Messico - Testo di Mario Lopez per la Giornate Anticarcerarie
Riceviamo e diffondiamo il testo scritto dal compagno Mario López nell'ambito delle Giornate Anticarcerarie in Messico del 17 e 18 agosto.
Il silenzio e la presa di distanza ampiamente messa in atto dal potere, non fanno altro che far crescere lo spessore dei muri della prigione dove sono chius@. Distinto è il cammino della complicità, cammino che parte da quelli che vogliono far saltare in aria queste mura.
“La soluzione di un problema”
Proprio adesso che mi trovo dietro queste mura e sono ancora nell'infermeria del Reclusorio Sur di Città del Messico attendendo il mio parziale recupero, guardo attraverso le sbarre della finestra e la mia vista sbatte sulle due grandi muraglie con filo spinato, protette dalla torre di vigilanza, la quale marca una stretta divisione tra una prigione e l'altra, tra il carcere ed il suo terrore, la città e la sua chiusura. Due mondi paralleli, di un solo colore, due società con un unico fine: il controllo. Stando qua, do ragione a Xosé Tarrío e Marcelo Villaroel, e affermo che tanto l'analisi quanto la critica contro le prigioni debbano partire da un punto di vista politico e delle idee, però anche – e molto importante- dall'esperienza personale, dalla prospettiva di chi le vive e le attraversa.
Le prigioni sono centri di auto-sterminio, a volte un tutti contro tutti, un posto dove si lotta per sopravvivere, dove più che imparare il rispetto, si inculca la paura, pero ho e dobbiamo avere chiaro, che questo auto-sterminio è propiziato direttamente dallo Stato-Capitale che per mezzo del terrore, la paura, la corruzione, la sovrappopolazione, la droghe, la negligenza medica etc., mettono l'individuo in una condizione di stress, confusione, depressioni euforiche e nervosismi, vale a dire un ambiente di pressione che fanno di questo posto un vero e permanente campo di guerra.
Ovviamente sto parlando della prigione che mi è toccata. Nonostante ciò, mi allegro dell'esistenza di una minima solidarietà e “compagnerismo” fra prigionieri, nonostante la regola base: “Nel carcere ognuno cammina solo e fa attenzione a sé e solo sé stesso”.
Il carcere è un chiaro riflesso del mondo esterno, di una società che marcisce e si decompone, affondando nelle contraddizioni stesse del sistema.
Il “modulo” è lo spazio carcerario dentro il carcere, cioè una prigione dentro la prigione. Una struttura di controllo sociale, però che, a differenza di alcune prigioni o moduli di massima sicurezza, qua forse il castigo è sopravvivere nelle più pessime e vili condizioni di vita. Il modulo è il peggior castigo per i prigionieri problematici o per quelli che protestano per qualcosa. I colpi delle guardie, il terrore psicologico sono, assieme al modulo, i principali metodi di controllo. Una mostra del potere che hanno questi codardi in divisa e manganello.
Il carcere dove mi trovo, è per alcuni versi diverso di quello che hanno patito altr@ compagn@: i moduli di isolamento permanente, la carceri di massima sicurezza, los FIES, furono creati in modo strategico e con freddo calcolo per debilitare fisicamente e psicologicamente l'individuo della sua capacità di reagire, creare, criticare, pensare e infine fare di lui un fantasma vivente e dipendente dal sistema, senza autonomia, senza capacità di decisione libera e cosciente. Le pareti bianche, senza luce solare, senza attività ricreative, senza sport, con vigilanza le 24h, vogliono schiacciare lo spirito guerriero dei “ribelli sociali” che non accettano e si ribellano senza troppe analisi accademiche, senza troppo politichese. Allo stesso tempo sono fatte per annichilare la convinzione e la lotta dei nostri affini e prigionieri politici. Questa carcere è un chiaro riflesso della società mercantile, dei suoi errori, i suoi vizi sociali, la sua ipocrisia e lo spettacolo, la chiara differenza è che qui tutto si vive più intensamente: le coltellate, le bruciature, i colpi sono all'ordine del giorno, tutto a causa della riduzione dello spazio vitale al minimo.
