IL PETARDO DELL’ADUNATA

- APPUNTI PER UN DOCUMENTO POLITICO DI UNA FORZA D’AVANGUARDIA -

Roma, 9 ottobre 2011 | vers. 1.0

FASE 1: SUGLI OBIETTIVI

Il testo che segue ha un obiettivo immediato: unire e coordinare le forze di Area attraverso un lavoro comune. Esso si pone come terreno dialettico, fisico ed ideale su cui costruire una nuova esperienza di lotta.

I tempi non accettano proroghe, ripensamenti od esitazioni. Quanto fatto finora, a tratti lodevole, non è risultato sufficiente. I recenti avvenimenti nazionali/internazionali, valgano a titolo d’esempio gli ultimissimi crack borsistico-finanziari  e le “rivolte dei pezzenti” londinesi -solo per accennare allo zenith e al nadir della filiera di produzione capitalista- pongono, in forma sempre più pressante, la necessità di costruire un Fronte in grado di dare consistenza, sostanza e spessore alle lotte.

Occorre lasciare il segno, essere incisivi nelle vertenze, possedere la capacità di mobilitare attivamente i nostri soggetti sociali di riferimento, avere il polso della situazione. È necessario che il lavoro di agitazione e propaganda venga svolto al meglio, verificando gli obiettivi raggiunti. Per farlo, è condizione indispensabile rafforzare la presenza nei territori, partecipare, dare voce, porsi alla testa delle istanze di incompatibilità col Sistema vigente che da quegli stessi territori emergono -spesso senza una caratura politica definita- e, per giunta, con  sempre accresciuta veemenza.

Questi sono solo alcuni dei traguardi che da qualche anno le forze d’Area si erano prefisse, operando separatamente, prive di un retroterra certo, “campando alla giornata”, cercando di rimanere a galla nel difficile tentativo di ritagliarsi il proprio spazio di agibilità all’interno -ma su posizioni distinte- di ciò che resta del movimento antagonista.

Per quanto quest’ultimo scopo possa, in parte, dirsi raggiunto, gli altri sono tutt’ora lontani dall’essere venuti. Non è difficile individuare le cause di questo fallimento complessivo: innanzitutto la mancanza di un’organizzazione, efficiente, funzionale, ben oliata.

Un’organizzazione che sia al suo interno ben compartimentata: con ruoli e compiti definiti, livelli, responsabilità, mansioni, disciplina, organi esecutivi funzionanti, garantisce verso l’esterno la precondizione per essere incisivi. Tuttavia, da sola, l’efficienza tecnica non basta: occorre infatti che quella stessa organizzazione abbia un’anima, uno slancio vitale. Senza di questo, avremmo un’arma funzionante e di perfetta fabbricazione senza, però, possedere le munizioni necessarie per renderla effettivamente operativa.

L’organizzazione da sola, quindi, non è sufficiente. Occorre anche che essa abbia ben chiara la sua ragione di essere. Quali sono i suoi fini nel medio-breve periodo? Tralasciando, cioè, i fini rivoluzionari e anti-sistemci tipici di ogni formazione antagonista, in concreto, che cosa essa si propone di fare? Attraverso quali strade si propone di ottenere i traguardi prefissati? Quali segmenti sociali si impegna ad attivare per ottenere quei traguardi? Come si pone nei confronti dell’esistente? E, nello specifico della “politica”, quali sono le sue posizioni? Qual’è, dunque, il suo campo d’azione?

Si tratta di questioni che un’organizzazione ambiziosa non può permettersi di eludere. Se i gruppi di Area ambiscono ad essere tra coloro che raccoglieranno il testimone di quella lotta secolare che per decenni ha visto le formazioni d’Avanguardia combattere una lunga, drammatica e sfibrante lotta contro le forze soverchianti del capitalismo organizzato, allora non possono esimersi dall’analisi e dal giudizio su ciò che li circonda, su quello che è stato, è e sarà.

Negli scorsi due anni le forze d’Area hanno mostrato di essere capaci di guadagnarsi il loro piccolo campo d’azione, all’interno dell’arcipelago dell’antagonismo romano, attraverso la ridefinizione di un modello di estetica militante e di immaginario -modello alternativo a quello imperante nell’insieme di provenienza- ma hanno mancato, come già accennato e per diversi ordini di ragioni, l’obiettivo fondante del loro stesso agire: mobilitare attivamente la figura sociale di naturale riferimento: quella del giovane marginale. Figura che, a partire dall’ultimo quindicennio, non solo non ha trovato, come prevedibile, interlocutore alcuno nella politica tradizionale ma, per gran parte, è rimasta estranea anche all’attivismo dei CSOA o, addirittura, al più recente movimentismo fascista.

