(sin)TESI

Errico Roberto

“La crisi economica degli anni ‘70 nella prospettiva dell’economia-mondo”

Il periodo compreso tra il 1945 e la fine degli anni sessanta, fu certamente uno dei momenti di maggiore prosperità della storia dell’uomo. Le popolazioni dei paesi capitalisticamente più avanzati conoscevano il boom economico, le lusinghe del sistema di welfare inclusivo, le prime comodità. Anche i paesi più arretrati, provavano sulla scia delle lotte per l’indipendenza, ad intraprendere la strada dello “sviluppo”, offerto dai guru dell’economia dell’epoca come a portata di mano per chiunque. I paesi socialisti, sotto la guida del gigante sovietico, s’impegnavano anch’essi in ambiziosi programmi di crescita economica.
Alla fine degli anni sessanta il panorama cambiava completamente. Disordini sociali, guerre neocoloniali, economia internazionale in frenata, fine della stabilità monetaria, e ancora crisi energetiche ed il fenomeno nuovo della stagflazione: nel corso di un decennio terrificante, che aveva messo fine a tutte le certezze, molte dinamiche erano profondamente cambiate.    Leggi tutto


Martiniello Giuliano

Transnational corporations and internationalization of capital: an historical perspective

The concept of Globalization has engaged the attention of academics, politicians, management gurus and common citizens. The idiom, which has a geographic characterization, expresses the expansion and the interconnection of economic processes, of governance structures, of movements and circulation of commodities, people and capital across spaces. The “globalization” of economic activity is often thought to have appeared only after World War II, an era, it raises, marked by the emergence of TNCs as the main actors of economic development and the growth of international trade. The term globalization suggests a quantum leap beyond previous internationalization moments. It is surrounded by claims of disappearing borders, or the claim of the death of geography (O’Brien, 1993), and contains strong rhetorical and ideological overtones as the assertions of the end of the history (Fukuyama, 1992). “Globalization” is described as a new process driven by major technological advances in the transmission, storage and processing of information. As critics of the notion have underlined, however, the newness of the railroad, the steamship and the automobile, of the telegraph, the radio and the telephone in their days was no less impressive  than the information revolution is today (Harvey, 2003). Even the so called “virtualization of the economic activity” is not as new as it may appear at first sight. Leggi tutto


Olga Solombrino

Il Sahara Occidentale è l’ultimo file ancora aperto nel Comitato per la Decolonizzazione delle Nazioni Unite. A circa cinquant’anni dai primi movimenti per la decolonizzazione, all’epoca della democrazia e della cittadinanza globale, sembra difficile immaginare un paese ancora non decolonizzato. Così difficile che purtroppo molte volte lo si ignora addirittura. La “normalità” della sua situazione lo priva dell’attenzione mediatica che meriterebbe; l’assenza di pratiche terroristiche e l’interesse minore dello sfruttamento economico rispetto ad altre zone lo pongono decisamente in secondo piano rispetto agli altri territori occupati, come se potesse esistere una sorta di gerarchia di gravità della violazione dei diritti. Leggi tutto


Ventura Alessandro

The “WILD WEST AFRICA”

L’obiettivo principale di questo elaborato è quello di analizzare ed approfondire la situazione di crisi e di instabilità politica che attualmente attraversa la regione dell’Africa occidentale. Cercherò di spiegare, attraverso l’osservazione di dinamiche sia interne che esterne, l’impatto che la crisi politica ivoriana ha prodotto in tutta la subregione; impatto che è stato caratterizzato da una molteplicità di variabili e che ha coinvolto la maggior parte dei paesi che confinano con la Cote d’ Ivoire1, ma che per estensione ha toccato anche quelli che non lo sono. L’importanza di questo impatto e il suo relativo peso è da connettere alla cruciale posizione economica che la Cote d’ Ivoire riveste nella subregione.

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Ventura Alessandro

“La Tanzania post-socialista e multipartitica: il partito di governo consolida l’autoritarismo sull’isola di Zanzibar”.

