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[CA 22-10-03] Ennesimo scandalo giudiziario e sociale
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Osservatorio femminile sulla repressione Tuesday, Nov. 23, 2004 at 6:20 PM |
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Riflessione sullo scandalo giudiziario dei fatti del 22 ottobre 2003 e sulla sentenza di condanna per Luisa, Massimo e Matteo.
Sul senso di poter organizzare una campagna di controinformazione sui fatti del 22 ottobre 2003 e del processo, in vista (e non solo) del prossimo in appello; provare a riflettere su una manifestazione regionale a Cagliari contro la repressione.
Perché la vostra condanna è la nostra condanna, la nostra determinazione è la libertà per tutti.
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Per chi come me ha partecipato al corteo il 22 ottobre 2003 e ha seguito il processo contro Luisa, Massimo e Matteo è chiarissimo il fatto che la sentenza di condanna emessa dal giudice Casula nei loro confronti è stata dettata esclusivamente da una decisione politica perché è falso ciò che sostiene la polizia sulla circostanza di quella giornata e le testimonianze dell’accusa hanno dimostrato l’inconsistenza e l’infondatezza del processo stesso. Ma il giudice Casula non ha avuto il coraggio di prendere un decisione obiettiva rispetto alla documentazione e alle testimonianze che aveva a disposizione se non quella di mettersi d’accordo con il Pubblico Ministero Porcu accogliendo le sue le sue richieste passivamente.
Infatti come ha già raccontato qualcun’ altro il giudice Casula non ha neanche fatto la finta di allontanarsi dall’aula per riflettere in camera consiliare rimanendo seduto ed emettendo la sentenza in pochi minuti come se volesse con questo atto dimostrativo sottolineare il suo ruolo di marionetta o di ambasciatore portatore di un messaggio che va aldilà della semplice condanna ma che segue la volontà e le direttive del Ministro Pisanu che trovano conferma nelle parole del vicecapo della polizia Giuseppe Procaccini nel "Giornale di Sardegna" del 31 Ottobre 2004 : "Gli anarchici dell'isola? Li colpiremo tutti. E duramente."
Fin qui non ci sono grandi novità o niente che ci possa stupire se si considera l’atmosfera repressiva e pesante che si vive in tutt’Italia nei confronti dell’area anarchica da diversi anni o per chi come me non ha mai creduto nella giustizia dei tribunali.
Sta di fatto che per la prima volta a Cagliari dopo più o meno vent’anni durante un volantinaggio la polizia decide di caricare a freddo un ristretto gruppo di persone così come dopo tanti anni questo è il primo processo politico che con la condanna per Luisa, Massimo e Matteo esprime in realtà un avvertimento per tutti i compagni anarchici ma non solo.
Quello che mi fa riflette è il ruolo sempre più funzionale che la Piazza sta assumendo all’interno della logica repressiva.
Ormai, sempre più spesso la criminalizzazione nei confronti di quelli che esprimono il loro dissenso contro questo governo avviene nelle Piazze dove cresce la tensione voluta il più delle volte dalla polizia che provoca continuamente scontri con cariche a freddo trovandoci impreparati e colpendo persone già conosciute, come è successo anche a Cagliari. Si utilizzano queste occasioni per regolare “i conti” non avendo evidentemente altre scusanti per rinchiudere i compagni dietro il silenzio delle sbarre. Ma non illudiamoci che il problema sia solo quello degli anarchici perché in Piazza quest’anno come ben sappiamo la repressione ha colpito anche i lavoratori in lotta di Melfi a Milano e per ricordare solo l’ultimo episodio di violenza basta pensare alla manifestazione del 20 novembre 2004 per la chiusura dell’allevamento Morini.
Sembra quasi che per giustificare le indagini, i teoremi, le perquisizioni, le spese per il controllo continuo nei nostri confronti con microspie, telecamere, pedinamenti e così via debbano trovare disperatamente un pretesto che confermi la veridicità di questo presunto allarmismo e pericolosità degli anarchici. Non voglio togliere dignità all’operato e all’impegno dei compagni e spero che nessuno si senta offeso da queste considerazioni ma d'altronde non credo neanche che nessuno veda confermata la propria incisività politica e sociale esclusivamente nelle piazze o nello scontro con la polizia.
