Il gigante (Expo) si sta muovendo da un mese, ma al di là del cancan più o meno prezzolato e dei primi dati di affluenza (1,9 milioni per Federalberghi, 2,7 milioni per Expo SpA) raggiunti a suon di scolaresche in gita e movida sottocosto, non molto sembra cambiato nella metropoli milanese.
Come ampiamente previsto Expo è stato un gigante di investimenti pubblici (3,2 miliardi, 0,2% del PIL), di cemento e, conseguentemente, di corruzione in perfetto stile italico. Per vedere gli effetti del debito occorrerà attendere un po’ di più. In maniera altrettanto prevedibile ha prodotto insignificanti ricadute economiche ed occupazionali e nei prossimi mesi questo sarà ancora più evidente quando verranno a mancare le tanto millantate ricadute nel settore turistico.
Non abbiamo quindi dubbi che tra 6 mesi ci leccheremo le ferite lasciate nei bilanci di Comune (per ora 460 milioni) e Regione (1,2 miliardi) da questa sciagurata avventura di cui ovviamente nessuno si prenderà la responsabilità politica. Eppure ci potrebbe essere un’opportunità da cogliere prima che il circo di Expo chiuda: l’Esposizione Universale, come tutte le attività fieristiche e del terziario, è un concentrato di precarietà.
Intendiamoci, lavorare dentro Expo non è più precario che altrove in Lombardia o in Italia, sopratutto dopo l’approvazione del Jobs Act. Chi ci lavora non ha nemmeno grosse aspettative: 6 mesi di stipendio e poi a casa come prima, se va bene con tre mesi di Naspi a 700 euro mensili.
La vera peculiarità di Expo è di essere un enorme fabbrica del terziario in cui lavorano circa 15000 persone. Un enorme collettore di lavoratori, altrimenti sparsi per la metropoli, che vivono condizioni materiali molto simili, anche se con contratti molto diversi (in questo una delle differenze con la fabbrica novecentesca).
L’esperienza maturata alla “Settimana della moda”, in “Fiera Milano” o alla “Fiera del libro” di Torino, ci insegna che questi grandi eventi sono un enorme bacino di relazioni. Tanto più che tra un paio di mesi, quando le aziende cominceranno a capire che il gioco non vale la candela, molti lavoratori potrebbero veder sfumare anche i miseri sei mesi di contratto.
Già ora non sono pochi gli abusi emersi ai danni dei lavoratori: elusione dei contratti nazionali, abuso dei voucher, discriminazioni per opinioni politiche, mancati pagamenti, lavoro nero… Persino la CGIL ha dovuto muoversi, benché firmataria di un pessimo accordo territoriale con Expo S.p.a. attivo dal luglio del 2013.
Purtroppo 8 anni di lodevole opposizione al grande evento non sono riusciti a scongiurarne l’avvio ed oggi ci ritroviamo questo pachiderma mollemente disteso tra Rho e Milano. Da qui al 31 ottobre, non ci resta che sfruttarne le dimensioni e le pochezze, consapevoli che la precarizzazione non inizia e non finisce con Expo.
Il Jobs Act e la riforma degli ammortizzatori sociali hanno infatti inaugurato una nuova fase della precarizzazione con cui presto ci dovremo misurare con tutta l’intelligenza precaria possibile.
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