Però qua non tutto è mera sottomissione, incontro anche fratelli che mantengono una mentalità aperta e critica, con una palese e visibile tensione di rompere con l'apparente “ordine esistente” e concentrarsi in una lotta, perlomeno per “migliorare le loro condizioni di vita”, essendo compagni non troppo politicizzati ma con l'intenzione di radicalizzare il loro pensiero; la loro lotta è valorosa, da non sottovalutare, perché chi ci passa (in carcere) sa bene il perché delle loro rivendicazioni. Senza dubbio non perdiamo la nostra linea, io mantengo un altra visone rispetto la lotta alle prigioni, più che abolizioniste, le mie prospettive e i miei atti si concentrano sulla distruzione totale delle prigioni come strutture fisiche e mentali di controllo.
Qui non si intravede da nessuna parte la celebre e presunta “riabilitazione sociale” o “il reinserimento sociale”, tutto si converta in una farsa da circo, in un gioco di potere, al quale contribuiscono psicologi, criminologi e sociologi. Questo è un assunto che conosce tutta la popolazione reclusa: “Il carcere è la migliore scuola del crimine”. Su questo punto, come anarchico, questa proposta di riabilitazione non significa niente di positivo, ma semplicemente sarebbe -o è- un intento di reinserire tutti i dissidenti nella comunità del capitale e che di una forma o l'altra, contribuiscano al perfetto funzionamento della mega macchina. Questa è l'unica riabilitazione positiva per lo Stato-capitale.
Prima di finire questo breve testo, mi piacerebbe fare una chiarificazione che ritengo necessaria. In queste righe mi concento solamente sul sistema carcerario ma quando parlo di carcere intendo anche qualsiasi tipo di prigionia mentale e fisica: la prigionia e tortura sugli animali, come i circhi, zoo o laboratori di vivisezione; le condizioni di sovrappopolamento che, in favore del benessere e progresso, l'umano impone sulla natura: il castigo che si impone nella scuola; la tortura degli psichiatri o lo “sposo” che rinchiude e priva della libertà i e le figlie, così come la compagna; fino al sequestro per motivi politici o comuni, etc.. tutte sono ugualmente situazioni di prigionia, relazioni sociali che devono essere distrutte.
Questa breve esperienza e quello che mi manca da vivere, mi conferma che dobbiamo affilare le nostre armi migliori e concentrarci su una lotte più concreta e diretta contro il sistema penitenziario. Dobbiamo aprire le nostre proposte ad altri campi, altre lotte ed incrementare le attività anticarcerarie- come questa a cui sto scrivendo-. Perché abbiamo l'assoluta necessità di propagare un'idea che si concentri sulla distruzione di questa e qualsiasi società-carcere.
Né riforme né abolizionismo. Affiliamo le nostre armi, la nostra critica, e la nostra analisi, abbandonando le posizioni deboli e di attesa, eliminando dalle nostre contese il falso discorso su colpevolezza e innocenza, discorso del sistema giuridico della stato che solo contribuisce ad incrementare l'aumento e la criminalizzazione dei e delle compagn@ prigionier@ a causa delle loro idee contro il potere. Una lotte anticarceraria che mantenga un incidenza sul sociale, una irruzione nella realtà vera e non fittizia, una lotta anticarceraria con una progettualità che poggi sulle basi e non una semplice attività che si limiti a confermare la nostra teoria; una lotta dentro la lotta contro tutto e per la libertà totale.
Compagn@, infine approfitto di questo spazio per mandare la mia solidarietà rivoluzionaria -anche se è solo a parole- ai ed alle compagne anarchiche prigionier@ in Italia, Grecia, Spagna, Bolivia e Indonesia, ai compagn@ in fuga in Chile, Diego Ríos y Mono. Un forte abbraccio a Gabriel Pombo da Silva e Marcos Camenish. Solidarietà a tutt@ gli e le acrate prigionier@ del mondo, i cui nomi non ricordo in questo momento, che comunque sono presenti nella lotta. Solidarietà a mia sorella e affine Felicity Ryder, che dalla fuga si mantiene faccia a faccia col nemico.
Compagn@: a me manca un cammino da percorrere e a tutt@ una lotta da seguire.
Per la libertà, per l'anarchia
¡Abbasso i muri delle prigioni!
Con ogni mezzo necessario.. Senza sigle né dirigenti
¡Guerra sociale su tutti i fronti!
PS: La lotta contra le carceri, è parte di una lotta contro tutto, è solo un campo di battaglia contro il potere, senza lasciare da parte tutto il resto. La libertà totale.
Molte grazie per lo spazio e la solidarietà
Mario Antonio López, anarchico prigioniero del GDF, Reclusorio Sur, Città del Messico, 9 agosto del 2012.
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