Sono quegli anni in cui si passa anche in carcere dalla ribellione individuale alla lotta collettiva, dal ribellismo alla lotta con un carattere politico: Le prime lotte in carcere a carattere di massa e unitarie si sviluppano a partire dall'aprile 1969, inizialmente con mobilitazioni a carattere pacifico: sit-in, resistenza passiva, scioperi della fame, ma assunsero presto forme più radicali sopratutto nei carceri giudiziari delle grandi città, dove i contatti con l'esterno furono più intensi e maggiormente si fece sentire lo stacco profondo e insanabile tra le vecchie forme di protesta del proletariato prigioniero e le nuove esigenze.
Ora le forme di lotta diventano le devastazioni di interi reparti dei carceri, la distruzione delle suppellettili. Le risposte del governo sono le fucilate: a Firenze nel febbraio '74 un morto e otto feriti, ad Alessandria tre mesi dopo i morti sono sette (di cui 5 ostaggi) e 14 i feriti.
E' un movimento che preocupa talmente il potere al punto che il governo emette la famosa e controversa "circolare Tanassi - Henke" che autorizza l'impiego dell'esercito per sedare le rivolte nelle prigioni.
Gli obiettivi dei detenuti sono quelli del miglioramento delle condizioni di vivibilità, del vitto, della remunerazione del lavoro, dell'aumento della socialità interna e verso l'esterno e dell’abolizione del letto di contenzione; cui si aggiungono le richieste di amnistia e condono (poi ottenuto nel ‘70) e per la riforma carceraria di cui si discuteva dal dopoguerra ma ancora senza esito. Per dare pubblicità a questo movimento di lotta venivano usati i processi come cassa di risonanza del movimento di lotta: si disertavano le aule o si denunciavano durante l’udienza le condizioni di vita o gli obiettivi della lotta. La presenza, sempre più massiccia di compagni nelle carceri sviluppa il processo organizzativo e l’ampliamento di rapporti con l'esterno.
Le organizzazioni esterne che più si faranno carico di sostenere la lotta dei detenuti sono, in quegli anni, Lotta Continua (Commissione Carceri del 1970 e la rubrica "i dannati della terra" sul giornale omonimo dal 1971) e Soccorso Rosso; in seguito verranno coinvolte un po' tutte le organizzazioni rivoluzionarie e in particolare quelle che facevano riferimento all'area dell'"autonomia".
E' dalle lotte di Torino del ‘73 (alle carceri "Nuove" di Torino) che emerge il programma che sistematizza le parole d'ordine e i vari obiettivi emersi dalle lotte. Tutto il circuito carcerario prenderà a riferimento delle proprie lotte la "piattaforma di Torino". E’ una piattaforma rivendicativa, ma a largo spettro: spazia dal chiedere il miglioramento delle condizioni interne, il superamento del Codice fascista "Rocco", la libertà di voto, la fine della censura sui giornali e sulla corrispondenza, si parla di vivibilità e di sesso, di apertura del carcere all’esterno e di lavoro.
Sull’onda delle lotte, a metà degli anni 70, e dopo l’approvazione della "riforma", con un’intelligente utilizzazione degli spazi che essa offriva, pur esprimendo una valutazione complessiva molto negativa sulla legge, i detenuti riprendono con più vigore i progetti di evasione, molti dei quali portati a termine positivamente, anche grazie ai livelli organizzativi raggiunti:
- verso la fine del '75 evasione in massa da Regina Coeli, nell'agosto del '76 evasione armata dal carcere di Lecce, cui seguiranno quelle da Firenze, Treviso, Fossombrone, Benevento ecc.. Le prime organizzazioni interne al carcere sono il "collettivo G. Jackson" (ne abbiamo visto la nascita) e le "Pantere Rosse", quest’ultima nata nel carcere di Perugia con un’ipotesi che riconosce la pratica proletaria dell’extralegalità come il terreno su cui questo settore di classe esprime il proprio antagonismo al sistema capitalista; le Pantere Rosse si pongono da subito la prospettiva combattente. Da questi prime organizzazioni nasceranno, nel 1974, i NAP (nuclei armati proletari) all’interno dei quali confluiranno i militanti dei collettivi nati precedentemente più altri compagni/e provenienti dall’area della sinistra rivoluzionaria. La prima azione dei NAP è dell'ottobre 1974 con la diffusione di discorsi e messaggi d'appoggio alle lotte tramite altoparlanti piazzati davanti alle carceri di Milano, Roma e Napoli, altoparlanti che si autodistruggono esplodendo dopo la trasmissione. Tra l'altro in questi messaggi viene detto:
" Noi non abbiamo scelta: o ribellarsi e lottare o morire lentamente nelle carceri, nei ghetti, nei manicomi, dove ci costringe la società borghese, e nei modi che la sua violenza ci impone. Contro lo stato borghese, per il suo abbattimento, per la nostra autoliberazione di classe, per il nostro contributo al processo rivoluzionario del proletariato, per il comunismo, rivolta generale nelle carceri e lotta armata dei nuclei esterni".