Se poi pensiamo in quale contesto tutto questo sta accadendo sotto i nostri occhi e sono sufficienti pochi esempi: dall’ ordine ben preciso da parte del ministro degli interni di far chiudere in tutt’Italia i centri sociali perché ricettacoli dei terroristi alla legge fascista Bossi-Fini sull’immigrazione con la proposta anche di rinchiudere per tre anni in galera chiunque arrivi in Italia clandestinamente, dalla legge anti-imbrattamento che prevede gli arresti domiciliari alla sconvolgente attuale “riforma” del codice militare che prevede la galera per i giornalisti che raccontano la guerra, ai pestaggi violenti in questura per chi viene preso durante un semplice attacchinaggio agli arresti avvenuti a Napoli dei sindacalisti SLL, dal nuovo cervellone che si chiama Enigma prodotto dalla Telecom per le intercettazioni telefoniche, sms alle torture nascoste dentro le carceri; tutto questo descrive già una situazione grave, preoccupante e molto inquietante.
Purtroppo questa visione dei fatti mette in evidenza una realtà ancora più grave e cioè che in Italia non è più possibile in nessun ambito politico e sociale pensare, dire, riflettere o proporre cose diverse da quelle imposte dal governo.
Il limite politico che si deve superare è l’atteggiamento di chi oggi riduce un problema collettivo di fronte all’ondata repressiva a dei singoli fatti specifici o gruppi di persone ma anche a singoli individui cadendo nella trappola della colpevolizzazione individuale che giustificherebbe la reazione di questo Stato nei loro confronti senza considerare l’ingiustizia di fondo di questo sistema.
Con questo non si vuole negare la necessità di un confronto critico o di un dibattito interno tra le varie realtà antagoniste o la rinuncia ai propri distinguo individuali sulla teoria e la prassi politica ma nello stesso tempo non è più possibile rimanere estranei di fronte a dei fatti che parlano chiaro e che riguardano dei meccanismi al di fuori di noi e che nel complesso vorrebbero vederci tutti muti e passivi.
Non è possibile accettare o addirittura riconoscersi nella visione semplicistica della realtà del movimento descritta dal ministro Pisanu che riduce tutto nella dicotomia tra buoni e cattivi riducendo il movimento fondamentalmente in tre categorie: i disobbedienti a volte esagerati vedi gli espropri proletari, il Social Forum notoriamente pacifista e gli anarchici che professano la violenza o a volte la mettono anche in pratica.
La realtà del movimento è fortunatamente molto più complessa ma in ogni caso a parte le divergenze si sta abbattendo su di essa l’ombra nera della repressione.
I fatti del 22 ottobre 2003 rientrano in questa logica e anche per questo devo dire con rammarico che erano presenti al processo un centinaio di persone ma potevamo essere molti di più, penso che in questo momento sia importante essere solidali e presenti nei confronti di chi viene colpito per mantenere la lucidità, l’attenzione ma soprattutto per capire che cosa sta succedendo a noi e agli altri; anche perché se è vero che l’autorità ci colpisce quotidianamente singolarmente noi dobbiamo dare possibilmente insieme una risposta decisa e chiara.
Sicuramente non sarà una campagna di controinformazione sui fatti avvenuti o una manifestazione contro la repressione a inceppare questa macchina infernale ma potrebbe essere l’inizio per dare una prima risposta a questo processo, per trovare una linea comune rispetto a chi attualmente tenta di reprimerci, potrebbe essere anche un’occasione per contarci e per stare vicino a chi attualmente per primo sta pagando il prezzo per la libertà di pensiero.
La vostra condanna è la nostra condanna, la nostra determinazione è la libertà per tutti.
Osservatorio femminile sulla repressione
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Nel frattempo a Genova ...
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Imputat-B Thursday, Dec. 09, 2004 at 2:31 PM |
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Per capire quello che succede a Cagliari sara' utile anche guardarsi un po' attorno? Cambi citta' e il copione e' lo stesso, fatti analoghi avvengono un po' dappertutto nella nostra bella italietta. Bellissimo e condivisibile in pieno il documento degli imputati di Genova, alla faccia dell'italietta dei "furbi" e dei tengo-famiglia. La misura e' colma. Da imputato a imputato, massima solidarieta' Imputat-B
IL 2 DICEMBRE SI È SVOLTA LA SECONDA UDIENZA DEL PROCESSO A ERRICO E PAOLO, ARRESTATI IL 07 GIUGNO A GENOVA DURANTE UN RASTRELLAMENTO DI AMBULANTI ITALIANI E STRANIERI. LA PROSSIMA UDIENZA È PREVISTA PER L'11 MARZO 2005.
