Bergamo – Lo scandalo che sta scuotendo il mondo politico lombardo lascia intravedere, dietro il business delle grandi opere, una rete di potere e collusioni ampia e radicata, dove forze politiche, gruppi d’influenza e attori preminenti del settore delle costruzioni, nel perseguimento d’interessi “particolari”, operano occultamente dando indirizzo e sostanza a quella modalità di gestione del territorio che in apertura di questa inchiesta è stata definita come “governace opaca”. I dettagli emersi circa le attività di smaltimento di rifiuti illegali del Gruppo Locatelli, rifiuti edilizi che sarebbero stati sversati nei cantieri della BreBeMi, segnalerebbero una spregiudicatezza e una sprezzo dei rischi per la salute pubblica davvero impressionanti. E’ impossibile a questo punto non nutrire legittime preoccupazioni per l’imminente avvio dei lavori dell’alta velocità tra Treviglio e Brescia. Esistono fondati motivi per temere che, quanto accaduto nei cantieri della BreBeMi, possa riproporsi ancora. Locatelli aveva già preso contatti con il responsabile tecnico del cantiere BreBeMi di Urago d’Oglio Pietro Trotta, del Gruppo Pizzarotti, con il proposito, secondo gli inquirenti, di formulare un accordo per sversare i rifiuti illegali anche nei cantieri dell’alta velocità. Inoltre, insieme al già menzionato Gruppo Pizzarotti, al consorzio CEPAV 2 (incaricato da Ferrovie dello Stato della realizzazione della tratta tra Treviglio e Brescia, vale la pena ricordarlo, senza bando di gara), con una quota ragguardevole del 12 %, prenderà parte un altro colosso di costruzione generale che, oltre a condividere con il primo la medesima preoccupante permeabilità alle pressioni della criminalità organizzata, compare in almeno due altre inchieste della magistratura inerenti il traffico di rifiuti illegali. Stiamo parlando del Gruppo Maltauro, che perciò merita in questa sede una puntata dedicata.
Il Gruppo Maltauro, che controlla il 95 % della società “Giuseppe Maltauro Costruzioni”, è uno dei colossi italiani di costruzione generale. L’affermazione del gruppo, attivo dalla prima metà del ventesimo secolo, è connessa alla realizzazione di grandi opere private e pubbliche di ingegneria civile, industriale e infrastrutturale. Nel suo curriculum figurano opere di primissimo piano ripartite tra Europa, Asia, Africa e America. Come il Gruppo Pizzarotti, anche Maltauro è un’azienda contractor delle forze armate USA, per cui ha realizzato anche i centri di intrattenimento delle basi di Ederle e Aviano. Soprattutto Maltauro (in particolare attraverso la società controllata Zelma) ha operato per decenni in territorio libico ed è indicata come una delle aziende ad aver maggiormente beneficiato degli accordi tra il colonnello Muhammar Gheddafi e l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Tra le varie opere, il gruppo vicentino fu incaricato della realizzazione del bunker di Bab Al Aziziya, da dove Gheddafi ha lanciato la sua ultima strenua resistenza. Sempre realizzato da Maltauro, il centro di manutenzione e assemblaggio presso l’aeroporto di Abou Aisha, destinato alla produzione di elicotteri AW119Ke e AW109 e dei pattugliatori AW139. La struttura fu consegnata nel 2010 nell’ambito del programma di sviluppo della “Libyan Italian Advanced Technology Company”, di cui Finmeccanica detiene il 50 %. Attraverso la società “Agusta Westland”, il Gruppo Finmeccanica è stato, fino alla dipartita di Gheddafi, il principale fornitore non solo dei velivoli assemblati presso il centro di Abou Aisha, ma anche di tutti gli altri velivoli militari in dotazione alle forze armate libiche. Chissà se le notizie della feroce repressione del colonnello avranno destato tra i manager del Gruppo Maltauro qualche rimorso di coscienza!