Gli strumenti che la direzione delle carceri usa per contrastare il movimento di lotta sono molti, oltre alle solite punizioni, il trasfe-rimento rimane quello fondamentale per spezzare i livelli di aggregazione rag-giunti nei vari carceri, ma alla lunga questo strumento contribuisce a portare in giro l'esperienza realizzata nei punti più avanzati ed espande la conoscenza e la coscienza delle lotte.
VIENE VARATA UNA MISERA RIFORMA
Nel 75 con la legge n.354 del 26 luglio viene varata la "riforma penitenziaria" della quale si discuteva dal dopoguerra e non avrebbe visto la luce senza le lotte le rivolte di prigionieri, ma ancora una volta si manifesta la timidezza e l'arretratezza del ceto politico, la sua mancanza di cultura e di coraggio civile e la sua volontà di non voler sostanzialmente realizzare una rottura profonda con la logica fascista (regolamento penitenziario del 1931) che d’altronde richiama esplicitamente molto spesso; la gestione del carcere si muove nel senso trasgressione=uguale=punizione, senza prendere in considerazione le relazioni tra reato e struttura politica ed economica del contesto. Così la "riforma" non riesce a realizzare il coinvolgimento del tessuto sociale attraverso la sensibilizzazione e l’apertura dell’istituzione carceraria al territorio e alla comunità esterna. Il carcere continuerà ad essere una "cosa" separata dalla realtà esterna, separata e ignorata: una sorta di contenitore dove si cerca di cacciare a forza -e tenere in silenzio- tutti i problemi e le contraddizioni di una società che non riesce ad interrogare se stessa. Nel momento che la legge viene varata è già vecchia e obsoleta sia negli strumenti eccessivamente discriminatori e fastidiosamente punitivi cui si ispira, sia negli inadeguati e vecchi (nel senso di reazionari) personaggi che sono chiamati ad applicarla: direttori di carcere, funzionari del Ministero di Grazia e Giustizia, magistrati, che la gestiscono in maniera restrittiva. Una riforma di tal genere non soddisfa nemmeno un po' le esigenze dei detenuti che sono costretti a riprendere le lotte. La miseria intellettuale della classe dirigente, in questa come in altre occasione, è in realtà la più efficace propaganda a favore di chi da tempo sosteneva la tesi che era inutile sperare e attendere una riforma che desse un po' di respiro ai problemi dei carcerati e che era invece necessario organizzarsi autonomamente e lottare per conquistarsi la libertà e anche condizioni di vita dignitose. Che questa legge di riforma sia ben misera cosa e sopratutto inadeguata, oltre che in contrasto perfino con la Costituzione in alcuni suoi passaggi, è un giudizio che allora espressero anche numerosi giuristi: quelli italiani lo dissero talmente sottovoce che non fu agevole ascoltarli e non se ne accorse nessuno; in altri paesi il giudizio fu molto duro al punto che in numerosi ambienti giuridici europei si disse che l'Italia si era definitivamente conquistata un posto nel "terzo mondo giuridico" (in seguito con l'uso della tortura, con i "processi di regime", con l'istituzione dei carceri speciali e con l'uso spregiudicato della carcerazione preventiva, dei mandati di cattura a "grappolo" l'Italia si collocò tranquillamente nel 4° o 5° mondo sul terreno della giustizia).