Nello specifico dei gruppi d’Area, acerbità politica, deficit organizzativi e limiti strutturali -legati alla loro ostentata natura “sottoculturale”- hanno ostacolato lo svilupparsi di sinergie positive capaci di trasbordare dalle tradizionali nicchie di reclutamento, ormai stagnanti, offerte da ciò che già preesisteva e che, oggi, non risulta più sufficiente.

Per superare lo stallo, sarebbe stato necessario ridisegnare strategicamente  e dialetticamente la nuova figura sociale di riferimento e, conseguentemente, approntare metodi di azione e strumenti d’intervento, vincere la battaglia della propaganda.

In concreto, gli avvenimenti dell’ultimo semestre mostrano dove alberghi il maggior potenziale antisistemico: nella figura sociale del giovane marginale, di cui appare sempre più insopportabile la condizione di precarietà assoluta, nella vita lavorativa, in quella sociale, e di riflesso perfino in quella personale. Le forze d’Area, tuttavia, dovrebbero convenire sull’inopportunità di mobilitare attivamente il giovane marginale attraverso il solo richiamo alla lotta contro la precarietà sul posto di lavoro. Ciò, infatti, significherebbe presumere di poter attivare il giovane marginale appellandosi ad esso come si sarebbe fatto con l’operaio di 30 anni fa. Ma il giovane marginale/precario non è l’operaio novecentesco, non  trova alcun punto d’onore nel rivendicare maggiore dignità per la sua degradante ed effimera condizione di lavoro. Farlo, indicherebbe il guardare ancora alla lotta di classe attraverso la lente novecentesca, oggi deformata, del conflitto sul posto di lavoro. Ciò spiega i sostanziali fallimenti degli “scioperi precari” e di quei tentativi di mobilitare i giovani marginali attraverso il tema della conflittualità sul luogo di lavoro seppur declinata in modalità aggiornate.

Le nuove dinamiche di mobilitazione attiva e lotta di classe, diversamente, si palesano -seppur con materia politica informe ed indefinita- attraverso il dato anagrafico e il criterio territoriale e, in tal senso, le rivolte internazionali dell’ultimo semestre ci forniscono prova empirica.

Compito delle forze d’Area, quindi, deve essere quello di misurarsi virtuosamente con le nuove componenti di potenziale insorgenza attraverso un’azione territoriale che innesti qualità politica sulla sfera emotiva dell’insoddisfazione ambientale preesistente. Ciò, però, non potrà accadere se i gruppi d’Area resteranno vecchi nella forma, nella propaganda, negli slogan, nell’età anagrafica dei loro quadri. Se essi verranno meno al ruolo di agitazione e propaganda nei quartieri preferendo rinchiudersi in più rassicuranti e meno impegnativi mondi a parte.

Mobilitare la figura sociale di riferimento in un campo d’azione preciso quindi, e quest’ultimo non può che essere quello dei bisogni sociali negati da un’ingiusta condizione di precarietà totale. Se al giovane marginale più che ad ogni altro soggetto sociale -per il quale intervengono meccanismi di welfare diversi tra loro, formali e non- è preclusa, innanzitutto, la strada dell’autonomia, restando, di fatto, alla mercé delle più svariate autorità, occorre intervenire a partire dal problema originario: quello della casa. Occupare stabili sovvertendo i tradizionali canali selettivi degli occupanti stessi, creando dunque basi operative per un’azione comune di porzioni -progressivamente più consistenti- di gioventù marginale.

Il Fronte delle occupazioni non può essere il fine ma il punto di partenza di questa strategia di mobilitazione: sull’esperienza di vita e relazioni comuni devono innestarsi precisi criteri di militanza e attivismo -mutuati dall’idea di organizzazione forte- che caratterizzino l’esperienza come presidio di contropotere territoriale, con l’intervento sistematico, su basi autonome, nelle vertenze di zona e quartiere.

Una campagna, attraverso la lotta, per la conquista dei bisogni sociali, indotti e non, negati dal mondo ufficiale ai giovani marginali costituirà la base dell’agire futuro delle forze d’Area che, proprio attraverso quest’azione fattiva e concreta, cercheranno di mobilitare attivamente questa figura sociale fin’ora incompresa.

La campagna di mobilitazione -in termini allargati- nel breve-medio periodo potrà dispiegarsi attraverso l’apertura di diversi fronti, alcuni campi tematici di possibile intervento:

Carovita.
Cultura e saperi negati.
Vivibilità dei territori.
Supporto legale.

Rispetto al punto primo, ad esempio, occorrerà potenziare e rendere capillare il sistema di distribuzione di generi alimentari di prima necessità a prezzo calmierato, passando dall’esempio virtuoso -ma solitario- di quartiere ad una rete organizzata sovraterritoriale.

