Una disuguaglianza capitale: come e perché aumenta la forbice tra le classi sociali

É noto il vecchio aforisma greco, per cui la legge è come una ragnatela che intrappola gli insetti piccoli e viene trapassata da quelli grossi. Lo stesso si potrebbe dire della crisi del capitalismo. Chi negava fino a pochi anni fa addirittura l’esistenza delle classi sociali, ora ammutolisce. Dal 2007 a oggi la forbice tra le classi si divarica sempre di più, ma non è un processo iniziato con la crisi.

Agli inizi degli anni 60, quando finiva formalmente il colonialismo, secondo i dati forniti dal Maddison project, gli abitanti delle ex colonie erano 33 volte più poveri degli abitanti dei paesi coloniali Agli inizi degli anni 2000 il divario era diventato 1 a 134. Nei paesi ricchi le cose non sono andate molto diversamente per le classi lavoratrici. Da un lato quest’ultime e tutti i settori della società che non possiedono altro che le loro braccia sprofondano sempre più nella miseria. Dall’altro lato le classi privilegiate, che già sguazzavano letteralmente nell’oro, non solo non sembrano accusare i rigori della crisi, ma secondo studi molteplici e indipendenti moltiplicano i loro patrimoni in una misura mai vista nella storia. Le otto persone più ricche del pianeta possiedono quanto 3 miliardi e mezzo di persone. Il numero di ricchi necessari per eguagliare la ricchezza di metà della popolazione mondiale è in costante diminuzione. Proporzioni mai viste nella storia. E che testimoniano da un lato il grandissimo dinamismo del capitale e dall’altro l’impersonale crudeltà su cui si fonda.

L’accumulazione è il motore del capitale 

Nessun paese regione economica è estranea al processo, alla normalità capitalistica di accumulazione in un pugno di mani della ricchezza. Secondo una stima di Oxfam, vista la velocità di accumulazione di ricchezze ai vertici,in questa generazione sarà forse possibile vedere la nascita del primo trilionario, un individuo che possegga almeno un trilione di dollari. Si tenga presente che la ricchezza nazionale italiana è circa 9 trilioni. Negli Stati Uniti sono concentrati il 46% dei multimilionari di tutto il mondo nonostante abbiano il 2% della popolazione mondiale. Nemmeno a dirlo gli 8 anni di governi di Obama, il campione e l’esempio dei “progressisti” e keynesiani di tutto il mondo, non hanno né rallentato né scalfito tale concentrazione di ricchezza.

Al contrario gli anni della “crisi” sono i protagonisti di un’accelerazione senza precedenti nell’accumulazione della ricchezza. I lussi sfrenati ,le gozzoviglie gli sprechi, la vita dorata dei regni dell’ ancién regime o egli antichi imperi pre capitalistici sembrano ben poca cosa confrontata alle ricchezze accumulate dall’attuale nocciolo duro della classe dominante.

L’ errore più comune quando si parla della crescente disuguaglianza è attribuirla a una politica del capitale e non al capitale stesso. Di solito si incolpa una non ben precisata “globalizzazione neo liberista”, definizione che ha sempre voluto dire poco meno di niente. La polarizzazione della società è uno dei risultati diretti del normale funzionamento capitalistico, non un’aberrazione provocata da politiche economiche irragionevoli e “immorali”.

I salari elargiti dal capitale ai lavoratori di qualsiasi tipo sono sempre un costo da ridurre al minimo per il capitale stesso. La legge principale del capitalismo non è la remunerazione dei fattori secondo il loro contributo alla produzione, come spesso ripetono gli psicopatici apologeti del sistema, ma la massima realizzazione del plusvalore presente nelle merci di qualsiasi tipo, in vista dell’accumulazione sempre maggiore del capitale.

