La cotoletta e la Cgil

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Qualche mese fa, gli iracondi stilisti milanesi Dolce & Gabbana sono
letteralmente usciti di testa per una recensione negativa sulla
cotoletta cucinata nel loro ristorante pubblicata sulle pagine del
Sole 24 ore. L’autrice del pezzo, Camilla Baresani, colpevole di aver
bocciato la fettina fritta del Gold (così si chiama il locale), viene
pubblicamente definita dai due guru della moda "donna frustrata,
grassa e stronza".

Poi, la pregiata ditta decide di lavare l’onta nel
migliore e più contemporaneo dei modi, vale a dire con il ricatto
della pecunia (moooolto "post", moooolto "in", moooolto "carino"),
ritirando cioè ogni inserzione pubblicitaria dalle pagine del Sole.
Passa qualche tempo e un altro giornalista del medesimo quotidiano,
Davide Paolini, scrive una nuova recensione sulle pagine del giornale
di Confindustria. Manco a dirlo, questa volta trova veramente
squisita la cotoletta.
Scoppia un bordello, nelle redazioni non si parla d’altro, per
giorni. Molti sostengono che Paolini si è comportato da marchettaro,
ma la difesa è schierata.

Camillo Langone scrive, cinico, sul cinico
Foglio: "Avrei fatto lo stesso, se un giornale mi chiedesse un
articolo benevolo da cui dipendesse un contratto pubblicitario". Si
susseguono i commenti, Luca Sofri dice la sua sul blog
Wittgenstein: "Nessuno nei giornali protesti contro il ricatto degli
investimenti pubblicitari operato da Dolce e Gabbana: questo ricatto
esiste da tempo, in ogni giornale. La condiscendenza nei confronti
dell’inserzionista, portata fino alla marchetta vera e propria, non
l’hanno chiesta ieri Dolce e Gabbana: c’è da un pezzo".
Sante parole.

La Cgil deve aver studiato a fondo il caso, reso noto
anche dallo stesso Manifesto. Quando, il primo maggio, si è trovata
di fronte al subvertising pubblicato dal Manfo all’interno delle due
pagine di City ospitate dal quotidiano, ci ha immediatamente pensato.
Dimostrando una terribile mancanza di senso dell’ironia, ma uno
spiccato senso degli affari ha chiamato il giornale, tuonando la
minaccia di far saltare tutti gli abbonamenti e le sottoscrizioni
(che avranno detto? "vi roviniamo, vi facciamo chiudere, vi lasciamo
in mutande, senza una lira"?). Così, prima il direttore (un articolo
di prima pagina non firmato si suppone del direttore, ndr), poi
Valentino Parlato sono stati costretti a far la parte del Paolini con
la cotoletta, nel tentativo di recuperare in modo imbarazzato e
imbarazzante i danni fatti, questa volta, non da "donna grassa e
stronza" ma da "pazzi cobas" (ma di chi parlano?)

Morale: la cotoletta di D&G sta al Sole come la Cgil sta al
Manifesto. Che tristezza.

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Perché la Precariomanzia?

cartomanzia.precaria.org

I tarocchi sono considerati soltanto un modo un po’ esoterico di predire il futuro, ma in verità  la lettura delle carte indica tutte le forze, interiori ed esteriori, che determinano lo svolgersi degli eventi. Visti in questa maniera, i tarocchi perdono la banalità  del giochetto magico per diventare un luogo di discernimento, conoscenza di sé e meditazione. Il cammino verso cui dirigersi, la scelta ultima da compiere rimangono una questione che spetta alla volontà  di chi deve affrontare il proprio futuro. Perché legare precarietà  e tarocchi? Non certo perché crediamo che la lotta alla precarietà  abbia dimensioni magiche, esoteriche o extradimensionali. Ma le caratteristiche ambivalenti di ogni Arcano, che può essere letto sia come un problema, sia come un’opportunità , le interpretazioni che nascono dall’associazione fra le varie carte e il loro rapporto con le forze che agiscono su di noi sono un buon pretesto per indurre a riflettere e per suggerire alcune strategie di inter/azione.

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Bello e impossibile – Rosati (Cgil) vuol sposare San Precario

1 Maggio 2007 – Il Manifesto 
Bello e impossibile
Rosati (Cgil) vuol sposare San Precario
«Rosati chi? Quello che invita sempre la Moratti al Primo Maggio?» Questo il commento più blando tra i partecipanti alla Mayday Parade. Poche ore prima dal palco «ufficiale» in Piazza Duomo il segretario della Cgil , Onorio Rosati, aveva lanciato l’idea d’unificare l’anno prossimo le due manifestazioni, quella sempre più rachitica e spenta dei confederali e quella creativa dei precari. Oddio, l’idea sarebbe anche buona. Ma è arrivata in ritardo ed è sembrata una boutade estemporanea per farsi notare. Un consiglio per il futuro: la prossima volta la Cgil ci riprovi con qualcuno dei suoi meno indigesto a San Precario.