Punto secondo, dare sostegno logistico alle lotte degli studenti medi sul territorio. Appoggiare attivamente le loro battaglie contro la chiusura di quegli istituti, nei quartieri, minacciati dalla tagliola del ridimensionamento della scuola pubblica. Esortare all’azione spettacolare -anche attraverso l’esempio- contro il carovita nel settore.

Rispetto al terzo punto, aprire vertenze su un problema di prossima, imminente esplosione cittadina: lo smaltimento dei rifiuti. Operare, sul territorio e quotidianamente, per un loro giusto e virtuoso riciclo dando il buon esempio coi fatti.

Al quarto, riattivare gli sportelli di soccorso e supporto legale gratuito.

Questi, solo alcuni degli infiniti esempi per cadenzare e rendere operativa, nell’azione quotidiana, la strategia di radicamento ed attivazione territoriale.

FASE 2: SULL’ANALISI

Se mai ne fosse occorsa ennesima e palese riprova, quanto accaduto recentemente nei mercati della speculazione borsistica ci ha mostrato come il sistema economico imperante nel libero occidente si fondi  su poco puliti intrecci tra capitali finanziari, bancari e industriali. Mentre per un’intera settimana si bruciavano i risparmi dei lavoratori italiani in virtù delle esoteriche alchimie di funzionamento delle borse mondiali e la BCE invocava manovre di lacrime e sangue per gli Stati europei a rischio, in primis l’Italia, appariva sempre più evidente come il ruolo delle nazioni, in una simile cornice, fosse ormai quello di comprimario rispetto all’economia pura ed ai suoi organismi sovranazionali. L’esempio italiano nell’UE è illuminante: l’unificazione economica ha significato -solo per fare alcuni tra gli innumerevoli esempi- la fine dell’economia mista, la privatizzazione malata delle imprese pubbliche, le liberalizzazioni che hanno comportato, tra l’altro, costi sociali insostenibili come il termine dell’equo canone sugli affitti, la cessazione del controllo sui prezzi degli alimenti, le riforme del mercato del lavoro con l’introduzione della precarietà di massa, vera e propria piaga sociale per la gioventù del nuovo millennio.

Al tempo del cosiddetto neoliberismo, cioè da un ventennio tondo tondo, tutto ciò dalla politica ufficiale -di destra e di sinistra- ci è stato presentato non solo come inevitabile ma addirittura auspicabile. Tuttavia, ora come non mai, la barca sembra fare acqua da tutte le parti.

Il modello a stelle e strisce, che ha permeato di sé la vita economica, politica e sociale d’Europa, oggi chiede l’ennesimo e definitivo tributo di sangue ai governanti subalterni del vecchio continente con la cancellazione di quanto rimasto in piedi del vecchio Stato Sociale.

In questo schema il caso Italia risulta particolare. In essa non solo hanno trionfato i miti e gli status sociali d’esportazione: consumismo, società mediatica, edonismo, economia del superfluo. L’atomizzazione della società ha comportato la perdita di autocoscienza per la classe lavoratrice di fattura novecentesca con l’affermarsi, nella politica istituzionale, del modello che vede due partiti, o coalizioni, disputarsi i voti della categoria socialmente neutra dei consumatori. Le strategie politiche adottate non sembrano essere dissimili in quanto entrambi appaiono per ciò che effettivamente sono: i principali difensori del sistema economico vigente.

Questa ventennale dinamica di sistematica e progressiva privazione di sovranità  a scapito dei popoli, che ha investito l’intera Europa, nel caso specifico del nostro paese, non ha fatto altro che innestarsi su una già ben consolidata  tradizione di servaggio e sovranità limitata. Qui, infatti, in questo particolare nodo geopolitico mai sciolto, risiede l’unicità del caso italiano. Ben prima del trionfo del modello unipolare statunitense nel vecchio continente e dell’affermarsi del paradigma neoliberista ad esso legato, la sovranità popolare del nostro paese risultava violata dalla presenza di oltre 100 basi militari statunitensi. La subalternità, nella politica estera, alle  guerre imperialiste statunitensi -dal primo Iraq, passando per la Jugoslavia, fino alla recente “crociata umanitaria” in Libia- non poteva che esserne diretta conseguenza.

L’Italia è un paese a sovranità limitata: liquidazione dell’asset strategico nell’industria; privatizzazioni selvagge; cancellazione dello Stato Sociale; una moneta unica, l’Euro, simbolo nefasto di impoverimento di massa. Tutta l’agenda politico-economica del nostro paese appare dettata da inafferrabili organizzazioni transnazionali di banchieri e speculatori, esenti sul territorio da qualsivoglia forma di controllo politico e sociale.

