Ponteranica – Si è svolto l’11 Maggio scorso la commemorazione di Peppino Impastato, giornalista assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978.
La scelta di celebrare questo anniversario a Ponteranica è tutt’altro che casuale: la giunta Aldegani aveva fatto notizia nel 2009 per aver rimosso la targa e l’intitolazione della biblioteca a Peppino Impastato. La rimozione di una targa dedicata a chi è morto combattendo contro la mafia potrebbe dare l’impressione che questo non sia un problema del territorio. Le motivazioni localiste addotte dal sindaco di Ponteranica, Cristiano Aldegani, sembrano involontariamente e tacitamente andare in questa direzione.
Rocco Artifoni, portavoce di Libera Bergamo è però chiaro su questo punto: affermare che la mafia a Bergamo non esiste significa ammettere la propria ignoranza non solo di ciò che sta avvenendo sul territorio ma anche della sua storia. Le organizzazioni mafiose sono presenti nella provincia sin dagli anni sessanta, da quando hanno iniziato ad espandersi nel territorio fino ad arrivare a essere, ai giorni nostri, una delle realtà centrali delle attività mafiose in Lombardia ma anche più sottaciute.
Bergamo è stata infatti considerata un territorio sicuro per la mafia, complice di questo anche la mentalità e le affermazioni che volevano il territorio bergamasco immune all’illegalità. Le azioni mafiose, spesso legate al traffico internazionale di stupefacenti e al sequestro di persona si sono intensificate dai primi anni 90, quando 61 mafiosi sono stati confinati nel carcere di Bergamo, ma erano ben presenti sul territorio come dimostra il primo sequestro di persona della Lombardia, avvenuto a Treviglio nel 1972 o la raffineria di eroina purissima per l’esportazione negli Stati Uniti gestita dalla mafia a Rota Imagna trovata nel 1990. Nel 1994 la commissione parlamentare dedicò un paragrafo su Bergamo, in special modo le valli, indicandola come ”una zona di transito piuttosto sicura, che offre ampie possibilità di mimetizzazione”, dove, ad oggi, 7 sono state le raffinerie scoperte e 26 gli immobili confiscati alla mafia.
Una situazione che non rimane nel silenzio: anche se è vero che la mafia non è scenica come nei primi anni 90, aggiunge Artifoni, il ricorso alla violenza per poter agire, nella provincia, è ben presente. Il duplice omicidio nel 2007 di Leone Signorelli, che gestiva un laboratorio per raffinare la cocaina a Telgate, e di Giuseppe Realini unico testimone dell’omicidio di Signorelli, ha infatti una radice mafiosa che travalica i confini nazionali, con mandati provenienti direttamente dalla famiglia Escobar in Colombia. La presenza di boss e di killer mafiosi è attestata sul territorio, così come lo sono le armi che vengono provate dalla ‘ndrangheta nei boschi tra il bresciano e la bergamasca, come risulta da un’intercettazione telefonica.
Un fenomeno che ha avuto origine al sud, ma che trova nella nostra provincia un terreno favorevole per attecchire, spiega Artifoni, tanto da arrivare a parlare di un “gruppo dei bergamaschi”. Grazie alle contingenze economiche attuali e la strutturale mancanza di capitali, il fenomeno e dell’usura e dell’estorsione sono aumentate, e gli imprenditori bergamaschi non sono solo tra le vittime. Dario Pandolfi è stato arrestato lo scorso giugno con l’accusa di essere a capo di un gruppo di imprenditori che prestava denaro a tassi del 40%, riscuotendo i crediti e offrendo protezione in puro stile mafioso.
Questi sono solo pochi accenni di quella che rimane una delle più colpite delle province Lombarde, come sosteneva già Mario Draghi nel 2011 quando indicava Bergamo, Milano e Brescia come i territori in cui le mafie si erano raccolte più denunce nel Nord Italia.
Le istituzioni, però, fanno poco. I 5000 euro dei gettoni di partecipazione dei consiglieri provinciali al consiglio straordinario dello scorso 24 ottobre per discutere dell’importanza della lotta alla mafia nella provincia, donati ad iniziative antimafia, sono soltanto un piccolo gesto di fronte al doveroso impegno che dovrebbero prendere nella costruzione di una cultura della legalità. Molto spesso, purtroppo, è vero il contrario, come nelle affermazioni di Guglielmo Redondi, che imputa ogni colpa alle ingerenze da parte di altre culture nazionali ed internazionali nello spirito intimamente legale dell’anima bergamasca.
Il consiglio cittadino o regionale non è l’unico piano istituzionale da cui ci si aspettano misure più importanti. Nelle indagini sull’alta velocità in Lombardia, il prefetto ha segnalato e fatto allontanare 13 aziende per sospetto di infiltrazione mafiosa dai cantieri della Bre.Be.Mi. In altre province in casi come questo è stato aperto un tavolo per la gestione dei beni confiscati, invitando a partecipare tutti gli attori sociali che si impegnano nella lotta alla mafia, mentre finora è stata aperta solo una commissione interna alla prefettura. E’ solo questione di tempo, si augura Artifoni.
Ce lo auguriamo, come ci auguriamo che venga ripristinata la targa di Peppino Impastato.