Piazza, bella piazza...
Il potere non si regge sulla violenza, è esso stesso violenza.
LUNEDÌ 07 GIUGNO ci stavamo recando in p.za Raibetta a Genova per un'iniziativa contro la prossima commercializzazione del Ritalin, uno psicofarmaco per bambini "troppo vivaci". Arrivati in piazza abbiamo assistito alla seguente scena: Polizia, Digos, Vigili urbani e dipendenti Amiu, in gran accordo, provvedevano a una pulizia della piazza dagli ambulanti che solitamente vi si ritrovano, distruggendo le loro mercanzie e accerchiando gli stranieri per il controllo dei documenti. Istintivamente, insieme ad altri, abbiamo manifestato la nostra indignazione. Uno sdegno verbale che, tuttavia, ha creato particolarmente fastidio, o comunque avuto troppa risonanza nel silenzio circostante, quella zona grigia che caratterizza l'involontario pubblico delle frequenti retate poliziesche (specie di quelle a danno degli stranieri). Dev'essere per questo che, mentre decine di persone si stavano fermando per "capire" quello che purtroppo era evidente, Errico è stato immediatamente aggredito da tre, poi cinque, poliziotti in borghese che hanno subito tentato di caricarlo in una macchina. Dopo un disperato ma audace tentativo di sottrarlo all'arresto da parte di alcuni -tutti colpiti con calci, pugni e manganellate- è seguita una caccia all'uomo per i vicoli che ha portato all'arresto anche di Paolo.
Nel tempo passato in questura zelanti ispettori, che tra una gomma da masticare e l'altra firmavano decreti di espulsione a vita per gli stranieri senza documenti non sfuggiti a quella retata, si sono occupati di trasformare la nostra protesta in crimine. Hanno così preso forma i reati di "resistenza a pubblico ufficiale", "lesioni" (entrambe aggravate) e "danneggiamento" (della vettura) e in serata siamo stati entrambi trasferiti nel carcere di Marassi (Genova). La vicenda è quindi apparsa su giornali e media dei giorni successivi brillantemente riassunta nei titoli che tuonavano di auto distrutte e poliziotti feriti (!). Un resoconto inverosimile, anche solo dal punto di vista dell'asimmetrico rapporto di forze, allestito per giustificare e coprire quello che era avvenuto in piazza e la criminalizzazione che ne era seguita. Questa arbitraria e reale trasfigurazione dei fatti ha trovato una diretta complicità dei diversi giudici e magistrati che di volta in volta si sono espressi sulla vicenda, comportando per noi misure particolarmente restrittive anche in relazione agli stessi reati contestati.
Le motivazioni con cui il G.I.P Elena Daloiso (lo stesso giudice che ha disposto le custodie cautelari a danno dei 25 accusati di devastazione e saccheggio al G8 di Genova e firmato l'ordinanza di archiviazione dell'assassinio di Carlo Giuliani) ha inizialmente confermato l'ordine di custodia cautelare nei nostri confronti, pur concedendoci gli arresti domiciliari, ("indole violenta avvalorata da ideologia politica") e, successivamente, rigettato le nostre richieste di permesso per motivi di lavoro, si inseriscono perfettamente in un clima forcaiolo. Di identico registro anche quelle contenute nell'ordinanza di scarcerazione e sostituzione con l'obbligo di firma giornaliero alla P.G., emessa dal Tribunale del Riesame dopo un mese di detenzione e a tutt'oggi non ancora revocata: "si ritiene infatti che un forzato e frequente contatto con la P.G. [polizia e carabinieri], subito dopo la pur breve detenzione subita, sia un idoneo richiamo al rispetto delle forze dell'ordine". Il carattere disciplinare, oltre che punitivo di questi dispositivi emerge anche dall' "avviso orale" (così viene denominata dagli organi di polizia una vera e propria intimidazione sotto forma di ammonimento) che in questi giorni Paolo si è visto notificare dalla Questura genovese.
