Trentacinque etiopi ed eritrei cacciati da una palazzina. Due feriti, un arresto.
Hanno dormito per strada, sotto le finestre dello stabile che avevano occupato neanche due mesi fa. Trentacinque etiopi e eritrei, tra cui cinque bambini e cinque donne incinta, sono stati sgomberati ieri mattina da una palazzina di Porta Maggiore a Roma. La proprietà è di una società immobiliare. Uno sgombero che all'inizio sembrava aver preso una piega soft. La polizia è arrivata intorno alle 7,30, e gli immigrati non hanno opposto resistenza portando fuori tutte le loro cose, che piano piano hanno iniziato a occupare un intero marciapiede: valige, brandine, televisori, coperte e materassi. Due ore dopo, il caos. Compreso che il Comune non aveva provveduto a una sistemazione alternativa, gli immigrati hanno iniziato a protestare. Senza particolare foga, per la verità: erano soprattutto le donne ad intonare qualche slogan. Ma la reazione è stata brutale. «La polizia ha chiuso le persone tra due camion, da qui riuscivamo a sentire solo le urla», dicono alcune persone che si trovavano a Porta Maggiore ieri mattina. Gli immigrati raccontano di un vero e proprio pestaggio: «Non ho mai visto uno sgombero tanto violento, eppure un po' d'esperienza ce l'ho», racconta Lucia, una donna di nazionalità etiope (ma cresciuta in Eritrea) che è stata l'organizzatrice dell'occupazione. La polizia, ieri pomeriggio, smorzava i toni «Si è trattato solo di qualche spintarella». Eppure due immigrati sono finiti in ospedale, e anche due agenti avrebbero fatto ricorso alle cure mediche. Due immigrati sono stati denunciati per resistenza, mentre uno è stato arrestato perché trovato in possesso di documenti falsi. Per tutti e trentacinque, invece, la denuncia è arrivata per l'occupazione dello stabile. I due etiopi ieri al Pronto soccorso del San Giovanni c'erano. Yhoannes, steso su un lettino e un gran bernoccolo in testa, alle cinque del pomeriggio aspettava la visita del neurologo: «Ci hanno picchiato, pesante. Non so perché. Io ho solo protestato perché ho visto mettere le mani addosso a una donna. Ma non avevo niente in mano. Loro, invece, i manganelli». E racconta anche di una strana puntura sentita al fianco, che nella bocca degli sgomberati è già diventata una siringa che sarebbe stata usata per mettere fuori combattimento Yhoannes.
L'occupazione di Porta Maggiore a Roma aveva suscitato scalpore perché era nata dall'iniziativa del tutto autonoma di un gruppo di immigrati, molti dei quali rifugiati politici, altri richiedenti asilo. In questa palazzina - che ha anche ospitato un centro della Casa dei diritti sociali - si erano incrociate diverse storie, tutte emblematiche dell'emergenza casa nella capitale. Se Lucia e il suo compagno vivono in Italia da dieci anni, lavorano, ma non riescono a mettere insieme i soldi per pagare gli affitti sempre più esosi, Nizar è un giovane etiope che nel 2004 è stato riconosciuto rifugiato in Italia e da allora ha sempre dormito alla stazione Termini: «Mi danno questo - dice mostrando il tesserino da rifugiato - e che ci faccio, ci mangio?».
Affittare una casa a Roma è diventato un lusso per pochi, e le occupazioni dei palazzi si moltiplicano. Ormai, come nel caso di Porta Maggiore, senza neanche una struttura organizzativa alle spalle, il che ha probabilmente contribuito a determinare lo sgombero fulmineo e le modalità a dir poco sbrigative.
Ora sul marciapiede rimangono un'altra trentina di senza casa, a cui non è stata offerta nessuna soluzione alternativa: l'unico messaggio arrivato forte e chiaro è che lì non si poteva stare, insieme alla promessa di una rapida ristrutturazione di un palazzo di cui, finora, nessuno sembrava preoccuparsi. Soltanto per le cinque donne incinta la Sala operativa del Comune ha offerto una sistemazione in un centro di accoglienza, ma avrebbero dovuto staccarsi dai loro mariti e alla fine hanno rifiutato. Gli immigrati hanno valutato anche l'alternativa di spostarsi in un altro stabile occupato a Ponte Mammolo, ma avrebbero dovuto accamparsi con delle tende nel giardino. Hanno declinato l'invito. «Cosa farò ora? - dice Lucia, seduta sui gradini della palazzina, che ormai ha il portone chiuso - Semplice: rioccupo».
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