Il mantra dell’indebitamento, agitato di recente dalla BCE a partire dall’arena borsistica, per il nostro paese, serve ad esigere una completa genuflessione ai sopracitati dettami neoliberisti, pena lo psico-dramma sociale dell’insolvenza e della “sindrome greca”.

Queste basilari considerazioni ed analisi d’insieme dovranno costituire il punto di partenza per un approfondito lavoro di scomposizione ed esame degli effetti nefasti prodottosi complessivamente nella società con l’edificazione dell’Europa delle banche e del capitale. Insiemi d’analisi privilegiati possono essere quelli derivanti dalla precarietà, dal sacco ambientale dei territori e dalla privatizzazione dei beni naturali comuni. Tenendo bene a mente che per le forze d’Area lo studio deve presagire all’azione, il fatto che oggi il fronte più avanzato della conflittualità politico-sociale  nel nostro paese veda quali protagoniste estremamente virtuose le popolazioni della Val di Susa, impegnate nella difesa del territorio e dei beni naturali comuni dalla longa manus della speculazione internazionale, non può lasciarci indifferenti. Esempio quotidiano, radicamento, territorialità: non chiacchiere d’accademia, dunque.

Se l’Europa dell’ultimo ventennio e l’ombra che su essa ha gettato lo scricchiolante gigante unipolare a stelle e strisce costituiscono un terreno d’analisi e formulazione di giudizio, tutto ciò che si è manifestato, nello stesso periodo ma al di fuori, se non  contro, del dettame imperialista appare come meritevole di studio ed indagine nonché di analisi comparativa. In questo senso, anche le passate esperienze dei “socialismi reali” richiedono accurata riflessione. La cesura e la critica negativa di quegli esperimenti, mosse dall’odierno socialismo occidentale, a partire dal punto di vista dello schieramento una volta nemico, quello capitalista, non risultano accettabili. Esse sono state, infatti, prodotte attraverso l’assunzione opportunistica dei  falsi feticci  morali della non-violenza, del pacifismo, della libertà economica e della democrazia formale. Vale a dire di quelle cortine fumogene sapientemente utilizzate, attraverso la manipolazione dei sistemi d’informazione, per giustificare le odierne guerre imperialiste -note ai più come missioni di pace- dove si bombardano impunemente popoli non allineati  e si fa strage di civili in spregio ai valori della pace, della democrazia reale e della libertà. La complicità della sinistra italiana -fino a suoi settori pretesi radicali e libertari- nella guerra di Libia non può essere dimenticata. Così come non andrebbero scordate le guerre fratricide nel cuore d’Europa, le ondate xenofobe, le crescenti povertà manifestatisi subito dopo il crollo dell’URSS. Nessuna nostalgia ma gli economisti e i politologi al soldo di Washington ci avevano, di contro, predetto ben altro: un mondo perfetto. Critiche giuste agli imperfetti sistemi passati del “socialismo reale”, da parte antagonista, non possono essere quelle mosse a partire dal punto di vista del nemico.

FASE 3: SULL’ORGANIZZAZIONE

Sull’organizzazione, per un suo attivo futuro dispiegamento, occorre innanzitutto vi sia estrema chiarezza, a partire dalle linee guida che operano da stimolo e costituiscono le basi per la sua stessa costituzione:

L’organizzazione si riconosce nei principi della triade: Unità-Disciplina-Azione e si propone di operare conseguentemente.

Ogni membro dell’organizzazione, qualsiasi sia il ruolo ricoperto, deve operare secondo i principi guida della triade perché il suo interesse personale non può che subordinarsi a quello dell’organizzazione stessa.

Di fronte alla società (comunità di riferimento) ogni membro dell’organizzazione è responsabile per l’organizzazione stessa. Ciascuno, quindi, deve dar prova di aver ben compreso i principi politici generali che animano l’organizzazione nonché quelli che determinano un suo efficace funzionamento nei fatti. Quale che siano contesti e referenti, nella parola come nell’azione, nessun membro deve risultare deliberatamente impreparato.

L’organizzazione combatte contro mediocrità, ignoranza, apatia ed approssimazione. Promuove, quindi, l’elevazione di ciascun membro attraverso la cultura dell’intelletto e del fisico. Prerequisito di ogni futura militanza, sta nella consapevolezza del singolo di voler intraprendere simile percorso.

L’organizzazione fornirà al militante corsi di approfondimento politico e seminari. Dovere del militante è quello di partecipare attivamente. Ogni assenza deve essere giustificata. Assenze reiterate e immotivate saranno sanzionate.

