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Made in Italy
by gattobiancogattonero Wednesday, Feb. 25, 2004 at 11:36 PM mail:

effetti collaterali del made in italy

  In Afghanistan si trattava di far passare oleodotti, in Iraq di mettere le mani sui pozzi di petrolio. La spartizione è iniziata prima ancora che la guerra cominciasse. È notizia di pochi mesi fa l'entrata dell'Eni nel consorzio per l'oleodotto Baku-Tiblisi-Cehyan [dal Caspio al Mediterraneo], con una quota del 5 per cento, e diffusi sono gli investimenti e gli interessi Eni in tutta l'Asia centrale.

Pochi giorni prima dell'attentato dirigenti dell' Eni si trovavano a Nassyria per trattare con il  "governatore" americano (Paul Bremer), lo sfuttamento dei giacimenti di petrolio che si trovano proprio in quella zona. L'Rni aveva gia' condotto trattative con il regime di Saddam Hussein.

-La domanda di petrolio nei prossimi anni crescerà a dismisura. Secondo recenti studi del Dipartimento dell'energia del governo statunitense, il consumo di petrolio a livello globale salirà dai 77 milioni di barili al giorno nel 2000 ai 110 milioni nel 2020 con un aumento del 43 per cento. Da qui al 2020 il pianeta consumerà circa 670 miliardi di barili di petrolio equivalenti a circa i due terzi delle riserve mondiali note. Va ricordato che gli investimenti delle grandi imprese soprattutto in aree a rischio sono resi possibili-

 L’Italia  è la terza forza di occupazione dell'Iraq dopo Usa e Gran Bretagna. I sodati italiani non si trovavano casualmente a Nassirya: questa città è situata sopra un deposito petrolifero con una riserva stimata di due miliardi di barili al giorno, già promesso all’italiana Eni. A giugno 2003 la società pubblica di vendita del petrolio dell'Iraq, Somo, ha assegnato la sua prima offerta di greggio dopo la guerra, pari a 10 milioni di barili di scorte, a 6 società petrolifere, tra cui Eni. Oltre alla società italiana, si sono aggiudicate la commessa le spagnole Repsol e Cepsa, la turca Tupras, la francese Total e la statunitense ChevronTexaco. Dei 10 milioni di barili, 4 milioni andranno agli Stati Uniti e 5,5 milioni all'Europa, mentre la parte restante rimarrà per "tolleranza"ha detto Mohammed al-Jibouri, direttore generale di Somo.

La divisione refinery e marketing del gruppo Eni
(18:54 12/6/2003-comunicato stampa ) ha reso noto che si è aggiudicata una parte del petrolio iracheno, nel corso della prima asta dalla fine della guerra, asta condotta dalla società pubblica irachena Somo, al fine di smaltire l’accumulo di stoccaggi dovuto al conflitto. Eni ed altri gruppi petroliferi hanno così vinto la gara per acquisire barili di petrolio rimasti invenduti in Iraq. In particolare, gli operatori del settore sostengono che la società del cane a sei zampe si sia aggiudicata 1 milione di barili.

