse che potessero occuparsi della questione solo giornalisti ebrei.
No, mi ha risposto, il problema, a suo avviso, e' che i reporters del Times vivono solo in Israele e non nei territori palestinesi. Quando suggerì ai giornalisti di soggiornare anche in Cisgiordania o a Gaza, una persona "di fiducia" gli disse che era troppo pericoloso; potevano essere rapiti. Gli ho detto allora che doveva riconsiderare la fiducia posta in questa persona anonima, dal momento che ho soggiornato a lungo in Cisgiordania e a Gaza come giornalista free-lance senza trovarmi mai in pericolo tra la gente palestinese.
Infine, gli ho suggerito che tocca al Times scoprire come migliorare il suo sistema di raccolta di informazioni - e che io vedo solo i risultati. Soprattutto, trovo bizzarro questo scambio. Ci saremmo aspettati delle domande sul nostro studio, la sua metodologia, etc. Niente di tutto ciò. D'altra parte, ce ne siamo andati con la forte impressione che Okrent, egli stesso ebreo, senta fondamentalmente che solo i giornalisti ebrei siano in grado di coprire questa questione e che, pur riconoscendo che le informazioni sarebbero più accurate se alcuni di essi vivessero in Cisgiordania o Gaza, non lo fanno perché ritengono sia troppo pericoloso per loro (nonostante il fatto che Amira Hass - giornalista ebrea israeliana - viva lì da anni).
Ancora disturbata dall'incontro, poco dopo gli ho inviato un'e-mail in cui spiegavo nuovamente il mio punto di vista. Eccola:
Caro Dan Grazie di averci incontrati e di volerti impegnare in quella che e' di certo la questione più volatile delle notizie di oggi - ed una delle più urgenti. Spero che il nostro studio allerti il New York Times sulla faccenda delle omissioni, che, sono certa, troverai sgradevole almeno quanto noi. Riguardo la tua importante domanda sui cambiamenti, suggerirei: in verità e' per me difficile offrire soluzioni, dal momento che vedo solo i risultati e non conosco le dinamiche interne al New York Times che hanno creato questa situazione. Mi sembra che le stesse agenzie di notizie, una volta allertate sulle distorsioni delle loro coperture informative, siano nella posizione migliore per analizzarne le cause ed implementare i cambiamenti necessari.
Credo sia corretta la tua idea secondo cui, se i reporter vivessero in Cisgiordania o Gaza, la copertura mediatica migliorerebbe grandemente. Una possibilità, naturalmente, e' che il New York Times utilizzi alcuni degli eccellenti giornalisti palestinesi che vivono nell'area. Quando alcuni mesi fa ho visitato l'Università di Birzeit, ho incontrato un professore ed un certo numero di studenti di giornalismo che mi hanno impressionata molto. Non ho visitato alcun dipartimento di giornalismo a Gaza, ma visitai alcune classi di letteratura americana all'Università Islamica di Gaza City nel 2001 e vi trovai un livello di insegnamento uguale a quello delle migliori università USA.
Allo stesso tempo, naturalmente, e' importante che coloro che scrivono questi articoli siano il meno parziali possibile - il che, ritengo, richiede che coloro che si trovano in questa posizione abbiano differenti background. Anche se non sono ebrea, posso immaginare situazioni simili, in cui credo di essere arrivata ad una posizione neutrale senza capire che sono comunque influenzata da ciò che mia madre ha creduto, o da ciò che diceva mia zia o dalla narrativa assorbita da bambina - in altre parole, potrei scrivere e pubblicare entro parametri che interferiscono con l'accuratezza del mio lavoro.
Infine, sotto vi sono le più recenti informazioni sul disgustoso - e non riportato dal Times - comportamento delle forze israeliane, che sparano e commettono abusi sui bambini ed altri civili.
Ecco il link: http://www.rememberthesechildren.org/remember2000.html. Per favore, nota l'alto numero di giovanissimi sparati alla testa, al collo ed al petto nel 2004 e 2005. Per favore, chiedi al signor Erlanger come mai i lettori del Times non ne sono mai venuti a conoscenza. Almeno 29 bambini palestinesi sono stati uccisi nel mese di marzo di quest'anno, ed un solo bambino israeliano. Come saprai, molti di più sono stati assassinati questo mese.
Il fatto che le forze israeliane colpiscano bambini e civili e' stato notato in diversi rapporti. Ad esempio, il gruppo Medici per i Diritti Umani ha dichiarato: "L'analisi di MDR delle ferite fatali a Gaza rivela che circa il 50% di esse erano alla testa. Quest'alto tasso di ferite fatali alla testa suggerisce che, date le regole d'ingaggio piuttosto libere, i soldati mirino di proposito alla testa delle persone".
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