La fine dell’esperimento socialista in Tanzania a metà degli ’80, l’avvio della liberalizzazione economica e la reintroduzione del multipartitismo nel 1992 hanno messo in moto una ridefinizione degli equilibri politici, economici, e sociali all’interno del paese, suscitando interrogativi circa gli effetti negativi delle riforme sulla forte coesione sociale che aveva caratterizzato la presidenza di Julius Nyerere. L’elemento che contraddistingue la transizione post-socialista tanzaniana è costituito dalla capacità fino ad ora dimostrata dalla classe politica raccolta intorno al Chama cha Mapinduzi (CCM), il partito che si identifica con la tradizione del nazionalismo tanzaniano, di gestire i molteplici processi di trasformazione evitando di vedere compromessa la propria legittimazione politica. In questo lavoro cercherò di spiegare come l’introduzione delle elezioni multipartitiche, e quindi di una sostanziale apertura dello spazio politico, abbia prodotto un sovraccarico di domande ed una relativa “turbolenza democratica” in riferimento sia alla legittimità politica che all’autorità di governo sull’isola di Zanzibar. Ad incidere su tutto ciò vi sono la storica autonomia riservata all’isola, che ha una propria costituzione, un proprio governo ed un proprio parlamento, e le continue procedure non democratiche utilizzate dal partito al governo per impedire la lesione dell’unità nazionale raggiunta dopo l’indipendenza dal colonialismo britannico. Inoltre, dopo una breve descrizione del generale processo di democratizzazione occorso negli anni novanta nel continente africano, e dopo un breve profilo storico della Repubblica Unita della Tanzania, proverò a descrivere le caratteristiche di questa “turbolenza democratica” facendo riferimento sia al concetto di statualità del paese e al suo cambiamento nel tempo, sia alla istituzione delle libertà civili attraverso l’analisi delle survey di Freedom House. Infine, mi soffermerò sugli istituti di democrazia diretta esistenti in Tanzania, sul loro utilizzo e sulla percezione che i tanzaniani hanno dello sviluppo della democrazia nel loro paese. Per fare ciò mi sono servito delle analisi svolte da un’altra organizzazione di monitoraggio della democrazia in Africa che è Afrobarometer. Leggi tutto.


Ventura Alessandro

Informale e resistenza sociale in Tanzania

La crescita formidabile dell’economia informale probabilmente è uno dei più importanti sviluppi in Africa dagli anni ottanta, influenzando virtualmente ogni strato della società (Tripp 1997). Alcuni autori hanno caratterizzato questi sviluppi come un importante forme di disimpegno dallo Stato e di resistenza sociale. (Drakakis-Smith 1987, Azarya e Chazan 1987, Bayart 1986, Chazan 1988). Altri li considerano una forma alternativa di vita sociale- “una cultura autentica della povertà”- inventata da gruppi sociali marginalizzati dal vicolo cieco della modernità e dagli esiti di sottosviluppo determinati dalla crescente ideologia di sviluppo occidentale (Latouche 1993, 127). Il commercio stradale, specialmente nelle maggiori aree urbane è probabilmente una delle manifestazioni più visibili ed economicamente importanti dell’ “economia informale”.

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Martiniello Giuliano

Incorporation, Colonialism and Labour Supply in Southern Africa (1880-1940)

The question to which both the modernization theories in the 60s and the neoliberal politics in the 80s and 90s have not yet given an answer is to understand why the gap between centre and periphery and the stratification and polarization of the social classes, in terms of aggregated data at global level, doesn’t reduce but rather seems to increase.

The dominant thought uses to affirm that Africa is marginalised, i.e. that the continent is integrated only partially in the global economy. The purpose of the South African president Thabo Mbeki, expressed in the presentation of NEPAD (New Partnership for African Development) to the heads of state at the G-8 summit in Canada in 2002, consisted of setting up a global “New Deal” for Africa with the aim to enhance the growth of the African GDP to 7% each year.