Gli accordi tra Libia e Italia non sono l’unica fortuna per cui Maltauro debba ringraziare il Governo. Anche la gestione dell’emergenza seguita al terremoto di L’Aquila, infatti, ha offerto al gruppo vicentino una ghiotta opportunità economica. Nella primavera del 2009, l’associazione temporanea d’impresa tra Maltauro e il Gruppo Edimo di Carlo Taddei si aggiudicava la realizzazione di alcuni lotti delle nuove abitazioni destinate alle famiglie sfollate, nell’ambito del progetto “C.A.S.E.” (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili). Il programma prevedeva la realizzazione di 184 edifici, per 4600 appartamenti e una spesa di circa 710 milioni di euro. Ma aldilà dei proclami televisivi di Berlusconi, l’operazione lascia non poche perplessità. Innanzitutto, per quanto riguarda le tempistiche della procedura di selezione bandita dal Consiglio dei Ministri: pubblicazione in data 22 maggio, presentazione delle offerte in data 3 giugno e assegnazione definitiva solo 14 giorni dopo. Vi è poi la questione relativa i costi dell’opera. Secondo l’Associazione per la Ricostruzione il costo degli appartamenti ammonterebbe a 2850 euro al metro quadro, contro un costo medio di costruzione di un edificio a norma antisismica non superiore ai 1300 euro al metro quadro. La questione più annosa concerne però il rapporto con le società subappaltatrici. Le norme emergenziali varate dal Governo permettevano alle aziende capofila di affidare lavori in subappalto senza bando di gara, sulla base di un mero rapporto fiduciario. La conseguenza è ovviamente una minore trasparenza nella selezione delle società subappaltatrici; circostanza che ha finito per alimentare timori circa i rischi di infiltrazione della criminalità organizzata nel business della ricostruzione.
In effetti, questi timori sembrerebbero aver trovato conferma almeno in una circostanza. Nell’agosto del 2009, Edimal (società del Gruppo Edimo, in associazione temporanea con Maltauro) richiedeva al Dipartimento della Protezione Civile l’autorizzazione per subappaltare a “Impresa Generale Costruzioni” di Gela alcuni lavori nell’ambito del progetto C.A.S.E. Il nulla osta giungeva a fine settembre, quando i lavori in subappalto erano già stati completati. Eppure Impresa Generale Costruzioni era già stata oggetto di ben 4 segnalazioni da parte della Direzione Investigativa Antimafia, che ne ravvisava i collegamenti con il clan dei Ranzavillo. Un episodio davvero inquietante. D’altro canto, un’altra recente vicenda, dimostra la difficoltà del Gruppo Maltauro a mantenersi impermeabile alle pressioni della criminalità organizzata. Nell’ottobre del 2010, il Sostituto Procuratore della Direzione Investigativa Antimafia Fabio D’Anna chiedeva 4 rinvii a giudizio nell’ambito dell’operazione “Libeccio”, che a maggio dello stesso anno aveva condotto all’arresto di un’intera famiglia tortoriciana. Francesco Bontempo Scavo, secondo gli inquirenti appartenente al clan dei Batanesi, veniva accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso per aver imposto alla società del Gruppo Maltauro, impegnata nei lavori per la realizzazione del “Parco eolico dei Nebrodi”, l’assunzione di moglie e figlio. Alcune settimane prima la richiesta d’assunzione, il cantiere dell’azienda in località Floresta era fatto oggetto di un furto di materiale, che sarebbe poi stato restituito (senza alcuna denuncia di furto da parte dell’azienda) ad avvenuta assunzione. Coinvolto nelle indagini anche il capo-cantiere di Maltauro, che avrebbe caldeggiato l’assunzione dei 3 presso i vertici dell’azienda. Insomma, assunzioni mirate in cambio di protezione.