Nella loro assoluta discrezionalità questi provvedimenti possono colpire chiunque, anche in assenza di reati precisi. In pratica è sufficiente uscire anche di poco dall'angusto sentiero che definisce la condotta del "cittadino conforme" per essere esposti alla "messa al bando" come soggetti socialmente pericolosi e perseguitati giuridicamente. Questi provvedimenti, infatti, non costituiscono "l'eccezione o la degenerazione del sistema democratico" ma la routine delle procedure giuridiche e poliziesche attraverso le quali si afferma la continuità dello Stato. Una legalità democratica che, proprio attraverso gli strumenti del diritto, legalmente riconosciuti e socialmente accettati, comporta una "lezione" di galera e repressione nei confronti di chi non si adegua al conformismo politico, culturale e ideologico di una società ordinata, sicura e pulita. Insomma di chi con la libera espressione di idee e comportamenti crea "disordine".
L' attuale inasprimento delle misure di sicurezza risponde a un bisogno legalitario diffuso da media, istituzioni e politici sia di "destra" che di "sinistra". In nome del cosiddetto "ordine pubblico", la repressione, la censura, i divieti sono diventati il pane quotidiano di questo mondo, qualunque sia la forma di governo. Questa escalation sicuritaria di volta in volta costruita sullo spettro del nemico interno (il "clandestino", il "criminale", il "terrorista") rientra in uno di quegli ambiti in cui è richiesto sospendere ogni capacità critica. E, come si è visto negli ultimi tempi, non sono solo le varie anime del "movimento antagonista" ad essere nel mirino della repressione ma potenzialmente tutta la società. Che siano autoferrotranvieri in lotta per condizioni di lavoro migliori, o "cittadini esasperati dalle nocività industriali", che siano l'equipaggio di una nave che soccorre profughi alla deriva o i "soliti anarchici", l'avvertimento è per tutti. Ma in tutti sono anche le possibilità per non rassegnarsi a essere complici. Perché di fronte a un'organizzazione sociale che produce guerre, catastrofi, epidemie, paura, precarietà e disperazione anche un solo atto di ribellione può essere contagioso!
Contro ogni gabbia La solidarietà è un'arma Due disertori della "zona grigia"
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Nel frattempo a Genova ...
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Imputat-B Thursday, Dec. 09, 2004 at 7:07 PM |
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Per capire quello che succede a Cagliari sara' utile anche guardarsi un po' attorno? Cambi citta' e il copione e' lo stesso, fatti analoghi avvengono un po' dappertutto nella nostra bella italietta popolata da innumerevoli "furbi" e tengo-famiglia. Da imputato a imputato, un abbraccio ai compagni di Genova. Rivediamoci presto oltre la zona grigia. Gratis e per tutti Imputat-B
IL 2 DICEMBRE SI È SVOLTA LA SECONDA UDIENZA DEL PROCESSO A ERRICO E PAOLO, ARRESTATI IL 07 GIUGNO A GENOVA DURANTE UN RASTRELLAMENTO DI AMBULANTI ITALIANI E STRANIERI. LA PROSSIMA UDIENZA È PREVISTA PER L'11 MARZO 2005.
Piazza, bella piazza...
Il potere non si regge sulla violenza, è esso stesso violenza.
LUNEDÌ 07 GIUGNO ci stavamo recando in p.za Raibetta a Genova per un'iniziativa contro la prossima commercializzazione del Ritalin, uno psicofarmaco per bambini "troppo vivaci". Arrivati in piazza abbiamo assistito alla seguente scena: Polizia, Digos, Vigili urbani e dipendenti Amiu, in gran accordo, provvedevano a una pulizia della piazza dagli ambulanti che solitamente vi si ritrovano, distruggendo le loro mercanzie e accerchiando gli stranieri per il controllo dei documenti. Istintivamente, insieme ad altri, abbiamo manifestato la nostra indignazione. Uno sdegno verbale che, tuttavia, ha creato particolarmente fastidio, o comunque avuto troppa risonanza nel silenzio circostante, quella zona grigia che caratterizza l'involontario pubblico delle frequenti retate poliziesche (specie di quelle a danno degli stranieri). Dev'essere per questo che, mentre decine di persone si stavano fermando per "capire" quello che purtroppo era evidente, Errico è stato immediatamente aggredito da tre, poi cinque, poliziotti in borghese che hanno subito tentato di caricarlo in una macchina. Dopo un disperato ma audace tentativo di sottrarlo all'arresto da parte di alcuni -tutti colpiti con calci, pugni e manganellate- è seguita una caccia all'uomo per i vicoli che ha portato all'arresto anche di Paolo.