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Martiniello Giuliano

Genesis of African Crises: Egypt and South Africa in Historical Comparative Perspective

Commentators, journalists and social scientists argued that the causes of the backwardness of African development lays in the irrationality, in the archaic tribalism of its tradition and in local cultural or natural factors.

The deconstruction of this characterization of the Africa crises has been the leitmotiv of this essay. Looking at the long-term process of interaction between pre-capitalist modes of production with the expansion, in space and time, of the capitalist mode of production, the work has structured an historically grounded social analysis to reveal the interconnectedness of the processes of articulation of the capitalist mode of production with the pre-capitalist/indigenous modes of production.

The analysis of the longue durée of the historical transformation has been approached through an historical comparison of the processes of social change between the social formations in Egypt and South Africa. The relevant conclusions we have drawn from this essay is that the process of primitive accumulation can be inferred also in contemporary patterns of accumulation in the peripheries of the world system where the transition to full fledged capitalist relation has been blocked since the colonization. Today this mechanism is permanent and reflects the tensions associated with capitalist crisis, inter-imperialist rivalry and various resulting forms of barbarism. Leggi tutto


DA VASCO DE GAMA (1498) AL 2000

STORIA DI UN RAPPORTO SBAGLIATO FRA EUROPA E AFRICA

Joseph Ki-Zerbo
Il primo diritto-dovere di un uomo è quello di conoscere se stesso e conoscere gli altri. Nell’elenco dei diritti fondamentali di ogni uomo e di ogni donna dovrebbe comparire anche il diritto ad essere conosciuti e ad essere conosciuti correttamente. Una conoscenza e comunicazione vera ed autentica è basilare. La vita è un complesso di comunicazioni, un programma di relazioni che trova la propria forza propulsiva in se stesso. I latini dicevano: Vita in motu. Questo movimento vitale non è nient’altro che comunicazione; se cessa la comunicazione cessa la vita. All’espressione latina gli scolastici aggiungevano: ab intrinseco. Vita in motu ab intrinseco. La vita è movimento a partire da se stessi. Un movimento indotto e imposto dall’esterno non è vita. Applicando al continente africano possiamo dire che finora in Africa vi sono stati dei movimenti, ma che l’Africa è stata privata del suo movimento ab intrinseco, della sua forza di auto-propulsione. Ancor oggi, il vero grande dramma dell’Africa è dato dal fatto che nel continente non è assicurata l’auto-propulsione degli africani. Dalla prima comparsa dell’uomo sulla terra fino al XVI secolo l’Africa ha registrato, come gli altri continenti, un’evoluzione, un movimento ascendente. Fino al XVI secolo l’Africa poteva validamente paragonarsi agli altri continenti. Poi è intervenuta una frattura che si è andata progressivamente aggravando. La progressiva immissione di strutture provenienti dall’esterno ha finito per paralizzare le forze vive, le energie più vitali, del continente africano.

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-Presentazione del mediawatching “Perchè Hamas?”

-Intervista alla prof.ssa Francesca Maria Corrao docente di Lingua e letteratura araba all’Università Orientale di Napoli


La questione Mediorientale

(a cura di Fabio Falabella, Valentina Colangelo, Francesca Veneruso, Carlo Pedata, Roberta Nardulli)
Introduzione
L’argomento di ricerca di questo capitolo è costituito dalla questione mediorientale e le differenti interpretazioni che i media danno di essa. Per conseguire risultati soddisfacenti sul web è possibile seguire diversi criteri di ricerca, analizzando le diverse aree di studio, o le organizzazioni internazionali coinvolte nella questione, o ancora le associazioni di studiosi che si interessano dell’argomento etc., verificandone opportunamente l’attendibilità.Sembra essere questo infatti il punto-chiave quando si utilizza INTERNET per la ricerca nelle scienze sociali:l’offerta di informazioni e’ così variegata da rendere necessario un meticoloso vaglio delle fonti da cui provengono,soprattutto quando si trattano argomenti di rilevanza politica internazionale,come quello esaminato in questo capitolo. Ci si può trovare di fronte ad un corpo di notizie fuorvianti in quanto strumentalmente determinate da esigenze politiche o commerciali. Leggi tutto