Dovere del militante è leggere quotidianamente, informarsi degli avvenimenti attraverso una lettura comparata tra fonti indipendenti e quelle del nemico. Formulare, conseguentemente, proprie opinioni ed esporle in assemblea. Esercitarsi periodicamente alla scrittura trascrivendo propri pensieri in forma compiuta. Confrontarsi dialetticamente coi suoi compagni ma anche con l’esterno per imparare ad articolare, difendere e divulgare al meglio le posizioni sostenute e comprendere, scomporre ed analizzare criticamente il punto di vista altrui.

Comportamenti ed atteggiamenti personali, causa di danneggiamento per il nome dell’organizzazione, verranno -a seconda della gravità- prima sanzionati poi puniti. Qualora, mancando necessaria autocritica, il soggetto perseverasse la punizione si trasformerà in espulsione.

Ammonizioni, punizioni ed espulsioni saranno valutate e comminate da apposita commissione  su segnalazione degli organi assembleari.

Vigliaccheria nell’azione, interessi personali anteposti  -nelle attività organizzative- a quelli del gruppo, per edonismo, tornaconto economico o gloria propria, costituiscono motivi di grave compromissione per il nome dell’organizzazione e saranno puniti.

L’utilizzo di alcool o droghe nel corso delle attività organizzative costituisce altrettanto motivo di disonore.  Presenziare ubriachi ad un’iniziativa politica, sfilare barcollando in un corteo, comportarsi sopra le righe in occasioni formali rappresentano modi di fare che l’organizzazione avversa e quindi sanziona -se reiterati- con l’espulsione.

Unità – Disciplina – Azione

Unità e disciplina costituiscono le qualità necessarie affinché vi sia azione fattiva e non chiacchiere da bar.

L’unità si ottiene e preserva attraverso il centralismo democratico.

La disciplina si ottiene e preserva attraverso la fedeltà alla linea organizzativa.

L’organizzazione riuscirà a fare il proprio dovere solo se sarà così organizzata, se al suo interno regna una disciplina ferrea, simile a quella militare.

Il militante che abbia volontariamente scelto di aderire all’organizzazione si troverà così, una volta accettata la sua domanda e finito il suo periodo di prova, ad essere un soldato politico.

Tutti i membri, nessuno escluso, devono considerarsi tra loro come fratelli, uniti dalla lotta per una causa comune, sottoposti agli stessi doveri e tenuti al massimo rispetto reciproco.

Affinché la disciplina sia volontaria, sentita e consapevolmente accettata è necessario che intorno agli organi esecutivi regni la più completa fiducia e stima di tutti.

Il Direttorio centrale, quindi, cui competeranno vasti poteri esecutivi e decisionali, sarà eletto dall’assemblea generale dei membri. La sua azione verrà sottoposta a verifica trimestrale ed ogni 6 mesi si terranno votazioni per un suo rinnovo. Dovrà essere garantito un continuo ricambio di ruoli e responsabilità. Su segnalazione di gravi negligenze, il Direttorio è passibile di revoca -in qualsiasi momento- ma solo dopo che una riunione ad hoc dell’assemblea generale dei membri si sia espressa, a maggioranza, in tal senso.

Il Direttorio, inoltre, non si impegnerà solamente a tutelare l’integrità della disciplina  ma cercherà di mobilitare continuamente la base e tutti i militanti chiamandoli ad una partecipazione attiva nel processo decisionale. Su ogni questione importante, farà circolare -attraverso assemblee ad hoc- sue proposte che verranno discusse dai militanti. Le posizioni emerse dalle assemblee verranno tenute in considerazione dal Direttorio per arrivare alla definizione compiuta di linea e posizioni tattico/strategiche.

Nell’edificazione della linea, l’organizzazione adotta il criterio del centralismo democratico, cioè il solo che garantisca libertà di parola ed unità d’azione. E’ possibile ed auspicabile discutere su tutto ma una volta che, attraverso votazione a maggioranza, sia stata scelta una linea, proprio in quel momento, quella e solo quella diviene la linea dell’organizzazione verso l’esterno. Per occhi esterni la linea è una e non esistono più maggioranze e minoranze.

Chiunque, attraverso il suo agire personale, finisca per rappresentare una falla nello schema delineato sopra, criticando innanzi a terzi la linea dell’organizzazione, o addirittura operando contro di essa verrà immediatamente radiato.

Ogni membro deve ricordare che è tenuto, sopra ogni cosa, a tutelare l’onore proprio e dell’organizzazione attraverso la fedeltà incondizionata alla linea da essa tracciata.

Campi d’Intervento e Territori d’Azione:

Nell’attività territoriale quotidiana, ogni sezione opererà mutuando lo schema di funzionamento generale sopra indicato.

Qualora una cellula territoriale consista di numeri particolarmente esigui, al posto di un direttorio locale i militanti nomineranno un responsabile, loro rappresentante esecutivo verso l’organizzazione.

