Considero l’incontro del 2 dicembre scorso molto interessante per due ragioni.
La prima è che mette a confronto percorsi e approcci diversi ma che, esprimendosi chiaramente, possono individuare la propria “superficie di contatto” e quindi trovare una modalità possibile di LAVORO COMUNE…
Mi spiego. Parlare di “salario sociale” o “reddito di cittadinanza” porta con se’ un approccio diverso al problema dei soggetti sociali in relazione alla loro collocazione nei processi di valorizzazione del capitale.
Ma individuare – giustamente, come fa il testo che ha introdotto l’incontro – la rivendicazione della “continuità del reddito per tutti/e” come architrave di una piattaforma per contrastare la precarietà come elemento di pressione e ricatto costante sui lavoratori – cognitari o inseriti nei processi di produzione materiale – è un approccio concreto che permette la convergenza di impostazioni diverse nella battaglia per ricomporre ciò che la crisi e il suo uso padronale frantumano e dividono.
La seconda ragione è che, mi pare, obiettivo dell’incontro – esplicitato poi nelle sue conclusioni – è quello di individuare progetti che si traducano in campagne sui cui soggetti di movimento diversi possano “mettersi insieme” senza cancellare le proprie specificità e l’autonomia della propria attività a tutto campo.
Mi pare che gli altri elementi di interesse nella proposta siano:
a) L’individuazione del nesso tra battaglia per un “reddito di base generalizzato” con contestuale accesso universale ad un pacchetto di servizi e proposta di un SALARIO MINIMO GARANTITO.
Segnalo, a questo proposito, che, pur con un approccio diverso, andava nello stesso senso la proposta di legge di iniziativa popolare presentata nella primavera scorsa da Sinistra Critica e corredata da 70.000 firme, imperniata sulla rivendicazione del “salario sociale” e per l’appunto del “salario minimo (intercategoriale) garantito”
b) La proposta delle riduzione delle forme contrattuali a quattro principali – tempo parziale a tempo determinato e indeterminato, full time a tempo determinato o stabile – che dovrebbe portare con sé, a mio giudizio l’esplicitazione della necessità di cancellare TUTTA la legislazione attuale sul lavoro e quindi la Treu e la Biagi, cancellando tutte le agenzie private di gestione della forza lavoro – e del mercato del lavoro.
c) La logica della “vertenzialità” c’è nell’idea di “welfare metropolitano”, soprattutto se intesa come terreno di azione nei confronti di precise controparti, che può permettere di organizzare i soggetti interessati a conquistare reddito e/o accesso gratuito a beni e servizi, da una parte, o a difendere il proprio lavoro dall’altro in direzione di obiettivi concreti. Cioè, può servire a costruire piattaforme che, agite da soggetti collettivi, producono conflitto sociale.
d) Vi è una utile individuazione di leve fiscali da agire anche sul piano locale per finanziare questa proposta di “welfare metropolitano”.
Il limite delle proposte concrete individuate è forse quello di essere un po’ “minimalista”, non ponendosi il problema di come raccordare forme di imposizione locale/regionale con forme di prelievo sui profitti e i grandi patrimoni che prevedano l’intervento sulla legislazione a livello statale-governativo.
Tra l’altro, anche per mettere a disposizione degli Enti Locali maggiori risorse finanziarie occorre contrastare le politiche di taglio feroce della spesa pubblica. Per esempio, la riduzione costante del Fondo statale che finanzia appunto Comuni, Province e Regioni.
Rimane poi da affrontare meglio la relazione tra “battaglia per la continuità del reddito” e finanziamento – allargamento degli ammortizzatori sociali esistenti.
Credo che a questa proposta andrebbe aggiunto un pezzo di ragionamento. Legato ad un approccio che voglia coniugare la difesa del “diritto alla scelta del lavoro” alla difesa del “diritto al lavoro” e non contrapporli l’uno all’altro.
Occorre cioè porsi il problema di come, di fronte alla crisi e al suo uso padronale si difende la base strutturale del lavoro materiale ed anche di quello immateriale, impedendo la distruzione delle attività produttive esistenti e con esse di una parte importante del lavoro salariato che lì collocato valorizza il capitale.
In una parola: il blocco dei licenziamenti, il veto sui licenziamenti da parte dei lavoratori occupati per imporre una redistribuzione dell’orario di lavoro tra tutti e tutte.
Cioè il “ritorno” nelle condizioni della crisi della tematica strategica della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario per difendere l’occupazione e per ridare ai lavoratori occupati quella possibilità di controllo sulle proprie condizioni di lavoro, sull’erogazione della propria prestazione lavorativa che è necessaria per contrastare la tendenza alla
formazione di un gigantesco esercito industriale di riserva destinato a ricattare i lavoratori occupati ma anche quelli “esterni” alla produzione materiale che contribuiscono direttamente o indirettamente alla valorizzazione del capitale.
Chiaramente una battaglia di questo tipo – la combinazione reddito per tutti o salario sociale, salario minimo e riduzione di orario – richiede il rilancio di politiche rivendicative e contrattuali non compatibilistiche capaci di aumentare i salari e gli stipendi e non limitarsi a contrattare al ribasso la loro graduale riduzione.
Da ultimo: quali forme di organizzazione ci si dà per sostenere questo “pacchetto di rivendicazioni”? E con quale relazioni con i soggetti sindacali esistenti?
Sono domande a cui non è facile rispondere, ma che occorre porsi.
Grazie per l’attenzione e arrivederci al prossimo incontro.
Roberto Firenze (Sinistra Critica)
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