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La traduzione integrale della lettera di Moore a Bush
by zed Saturday, Sep. 03, 2005 at 7:37 PM mail:

Cindy Sheehan, non è più al suo ranch. Lei e dozzine di altri parenti dei morti nella guerra in Iraq adesso stanno attraversando il paese, fermandosi in molte città lungo la strada. Forse riuscirà a raggiungerli prima che arrivino a Washington il 21 settembre ***

da "il manifesto" del 03 Settembre 2005
LETTERA APERTA
Caro Bush, la vacanza è finita


MICHAEL MOORE,

Caro signor Bush, Ha per caso idea di dove siano tutti i nostri elicotteri? È il quinto giorno dell'uragano Katrina, migliaia di persone sono ancora bloccate a New Orleans e hanno bisogno di essere salvate dal cielo. Dove diavolo possono essere finiti tutti i nostri velivoli militari? Le serve aiuto per trovarli? Una volta ho smarrito la macchina in un parcheggio di Sears. Caspita, che seccatura!

A proposito, sa per caso dove si trovano tutti i soldati della nostra guardia nazionale? Per il tipo di impegno che hanno sottoscritto, come aiutare in caso di disastro nazionale, adesso potremmo proprio usarli. Tanto per cominciare, come mai non erano sul posto?

Giovedì scorso mi trovavo nel sud della Florida e mi sono seduto fuori mentre l'occhio dell'uragano Katrina mi passava sopra la testa.

Allora era solo «categoria 1», ma è stato piuttosto sgradevole. Undici persone sono morte e, ad oggi, ci sono ancora case senza energia elettrica. Quella sera il meteorologo ha detto che la tempesta era diretta a New Orleans. È successo giovedì! Qualcuno l'ha informata? So che non voleva proprio interrompere la sua vacanza, e so quanto le dispiaccia ricevere brutte notizie. Inoltre, aveva dei fundraisers da raggiungere e le madri dei soldati americani morti da ignorare e offendere. Di certo quella donna ha avuto il fatto suo!

Mi è piaciuto soprattutto come, il giorno dopo l'uragano, invece di volare in Lousiana lei è andato a San Diego per partecipare a un party con i suoi compagni d'affari. Non permetta che la gente la critichi per questo: dopo tutto, l'uragano era finito e lei che diavolo poteva fare, turare la diga con un dito?

E non dia ascolto a quelli che nei prossimi giorni riveleranno come lei quest'estate ha specificamente ridotto il budget del corpo dei genieri di New Orleans per il terzo anno consecutivo.

Gli spieghi che anche se non avesse tagliato i fondi per la manutenzione di quegli argini, comunque non ci sarebbero stati i genieri per aggiustarli, visto che aveva in serbo per loro un lavoro di costruzione ben più importante: costruire la democrazia in Iraq!

Il terzo giorno, quando alla fine lei ha interrotto le vacanze, devo dire che mi ha commosso il modo in cui ha fatto scendere dalle nuvole il pilota dell'Air Force One per poter dare un'occhiatina al disastro mentre volavate su New Orleans. Hey, lo so che non poteva certo fermarsi, prendere un megafono, salire su un mucchio di macerie e comportarsi come un comandante in capo. È ovvio!

Ci saranno quelli che cercheranno di politicizzare questa tragedia per usarla contro di lei. Lasci che a dirlo siano i suoi uomini. Non risponda a nessuno. Neanche a quei noiosi scienziati, che avevano previsto quanto è successo perché nel Golfo del Messico l'acqua sta diventando sempre più calda e una tempesta come questa diventa inevitabile. Li ignori, ignori i loro allarmismi sul riscaldamento globale. Non c'è niente di insolito in un uragano talmente grande, che è come un tornado forza quattro che vada da New York a Cleveland.

No, signor Bush, tenga duro. Non è colpa sua se il 30% degli abitanti di New Orleans vive in povertà, o se decine di migliaia di loro non avevano a disposizione un mezzo di trasporto per lasciare la città. Insomma, sono neri! Voglio dire, non è come se fosse successo a Kennebunkport. Se lo immagina lasciare dei bianchi lì sui tetti per cinque giorni? Non mi faccia ridere! La razza non ha niente - niente - a che fare con tutto questo!

Resti dov'è, signor Bush. Soltanto, cerchi di trovare qualcuno dei nostri elicotteri militari per mandarli là. Faccia conto che la popolazione di New Orleans e della Gulf Coast si trovino vicino a Tikrit.