Responsabili e Direttorii locali costituiranno la cinghia di trasmissione delle elaborazioni del Direttorio centrale alla base.

Ciò significa che, a cadenza regolare, per la linea, la tattica e la strategia si terranno riunioni ad hoc tra Direttorii.

La dinamica della doppia sinergia (coinvolgimento della base -a tutti i livelli- nel processo decisionale) deve essere costantemente perseguita con particolare lungimiranza perché autoritarismo, verticismo e rendita di posizione costituiscono l’essenza stessa della dominazione sociale che l’organizzazione fieramente combatte.

Per il lavoro politico sul territorio, i Direttorii locali costituiranno commissioni di lavoro individuando specifici settori d’intervento, dunque coinvolgendo attivamente i militanti e tenendo conto delle loro particolari inclinazioni e capacità.

Il lavoro delle commissioni sarà oggetto di verifica, critica e dibattito assembleare. Compito dei Direttorii locali sarà quello di vigilare in corso d’opera ed inoltrare, con cadenza regolare e sotto forma di relazione articolata, il lavoro delle commissioni al Direttorio centrale.

Qualora il lavoro delle commissioni risultasse discontinuo (senza valida giustificazione), gli impegni presi venissero disattesi e/o gli organi esecutivi locali inadempienti ai loro compiti, occorrerà che il Direttorio centrale intervenga per sanzionare.

Reclutamento:

L’organizzazione non ha bisogno di numeri ma di qualità.

Essa non fa tessere, non riceve contributi dallo Stato, non intrattiene relazioni di sudditanza con la politica ufficiale.

L’organizzazione svolge la sua attività per strada, spesso in situazioni limite e difficili.

Essa ha, dunque, bisogno di militanti temprati psicologicamente e fisicamente (o che siano realmente disposti a diventarlo) soldati della causa.

L’organizzazione non è un parcheggio temporaneo per gente in cerca di effimere emozioni forti, non è uno sfiatatoio per parolai e polemizzatori d’assemblea, vari ed eventuali.

Essa promuove il concetto di militanza come impegno e sacrificio quotidiano e continuo.

Tutto, nell’organizzazione, si fonda sull’impegno e la volontà: quindi, chi ne apprezza stile e contenuti ma in coscienza sua sa già di non poterne o volerne sostenere peso e ritmi, farà bene a riconoscere di poterle essere più utile come simpatizzante che non militante.

Attacchinaggi, picchetti, manifestazioni ed azioni sono un obbligo per ciascun militante. In questo senso, chi detiene responsabilità organizzative deve dare il buon esempio.

Per ciascun nuovo militante devono garantire due vecchi. Il neofita sarà sottoposto ad un periodo di prova in cui verranno testate le sue qualità nell’azione politica. Egli potrà assistere alle assemblee di sezione come auditore, ai corsi politici di formazione ed essere coinvolto nelle azioni che gli organi esecutivi locali riterranno per lui più opportune.

Concluso questo frangente (fatte le debite valutazioni da parte degli organi esecutivi locali e trasmesse al Direttorio centrale), se il responso dell’assemblea sarà positivo, il richiedente diverrà un membro effettivo.

Decalogo Sulla Militanza:

-Ricordati di seguire sempre la linea dell’organizzazione.

-Rispetta il tuo quartiere e la tua comunità e ricordati di agire sempre nel loro interesse.

-Premessa per un azione efficace e continuativa è una solida teoria: leggi, documentati, tieniti sempre informato con spirito e coscienza critica. Non si può essere rivoluzionari nei fatti senza teoria rivoluzionaria.

-Conosci ciò che pensa il tuo nemico e raccogli informazioni utili per combatterlo.

-La rivoluzione è un esercizio quotidiano, fai ogni giorno qualcosa per costruirla.

-Non tradire mai i tuoi compagni e l’organizzazione. L’onore è prima di tutto.

-Adotta uno stile di vita sobrio, evita i sensazionalismi, misura sempre le tue parole, non vantarti in giro delle azioni.

-La cultura del fisico è importante almeno quanto quella della mente: allena il tuo corpo quotidianamente tramite un lavoro aerobico, anaerobico e di difesa personale. Più impari più sarai preparato nel momento del bisogno.

-Limita l’uso di sostanze nocive: tabacco, droghe, alcool e cibi deleteri.

-Fai sempre il possibile per non essere arrestato ma preparati psicologicamente all’eventualità che ciò accada.

Sulla Propaganda:

Forme e formule della propaganda, nel dispiegamento della strategia organizzativa, rappresentano un elemento fondamentale. Il criterio propagandistico va, quindi, perseguito secondo uno schema solido, definito, totale.

Nulla può essere lasciato al caso o all’improvvisazione.