Non è il migliore dei biglietti da visita per un’azienda sovente incaricata della realizzazione di grandi opere pubbliche; ma d’altronde, anche le vicissitudini giudiziarie del gruppo non forniscono grandi rassicurazioni. Nell’estate del 1992 l’azienda veniva travolta dallo scandalo di Tangentopoli. Le accuse riguardavano episodi di corruzione relativi agli appalti per la realizzazione del collegamento tra Venezia e l’aeroporto Marco Polo e di Malpensa 2000. Enrico e Giuseppe Maltauro, insieme ad alcuni dirigenti del gruppo, tutti accusati di corruzione e finanziamento illecito ai partiti, patteggiavano in seguito pene inferiori ad un anno di reclusione. Le ombre non si esauriscono però con la stagione di Tangentopoli. Il Gruppo Maltauro è stato recentemente chiamato in causa in relazione ad una storia di smaltimento illecito di rifiuti. Nel maggio del 2003 Ecoveneta, società del Gruppo Maltauro, concludeva un accordo con la società “Servizi Costieri” per la gestione dell’impianto di trattamento di rifiuti tossici a Porto Marghera. Ma nel febbraio del 2004 la piattaforma veniva sequestrata nell’ambito dell’inchiesta “Houdini”, che portava alla luce un traffico di rifiuti illegali di proporzioni sconvolgenti. A quel punto, Bruno Lombardi, amministratore delegato di Ecoveneta, trasferiva l’affitto d’azienda dalla società del Gruppo Maltauro ad Aimeco, società controllata dall’azienda pubblica AIM. Una dettaglio appare davvero grottesco: Lombardi firmava l’accordo per entrambe le società in quanto amministratore delegato anche di Aimeco! Dopodiché, Ecoveneta cedeva anche la sua partecipazione in Aimeco. Il “bidone” della piattaforma sotto sequestro veniva così rifilato all’azienda municipalizzata, con un costo complessivo dell’operazione pari a circa 10 milioni di euro di denaro pubblico.
Lombardi era già stato coinvolto nell’inchiesta su Servizi Costieri e nella seconda metà del 2007 aveva patteggiato una condanna per smaltimento illecito di rifiuti. La magistratura aveva ricostruito un traffico di rifiuti tossici smistati a Porto Marghera: tipologie diverse di scorie illegalmente miscelate per modificarne i codici di riconoscimento e smistate poi tra le discariche napoletane di Bacoli e Acerra, nella discarica barese di Modugno e in quella veneta di Paese. In quelle discariche finiva di tutto: alluminio, idrocarburi, solfuri, amianto. Ma l’inchiesta parlava anche di una spedizione illecita di 270 tonnellate di amianto in Germania e dell’utilizzo improprio di decine di altre discariche. Tra gli illeciti contestati, la gestione dei fanghi ceduti dalla società Medio Campo di Montebello: quei fanghi, carichi di cromo e metalli pesanti del comparto di Arzignano, non venivano smaltiti da Servizi Costieri secondo le norme di legge, bensì, contraffatta la bolla d’accompagnamento, si trasformavano in fertilizzante da giardinaggio. Scontato sottolineare le gravissime implicazioni di questo genere di operazioni per la salute pubblica. Il fatto, poi, che il nome di uno dei maggiori azionisti di CEPAV 2 sia associato a storie come questa, non può che alimentare i timori sulla gestione dei cantieri per l’alta velocità tra Treviglio e Brescia; ancora di più dopo il sequestro dei cantieri BreBeMI. Quest’ultima vicenda, tra l’altro, fa eco ad un’altra vicenda che chiama nuovamente in causa Maltauro. A maggio del 2011, la magistratura vicentina emetteva 5 avvisi di garanzia per violazione della legislazione ambientale; i materiali di demolizione del cantiere della “Fiera di Vicenza” (demolizione subappaltata da Maltauro alle società Sartorello Escavazioni e Sartorello Costruzioni) sarebbero stati versati illegalmente in un altro cantiere del gruppo, senza essere trattati e senza i debiti controlli del responsabile del cantiere di Maltauro.
[…] dalla notizia dell’appalto. Come scriveva nell’agosto 2012 BgReport, parlando delle vicende legate ai rifiuti tossici sotto la BREBEMI, e di cui riportiamo […]