Intifada fino alla vittoria

Fabio Falabella

La “Questione Palestinese” è un argomento complesso che presenta problemi di ogni genere e va perciò analizzato in tutti i suoi molteplici aspetti, da quello coloniale, che significa terra e profughi, a quello socioeconomico, da quello strategico-politico a quello religioso: nessuno studioso cosciente si schiererebbe dunque a priori per una delle due parti (1) se la coscienza stessa della verità e la conoscenza di oltre cent’anni di “misfatti compiuti” da assassini sionisti nei confronti di una popolazione indifesa non ce lo imponessero

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Oslo e la seconda intifada

Nel periodo a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 sono accaduti degli eventi che avrebbero influenzato tutti gli avvenimenti futuri: la fine della guerra fredda, la caduta del muro di Berlino, lo smantellamento delle potenze socialiste, la fine della politica bipolare sul piano internazionale e interno agli stati, il monopolio del potere degli stati occidentali, in particolare degli U.S.A.. La situazione araba in questo periodo non era meno complessa: in Palestina c’è la prima Intifada e gli U.S.A. muovono una guerra del tutto infondata contro l’Iraq, già stremato dalla prima guerra del Golfo, conclusasi con la sconfitta di Saddam Hussein, uno dei sostenitori dei paesi non allineati. Questa vittoria permise alle forze occidentali di trovare spianata la strada per una “GIUSTA DEMOCRATIZZAZIONE” dei paesi medio orientali.

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Ciro Colangelo

VENEZUELA: La “transizione fallita” e il “modello Chavez”.

L’obiettivo del presente lavoro è analizzare la fallita transizione verso la democrazia liberale in Venezuela, il modello democratico di Chavez e i suoi possibili sviluppi. Nella prima parte, ho approfondito l’excursus storico che, partendo dal periodo della conquista spagnola, passando per l’indipendenza del paese(1830), arriva fino alla democrazia partecipata del colonnello Hugo Chavez. In particolare, il periodo di tempo maggiormente analizzato, parte dagli anni 90’, che hanno avuto un’importanza notevole per il crollo dell’Unione Sovietica, e arriva sino ai giorni nostri (dal biennio 1973-74 mi sono servito anche del supporto statistico dei rapporti di Freedom House, Arelativi alla terza survey, Freedom in the World). In questo arco di tempo, si diffuse la convinzione della necessità di ridimensionare il ruolo dello stato nell’economia per favorire lo sviluppo del capitalismo e di creare o fortificare (laddove fossero già presenti in minima parte) le istituzioni della democrazia liberale. Il governo degli Stati Uniti e quelli di altri paesi attuarono una serie di riforme, note all’epoca come il Consenso di Washington, orientate alla liberalizzazione del commercio, alla privatizzazione delle imprese pubbliche, alla deregolamentazione delle attività produttive e in generale a ridurre il peso dell’intervento statale nell’economia; tali provvedimenti, secondo questi governi, avrebbero inevitabilmente posto le fondamenta delle istituzioni liberal-democratiche. Mi è sembrato opportuno ricercare le cause del fallimento di questo modello in Venezuela, partendo proprio dall’analisi dei limiti istituzionali, economici e strutturali del paese, stravolto negli anni da guerre interne e colpi di stato che hanno impedito la formazione e il consolidamento di un forte stato. In seguito, ho analizzato gli anni successivi all’ascesa al governo del colonnello Hugo Chavez, il quale, invocando una “rivoluzione bolivariana” è riuscito ad attuare una vera e propria inversione di rotta, forzando la democratizzazione in senso radicale e fortemente illiberale e adottando una politica fortemente anti-USA. Leggi tutto.