P.S. Quella madre scocciatrice, Cindy Sheehan, non è più al suo ranch. Lei e dozzine di altri parenti dei morti nella guerra in Iraq adesso stanno attraversando il paese, fermandosi in molte città lungo la strada. Forse riuscirà a raggiungerli prima che arrivino a Washington il 21 settembre.



(Traduzione Marina Impallomeni)

http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/4319dc57471fc.html


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«Il terzo mondo degli States»
by il manifesto Saturday, Sep. 03, 2005 at 7:39 PM mail:

da "il manifesto" del 03 Settembre 2005

«Il terzo mondo degli States»

Parla Mario Maffi, autore di «Mississippi»: la vera catastrofe è la miseria dei neri Neo-con americani a pezzi Per lo scrittore italiano «il ciclone peserà su Bush e i repubblicani più della guerra sbagliata in Iraq. E le conseguenze si sentiranno nelle elezioni di medio termine. Ma non ci sono movimenti sociali o ripensamenti nel partito democratico che lascino intravedere una crisi politica». I saccheggi? «Non sono sciacalli, è gente normale che cerca di sopravvivere»
MANUELA CARTOSIO,

Fu il lago Pontchartrain a risparmiare New Orleans dall'esondazione del Mississippi del 1927, la più devastante del secolo scorso. Gli argini a monte della capitale vennero fatti saltare con la dinamite per deviare le acque ribollenti nel lago, che le scaricò nell'Oceano. Ad andar sotto furono le migliaia di contadini che vivevano tra il Mississippi e il Pontchartrain. Sulla scelta del «male minore» pesarono gli interessi economici della capitale. Quella volta, comunque, una decisione fu presa. Questa volta il Pontrchartrain ha rotto gli argini e ha sommerso New Orleans. Senza che nessuno decidesse qualcosa prima e dopo il disastro. Mississippi, il gran bel libro di Mario Maffi pubblicato un anno fa da Rizzoli, riletto oggi è una miniera di precedenti storici, per differenza e similitudine.

Uno dei capitoli del tuo libro è intitolato «Cataclismi». Katrina è solo l'ultimo disastro di una lunga serie storica o qualcosa di inedito?

Per un verso, è il classico disastro annunciato in un'area ripetutamente colpita dalle inondazioni del Mississippi e dagli uragani che negli ultimi anni sono diventati più frequenti e più potenti. Di nuovo, ci sono le dimensioni del disastro, c'è il nome illustre della città finita sott'acqua. La cosa veramente inedita è la messa a nudo di un altro disastro. L'acqua fa venire a galla il fondo di miseria, quella sì davvero catastrofica, degli Stati uniti. Quelli che non sono riusciti a mettersi in salvo, salvo rare eccezioni, hanno tutti la pelle nera. E se sono bianchi, sono anziani.

Non mi sembra una grande scoperta. Che il tasso di povertà dei neri sia più del doppio della media nazionale lo sanno anche i sassi. Che gli anziani siano le vittime d'elezione di un servizio sanitario e assistenziale a dir poco crudele, idem.

Lo sa chi legge le statistiche. Vederlo in televisione, in tutto il mondo, fa un altro effetto. Potenza, bellezza, felicità, successo. Questa è l'immagine che gli States veicolano nel mondo. Poi, d'improvviso, si scoperchia il pentolone. E tutti vedono quanto terzo mondo c'è dentro gli Stati uniti.

«Le vittime sono i neri e i poveri, seguirà presto una crisi politica», ha scritto un editorialista del New York Times. Sottoscrivi la previsione?

Magari fosse vero. Purtroppo, non mi pare così automatico. Il partito repubblicano pagherà un prezzo alle elezioni di mid-term. Bush esce a pezzi dall'uragano, marchiato come un presidente negligente, distratto, non all'altezza del dramma. Di certo Katrine peserà di più di una guerra sbagliata e che non ha vinto. Comunque, non sarà Bush il candidato repubblicano alle prossime elezioni. Una crisi politica, intesa come ripensamento collettivo, richiede che il partito democratico volti radicalmente pagina. Richiede l'esistenza di movimenti sociali. Non vedo le condizioni perché questo succeda.

In assenza di movimenti sociali robusti e organizzati lo scontento di poveri ed emarginati negli Stati uniti si manifesta solo nelle forme delle rivolte e dei saccheggi. Quello che sta succedendo a New Orleans rientra sotto questa fattispecie?