Manifesti, volantini, slogan e parole d’ordine costituiscono il nostro biglietto da visita nei confronti dell’insieme dei referenti. L’organizzazione, allora, adotterà uno stile grafico e discorsivo caratterizzante, unico nel suo essere elevandolo a sistema.

Le tre frecce sono il segno grafico, simbolo dinamico dei principi della triade che fonda l’organizzazione: Unità-Disciplina-Azione.

Slogan e motti d’ordine devono essere conseguenti: chiari, netti, stringati ed esortativi all’azione attraverso l’unità cosciente ed organizzata.

Saranno da evitare concetti espressi in forma verbosa, posizioni interlocutorie ed ampollose, pensieri contorti che si esplichino con un linguaggio di difficile comprensione.

Lo stile grafico, nella propaganda, è importante almeno quanto quello del linguaggio. L’immagine shock, con la sua capacità di aprire una breccia negli occhi di chi guarda è caratteristica di uno stile dinamico pronto ad infrangere gli schemi del politicamente corretto.

Uno stile d’Avanguardia può sovvertire l’esistente a partire dai codici semiotici della propaganda.

La tecniche di propaganda che adotteremo prenderanno le mosse dalla teoria del “riflesso condizionato” e, quindi, si fonderanno sulla connessione fra azione-stimolo e azione-simbolo. Attraverso simboli e azioni che agiscono sui sensi provocheremo l’emozione: i destinatari della propaganda risulteranno impressionati, i nemici intimoriti, i nostri sostenitori maggiormente determinati.

Il campo d’azione della nostra propaganda si spingerà, attraverso l’uso di simboli plastici, fino ai cortei e alle pubbliche manifestazioni. Qui, presenzieremo secondo il nostro stile, con le nostre parole d’ordine e le nostre bandiere, dispiegando sul campo i principi della triade.

FASE 4: SULL’ANTIFASCISMO

Nella nostra strategia non può esistere antifascismo senza antimperialismo. Cosa intendiamo dire? Non siamo interessati a svolgere il lavoro sporco per conto terzi nè ad essere utili idioti all’interno di arcobaleniche alleanze nelle quali, in nome di un supposto minimo comun denominatore -l’antifascismo-, dovessimo -direttamente o indirettamente- portare acqua al mulino di quei politicanti che, professandosi antifascisti, appoggiano e plaudono le guerre imperialiste, la dissoluzione dello Stato sociale, la realizzazione delle grandi opere di distruzione ambientale.

Non intendiamo rappresentare i gendarmi dell’antifascismo istituzionale, in attesa della puntuale, ciclica occasione in cui questo liso feticcio divenga motivo di polemica e divisione all’interno della classe politica, per la conquista di un pugno di voti.

Per di più, da oltre un quindicennio, il fascismo ufficiale è stato depurato, sdoganato e reintegrato all’interno del Sistema dei partiti dominanti. Per chi è nemico di questo Sistema, quindi, l’antifascismo, non può che essere un aspetto -estremamente rilevante- della lotta antimperialista. Per gli altri, un tema di riserva da campagna elettorale, qualora si rendesse necessario smuovere l’emotività di un elettorato progressista sempre più sconcertato dalla melassa istituzionale offerta dalla politica.

Appunti per lo studio del nemico, dal fascismo storico a quello irregolare del III millennio:

Una contingenza politico-economica come quella dell’Europa attuale rappresenta un terreno estremamente fecondo per lo sviluppo e l’attivismo del radicalismo di destra. Il fascismo, infatti, storicamente si pone come avversario di quelle forze (individualismo, cosmopolitismo, economia di mercato) che minacciano l’esistenza  e la costruzione della comunità di suolo e/o di razza, -blut und boden- organizzata gerarchicamente, secondo forme e criteri autoritari, nel presunto, supremo interesse etno-nazionale.

I recenti tentativi, in Italia ed in altri paesi, di comporre le fratture del passato, in vista di un maggiore coordinamento, tra le composite e litigiose forze della galassia estremista di destra, da un lato, e il passaggio sincrono ad un’azione più incisiva, nelle roccheforti europee del neofascismo, dall’altro, mostrerebbero proprio una precisa, accresciuta, autoconsapevolezza del potenziale ruolo da dispiegare nell’immediato futuro.