Comunque alcuni giuristi cominciarono a pensare da allora ad alcune correzioni della "riforma"; correzioni che non vedranno la luce prima del 1986 sempre a causa di quella timidezza e assenza di coraggio civile che caratterizza il ceto politico italiano (è la legge 10 ottobre 1986 n. 663 che va sotto il nome di "Legge Gozzini", che modifica gli aspetti più assurdi e reazionari della riforma del 75), ma anch’essa non raggiunge gli obiettivi che si era proposta: ignora ancora una volta il contesto sociale e offre troppo spazio all’interpretazione soggettiva. E’ necessario a questo punto riportare, anche se schematicamente, il dibattito che in quegli anni si sviluppava sul problema del "carcere" tra la sinistra rivoluzionaria. C’è da dire che dal ‘68 il problema del carcere e delle altre "istituzioni totali" (manicomi, istituti di correzione, carceri,) era al centro dell’attenzione dei compagni/e. Si era analizzato a fondo lo sviluppo storico di questi strumenti terribilmente coercitivi usati dalle società moderne capitaliste per ridurre alla normalità ogni comportamento trasgressivo e non omologato. Si era tutti d’accordo -più o meno- nel portare una dura lotta contro le "istituzioni totali" nella prospettiva della loro abolizione.
Quello che invece non trovava tutti d’accordo era la valutazione sui soggetti sociali che frequentavano queste "istituzioni totali", in particolare il carcere, ossia il "proletariato detenuto" e quale rapporto politico instaurare con esso. Le posizioni erano diversi-ficate, ma oggi si possono riassumere in due blocchi:
- una che intendeva portare la lotta contro il carcere denunciano i soprusi, le violenze e l’illegalità dell’istituzione carceraria, rivendicando riforme e misure umanizzanti, aprendo il carcere all’esterno e consentendo ai detenuti di avere un rapporto e uno scambio il più vivace possibile con la società esterna; consentire al detenuto di essere un titolare di diritti e di "vivere" il suo periodo di detenzione, ovviamente da abbreviare, in modo tale che non venisse distrutta la propria personalità e la propria identità. L’attività di quest’area era di critica puntuale di ogni progetto di riforma a carattere moderato, si puntava invece su obiettivi molto alti sostenendo le lotte dei detenuti e propagandandole per far si che spezzoni di società sempre più numerosi entrassero in rapporto con il carcere e con i detenuti/e.
- l’altra posizione riconosceva sostanzialmente al "proletariato detenuto" nella sua pratica extralegale, comportamenti antagonisti al regime capitalista e comunque all’attuale stato di cose. Il carcere si riteneva essere lo strumento della borghesia per perpetrare il suo dominio di classe e quindi anche lì dentro può avvenire lo scontro per distruggere il dominio della borghesia imperialista. Gli obiettivi erano dunque di collegare le lotte interne al carcere con quelle esterne nella prospettiva di "portare fuori i proletari detenuti dalle galere"; di liberare tutti !
Entrambe le posizioni e questo lo si può affermare retrospettivamente- hanno contribuito a togliere al carcere quell’atmosfera di "oggetto lontano, sconosciuto e rimosso" che purtroppo oggi è tornata a rappresentarlo, anche tra quei settori della società che, per condizione materiale o per scelta ideale dovrebbe collocarsi molto vicino ai problemi di chi è costretto a vivere senza la propria libertà.
Detto fuori dai denti e senza mezzi termini crediamo che tutti i compagni e le compagne dell’area dei Centri Sociali Occupati Autogestiti e della sinistra antagonista dovrebbero avere nei confronti del carcere un interesse e una sensibilità maggiore di quella che dimostrano di avere; dovrebbero manifestare una gran voglia di conoscere le esperienze più significative che sono avvenute oltre quelle mura e che ancora ne portano i segni; dovrebbero sentire propria la lotta dei detenuti/e che, costretti in condizioni inimmaginabili per chi non ha mai varcato quel cancello, si battono per conquistare una dignità e una libertà che a loro è negata due volte. E’ una sensazione amara questa che esprimiamo, ma è accompagnata dalla speranza di essere smentiti immediatamente e sonoramente.
Col 1977 si ha l'istituzione dei Carceri Speciali; e anche un ingresso sempre più numeroso nelle carceri di compagni provenienti dal movimento e dalle organizzazioni combattenti; e la situazione cambierà ancora come vedremo sul prossimo dossier sui Carceri Speciali e sulla continuazione della lotta alla fine degli anni 70 e primi anni 80).
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