Il nostro territorio è teatro della realizzazione di opere come la Pedemontana, la Bre.Be.Mi., la linea dell’Alta Velocità, il progetto dell’austostrada Bergamo-Treviglio. Di fronte al proliferare di opere tanto costose, e spesso giudicate inutili dalla popolazione, ci si chiede come è possibile che si trovi tanto denaro per realizzarle in una fase in cui l’austerity sembrerebbe il minimo comune denominatore che unisce gli schieramenti politici. Se mancano i soldi per la scuola e la sanità, se gli ammortizzatori sociali sono inadeguati, perchè i finanziamenti per le grandi infrastrutture non mancano mai? Ne abbiamo voluto parlare con Stefano Lucarelli docente di Economia pubblica e Economia monetaria internazionale presso l’ateneo bergamasco a cui abbiamo rivolto alcune domande:
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Cosa pensa della scelta del comitato che si batte contro il progetto di autostrada Bergamo-Treviglio di manifestare, nel dicembre scorso, di fronte alla sede di UBI banca, finanziatrice dell’opera?
Posso rispondere dal punto di vista dello studioso di scienze sociali e più in particolare di un economista che concepisce la critica dell’economia politica come quell’ambito del sapere volto all’analisi delle contraddizioni che caratterizzano il capitalismo. È bene segnalare che non sono un esperto di economia dei trasporti e delle infrastrutture. I miei specifici ambiti di ricerca sono altri. Mi sono occupato e mi occupo della relazione che intercorre tra erogazione del credito e dinamica tecnologica, oltre che della rilevanza dei cicli politici elettorali sulla finanza pubblica. Da questa prospettiva ritengo che il progetto di autostrada Bergamo-Treviglio rappresenti un problema complesso. Occorre chiedersi: quali sono gli obiettivi di questa opera? È stato scritto che l’opera è necessaria per ridurre i volumi di traffico che interessano l’A4. Ma è anche diffusa la retorica che questa nuova infrastruttura potrà generare una ricaduta positiva in termini di sviluppo industriale dell’area che interessa Treviglio. Su questa prospettiva è lecito dubitare. Mi pare che le variabili principali su cui agire per ridare slancio ad un territorio colpito gravemente dalla crisi in corso – e che tuttavia presenta un traiettoria di sviluppo caratterizzata da una caduta del tasso di crescita del suo prodotto interno lordo che ha origini precedenti al 2008 – siano altre. Mi spiego: incrementare le infrastrutture autostradali per rilanciare l’industria manifatturiera serve a poco, se è vero, come dimostrano delle ricerche da me condotte in collaborazione con Roberto Romano della CGIL Lombardia e con Daniela Palma dell’ENEA, che il ritardo competitivo dell’industria italiana è spiegabile soprattutto dalla bassa ricerca e sviluppo svolta dalle imprese (la così detta BERD). Occorre inoltre tener conto della centralità di altre variabili istituzionali che diventano molto significative dopo il 2008: i cattivi incentivi che oggi caratterizzano il sistema del credito italiano, rifinanziatosi grazie alla BCE a bassi tassi di interesse, ma protagonista di una stretta creditizia notevolissima sulle imprese, le quali soffrono a loro volta della mancata riscossione dei loro crediti da parte dei clienti; le politiche di austerità che si traducono in una pressione fiscale insostenibile e in costi sociali altissimi, e che conducono ad un calo della domanda.
Una banca come UBI vuole finanziare un progetto come la Bre-Be-Mi perché di per sé, per come è stato politicamente costruito, si traduce in un credito a basso rischio: i costi di costruzione (1.420 milioni di €, poi rivisti al rialzo sino a 2.400 milioni di euro) sono a carico dei privati che recupereranno i costi attraverso i pedaggi, la banca in tal modo può contare sulla restituzione del principale e sugli interessi in un momento in cui prestare denaro per altre finalità presenta rischi più elevati. D’altro canto il gestore può sempre traslare sull’utente il costo sostenuto attraverso modi impropri di fissazione della tariffa. Sul modo in cui vengono calcolate le tariffe autostradali ha scritto un libro eccellente Giorgio Ragazzi (I Signori delle autostrade, il Mulino, 2008): egli dimostra che rivalutazioni monetarie, proroghe delle concessioni e regolazione delle tariffe possono generare alti profitti senza che l’opinione pubblica ne percepisca in nessun modo i costi. Insomma si tratta di un businness drogato.
