Sulla natura di Hamas

 

Guerra tra israeliani e palestinesi oppure guerra tra Israele e Hamas? Anche al lettore o all’ascoltatore più distratto non sarà sfuggita la sempre maggior frequenza con la quale i mezzi di comunicazione internazionali ricorrono alla seconda definizione. Vale dunque la pena di provare a definire la natura di questa entità, simultaneamente descritta come gruppo terroristico (così è stata ufficialmente classificata dall’Unione Europea, Canada, Giappone e Stati Uniti), partito politico e/o maggiore ostacolo al processo di pace nei territori israelo-palestinesi. Al di là delle opinioni, il suo Statuto.

Cenni allo Statuto adottato il 18 agosto 1988

Esso è composto da un’introduzione e da 37 articoli, il cui oggetto spazia dagli obiettivi del gruppo fino al rapporto tra l’islam e le altre religioni. All’introduzione nella quale si afferma che Israele rimarrà in esistenza finchè l’Islam non lo porrà nel nulla, così come ha posto nel nulla altri che furono prima di lui seguono gli articoli dedicati alla base ideologica del gruppo (art. 2), al suo obiettivo (art. 9) e al suo motto (art. 8): l’Islam, l’istituzione di uno Stato islamico che inglobi i territori palestinesi e quello israeliano e Allah come scopo, il jihad come metodo e la morte per la gloria di Allah come più caro desiderio. Definito il ruolo attribuito alla donna (art. 17): essa ricopre un ruolo fondamentale come forgiatrice di uomini, educatrice dei figli al rispetto dei precetti religiosi e al dovere del jihad. E, anche attraverso il tentativo di allontanamento della donna dall’islam, il nemico – identificato, tra gli altri e sionisti a parte, con la massoneria, i Rotary Club, i Lions Club e le cricche spionistiche – tenterebbe di ostacolare l’istituzione dello Stato islamico. Parte dello Statuto viene dedicata alle iniziative e conferenze internazionali di pace (art. 13), definite perdite di tempo e giochi da bambini. In conclusione, sulla possibile coesistenza delle maggiori religioni in Medio Oriente, si afferma che questa e’ possibile esclusivamente all’ombra dell’islam (art. 31).

La fondazione

Hamas, acronimo di Movimento per la Resistenza Islamica e’ nato nel 1987, in concomitanza della prima intifada, come branca palestinese del movimento sunnita della Fratellanza Musulmana. Nato inizialmente come gruppo di lotta armata contro la presenza israeliana nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania, fondato da Sheik Ahmed Yassin, esso aveva come ulteriore obiettivo quello di vendicare le vittime civili causate dagli scontri con lo Stato israeliano. La principale attività del gruppo si svolge nella Striscia di Gaza, ma sono presenti distaccamenti anche in Cisgiordania.

La sede

Dal 2012, la sede di Hamas e’ in Qatar. Fino al 2012, l’organizzazione ha avuto sede in Siria ed è stata per lungo tempo “ospitata” in Libano (dal quale è stata cacciata a metà del 2013).Uffici del Comitato Politico di Hamas erano presenti anche in Giordania; quest’ultima ne ha disposto la chiusura nel 1999.