Trovo oscena in questa situazione la definizione «sciacalli». Ci saranno pure quelli. Ma chi prende in un grande magazzino un pacco di pannolini, dell'acqua da bere, qualche scatoletta di cibo mi sembra una persona più che normale che cerca di sopravvivere.

Gli americani hanno il culto delle previsioni del tempo. Vogliono sapere che tempo fa anche prima d'uscire a fare la spesa. Non è paradossale l'imprevidenza dimostrata dalle autorità?

E' una beffa micidiale. Il potere, il capitale, prevede solo a breve scadenza, mira al guadagno immediato fregandosene delle conseguenze nel lungo periodo. Quando una di queste conseguenze presenta il conto, il potere alza bandiera bianca. Katrina è stato seguito sulle mappe per un paio di settimane. Fossero stati due mesi, non sarebbe cambiato niente.

Big Easy, è chiamata New Orleans. La città dove tutto è più facile, più rilassato. Pochi sanno che anche questo nome le viene dal Mississippi.

L'hanno chiamata così perché è sorta dove il fiume fa un'ampia mezzaluna e rallenta. Da questo fatto sono derivati guai. Perché l'ansa crea una specie di tappo che impedisce al grande fiume di correre verso le sue tre foci. L'altro guaio per New Orleans è la tendenza costante del Mississippi a scavarsi un percorso più ad Ovest rispetto al tracciato in cui è stato imbrigliato con gli argini. Il nome indiano Mississippi significa «acqua che si estende su un'ampia superficie». Da sempre l'uomo bianco ha fatto di tutto per ridurre questa superficie.

New Orleans, sotto il livello del mare, è una delle tante città americane contro natura. Non ricostruitela nello stesso posto, consigliano gli esperti.

E' il secondo porto degli Stati uniti. Quindi sarà ricostruita dov'è. Quanto al quartiere francese, prevedo una ricostruzione in stile Disney.

http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/4319dc4e70a0c.html

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La rabbia degli afroamericani
by C. L. Saturday, Sep. 03, 2005 at 7:40 PM mail:

da "il manifesto" del 03 Settembre 2005

La rabbia degli afroamericani

Tra le vittime, secondo alcuni più di diecimila, soprattutto neri e poveri
C. L.,

Quanti morti ha fatto Katrina? Cinque giorni dopo l'uragano, la paura di trovarsi di fronte a una tragedia dalle dimensioni immani è sempre più una certezza. E come spesso accade, in mancanza di cifre ufficiali parlano i fatti. Ieri la Fema, la Federal emergency management agency ha fatto sapere di essere in procinto di aprire quattro obitori d'emergenza nelle zone colpite dall'acqua: «Uno in Louisiana è già operativo - ha detto un responsabile di quella che si può considerare come la protezione civile americana - altri tre stanno per diventarlo». All'interno delle strutture squadre di medici legali, antropologi e psicologi, tutti volontari, avranno il compito di sottoporre i cadaveri agli esami necroscopici e di procedere alle identificazioni, oltre a quello di assistere i familiari delle vittime nel loro dolore. Proprio come accadde otto mesi fa con lo tsunami. Solo che questa volta l'Asia si è trasferita nel cuore nero della ricca America portandosi appresso, oltre alla distruzione e al dolore, anche la totale mancanza di notizie sull'entità del disastro in termini di vite umane. «Katrina potrebbe avere provocato migliaia e migliaia di morti», aveva detto giovedì la senatrice democratica Mary Landrieu. Ieri un suo collega, il senatore David Votter, si è spinto fino ad azzardare una cifra più precisa: «più di diecimila», ha spiegato senza però citare uno sola fonte ufficiale. Tra tanta incertezza, su una cosa almeno non ci sono dubbi. Katrina ha colpito duro soprattutto neri e poveri. Basta guardare le immagini in televisione per rendersene conto. A camminare immersi nell'acqua fino al collo, oppure ad essere ammassati nei centri di raccolta o aggrappati ai tetti delle case sono soprattutto bianchi indigenti e gente di colore. Circostanza certo non causale che ha portato un gran numero di persone a pensare che forse il ritardo con cui la macchina dei soccorsi si è messa in moto non sarebbe proprio dovuto alla sola disorganizzazione: «Molti neri pensano che la loro razza, le loro condizioni economiche e il loro orientamento politico abbiano pesato sulla risposta al disastro», ha detto chiaramente il reverendo Jesse Jackson dando voce a quello che sembra essere un sentimento comune tra gli afroamericani.