UBI sta mettendo in campo una strategia lontana da finalità sociali. Fanno benissimo i manifestanti a dire la verità: si tratta di un credito erogato non per finanziare lo sviluppo del territorio, ma per far girare soldi che fanno sopportare bassi rischi al finanziatore. Detto questo UBI si comporta né più né meno come la maggior parte del sistema creditizio italiano, condannato a competere ad armi impari con le banche dei Paesi del Nord Europa (su questo condivido l’analisi che ad esempio ha fatto Emiliano Brancaccio in occasione del caso MPS)
- Quest’opera, osteggiata dalla popolazione che per opporsi ha già raccolto più di 10.000 firme, verrà realizzata con 288 milioni di euro provenienti dal project financing, di cosa si tratta?
Il project financing -o finanza a progetto – è un finanziamento a lungo termine in cui la garanzia del pagamento del debito è rappresentata dalle entrate di cassa previste dalla gestione dell’opera finanziata. Di fatto nel nostro Paese sta sostituendo il finanziamento pubblico volto a realizzare servizi di pubblica utilità, cioè quei servizi caratterizzati da un’alta rigidità della domanda e che, secondo il linguaggio degli economisti pubblici, sono beni meritori, cioè quei beni la cui fornitura avviene in base a un principio diverso dalla sovranità del consumatore. Il concetto di bene meritorio ha natura trasversale rispetto alla distinzione tra beni privati e beni pubblici, scaturisce dalle cosiddette preferenze di comunità, che nascono dall’accettazione di valori comuni intesi come il risultato di un processo storico. A mio modo di vedere si tratta di un concetto molto prossimo a quello di bene comune, oggi tanto diffuso.
Gli attori in gioco nel project financing sono: 1. la Pubblica Amministrazione che approva il progetto; 2. la banca che lo finanzia; 3. il privato che lo realizza, lo gestisce e che ripaga il debito attraverso le entrate derivanti dalla concessione pubblica; 4. gli utenti. Come interagiscono questi attori? La banca ha il diritto di riscuotere il capitale prestato e gli interessi, il gestore-realizzatore riscuote le tariffe che devono ripagare nel periodo prefissato il debito e i costi sopportati dallo stesso gestore. Gli utenti pagano le tariffe. Le tariffe diventano pertanto la variabile di aggiustamento dell’intero circuito.
Quando il project financing è utilizzato per realizzare servizi di pubblica utilità, la meritorietà del bene viene a mio avviso scalfita se non minata.
- Perché le banche non faticano a mettere a disposizione ingenti risorse per grandi opere di questo genere e invece sono tanto rigide nel finanziare mutui, imprese o attività che hanno necessità di aiuto creditizio?
Le banche in Italia, oggi più che mai, si trovano in una situazione pessima: sono condannate a ottenere livelli di redditività all’altezza dei loro competitors europei che, dato il contesto macroeconomico attuale, hanno buone probabilità di acquisirle. Ma si trovano in Italia, hanno ricevuto dalla BCE finanziamenti a tassi vantaggiosi con l’implicito compito di contribuire a sostenere gli acquisti dei titoli di Stato italiani. Nel mentre l’austerità imposta ai governi europei, soprattutto nei Paesi del Sud Europa ma non solo, aumenta il rischio di credito alle imprese impegnate nei settori tradizionali. Le probabilità di fallimento delle imprese private è molto alto. Per le banche diventa allora razionale garantirsi dei rientri a basso rischio. Il project financing diviene allora una garanzia.
Siamo ben lontani dal compito che le banche dovrebbero avere se si tiene conto dell’articolo 47 della nostra Costituzione: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.”
Qui siamo al paradosso: sono gli interessi degli enti creditizi che controllano l’esercizio della Repubblica.
Complimenti per l’ottima intervista
Sempre bravi nella chiarezza!