L’articolazione militare

La lotta armata contro Israele viene portata avanti dall’ala militare di Hamas, le brigate Izzedine al-Qassam (dal nome del guerrigliero palestinese che operava, nel primi decenni del Novecento, nella Palestina britannica). L’arsenale di Hamas si compone di razzi, assemblati in loco oppure trasferiti principalmente attraverso i tunnel che collegano la zona del Sinai alla Striscia di Gaza – conservati anche presso luoghi densamente popolati della Striscia, come scuole o ospedali di Gaza- e di kamikaze (sembrerebbe che Hamas possieda anche droni di vecchia generazione). Tra i razzi più utilizzati dalle brigate, solitamente lanciati da aree della Striscia ad elevatissima densità demografica, i Qassam, gli BM 21 (Grad), Fajr-5 e gli M-302 (Khaibar). I primi sono prodotti direttamente da Hamas; a seconda del modello, la gittata varia dai 45 km ai 75. Il lanciarazzi BM 21, di produzione sovietica, è dotato di quaranta canne ed è capace del lancio di 790 kg di testate in meno di 30 secondi nel raggio di 20,5 km. Il Fajr-5, di produzione iraniana, raggiunge una gittata di 75 Km e la testata si attesta sui 90 Kg. L’arma più potente nelle mani di Hamas sembrerebbe essere il razzo M-302, di fabbricazione siriana e progettazione cinese. La gittata si attesta tra i 100 ed i 200 km. Come sopra accennato, la strategia di Hamas include anche l’utilizzo di attentatori suicidi. Dopo i vari attentati compiuti su bus israeliani nel 1996, la più recente escalation di attacchi mortali contro civili israeliani si è verificata dal 2001 al 2004. Obiettivo dei kamikaze di Hamas: discoteche, bus, ristoranti e altri luoghi frequentati da civili, nelle principali città tra cui Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa, Beersheba, Ashdod. Obiettivo degli attacchi armati di Hamas, anche cittadini palestinesi sospettati di collaborare con Israele e i rivali politici di al-Fatah. In questo senso, la pubblica uccisione di 18 cittadini palestinesi – 16 uomini e due donne – avvenuta per mano di Hamas nell’agosto 2014. Parte della strategia del gruppo sunnita include anche rapimenti di soldati israeliani (è il caso, ad esempio, di Gilad Shalit, rapito nel 2006 e liberato nel 2011 in cambio della scarcerazione di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane) e di civili israeliani (è il caso, ad esempio, degli adolescenti Naftali Fraenkel, Gilad Shaer e Eyal Yifrah, rapiti e assassinati nel giugno 2014).

L’articolazione politica

Hamas si sviluppa, da una prospettiva politica, come antagonista di al-Fatah. A distinguere i partiti, seppure entrambi connotati in senso nazionalistico, due elementi caratterizzanti il partito fondato da Yaser Arafat: le basi “laiche”, sul piano interno, e l’orientamento di politica estera favorevole alla coesistenza dei due Stati. Tali differenze sarebbero state talmente marcate che agli albori della nascita di Hamas, secondo alcuni commentatori, Israele avrebbe guardato con interesse al movimento in quanto netto oppositore dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Quel che è certo è che Hamas ha saputo costruire una solida base elettorale in vista delle elezioni locali del 2004 (dove ha riportato un buon risultato) e, sopratutto, delle elezioni del parlamento palestinese nel 2006, dove ha riportato una vittoria schiacciante (circa il 45%) sugli altri candidati. Nel 2007 violenti scontri hanno nuovamente opposto Hamas a al-Fatah e sono culminati con la formazione di un governo parallelo da parte di Hamas, che ha assunto il controllo della Striscia di Gaza, e respinto Fatah in Cisgiordania. E’ solo nell’aprile del 2014 che i due partiti hanno infine deciso una riappacificazione in nome di un governo di unità nazionale.

L’articolazione sociale

La vittoria politica del 2006 non è giunta, in verità, a sorpresa. Accanto alla propaganda dei media (il giornale al-Risala nonché la radio e televisione al-Aqsa) e alla capacità del movimento di sfruttare a proprio favore la crisi economica che ha brutalmente colpito la Striscia di Gaza, Hamas ha creato consenso elettorale attraverso le istituzioni – operanti nel sociale – da esso stesso integrate o stabilite. Dopo aver assunto il controllo della maggior parte dei comitati per la zakat (che ricevono la tassa/elemosina obbligatoriamente versata in beneficenza da ogni musulmano), il gruppo ha provveduto alla costruzione e al miglioramento di asili, scuole, ospedali e orfanotrofi. Allo stesso modo, il gruppo ha finanziato la costruzione di centri ricreativi per giovani, dove praticare sport come nuoto, box, karate e così via. Hamas è così diventato il punto di riferimento per la maggior parte di cittadini palestinesi, delusi da quella che è stata spesso definita come corruzione dell’ al-Fatah di Governo. Si è trattato, in effetti, di un do ut des: un concreto aiuto, e senso di appartenenza, per i cittadini palestinesi, in cambio del radicamento dei principi morali regolanti la umma islamica e dettati nello Statuto. Attraverso queste istituzioni, infatti, Hamas ha portato avanti le proprie campagne. Da quella volta alla diffusione dell’hijab, all’obbligo di preghiera e digiuno per i vari iscritti e beneficiari dei servizi, fino all’addestramento al jihad contro Israele: la squadra di calcio Jihad Mosque Soccer Club, ad esempio, ha funzionato come centro di reclutamento militare tanto che, durante la seconda intifada, sei dei suoi giocatori hanno commesso attentati suicidi contro Israele. Il programma sociale di Hamas è stato attuato anche grazie ai lauti finanziamenti provenienti dai sostenitori esteri (pare che il budget annuale del gruppo sunnita ammonti a 70 milioni di dollari). Tra questi ultimi, il più noto è il Fondo per il Sostegno e lo Sviluppo Palestinese, con sede nel Regno Unito.