 

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Sapelli: confederali e Mayday parade, un solo corteo

1 maggio 2007 – Corriere della Sera – cronaca di Milano

Sapelli: confederali e Mayday parade, un solo corteo

di Marco Cremonesi

«Il mio auspicio? Che la si finisca con le due manifestazioni separate, quella dei sindacati confederali e il mayday ». Giulio Sapelli, insegna storia economica in Statale, è presidente della holding di Palazzo Isimbardi Asam, ed è stato membro di alcuni dei più importanti cda italiani, da Eni a Coop a Fs a Montepaschi.
Sembra che ormai il doppio corteo sia tradizione consolidata.
«Ma è sbagliato. àˆ una cosa che in qualche modo diminuisce il Primo maggio. Come se i problemi del lavoro si potessero separare».
C’è anche chi ritiene che la festa del lavoro sia ormai obsoleta.
«Io non credo. Il lavoro resta una dimensione essenziale, capace oltretutto di rinnovare costantemente la sua sfida. Basta guardare l’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale, che al lavoro dedica pagine e pagine. Anzi, io direi che il Primo maggio in un certo modo sta vincendo».
In che senso?
«Nato negli Stati Uniti — dove si lavora anche il Primo maggio — cresciuto nella vecchia Europa, ormai questo appuntamento è globale, festeggiato anche dai sindacati islamici in Indonesia. Se c’è una novità  rispetto al passato, è che si è svincolato dal movimento socialista che lo ha generato e oggi appartiene alla democrazia universale».
àˆ vero però che il lavoro ha cambiato parecchio le sue caratteristiche, a partire dal grande tema flessibilità  o precarietà .
«Non c’è dubbio. Proprio per questo a me piacerebbe la "riunione" dei due cortei. Per dare forza e sostanza all’idea che la flessibilità  è una necessità , purché non sia ridotta a precarietà ».
E come si fa?
«Bisogna mettersi intorno a un tavolo e ragionare su come rinnovare i diritti fondamentali: il salario di cittadinanza, un nuovo welfare dovrebbero diventare oggetto di piattaforme per così dire universali. Anche perché, di garanzie non ce ne sono più per nessuno. Non nella grande impresa, ma neppure nel pubblico impiego: ormai, le assunzioni degli enti pubblici avvengono soprattutto attraverso contratti atipici».
C’è chi propone un concerto del Primo Maggio anche a Milano.
«Sarebbe un’ottima idea. Un modo per parlare di questi temi in modo diverso e stimolante, per liberare energie e ampliare di molto l’interesse dei più giovani. A Roma, il concertone è diventato una sorta di piccola Woodstock».

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Mayday, ancora in pista a fianco dei precari

01/05/2007 – Liberazione 

Per il settimo anno consecutivo va in onda, a Napoli e Milano, il primo maggio di chi i diritti non può nemmeno immaginarli. «Si parla tanto ma si fa poco»

 

Mayday, ancora in pista a fianco dei precari

 

E per il settimo anno, Mayday Mayday!
Dopo anni di mancato riconoscimento e oblio, il 2007 sarà  l’anno dei precari e delle precarie. Sono stati sulla bocca di tutti durante la campagna elettorale e lo sono ancora oggi nei tavoli di riforma del welfare e nei comizi di tutta la sinistra partitica e sindacale. Disgraziatamente, tutto questo parlare di precarietà  non porta nulla di utile per i precari: chi oggi cerca di rappresentare gli interessi dei precari, lo fa con dubbia strumentalità  o, alla meglio, con l’incapacità  di comprendere un corpo sociale difficilmente interpretabile attraverso le lenti tradizionali della sinistra.
Il 4 e il 17 novembre 2007 ci sono state una manifestazione e uno sciopero contro il precariato (incuranti del fatto che il precariato siamo noi!), che hanno confermato i limiti di partiti e sindacati. A differenza di altri che cambiano nome, senza cambiare persone, pratiche e parole d’ordine, la Mayday si rinnova ogni anno, ed ogni anno ad animarla sono centinaia e migliaia di lavoratrici, di precari, native e migranti, che investono le proprie energie, la propria passione, la propria intelligenza per mostrare un modo diverso di pensare ed attuare la lotta alla precarietà . Unica costante: adottare quegli strumenti che le imprese usano per penetrare e controllare il sociale, cercando di scardinare quella morsa di ricatto e consenso, di nefandezze e fascinazione che nutre il sistema neoliberista.
àˆ questa presa sul sociale che permette oggi alle imprese di arricchirsi, ed è su questo piano che si conduce la lotta alla precarizzazione. Non crediamo che questo governo, in tutte le sue componenti più o meno di sinistra, si dimostrerà  capace di agire realmente contro i meccanismi che generano la precarietà : troppo supino ai ricatti di chi "fa girare l’economia", troppo stolido per comprendere i propri limiti storici e troppo cerchiobottista per assumere posizioni decise e incisive.
Le misure in realtà  sono sconcertanti nella loro semplicità . Minimo: riduzione delle forme contrattuali, salario minimo, orario, abolizione della cessione di un ramo d’azienda. A questo va aggiunto una forma di reddito garantito, che permetta una reale libertà  di scelta di vita, non più sottoposta al ricatto del bisogno e della subalternità : una continuità  di reddito diretto e indiretto (sotto forma di servizi comuni e sociali) che deve essere incondizionata (per non cadere sotto l’ombrello del controllo sociale), per tutti i residenti (e non solo per i "cittadini"), finanziata dalla fiscalità  generale e non dall’Inps e dai contributi sociali (partita di giro tra lavoratori).
Purtroppo restiamo convinti che tutto questo non si otterrà  attraverso governo ("taroccato" come questo o meno), partiti e sindacati vari, ma che solo l’autorappresentazione e l’autorganizzazione di gruppi di precari sempre più ampi metterà  sul piatto della bilancia una forza non controllabile e determinata a sufficienza per poter strappare ciò che merita e necessita: un po’ di dignità  e la possibilità  di vivere liberamente.

"Agenti dell’intelligence precaria"

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