ho controllato ecco le statistiche giuste: Per riepilogare in Italia ci sono 207 carceri. Al 31 agosto 2005 erano presenti 59.649 detenuti, di cui 56.806 uomini e 2.843 donne, a fronte di una capienza regolamentare di 42.959 unità. Ci sono quindi 16.690 detenuti in più rispetto ai posti letto regolamentari come conferma: http://www.ristretti.it/areestudio/statistiche/giugno2005/index.htm da un ottimo sito sul tema http://www.ristretti.it/avvio/recenti/2005/settembre2005.htm in alcuni istituti è già rinchiuso un numero doppio di persone rispetto alla capienza.
e la segnalazione di un testo che mi pare interesante
Sul carcere . Repressione o recupero? Un libro di Vincenzo Guagliardo Dei dolori e delle pene Saggio abolizionista e sull'obiezione di coscienza edizioni "Sensibili alle Foglie" [un contributo del c.s.o.a. ex Snia-Viscosa] . Vincenzo Guagliardo, a partire dal grande libro della sua esperienza di reclusione che dura da 20 anni, accompagna il lettore nel cuore del dibattito sul diritto penale, nelle sua storia e genealogia, fino al suo collasso, alla sua implosione di senso indicata nella sua moderna forma premiale Già Brecht aveva richiamato l'attenzione sulla sottile differenza tra chi le "banche le fonda e chi le sfonda", cogliendo una verità che risuonerà più volte nelle rivolte sociali e politiche del Novecento: criminale è chi condanna gran parte degli uomini all'alternativa tra la miseria dell'esclusione o l'esclusione dell'asservimento.
Fu l'antiautoritarismo degli anni Sessanta e Settanta con la sua critica radicale alle "istituzioni totali" che preparerà il terreno per quel movimento che dai "dannati della terra" alla psichiatria democratica di Basaglia, porterà prima alla riforma carceraria del '75 e poi alla chiusura dei manicomi.
Poi più nulla, anzi il contrario. Nel volgere al tramonto il secolo sembrò volersi rivoltare contro se stesso, quasi a vendicarsi delle aspettative sollevate e tradite; gli strumenti del sistema penale divennero altrettante armi per quella "controriforma" che invaderà l'immaginario collettivo di magistrati difensori della patria, pionieri di quella cultura della penalizzazione che ha colonizzato i territori del nuovo millennio.
Disagio giovanile, culture e comportamenti sociali, proteste e contestazioni, droghe, immigrazione, persino il rapporto tra politica ed economia... ormai più niente sfugge al ricatto degli articoli del codice penale, novella carta costituzionale di un paese che ha smarrito a tal punto il senso della misura e della civiltà da eleggere il carcere a luogo di residenza inevitabile per un numero crescente di persone.
L'ultimo libro di Vincenzo Guagliardo, Dei dolori e delle pene - Saggio abolizionista e sull'obiezione di coscienza fa dalla constatazione di questa crisi del sistema penale, paragonabile solo a quella che colpì il sistema penitenziario alla metà dell'Ottocento quando il ricorso alla reclusione come pena divenne prevalente, lo strumento di una critica radicale al carcere e al sistema delle pene ben oltre gli orizzonti a cui ci ha abituato il filone abolizionista di provenienza nord-europea.
E' un viaggio attraverso la sofferenza legale quello che ci propone, attraverso il dolore che l'umanità infligge ad un gruppo particolare di uomini, i criminali, in realtà infliggendolo a se stessa, alle proprie caratteristiche di esseri sociali minate alla base dalla dominanza del binomio merce-pena instaurato dall'avvento dello Stato moderno.
Quello del sistema penale non è solo un fallimento "relativo" a quell'1-5 per cento di reati penalizzati, mentre assistiamo, negli Usa, ad unaumento negli ultimi dieci anni del 414 per cento dei crimini più gravi, alla faccia dell'asserito potere deterrente del carcere e della pena tanto sbandierato; oppure all'assurdità di una cultura penale che ha prodotto una popolazione carceraria che si aggira intorno a cifre da fine Ottocento: 50.000 persone detenute a cui vanno aggiunte le 15.000 in pene alternative alla detenzione (già nel 1870 su 27 milioni di italiani si contavano in Italia 70.000 detenuti...).
Questi numeri raccontano drammaticamente di un universo totalitario in espansione, dimostrazione di uno sviluppo socio-economico che mentre aumenta il disagio sociale si preoccupa unicamente dell'aumento delle misure repressive, senza cioè più alcuna delle velleità "rieducative" a cui ci ha abituato la retorica penitenziaria bensì con il solo scopo di contenere e punire.
Ma ben più grave è la crisi del sistema penale se la si confronta con l'emergere di quella nuova figura di criminale che è il "collaboratore di giustizia": "Questo esemplare di nuovo delinquente è la miglior prova del corto-circuito al quale è giunta la storia della giustizia penale, è l'eco della fine d'ogni presunta coerenza nel rapporto fra reato e pena fino al punto in cui è il sistema penale a creare, prima ancora che finisca in carcere!, un nuovo criminale assolutamente privo di scrupoli, premiato dalla legge quando sarà arrestato, stipendiato magari dallo Stato e presentato come cittadino-modello...".