Agostino Casillo

Turchia: una democratizzazione riuscita?

L’obiettivo di questo lavoro è quello di fornire una analisi quanto più esaustiva possibile della situazione dei diritti politici e delle libertà civili nella Turchia contemporanea. Cercheremo inoltre di delineare le direttrici ed i passi fondamentali del processo di democratizzazione che il paese, già da molti decenni, sta affrontando. A questo scopo ciavvarremo soprattutto dell’analisi del think tank americano Freedom House, organizzazione no profit, fondata circa sessanta anni fa, che si propone di promuovere e sostenere la democrazia nel mondo. Oltre all’analisi di FH verranno utilizzati anche studi di altre organizzazioni che si occupano di monitoraggio del processo democratico come ad esempio Human Right Watch e Transparency International. Bisogna sottolineare che la scelta della Turchia come case study non è casuale. Si tratta, infatti, di un paese di difficile collocazione: troppo povera per far parte dei paesi industrializzati, ma allo stesso tempo con uno sviluppo abbastanza elevato per essere annoverata tra i cosiddetti Pesi in Via di Sviluppo. Leggi tutto


Colangelo Ciro

Trasformazioni della pena e Stato moderno:dai supplizi alle società di controllo.

L’obiettivo di questa ricerca è di individuare i passaggi storici e filosofici che hanno portato alla trasformazione della pena nei sistemi politici moderni e di stimolare una riflessione sul sistema carcerario contemporaneo e sulle degenerazioni che lo hanno reso anacronistico per l’epoca contemporanea. Nel primo capitolo, attraverso il lavoro pratico e teorico del filosofo francese M. Foucault, cercherò di individuare le trasformazioni del sistema punitivo e delle modalità di crimini e di approfondire la nascita e lo sviluppo della prigione, che ha spazzato via le ‘meraviglie’ punitive teorizzate dai riformatori illuministi; dall’epoca medioevale dei castighi corporei e dei supplizi spettacolari che avevano la funzione di punire per ristabilire e riattivare il potere regio, offuscato dal crimine, fino all’analisi della detenzione correzionale(società disciplinare) dell’epoca moderna, che ha tradito l’ideale illuminista, che non prevedeva questo tipo di reclusione, ma aveva come scopo la rieducazione del criminale e il suo reinserimento nella società, temporaneamente attaccata dal crimine. Leggi tutto


Dott. Vittorio Sergi

Migrazioni, cittadinanza e politiche di controllo dell’eccedenza sociale in Europa, il caso dei Centri di Permanenza Temporanea in Italia.

Nel quadro di modificazioni essenziali degli assetti geo-politici e dell’organizzazione del lavoro su scala globale, l’Europa è attraversata da complessi flussi migratori. La risposta politica a questo fenomeno umano si è delineata soprattutto a partire dalla fine dei regimi politici socialisti nell’Europa Orientale, come la ri-organizzazione dei confini, esterni ed interni alle società dei paesi dell’Unione Europea.

Un campo di studio strategico per la critica delle politiche migratorie e per l’impianto politico che le sorregge è la comprensione delle frontiere, del loro spazio e del loro funzionamento come significanti politici. Per l’Italia, lo spazio del Mediterraneo, Sud ed Est, rappresenta una caratteristica fondamentale. Oltre la frontiera si stende poi una rete di dispositivi di controllo e polizia che si radica nell’Europa continentale, coordinandosi a livello transnazionale in modo sovrapposto alle principali direttrici dello spostamento della forza lavoro.
La comprensione dello spazio mediterraneo passa attraverso una molteplicità di fattori, storici, economici, culturali e naturalmente, politici. Mia intenzione è mettere in luce il funzionamento di un dispositivo di potere che produce effetti di prim’ordine nello spazio umano del mediterraneo: la politica migratoria dei paesi della UE, con particolare attenzione all’Italia, e nello specifico l’istituzione e il funzionamento dei centri di detenzione amministrativa, denominati dalla legge Turco-Napolitano che li istituì nel 1998, Centri di permanenza temporanea e accoglienza (CPTA).
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“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 2001, n. 374, recante disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale”
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293 del 18 dicembre 2001.