Un'esagerazione? Forse, ma se è vero che il 67% della popolazione di New Orleans è composta da neri, un terzo dei quali sotto la soglia di povertà, è vero anche - come scriveva ieri il New York Times - che un disastro naturale come Katrina «ha evidenziato come alcune delle città più povere d'America siano state rese vulnerabili dal fiasco delle politiche di Washington». Motivo in più per far crescere la dimensione razziale e sociale della tragedia e, con essa, la rabbia degli afroamericani: «A nessuno importava di quei neri quando il sole brillava. Non sono certo stupito che oggi nessuno venga ad aiutarci» è stato il commento di Milton Tutwiler, sindaco di Wistonville, in Mississippi.

Vera e propria tragedia nella tragedia è quella che ha poi come protagonisti i bambini. Secondo l'Unicef sarebbero tra i 300.000 e i 400.000 mila quelli rimasti senza un tetto. Piccole vittime che oggi hanno bisogno di tutto, da cibo caldo e coperte, a un'adeguata assistenza psicologica alla possibilità di garantire loro, per quanto possa sembrare impossibile, un regolare rientro a scuola. Tutte cose che l'agenzia dell'Onu per l'infanzia si è offerta di fornire nonostante - ha sottolineato da Ginevra un portavoce - finora nessuna richiesta in tal senso sia arrivata da Washington.

«Siamo ormai agli sgoccioli, non so se possiamo sopravvivere un'altra notte», confessava ieri alla Cnn il sindaco di New Orleans Ray Nagin, e le sue parole sono il grido d'aiuto lanciato dalle popolazioni di due interi stati flagellati dall'acqua. In queste ore circa un milione di uomini, donne e bambini sono in fuga da New Orleans e dalle altre aree colpite dall'uragano, dando vita a quello che gli storici hanno definito il più grande esodo della storia americana. «Questa non è una crisi di 24 ore o di un anno», commentava ieri il deputato Richard Baker. «Questo è un evento destinato a cambiare per sempre la vita di un numero incredibile di persone. Questo è un problema sociale di un ordine di grandezza mai visto prima in America».

http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/4319dc38c131c.html

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Le urla di aiuto nella città morta
by LUCA CELADA Saturday, Sep. 03, 2005 at 7:41 PM mail:

da "il manifesto" del 03 Settembre 2005

Le urla di aiuto nella città morta

Le immagini in tv somigliano a un film di Romero. E mostrano il fallimento Usa Contraddizioni Washington destina aiuti agli «stati del golfo», ma nel frattempo la Guardia nazionale è stata mandata in Iraq. A difendere un altro golfo
LUCA CELADA,

Il cataclisma al rallentatore di New Orleans merita la designazione di catastrofe «biblica» che gli affibbiano i media: è la tragedia di una città intera cancellata nel giro di poche ore, come una Gomorra spazzata via da un diluvio vendicativo. Ma le scene riportate dalle televisione rimandano piuttosto alle apocalissi immaginate da George Romero: drappelli di sopravvissuti ormai allo stremo, morenti sui tetti che implorano aiuto con cartelli disperati, bande armate che si procurano le ultime provviste nei negozi abbandonati. La città del jazz - capitale del delta, francese, spagnola, caraibica - la città del gumbo e del voodoo, una delle poche metropoli davvero affascinanti del Nord America ormai non esiste più. Ma nelle sue acque melmose e velenose - oltre ai cadaveri galleggianti, ai liquami delle fogne e agli scarichi fuoriusciti dalle piattaforme petrolifere del golfo - si mescolano anche alcuni sporchi segreti. Nella conca che era la principale città della Louisiana si stima siano rimasti ad attendere l'uragano, più di 200.000 persone (circa il 20% della popolazione). Quelli, si dice, che non hanno voluto seguire l'ordine di evacuazione. Ma non è del tutto esatto. L'evacuazione era stata sì consigliata ma poi lasciata alla decisione dei privati cittadini senza nessun tipo di organizzazione. Chi è rimasto non aveva altre risorse. Né parenti altrove da cui rifugiarsi né la possibilità di pagare un albergo: parliamo della popolazione più inerme e marginalizzata di una delle metropoli più povere d'America.