Sotto qualsiasi governo o politica economica congiunturale, il motore del capitale è l’accumulazione di ulteriore capitale, non la ragion pura con la bilancia della giustizia in mano. Un processo che trova la forma più pura nel capitale finanziario, nelle mere scommesse di borsa. I dati dell’allargamento della disuguaglianza devono essere letti tenendo conto di questo. Il fatto che la tendenza sia mondiale, dagli USA alla Cina, dall’Italia al Perù, dimostra che è un dato intrinseco della dinamica capitalismo

Una dinamica che può essere più o men accentuata a seconda della congiuntura storico- politica, del rapporto di forza tra le classi, al di là delle politiche economiche o delle strutture produttive di ciascun paese, che il paese sia più o meno liberista, più o meno socialdemocratico, più o meno statalista.

Guardiamo l’Italia: l’1 % degli italiani possiede il 25% della ricchezza, circa 3 mila miliardi di euro.. Questo non per intelligenza o bravura dei singoli capitalisti, ma perché nel capitalismo la proprietà dei mezzi di produzione, la partecipazione, la prossimità a questa proprietà permette di immergere le mani in questo oceano di profitti.

Redistribuzione della ricchezza? 

A sinistra spesso si lamenta la mancanza di un ritorno a Keynes. Spesso voci sapienti sostengono che seguendo altre vie altre politiche economiche, non le sciagurate politiche “neoliberiste”, questo continuo e impetuoso aumento della disuguaglianza ci sarebbe risparmiato. Sono opinioni di un mero idealismo, che innanzitutto cancella con un colpo di spugna l’esperienza reale delle politiche keynesiane Perfino con frapporti di forza più favorevoli e partiti di sinistra ben più forti di quelli attuali il keynesismo ha migliorato in maniera molto modesta la vita della classe lavoratrice, e per di più per un arco temporale piuttosto ridotto. Le sirene riformiste sono impotenti quanto incapaci di comprendere che le politiche economiche non sono il frutto di un dibattito ma sono il risultato di rapporti di forza, che non sono sostituibili da mere esortazioni ai leader politici, multinazionali, corporate o pressioni sulle rispettive classi dominanti.

Nella sua ormai storia plurisecolare il capitalismo ha dimostrato che tollera molto poco chi cerca di eliminare gli effetti e le condizioni della sua esistenza. Ne è una prova la secolare e fallimentare esperienza delle sinistre riformiste al governo, in ogni angolo del pianeta. Il capitalismo sotto la pressione della lotta di classe ha sempre concesso qualche briciola, che fosse un aumento dei salari, la creazione di una qualche forma di scuola o sanità pubblica o altri parziali miglioramenti delle condizioni di vita dei lavoratori. Allo stesso tempo si riprende tutto alla prima occasione, magari con la collaborazione della stessa sinistra di governo. Da ciò sorge la necessità sempre e comunque di rovesciarlo. A chi chiede un utopistico controllo del movimento dei capitali bisogna opporre l’eliminazione della proprietà e del controllo privati dei capitali, dei mezzi della produzione e quindi della distribuzione, la trasformazione della moneta da capitale a mera misura di valore, riserva di valore e mezzo di scambio. I sotterfugi e le trovate sapienti di questo o quell’economista\intellettuale che pensa di aver trovato il genio nella lampada per limitare i le mostruosità del capitalismo si scontrano sempre e comunque nella realtà dello stato capitalistico e della sua natura di classe.

Redistribuire la ricchezza nel capitalismo è efficace quanto svuotare il mare con un cucchiaino. Tecnicamente è ineccepibile affermare che il cucchiaino sottragga acqua al mare. Sostanzialmente è grottesco sostenere che questa affermazione sia corretta. Ed è ancora più grottesco pensare che questa redistribuzione possa avvenire appoggiandosi sui meccanismi della democrazia parlamentare. Una simile concentrazione della ricchezza equivale a concentrazione del potere politico, mediatico, di influenza su qualsiasi struttura religiosa e laica. Qualsiasi grammo progressista abbia mai avuto la democrazia borghese, è sepolto da tempo sotto le tonnellate di potere reale del capitale. Così che quanto più si concentra la ricchezza in poche mani, quanto più la rivoluzione diventa necessaria, semplice, inevitabile.

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