Ormai è l'Inquisizione che parla, attraverso la reclusione non si combatte più la delinquenza, bensì le si dà forma e la si usa: "tutto un pensiero, dal giudice al letterato, presenta un risultato - la criminalizzazione dell'individuo - come un dato di partenza: la criminalità".
Riprendendo l'idea di Bruno Bettelheim dello "stato di massa hitleriano", l'anima del carcere è per Guagliardo la tortura, essendo il carcere quel "... raffinato derivato della tortura per ottenere una personalità spezzata; in concreto: una volontà annichilita che fornisce la 'verità' voluta, ovvero la verità giudiziaria."
Pietro Fumarola, curatore del libro, ci restituisce nelle sue "Note" il peso del condizionamento "giudiziario" che grava sulla vita politica e sociale del paese riproponendo alcune delle riflessioni più acute di L.Ferrajoli (Crisi della giurisdizione, 1984), a proposito dei guasti culturali ed istituzionali prodotti dalla "rottura emergenziale". La perdita del senso della differenza tra normalità ed eccezionalità porterà in breve tempo a che numerose funzioni di polizia vengano assorbite dalla magistratura che viene legittimata ad utilizzare direttamente "mansioni e strumenti investigativi che eravamo abituati a vedere - e talora deplorare - nella polizia".
Si arriva così a "trasformare la funzione giudiziaria in funzione poliziesca". Una trasformazione che ha lasciato un segno indelebile sino al punto che, come afferma Fumarola: "l'identificazione tra consenso alla giustizia penale e quello ai partiti politici è ormai in Italia quasi un dato strutturale e la giustizia-spettacolo ne è l'articolazione più funzionale"; tanto che la stessa "seconda repubblica è nata d'altronde proprio con caratteristiche giudiziario-spettacolari e premiali".
La denuncia di Guagliardo quindi non si ferma di fronte alla soglia del carcere, inserendosi in quel filone che con Il carcere in Italia di Salierno, Liberare tutti i dannati della terra di Lotta continua, L'evasione impossibile di S. Notarnicola, I duri di G. Naria ed altri, ci ha fatto conoscere dal di dentro la realtà estrema dell'ingiustizia ordinaria. Ergastolano, già categoria criminale per antonomasia, il prigioniero politico Guagliardo è il prototipo del "criminale assoluto", mafioso o terrorista, su cui l'attuale cultura giuridica nostrana ha costruito le sue fortune.
Proprio per questo il suo urlo di dolore non è solo quello di una "nazione" ferita, affranta, vinta che accusa la società del crimine peggiore che si possa commettere: quello contro il genere umano. Il "popolo delle carceri", drappello invisibile di quell'esercito in rotta di uomini battuti da una "modernità" che li sospinge ai margini della dignità e del lecito, attraverso le parole di Guagliardo sottolinea i limiti di una concezione stravolta del diritto che ci costringe a fare i conti con i frutti avvelenati di una società malata di giustizialismo.
La stessa "cultura della riforma" ne esce malconcia alla luce delle nuove forme di violenza e di arbitrio che vanno ogni volta inevitabilmente ad aggiungersi alle vecchie. E' il caso della Gozzini; approvata nel 1986 come riforma della legge penitenziaria, fa perno su quella stessa premialità del trattamento introdotta nella cultura giuridica dallo stravolgimento emergenziale.
"Pene più alte, discrezionalità totale, aumento della sofferenza psichica legata sia alle umiliazioni da pretesa collaborazione che all'incertezza della pena, raddoppiamento del numero dei prigionieri 'classici' dopo l'invenzione delle pene alternative portate dalla Gozzini!: questo è il caso del sistema penale italiano, un caso di 'perversione positivista' che è arrivato alla pretesa di cambiare la classe dirigente italiana; un'illusione certo, ma che è servita tuttavia a diminuire le libertà... L'intero movimento abolizionista dovrebbe assumere come esempio il caso italiano per riflettere su se stesso, per capire più in profondità l'anima del sistema penale, le sue perversioni.
Questa riflessione potrebbe aiutare a inventare una politica dell'abolizionismo che in Italia dovrebbe anzitutto ottenere, all'interno dell'attuale sistema, pene europee, meno carcere invisibile dentro e fuori i penitenziari, meno diritto penale". . Il caso di Salvatore Ricciardi, arrestato nuovamente il 24 marzo 1998 dopo che era stato liberato per essere sottoposto a operazione chirurgica in quanto affetto da una grave cardiopatia, e quello di Edoardo Massari, che si è suicidato il 28 marzo 1998 nel carcere Torinese delle Vallette, sono soltanto due esempi, tragici e drammatici, delle storture del sistema carcerario-repressivo italiano e del profondo disagio che provocano
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