Nel tempo passato in questura zelanti ispettori, che tra una gomma da masticare e l'altra firmavano decreti di espulsione a vita per gli stranieri senza documenti non sfuggiti a quella retata, si sono occupati di trasformare la nostra protesta in crimine. Hanno così preso forma i reati di "resistenza a pubblico ufficiale", "lesioni" (entrambe aggravate) e "danneggiamento" (della vettura) e in serata siamo stati entrambi trasferiti nel carcere di Marassi (Genova). La vicenda è quindi apparsa su giornali e media dei giorni successivi brillantemente riassunta nei titoli che tuonavano di auto distrutte e poliziotti feriti (!). Un resoconto inverosimile, anche solo dal punto di vista dell'asimmetrico rapporto di forze, allestito per giustificare e coprire quello che era avvenuto in piazza e la criminalizzazione che ne era seguita. Questa arbitraria e reale trasfigurazione dei fatti ha trovato una diretta complicità dei diversi giudici e magistrati che di volta in volta si sono espressi sulla vicenda, comportando per noi misure particolarmente restrittive anche in relazione agli stessi reati contestati.
Le motivazioni con cui il G.I.P Elena Daloiso (lo stesso giudice che ha disposto le custodie cautelari a danno dei 25 accusati di devastazione e saccheggio al G8 di Genova e firmato l'ordinanza di archiviazione dell'assassinio di Carlo Giuliani) ha inizialmente confermato l'ordine di custodia cautelare nei nostri confronti, pur concedendoci gli arresti domiciliari, ("indole violenta avvalorata da ideologia politica") e, successivamente, rigettato le nostre richieste di permesso per motivi di lavoro, si inseriscono perfettamente in un clima forcaiolo. Di identico registro anche quelle contenute nell'ordinanza di scarcerazione e sostituzione con l'obbligo di firma giornaliero alla P.G., emessa dal Tribunale del Riesame dopo un mese di detenzione e a tutt'oggi non ancora revocata: "si ritiene infatti che un forzato e frequente contatto con la P.G. [polizia e carabinieri], subito dopo la pur breve detenzione subita, sia un idoneo richiamo al rispetto delle forze dell'ordine". Il carattere disciplinare, oltre che punitivo di questi dispositivi emerge anche dall' "avviso orale" (così viene denominata dagli organi di polizia una vera e propria intimidazione sotto forma di ammonimento) che in questi giorni Paolo si è visto notificare dalla Questura genovese.
Nella loro assoluta discrezionalità questi provvedimenti possono colpire chiunque, anche in assenza di reati precisi. In pratica è sufficiente uscire anche di poco dall'angusto sentiero che definisce la condotta del "cittadino conforme" per essere esposti alla "messa al bando" come soggetti socialmente pericolosi e perseguitati giuridicamente. Questi provvedimenti, infatti, non costituiscono "l'eccezione o la degenerazione del sistema democratico" ma la routine delle procedure giuridiche e poliziesche attraverso le quali si afferma la continuità dello Stato. Una legalità democratica che, proprio attraverso gli strumenti del diritto, legalmente riconosciuti e socialmente accettati, comporta una "lezione" di galera e repressione nei confronti di chi non si adegua al conformismo politico, culturale e ideologico di una società ordinata, sicura e pulita. Insomma di chi con la libera espressione di idee e comportamenti crea "disordine".
L' attuale inasprimento delle misure di sicurezza risponde a un bisogno legalitario diffuso da media, istituzioni e politici sia di "destra" che di "sinistra". In nome del cosiddetto "ordine pubblico", la repressione, la censura, i divieti sono diventati il pane quotidiano di questo mondo, qualunque sia la forma di governo. Questa escalation sicuritaria di volta in volta costruita sullo spettro del nemico interno (il "clandestino", il "criminale", il "terrorista") rientra in uno di quegli ambiti in cui è richiesto sospendere ogni capacità critica. E, come si è visto negli ultimi tempi, non sono solo le varie anime del "movimento antagonista" ad essere nel mirino della repressione ma potenzialmente tutta la società. Che siano autoferrotranvieri in lotta per condizioni di lavoro migliori, o "cittadini esasperati dalle nocività industriali", che siano l'equipaggio di una nave che soccorre profughi alla deriva o i "soliti anarchici", l'avvertimento è per tutti. Ma in tutti sono anche le possibilità per non rassegnarsi a essere complici. Perché di fronte a un'organizzazione sociale che produce guerre, catastrofi, epidemie, paura, precarietà e disperazione anche un solo atto di ribellione può essere contagioso!
Contro ogni gabbia La solidarietà è un'arma Due disertori della "zona grigia"
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