Bergamo – In occasione della serata di finanziamento “N’Oi per Amatrice” di questa sera al Paci Paciana abbiamo chiesto ad un attivista delle Brigate di solidarietà attiva di descriverci le attività e la modalità di gestione dell’emergenza terremoto del centro Italia. I media in passato hanno trattato le notizie del terremoto per poche settimane dopo le scosse, ma cosa davvero succede in quei territori quando l’attenzione pubblica diminuisce?
Lo abbiamo chiesto a Beppe
Beppe, in quali campi hai svolto volontariato? e attualmente dove sono impegnate le BSA?
Le Brigate di Solidarietà Attiva sono arrivate ad Amatrice poche ore dopo il sisma del 24 agosto. Il nostro intervento si è da subito consolidato grazie alla coordinazione e alla partecipazione di numerosi cittadini e realtà del territorio che hanno da subito abbracciato la nostra voglia di portare aiuto diretto alla popolazione. Le scosse del 26 e del 30 Ottobre, l’emergenza neve dei primi di Gennaio e le altre scosse di questi mesi hanno reso necessario il nostro intervento anche in altre aree del cratere. Attualmente abbiamo un altro campo base a Norcia, cogestito insieme ai Montanari Testoni, un associazione di ragazzi nata dopo il terremoto, abbiamo interventi attivi ad Arquata del Tronto, Colli del Tronto, nell’interno Abruzzese colpito dalle nevicate, nel Teramano e a Fermo. Personalmente sono stato ad Arquata del Tronto, Amatrice e Norcia. Il tipo di intervento è diverso da zona a zona ma l’obiettivo è sempre lo stesso: stare con la popolazione e costruire con loro un percorso di emancipazione e di autorganizzazione dei propri bisogni.
Al momento le BSA propongono un modello di gestione dell’emergenza terremoto in maniera totalmente differente rispetto alla protezione civile, puoi parlarci delle differenze rispetto alla gestione verticale dell’emergenza?
La differenza princiale è che il modello ProCiv è un modello standardizzato che segue un disegno già prestabilito. E’ calato dall’alto.La gestione della ProCiv in questa emergenza è stata totalmente diversa dal modello Bertolaso, anche se naturalmente non è il tipo di gestione a cui facciamo riferimento. Il clima militaresco e alienante che si vedeva all’Aquila non si è visto se non in particolari situazioni che però non possono essere considerate strutturali. Questo clima di discontinuità credo sia stato alimentato dall’esigenza del governo Renzi di riscattarsi dal modello fallimentare Berlusconi/Bertolaso e sopratutto per creare un clima elettorale favorevole in vista del referendum del 4 dicembre. Sin sal 24 Agosto Renzi bleffò promettendo che tutta la popolazione sarebbe stata al caldo dei Sae (le casette di legno ndr) prima di Natale. A referendum finito (e perso) e con il sommarsi delle emergenze (altre scosse, emergenza neve) il governo ha dovuto prevedere la soluzione container abitativi provvisori per far svernare al caldo la popolazione.
La costruzione dei Sae non è stata naturalmente completata e ad oggi solo poche unità abitative sono state assegnate a sorteggio alla popolazione di Amatrice e Norcia. La soluzione dei container d’emergenza invece non è stata accettata di buon grado dalla popolazione e solo poche unità famigliari hanno accettato di passarci l’inverno. La situazione reale sul territorio che si è venuta a creare è quella di una totale deregolamentazione. Intere famiglie dormono ancora in roulotte; altre hanno provveduto alla creazione di campi autogestiti. Altre ancora hanno accettato di spostarsi negli alberghi a cui, notizia di pochi giorni fa, il governo ha chiesto la proroga della disponibilità di alloggiare i terremotati fino a dicembre 2017.Il clima nel cratere è quindi di totale abbandono da parte dello Stato. Uno Stato che non ha più le capacità ne organizzative ne la volontà di investire in aree periferiche, montane e agricole. Uno Stato che investe 20mld di Euro per salvare una banca ma latita sull’unica grande opera necessaria, la messa in sicurezza del territorio italiano.
Altro esempio che ti posso riportare per darti un idea della situazione è l’emergenza elettrica che si è creata durante le nevicate dei primi dell’anno in Abruzzo. 56.000 persone sono rimaste senza corrente elettrica per più di 72 ore, considerando che per molti di loro una stufetta elettrica è la fonte primaria di riscaldamento all’interno dei container o delle roulotte in questi mesi. Questa situazione non deriva solamente dalle nevicate abbondanti ma anche da un sistema di distribuzione elettrica ormai privatizzato che per anni e anni non ha mai goduto di investimenti strutturali per via della bassa densità abitativa di quelle zone. Abbandono è quindi l’idea che scaturisce sin da subito dopo aver toccato con mano la situazione. Tornando al nostro intervento invece, questo si struttura a partire da una forte relazione con il territorio, la sua gente, le sue peculiarità. Noi non saremmo nulla senza le persone con cui ci relazioniamo, senza un dialogo continuo con la popolazione, i suoi drammi, i suoi bisogni. Ogni territorio è diverso, ogni paese è diverso, ogni frazione è diversa. Un modello a senso unico di intervento non ha senso, punta all’appiattimento e alla passività delle persone.
Quali ritieni siano i punti di forza della gestione orizzontale delle BSA?
Il nostro modello parte da un presupposto fondamentale, l’ascolto. Il terremoto, come la crisi e le guerre, fa emergere ulteriormente le contraddizioni e le disparità create dal sistema capitalista. Sul territorio ci sono centinaia di persone che hanno perso il lavoro, non hanno più una casa, spesso hanno perso famigliari ed amici. In assenza di uno Stato che dia loro delle garanzie, l’arma che abbiamo per non essere divorati dal sistema è il mutualismo. Dal popolo per il popolo. Noi come loro.
Hai avuto modo di consocere persone che hanno sperimentato sia il modello protezione civile che BSA? quali impressioni hai avuto?
Ci sono centinaia di volontari della protezione civile che portano tutta la loro buona volontà e il loro cuore per dare una mano alla popolazione. Il problema è che sono vincolati da una struttura gerarchica da modalità a cui devono attenersi. Noi invece abbiamo un rapporto diretto con le persone che ci permette di instaurare un clima più caldo, più famigliare. Nei nostri spazi organizziamo spesso cene o pranzi a cui partecipa la popolazione, i nostri volontari e spesso anche i vigili del fuoco. Ciò rende i nostri campi un punto di riferimento non solo politico ma anche umano che non si trova da altre parti.
Quali sono i rapporti, quando condividete il territorio con altre istituzioni, con queste ultime?
Il rapporto con le istituzioni è prevalentemente locale. Ci relazioniamo con le istituzioni più dirette, i comuni che meglio conoscono i territori. Abbiamo ottimi rapporti con diversi comuni, come Arquata del Tronto, dove dalle collaborazione nascono anche le amicizie. Abbiamo costruito un solido rapporto anche con il comune di Tolentino e Pieve Torina con cui abbiamo intrapreso un percorso di rivendicazione delle scelte di gestione diretta del proprio territorio. Relazionarci con istituzioni più alte come quelle governative invece è di fatto fisicamente impossibile: noi ci siamo, loro no.
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