Secondo i dati resi noti la scorsa settimana dal Census Bureau, negli Usa, la popolazione che vive sotto la soglia della povertà è aumentata in un anno di oltre un milione di persone, mentre la media nazionale si attesta su un guadagno di 44.000 dollari. A New Orleans, superare i 24.000 è già un traguardo.

Il disastro ha così smascherato la verità di un terzo mondo che vive invisibile in tutte le città americane: quello dei disoccupati, degli homeless, degli anziani indigenti e degli invalidi abbandonati a se stessi.

Scene di devastazione che assomigliano più ad un disastro «haitiano» che alla Manhattan dell'11 settembre: la popolazione di New Orelans è nera al 68%, sei volte oltre la media nazionale.

Del resto, bastava una passeggiata su Canal Street - il viale centrale oggi semisommerso e dal quale sono partiti i primi disperati assalti ai supermercati - per rendersi conto di essere arrivati in una città nera: dai manifesti dei «re» del carnevale incorniciati in vetrina accanto a quelli di Malcolm X e Martin Luther King ai vestiti eleganti esibiti per le messe gospel della domenica. Il colore di New Orleans era nero e ti dava il benevenuto nei volti di poliziotti, dei tassisti e dei portinai quanto il muro di caldo, solido e opprimente, e il profumo di jambalaya della grande capitale creola d'America.

«Non si tratta cosi' nemmeno un cane» ha detto un uomo indicando un cadavere su di un'aiuola vicino a tre bambini piccoli che piangevano per fame, «guardate i soldati e i poliziotti, passano qui davanti nei loro camion con l'aria condizionata e nessuno si ferma». «Non potete pretendere che dopo una vita la gente, oppressa dalla povertà, non si sfoghi» spiegava un testimone all'assalto di un supermercato. «Vi preoccupate degli sciacalli mentre noi stiamo morendo sotto i vostri occhi» ribatteva piangente una donna intervistata dalla radio davanti ai suoi bambini. «Quelli almeno qualcosa da bere ce la portano».

Molti profughi hanno ricevuto solo le visite di giornalisti mentre i responsabili di FEMA, la protezione civile, croce rossa e homeland security si dichiaravano «non al corrente». Da qui le ostilità tra «autorità soccorritrici» e profughi, una ostilità armata sul modello delle riots, le sommosse urbane a sfondo razziale tipiche delle città americane, da Newark a Watts, da Liberty City a Los Angeles.

Tutto questo mentre a Houston ci si incaponiva nell'assurda distinzione fra pullman di sfollati «ufficiali» e clandestini, quelli arrivati con mezzi di fortuna. Ma anche l'astrodome si rivelava semplicemente un errore di calcolo quando veniva dichirato pieno con decine di migliaia di sfollati senza piu' un posto dove andare.

I contrasti «interni» fra diverse «fazioni» di soccorritori sottolinea l'abbietto fallimento e il caos in cui versano le operazioni. Le autorità preposte al salvataggio e alla gestione del disastro si sono dimostrate clamorosamente impreparate, una vergogna amplificata dalla lampante inefficienza della gigantesca macchina cresciuta negli ultimi tre anni per far fronte a grandi emergenze.

Forse New Orleans doveva servire da banco di prova e al posto dell'uragano avrebbe potuto esserci un attacco terroristico. Ma se così, è lo stesso impossibile non registrare il fallimento del dipartimento di homeland defense - il ministero per la difesa della patria con carta bianca e maxiportafoglio - nato in teoria per far fronte proprio a questo tipo di situazione. La vergogna di New Orleans è accresciuta dai miliardi spesi nel nome della protezione civile nell'«era del'emergenza». Attorno alla minaccia terrorista, infatti, è sorta un'economia miliardaria simile a quella della guerra fredda: stanziamenti, addestramenti, personale e centri studio, tutti latitanti per la gente di New Orleans che giustamente chiede ora quale patria ci si sia così costosamente peparati a difendere.