Ovviamente non solo L'Eni ha interessi in Iraq, la
BNL dall' Iraq deve avere 5000miliardi delle vecchie cosa che raddoppiera' il suo patrimonio. (Affare  Ricostruzione: "In prima linea - trapela dal dipartimento retto dal ministero degli Esteri - dovrebbe attestarsi un gruppo di imprese che sono già raggruppate sotto l'ombrello di una sigla internazionale, Ames". Le sigle italiane sono diverse: dalla Vianini spa del gruppo Caltagirone alla Salini Costruttori spa (entrambe romane), dalla Cogefarimpresit alla Grassetto Costruzioni, dalla Astaldi International (un tempo nelle grazie dell'ex presidente dell'Iri, l'andreottiano Franco Nobili) alla SCI spa, bigdel mattone targato Genova; alle meno 'celebri' Falcione di Campobasso, Vispi Costruzioni di Gubbio, Giza di Reggio Emilia, Inglen di Firenze, Schiavo Estero spa ubicata in via del Viminale a Roma. Non mancano all'appello le imprese partenopee: De Lieto snc, sede in via Cappella Vecchia, Co.ge.it. spa, uffici in via del Chiostro e Fondedile spa, ubicata in via Verdi. "Quest'ultima - c'è chi osserva al ministero retto da Frattini - ha comunque anche un'altra porta d'ingresso, ancora più comoda.Attraverso l'Inghilterra". Vediamo di capirci. Partenopea a tutti gli effetti, la 'storica' Fondedile ha partorito, alcuni decenni fa, non poche filiazioni estere. Ad esempio, la Fondedile Sae a Madrid, la Fondedile Belgium ad Anversa, la Fondedile Foundation a Londra. Nelle ultime due, la società madre ha conservato una quota azionaria del 50 per cento. Poi, esattamente dieci anni fa, il passaggio di Fondedile nell'orbita Icla-Pafi, il tandem che ha spopolato nel dopo terremoto (vedi inchiesta a pagina 10). "Da allora - commentano alcuni all'Associazione costruttori edili napoletani - non si è più saputo se Icla a sua volta ha mantenuto quella metà del capitale sociale". Ma ottimi rapporti di partnership, sicuramente sì.
da la Voce della Campania di Aprile 2003 articolo "Sciacalli S.P.A. di Andrea Cinquegrani)

"Contro «le reazioni faziose e i toni belluini» attribuiti a chi, dopo la strage di Nassiriya, ribadisce che le truppe italiane non avrebbero dovuto essere lì e che dovrebbero immediatamente rientrare, Giuliano Ferrara sosteneva ieri sul Foglio che, fra l'altro, «non siamo in Iraq per il petrolio o per gli appalti...». Ma, sfortunatamente per lui, proprio ieri, Il Sole-24 Ore pubblicava una corrispondenza da New York di Claudio Gatti, nella quale si afferma che colpendo i carabinieri si è voluto mandare, indirettamente, un messaggio all'Eni. «Da tempo l'azienda petrolifera italiana ha gli occhi sui campi petroliferi di Nassiriya. All'Eni quel giacimento da 300mila barili al giorno e con riserve tra i 2 e i 2,6 miliardi di barili interessa dai tempi del regime di Saddam». E a giugno i dirigenti dell'Eni sono andati a Baghdad per definire i dettagli dell'operazione con l'amministrazione provvisoria Usa-irachena. «Per i nemici della pacificazione dell'Iraq, riuscire a tener fuori dal paese tecnici e aziende straniere è addirittura più importante che cacciare le truppe occupanti», sostiene un ex-funzionario della Cia. Conclusione: «Ecco quindi l'interesse degli attentatori a trasformare Nassiriya in un inferno in cui sarebbe troppo rischioso avventurarsi»."
(da FERRARA, LA GUERRA E IL PETROLIO)
 http://www.liberazione.it/

Le ditte italiane sono entrate"ufficialmente" nel meccanismo delle gare per gli appalti il 13 gennaio 2003, in coincidenza con la visita al contingente italiano  (nda.link da vomito, ma esplicativo)di stanza a Nassiriya del governatore Bremer.

Vittorio Mincato direttore generale della "divisione Eni"...
ammette senza imbarazzo l'interesse del maggiore e unico gruppo energetico italiano verso la zona di Nassiriyah.


"In che modo l'Eni entrerà in Iraq?
A suo tempo abbiamo siglato un contratto con il governo iracheno che riguardava la zona di Nassiriyah, dove operano i soldati italiani.

Non saranno stati spediti a Nassiriyah proprio per proteggere l'Eni?
Glielo assicuro: è casuale. Comunque i nostri tecnici stanno monitorando con molta attenzione quel che accade a Baghdad. Sicuramente il nuovo governo iracheno aprirà alle compagnie occidentali per sviluppare le enormi riserve di quel paese. È un'occasione d'oro anche per noi."(da un intervista a panorama del  28/10/2003
-il controllo del capitale dell'ENI(33%) e' nelle mani dello Stato che appoggia Bush per i "subappalti" della ricostruzione, per l'affare petrolio.







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