La leadership

Buona parte dei candidati di Hamas alle elezioni del 2006 faceva parte dei comitati per le zakat e delle altre isituzioni di carità, che hanno base nei capisaldi dell’Islam, organizzate e sviluppate dal gruppo sunnita. Altra parte, attualmente, si compone di giovani professionisti non inquadrabili come “guide religiose”. Gli esponenti dei piani alti di Hamas (alcuni dei quali uccisi durante attacchi mirati israeliani), del resto, vantano storie personali che ben poco hanno a che fare con la povertà o la devastazione di certe aree mediorientali. Si tratta di fisici laureati all’Università del Kuwait (Khaled Mashal, il leader attualmente più in vista), di docenti universitari e di ingegneri industriali (Masa Abu-Marzuq e Aziz Dweik) laureati nelle Università statunitensi o ancora di medici (Mahmoud al-Zahar) laureati al Cairo. Difficile, oggi, identificare un unico leader a capo di Hamas. Dopo l’uccisione dei due più importanti leader Sheik Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi (quest’ultimo incarcerato più volte, dal 1997 al 2000, dall’Autorità Palestinese) nel marzo e nell’aprile 2004, la strategia del gruppo – rilevano i commentatori – è consistita perlopiù nell’evitare la creazione di nuovi “obiettivi sensibili” scegliendo così di non identificare in modo definitivo le proprie guide.

Rapporti con l’Estero

Diverse le ragioni che inducono Stati ed entità – in area MENA- a respingere o appoggiare l’attività di Hamas. Dal primo punto di vista, vi sono Stati che vogliono evitare le tensioni e l’instabilità interne che deriverebbero dal legame con il gruppo sunnita: e’ il caso della Giordania – che, come sopra accennato, ha provveduto alla chiusura della sede di Hamas e ha proibito ai suoi adepti di operare ancora sul suolo giordano – Marocco, Tunisia e Algeria. Dal secondo punto di vista, l’appoggio è giustificato sostanzialmente in chiave anti-israeliana: e’ il caso di Iran e Siria. C’è poi l’Egitto: esso ha storicamente svolto la funzione di mediatore tra Israele ed Hamas. L’interesse del Paese e’ evidentemente quello di tenere sotto controllo la confinante area della Striscia di Gaza. I legami tra Iran ed Hamas risalgono agli inizi degli anni ‘90, ma l’unione è stata suggellata nel 2006, anno di elezioni sia per l’Iran che per l’Autorita’ Palestinese. La trasformazione della società da “laica” a una società regolata dai principi religiosi, infatti, rientrava tra gli obiettivi dell’Iran dell’ex Presidente Mahmud Ahmadinejad ed è attuale obiettivo di Hamas. Sostegno finanziario dell’Iran e addestramento militare di Hizbollah. Una realtà piuttosto limpida fino alla crisi siriana del 2011, quando Hizbollah ha scelto di sostenere le forze del Governo alawita (una branca sciita), mentre Hamas si è schierato a favore dei “ribelli” sunniti anti-Assad. Circostanze, queste ultime, che avrebbero determinato anche una crescente diffidenza – nei confronti di Hamas – da parte dell’Iran, potenza sciita. A ciò si aggiunga che quest’ultimo, negli ultimi mesi, sembrerebbe essersi impegnato maggiormente sul fronte iracheno – in funzione anti-Califfato, al fianco degli Stati Uniti – piuttosto che su quello palestinese. A complicare il quadro, l’altalenante situazione politica dell’Egitto. Se Hamas aveva trovato terreno fertile con l’ascesa al potere di Mohamed Morsi nel 2012, esponente della Fratellanza Musulmana, diversamente deve dirsi per gli attuali rapporti intercorrenti con il generale Abd al-Sisi, fautore del colpo di Stato militare del 2013 che ha rovesciato il Governo dei fratelli musulmani.