«Stiamo mandando soldati ed elicotteri», ripete da giorni Micahel Chertoff potente capo di homeland defense. «E' troppo tardi, maledizione, troppo tardi!» gli urla inferocito il sindaco Ray Nagin. E le sue lacrime in una diretta che le Tv sono state costrette a censurare per le troppe parolacce fanno eco a quelle dei migliaia di sfollati lasciati a marcire in una città che promette assistenza ma non la dà. Una città dei morti, così come venivano chiamati gli oltre quaranta cimiteri presenti a New Orleans. Solo che oggi anche i morti sono annegati.

http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/4319dc268428c.html

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L'altra America «rivelata» da Katrina
by __ Saturday, Sep. 03, 2005 at 7:43 PM mail:

da "il manifesto" del 03 Settembre 2005
POVERTÀ
L'altra America «rivelata» da Katrina


MA. FO.,

Sono passate inosservate le ultime cifre diffuse dal Bureau of Census (l'ufficio nazionale di statistica) degli Stati uniti, martedì scorso. Si capisce: era il giorno in cui l'uragano Katrina si è abbattuto sulle coste di Louisiana, Mississippi, Alabama, e i notiziari non parlavano d'altro. Eppure quelle cifre dicevano qualcosa sullo stato generale della nazione americana e forse anche su New Orleans allagata, con la sua popolazione di disperati alla deriva. Si tratta degli ultimi dati sulla povertà negli Stati uniti: il numero di cittadini americani ufficialmente «poveri» è aumentato di 1,1 milioni di unità nel 2004 rispetto all'anno precedente, raggiungendo la cifra di 37 milioni di «poveri» (su una popolazione totale di 297 milioni). Dunque, poco meno del 13% degli americani vive al di sotto di quella che il governo considera la «soglia di povertà» (che cambia secondo le dimensioni della famiglia: la soglia è 19.300 dollari all'anno per una famiglia di 4 persone, 12.300 dollari per una famiglia di due). Il numero di «poveri» era calato per l'ultima volta nel 2000, ultimo anno dell'amministrazione Clinton (allora erano 31 milioni). Poi non ha fatto che crescere.

Il numero dei poveri è aumentato benché l'economia sia cresciuta - o almeno questo dicono le cifre ufficiali: 2,2 milioni di posti di lavoro in più l'anno scorso, il dato migliore dal `99. Un paradosso? Bisogna vedere cosa si intende per «povertà» e cos'è un «posto di lavoro», in termini di salario e di copertura sociale: si pensi a Wal-Mart, il più grande datore di lavoro (privato) negli Stati uniti con 1,3 milioni di dipendenti - di cui il 60% non ha assistenza sanitaria ma usufruisce del welfare pubblico riservato ai «poveri». Secondo il Bureau of Census in effetti è aumentato il numero di americani che non ha un'assistenza (assicurazione) sanitaria: 45,8 milioni, 800mila persone più dell'anno precedente. Per il resto, le cifre confermano quello che già tutti sanno: che gli stati del sud sono i più poveri, mentre quelli del nord-est e dell'ovest sono i più ricchi.

Certo, gli Stati uniti restano una delle nazioni ricche al mondo, anche se al suo interno ha dei «poveri». Il reddito però non dice tutto. Altri indicatori descrivono meglio lo stato di una società: l'accesso ai servizi sanitari, la speranza di vita, l'istruzione, e così via. Nei primi anni '90 un gruppo internazionale di economisti che aveva seguito i ragionamenti di Amartya Sen ha provato a misurare lo sviluppo delle nazioni in base a un mix di mortalità infantile, alfabetizzazione e reddito pro capite - lo chiamarono «sviluppo umano». Gli Stati uniti, si intende, rientrano tra i paesi ad «alto sviluppo umano». Ma anche qui le statistiche ingannano, e chi compila le cifre lo sa benissimo. Prendiamo ad esempio la speranza di vita alla nascita: negli Usa è di 77 anni, più o meno come nei paesi più avanzati. E però per gli americani bianchi è 77,4 anni e per i neri 71,7 - mentre per i maschi neri è appena 68 anni, quasi dieci anni meno del dato generale. Così la mortalità infantile: negli Usa muoiono 7,1 neonati ogni mille nati vivi (Bureau of Census, 2002), ma nella popolazione nera la mortalità infantile è del 14,6 per mille, tra i bianchi 5,8 per mille. Per fare un paragone, a Cuba la mortalità infantile si aggira sul 7,4 per mille: un neonato cubano se la passa molto meglio di uno nero americano, che invece ha la stassa probabilità di morire di un neonato della Bielorussia (14,4 per mille). Le statistiche nascondo tante Americhe diverse: a New Orleans l'uragano Katrina ha reso visibile quella più taciuta.

http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/4319dc1e66dcc.html

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bella puttanata sto post
by comitato n.c.n.f.u.c. Monday, Sep. 05, 2005 at 9:48 PM mail:

e anche i commenti non scherzano/.

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