La supremazia dell’economia sulla politica e della finanza sull’economia e, in particolare, il progressivo, costante esautoramento di quelle forme di controllo e partecipazione politica sui territori a fronte dei diktat sovranazionali di provenienza economico-finanziaria sono dati oggettivi e possono, se sottoposti ad analisi raffazzonate, accreditare l’interpretazione del fascismo quale risposta nazionale agli sfaceli del libero mercato. In quest’ottica, il neofascismo potrebbe apparire a molti come antidoto rivoluzionario all’esistente, rafforzandosi, in ciò, attraverso i richiami metastorici propri della sua retorica all’azione e alla gioventù. Il fatto che larghe aree dell’estrema destra prediligano, oggi,  una lettura del fascismo tradizionale attraverso i suoi aspetti antiborghesi e ne propongano una versione attuale in chiave socialista-nazionale, rappresentano dati che gli antifascisti dell’azione non devono giudicare con sufficienza ma, anzi, analizzare con cura, per passare, nei fatti, alla controffensiva. C’è, infatti, il rischio che settori consistenti di gioventù e proletariato marginale rintraccino nel fascismo, così declinato, l’unica scelta autenticamente antagonista, sovversiva e “non conforme” al sistema dominante.

Quanto accaduto nell’ultimo anno in Ungheria, con l’azione indisturbata delle milizie paramilitari d’estrema destra, la loro crescita di massa, l’inconsistenza teorica del loro “socialismo escludente” ma il suo contemporaneo affermarsi, attraverso la propaganda, come modello antiglobalista – nel vuoto pneumatico lasciato dall’assenza dell’antifascismo militante e dalla presenza di una Sinistra collusa a tutti i livelli con i poteri forti nazionali e transnazionali- soprattutto tra gli strati mediobassi della società, traccia uno scenario futuribile di modelli esportabili all’intera Europa.

Compito degli antifascisti dell’azione consiste nel non inorridire ma contrastare attivamente simili sviluppi, incalzando una Sinistra priva di orizzonte sulla riformulazione complessiva tattico/strategica di una lotta  a tutto campo all’esistente, e rigettando le facili scorciatoie offerte da una lettura necessariamente pregiudizievole e supponente di quanto prodotto sul versante nemico.

Sarebbe da sciocchi, infatti, negare o giudicare con sufficienza il profondo lavoro teorico che negli ultimi anni è stato portato avanti da settori dell’estrema destra rispetto ad una ridefinizione teorica del neofascismo in funzione di un suo agevole adattamento alle condizioni attuali. Per il futuro, inoltre, occorrerà monitorare gli interscambi tra il movimentismo neofascista e il fascismo ufficiale, da più di 15 anni forza stabile di governo, per capire chi avrà più forza nel sedurre l’altro. Al momento, l’esempio romano dimostra che il compromesso, per il neofascismo movimentista, è avvenuto decisamente al ribasso: è infatti bastata la concessione di qualche poltrona per convincerlo a depurarsi, nell’impianto propagandistico, da quei richiami ribellistici e antisistemici che all’inizio gli avevano guadagnato diverse simpatie anche nel mondo popolare della città. Ma questo trend non è affatto irreversibile, una prossima estromissione del fascismo ufficiale dall’area di governo potrebbe portare il neofascismo movimentista, rafforzato nell’organizzazione da anni di benefici clientelari ed economici offerti dal primo, a rispolverare slogan e pose ribellistiche con mezzi economici accresciuti. Occorrerà allora comprendere ed analizzare quanta forza avrà il secondo nel portare, progressivamente, il primo sul suo terreno.

La Nostra Lotta:

Siamo gli eredi dei movimenti che combatterono, primi fra tutti, i fascismi in Europa e nel mondo: sigle destinate all’oblio, simboli rimossi, uomini e donne perseguitati.

Questa eredità pesante ci spinge a non dimenticare il loro esempio attraverso l’azione e la natura stessa della loro lotta: combattere il fascismo per sconfiggere insieme ad esso un ordine sociale ingiusto.

Lottiamo affinché nella società si estingua la tirannide dell’economia, del lavoro salariato, della schiavitù dell’uomo sull’uomo e trionfino, finalmente, gli ideali di solidarietà, fratellanza ed eguaglianza.

Le tre frecce sono la nostra bandiera, simbolo dinamico di lotta ed azione. Ognuna delle frecce ci ricorda che occorre combattere con uguale impegno contro fascismo, capitalismo ed imperialismo.

Un nemico, un fronte, una lotta!

  1. andrea
    22 ottobre 2011 a 11:26 | #1

    concordo su tutto ma…una domanda…come avrebbero fatto i libici a combattere per la loro libertà contro gheddafi se non ci fosse stato l’aiuto imperialista? d’altronde anche ai nostri eroi partigiani le armi, oltre a quelle della prima guerra mondiale, le davano gli americani.rispondetemi grazie

  2. uno
    25 marzo 2012 a 20:41 | #2

    la maggior parte delle armi i partigiani le rubavano ai tedeschi stessi, anche perche’ il grosso del lavoro partigiano e’ avvenuto ben prima dell’arrivo degli americani.
    Che poi i libici abbiano combattuto per la liberta’, e che l’imperialismo sia stato un aiuto, mi pare TUTTO da dimostrare