Prospettive

Congelata Damasco, ci si avvicina a Doha. Nel momento in cui gli appoggi esterni ad Hamas sembravano vacillare, un aiuto finanziario ammontante a circa trecento milioni di dollari è stato erogato dal Qatar (che, secondo alcuni commentatori, avrebbe responsabilità nell’ascesa di Abu Bakr al-Baghdadi in Iraq): Skeikh Ahmad bin Khalifa al-Thani ha devoluto la cifra, nel 2012, alla ricostruzione di edifici ed infrastrutture nella Striscia di Gaza. Un elemento non trascurabile, considerando gli alti e bassi mostrati da un sondaggio del Centro Palestinese di ricerca politica e sondaggi: il consenso elettorale del gruppo sunnita presso la popolazione palestinese sarebbe calato, tra 2006 e 2007, dal 45% al 24% per poi crescere al 40% in seguito all’embargo imposto da Israele ed Egitto, nel 2007, nei confronti della Striscia di Gaza. Da un ulteriore sondaggio commissionato dal Washington Institute for Near East Policy nel giugno 2014, emergerebbe che il 70% della popolazione della Striscia ritiene che Hamas debba optare per il mantenimento costante del cessate il fuoco con Israele; l’88% ha risposto che l’Autorità palestinese di Abu Mazen dovrebbe provare a riprendere il controllo della Striscia anche con l’utilizzo della forza, mentre secondo il 57% dei cittadini della Striscia Hamas dovrebbe accettare la soluzione dei due Stati. Questo significa che una parte della popolazione palestinese percepisce la strategia di Hamas come controproducente sul lungo periodo; parallelamente, i sondaggi dell’agosto 2014 mostrano che il consenso della popolazione israeliana alle operazioni militari – volute da Benjamin Netanyahu nella Striscia – è drasticamente calato. In conclusione. Esistono tante opinioni sulla necessità che il gruppo sunnita ed il Governo israeliano scendano a più miti consigli, ma la risposta definitiva non spetta a noi. Che cosa ne pensa il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmud Abbas, pronto peraltro a far condannare lo Stato israeliano innanzi alla Corte Penale Internazionale? Egli ha più volte criticato il rifiuto della tregua da parte di Hamas ed il suo portavoce al-Tayyib Abd al-Rahim ha condannato le recenti esecuzioni dei cittadini palestinesi sospettati di collaborare con Israele in quanto “illegali” e “frutto della legge di Hamas, che è: chi non è con Hamas è contro di noi”. Il dato interessante è che, stando alle ultime notizie, Hamas avrebbe aderito alle iniziative diplomatiche egiziane che prevederebbero – tra le altre cose – un riequilibrio di poteri nella Striscia di Gaza. Potrebbe quindi darsi che l’input per il rispetto del cessate il fuoco da parte di Hamas non sarà dettato esclusivamente da considerazioni di politica estera (quelle su cui stanno lavorando i mediatori Egitto, Giordania e l’ormai di fatto mediatore Qatar), ma potrebbe derivare da un “regolamento di conti” tra il partito di Khaled Mashal e quello di Abu Mazen. Chi più di Abbas, unico interlocutore palestinese dello Stato israeliano nell’ambito delle trattative volte alla soluzione dei due Stati, potrebbe infatti avere interesse a ristabilire l’equilibrio faticosamente raggiunto prima del giugno 2014?

da http://internationaltoday.net/

Facebook

YouTube