TORINO. Treni fermi sui binari. E auto inchiodate sulle due statali che tagliano la Val di Susa, la patria del popolo che non vuole l’Alta Velocità. E poi ancora sirene e lampeggianti di blindati che, nella prima giornata dopo la beffa di Mompantero, continuano a muoversi da e verso i punti caldi della valle. I luoghi della protesta popolare.
Eccola qui la Val di Susa che non vuole il supertreno che viaggerà ai 400 all’ora verso la Francia. Scende in strada alle 10 quando ormai tutti hanno letto i giornali che spiegano cos’è accaduto nella notte. Che, cioè, i tre boschi, dove saranno montate le trivelle per i carotaggi sono stati «occupati» dalle forze dell’ordine. «Ma non sono recintati, non vale, se ne devono andare» dice qualcuno. Non è vero. Bastano i nastri rossi e bianchi, stesi lunghi i confini del sito di località Seghino a decretare la fine della battaglia. Bastano quei 40 agenti in divisa antisommossa, piazzati lungo i confini di ogni terreno a garantire che lì non entrerà più nessuno, se non i tecnici di Ltf con le loro apparecchiature. E chi non crede, chi ancora spera si tratti di un grande bluff, alla fine dovrà ricredersi. Per tutti salgono a controllare i ragazzi di Askatasuna, passando da una mulattiera che conosce soltanto chi è nato e cresciuto da queste parti. E lo scenario che si trovano davanti è quello dei poliziotti impegnati in un presidio.
Per un attimo anche loro colti contropiede dalla presenza quassù, in cima alla montagna, in mezzo ai boschi di castagno, di quel gruppo di contestatori. Ma tra i due schieramenti non c‘è tensione, non c’è nulla: i No Tav salutano, si guardano attorno, fanno qualche fotografia e se ne vanno. Giù, in valle, invece, la protesta e la rabbia della popolazione si traducono in manifestazioni spontanee, blocchi stradali, irruzioni nelle stazioni. Ci saranno mille, forse duemila persone mobilitate e che si spostano da una parte all’altra della vallata. Prima approdano agli scali ferroviari di Bussoleno e di Borgone. Chi entra in stazione acquista il biglietto in modo che la polizia non lo possa cacciare. Istantaneo è il blocco dei treni deciso dai responsabili degli scali, in modo da non correre rischi di incidenti. Sui binari, però, non c’è nessuno. «Non ci andiamo per evitare le denunce; se mai si inzia con la carta bollata sai quanta gente non viene più in strada a protestare..» dice Alberto Perino, 60 anni, uno dei leader più ascoltati della vallata, e da quindici anni impegnato nella battaglia contro l’Alta velocità. Poi tocca allo scalo ferroviario di Avigliana. Il risultato è sempre lo stesso: convogli fermi oppure rallentati, bandiere e striscioni.
Fermo anche il Tgv che corre sulla linea Torino-Modane. E per la prima volta viene pronunciata la minaccia più temuta: quella di bloccare le Olimpiadi invernali che ci saranno tra 100 giorni. La gente ne parla, sanno che l’avvenimento sarà palcoscenico di visibilità, e si ragiona sul metodo migliore per giocare questa carta. Ad Avigliana appare pure un primo striscione, un lenzuolo con la scritta in spray blu: «Cristallen & Chiamparen, le Olimpiadi as fan nen», non si fanno. Oggi gli animi sono caldi. Chi non scende in strada dà una mano ai dimostranti con tutti i mezzi che può. A Chiomonte, ad esempio, i titolari di un ristorante e quelli di un negozio di alimentari riempiono le sporte di plastica con viveri destinati alla gente che sta ai presidi. «E’ il loro modo di esserci vicini: chi può viene. Chi, per mille ragioni, non riesce a farcela manda segnali di solidarietà concreta» spiegano i No tav. «Io, però, mi chiedo come fanno i politici romani ad immaginare di militarizzare una valle intera per garantire l’esecuzione dei lavori. Se solo per tre sondaggi sono mobilitati mille tra poliziotti e carabinieri, quando verranno aperti i cantieri ne serviranno almeno tre o quattro volte tanto. Ma tutti quegli uomini non basteranno a fermare la gente della Val Susa» giura Perino.
Alle 17,30 la Val di Susa è tagliata in due da un enorme blocco a Condove, che isola le due statali e la ferrovia. Chi non viaggia in autostrada, oppure non conosce bene stradine e sentieri che aggirano il paese, se ne deve stare in colonna. E aspettare. Un’auto prova a forzare un posto di blocco dei dimostranti. Investe un carabiniere in borghese. Si sfiora una rissa colossale. Poco dopo un autobus della Sapav è costretto, tra mille difficoltà, a fare inversione di marcia sulla statale: «Ho orari da rispettare: non possono starmene qui». Ancora blocchi, ancora proteste, ancora No tav. E già si ragiona di uno sciopero generale dei lavoratori della valle. C’è soltanto da decidere la data.
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