1. L’articolo 270-bis del codice penale è sostituito dal seguente:
“Art. 270-bis (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico). – Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione e un organismo internazionale. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego”.

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Tra le tante – nella convulsa e disastrata situazione del Meridione d’Italia – la “emergenza-rifiuti” è la più drammatica. Dopo la “emergenza-criminalità”, ma i due fenomeni sono strettamente connessi. E’ la criminalità economica delle aree più sviluppate ad usare le organizzazioni criminali locali – in particolare la camorra in Campania e la mafia in Sicilia. La decadenza e la corruzione degli apparati politici e amministrativi completa il quadro.

di Paola Manduca foto di Eduardo Castaldo

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Giulia Antonuccio

Tesina economia ambientale

Rapporti tra economia ambiente e territorio “imballaggi non sostenibili, costi e benefici del tetrapak”

Il tipo di consumo da sempre ha seguito di pari passo lo stile e i ritmi di vita dell’uomo in quanto società. Volendo tracciare una panoramica semplice ed elementare dall’epoca post-industriale ad oggi è palesemente evidente che l’uomo consumatore ha intrapreso una strada che l’ha portato da una logica di risparmio e quindi di riutilizzo e riparazione dei prodotti ad una logica dell’usa e getta, del monouso, e quindi del sovrasfruttamento delle risorse.
Si intende così analizzare un aspetto specifico dell’età del consumo che è quello degli imballaggi, problematica critica della gravosa questione più che mai attuale del ciclo dello smaltimento dei rifiuti. Leggi tutto


Francesco Antonio Festa

Dove sono gli ultras?
Breve storia di un vecchio movimento
Il movimento ultras in Italia si sviluppa a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 soprattutto sotto la spinta imitativa del fenomeno hooligans inglese presente sulla scena calcistica già da una decina d’anni. Prima di descrivere la storia del movimento ultras in Italia è opportuno ricordare brevemente i tratti salienti e le differenze, che hanno caratterizzato e che ancora in buona parte caratterizzano, il modello ultras italiano da quello hooligan inglese e nordeuropeo.

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Francesco Antonio Festa
L’alchimia ribelle napoletana*

Materiali per una storia della città antagonista
«…mi dicevo: ‘Ma è vero che si stanno organizzando
per riuscire a far capire al governo, a far capire
ai padroni che si può portare avanti una lotta per
conquistarsi un lavoro?’. E questo a me mi fece
felice, al punto che mi inserii anche io nelle liste…»
Peppe, Disoccupati Organizzati
Poco si è scritto sulle realtà sociali subalterne e le loro lotte politiche a Napoli. E’ perfino difficile anche solo dare una forma a materiali compositi, avvenimenti discontinui e frammentari, per leggerli organicamente all’interno della storia della città – sebbene come produttori autonomi di senso, di pratiche, di valori sociali che definiscono i caratteri di una città alternativa a quella ufficiale. Alternativa, ma non «altra». Intorno alle circostanze più tragiche della storia di Napoli, dal colera del 1973 al terremoto nel 1980, rivendicazioni come il diritto al lavoro, al reddito, alla casa, erano espressioni di bisogni intrinseci alla città – eppure richieste incompatibili, «antisistemiche», capaci di cambiare la rotta del mercato, le trame del potere, i circuiti della partecipazione e della rappresentanza.

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Ashis Nandy

I MOVIMENTI SOCIALI NELLA TRANSIZIONE DEMOCRATICA IN
SUDAFRICA

Il periodo compreso tra il 1945 e la fine degli anni sessanta, fu certamente uno dei momenti di maggiore prosperità della storia dell’uomo. Le popolazioni dei paesi capitalisticamente più avanzati conoscevano il boom economico, le lusinghe del sistema di welfare inclusivo, le prime comodità. Anche i paesi più arretrati, provavano sulla scia delle lotte per l’indipendenza, ad intraprendere la strada dello “sviluppo”, offerto dai guru dell’economia dell’epoca come a portata di mano per chiunque. I paesi socialisti, sotto la guida del gigante sovietico, s’impegnavano anch’essi in ambiziosi programmi di crescita economica. Alla fine degli anni sessanta il panorama cambiava completamente. Disordini sociali, guerre neocoloniali, economia internazionale in frenata, fine della stabilità monetaria, e ancora crisi energetiche ed il fenomeno nuovo della stagflazione: nel corso di un decennio terrificante, che aveva messo fine a tutte le certezze, molte dinamiche erano profondamente cambiate. Leggi tutto


Martiniello Giuliano

Migrant Labour in Southern Africa: an Historical and Theoretical Perspective

Migration has been a phenomenon existent in all human societies. In the past groups of pastoralist moved perpetually in search for better fields and water sources for their people and periodically in relation to the rain fall. Continuous interactions, on a regional scale, of exchange and conflict linked the nomadic populations of merchant and pastoralist with more settled populations. To these cultural and environmental characterizations, we could say biologic, we should add some more political and military causes of the migrations as is the case of the displacements of rural communities in consequence of political violence and famines. In social scientists’ works the causes of international migrations have been interpreted in heterogeneous terms: motivations of strictly economic character, that is that wage differentials, different opportunities of employment and social well-being between and within different countries areas engendered “push” and “pull” factors which attracted or repulsed people; motivations of individual character which on the base of rational choices and preferences can alternate creatively different strategies and options within the familiar strategies of survival and livelihood; motivations of political and military character, in reference, as an example, to the political violence and the inter-ethnic conflicts or to the famines, which engendered considerable and uninterrupted forced flows of refugees (Zolberg, 1981).

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FULVIO VASSALLO PALEOLOGO – Università di Palermo
Stragi pianificate: come le misure di contrasto della clandestinità si trasformano in strumenti di morte.

La strage che si è verificata nella notte tra il 10 e l’11 settembre 2005 davanti alle coste siciliane in prossimità di Gela, le decine di migranti annegati nel Canale di Sicilia, provenienti dal Corno d’Africa, quindi tutti potenziali richiedenti asilo costretti ad affidarsi agli scafisti da leggi disumane e da prassi amministrative arbitrarie, ripropongono il fallimento delle politiche di contrasto dell’immigrazione clandestina, politiche che si caratterizzano sempre più per la continua violazione dei diritti fondamentali della persona umana. Le migliaia di migranti che perdono la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa sono vittime del sistema dei controlli dei “flussi migratori” come se le vite delle persone fossero gocce insignificanti che colano da un rubinetto chiuso male. Le stragi di migranti vengono utilizzate come “deterrente” nei confronti dei disperati in fuga dalle regioni più povere e martoriate del mondo, esattamente come l’annuncio di misure sempre più rigorose nei confronti dell’immigrazione clandestina dovrebbe tranquillizzare l’opinione pubblica.

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Ilan Pappe, storico del Medio Oriente presso il Dipartimento di Relazioni Internazionali dell´Universita´ di Haifa, rilascia un´intervista per Radioazioni.

Un´intervista breve, non voglio trattenerlo ancora molto dopo il lungo intervento alla conferenza. Gli chiedo di approfondire il lato umano della sua missione di storico e testimone scomodo per la societa´israeliana. Gli chiedo di Haifa, dove insegna, e dell´atmosfera che si respira nell´ultimo anno nella citta´ della `convivenza´ dopo la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi e dopo l´ intervento israeliano di guerra in Libano. Sono domande forse un po piu´ personali,gli dico e lui con un sorriso benevolo mi concede le sue risposte.

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