E' questo il titolo del dossier pubblicato su Diario il 25 maggio scorso. Un lungo dossier realizzato grazie alla collaborazione tra Diario e Osservatorio Iraq
da http://osservatorioiraq.it
"Papà, cosa successe a Fallujah? "
E' questo il titolo del dossier
pubblicato su Diario il 25 maggio scorso. Un lungo dossier realizzato
grazie alla collaborazione tra Diario e Osservatorio Iraq.
Alle
cose già lette, vanno aggiunte altre che non è stato
possibile
pubblicare sia per mancanza di spazio sia per lo strumento utilizzato.
Tra queste, il testo completo dell'intervista al medico iracheno Mustafa Al- Jumaili
( non è il suo vero nome, dietro sua richiesta). Mustafa
è un medico
dentista con specializzazione massillo-facciale, è di Fallujah
ed è
rimasto nella sua città sia durante l’assedio di aprile sia
durante
l’attacco di novembre.
Nel suo diario-intervista, racconta cosa è
stato l'assedio con lo sguardo di un medico, impossibilitato al suo
lavoro per i continui attacchi da parte delle truppe americane e
irachene, le difficoltà nel reperire medicinali, nel raggiungere
lo
stesso ospedale. E ancora gli atti di vessazione e di violenza nei
confronti degli stessi medici, con le truppe americane che entrano
negli ospedali distruggendo tutto, e rendendo spesso vano il lavoro
fatto con i pazienti.
Anche Rana ,
fixer e interprete, conosce le difficoltà di aiutare la gente di
Fallujah. Dalla difficoltà stessa di raggiungere la
città, a quella di
far arrivare le medicine, portate apposta da Baghdad. Un viaggio lungo
e difficile, tentato due volte, tra i posti di blocco, le strade
chiuse, le minacce ricevute. Poi infine Fallujah, le sue case, le sue
famiglie. Leggere le parole di Rana ci porta dentro la città
martoriata, dentro le case di chi è rimasto per paura, per
orgoglio, o
spesso, perchè uscire significava morire.
Rana oggi assieme ad
altri iracheni ed irachene ha messo in piedi una piccola ong che si
occupa di portare medicine e beni di prima necessità a sfollati
e
famiglie che hanno perso tutto sotto i bombardamenti.
Come fa anche l'ingegner Mohammed Modhin Fawzi
, manager della fabbrica del cemento di Fallujah, di proprietà
del
governo iracheno, tra i partecipanti alle delegazioni che hanno tentato
di evitare gli attacchi alla città. Il suo aiuto alla
città è diverso:
come tecnico, viene incaricato di calcolare i danni provocati alla
città. Una cifra di 600.000.000 di dollari, che non è
stata tuttora
messa a disposizione. Ma Fawzi è stato anche nel consiglio
municipale
della città fin dal novembre del 2003: il suo racconto parte
dall'arrivo delle truppe nell'aprile del 2003, mese della caduta
"ufficiale" del governo di Saddam, per cercare di capire e spiegare
perchè Fallujah sia diventata in breve il simbolo di tutto il
male
dell'Iraq.
L'assedio di aprile e poi quello di novembre, le
bombe al fosforo e le cluster, e in mezzo quella giornata particolare
del maggio 2004,
quando gli americani, dopo i bombardamenti del mese precedente,
rientrarono a Fallujah. Una giornata strana e tesa, vissuta tra la
paura di vedere le truppe di nuovo in città e poi la gioia nel
vederle
andare via, senza aver fatto nulla. Gli americani non rientreranno
più
fino a novembre, e quel giorno resterà "l'ultimo giorno di
festa" per
Falluja.
Dopo, non sarà più possibile sorridere
di nulla. "Abbiamo
ridotto Fallujah a macerie. Abbiamo dichiarato vittoria e detto al
mondo che Falluja era sotto il nostro totale controllo. Il nostro
esercito ha affermato che le vittime civili erano state minime e invece
i ribelli uccisi erano migliaia". A raccontarlo è un GI
americano, in una lettera
pubblicata su GI Special, la newsletter giornaliera su internet che
raccoglie notizie e informazioni utili ai soldati e alle loro famiglie.
La prima forte e dettagliata denuncia delle
violazioni perpetrate all'interno della città era già
contenuta nel rapporto [en-it] presentato dal
Centro Studi per la Democrazia e i Diritti Umani di Fallujah, nel
gennaio 2004.
Tantissime foto
raccontano questo massacro, e l'enorme numero di morti, come raccontano
una città in macerie che cerca di sopravvivere, trovando ancora
la
forza per protestare contro l'occupazione, la mancanza di cibo, di
case, di scuole.
Una
città che ha bisogno che non scenda il silenzio sulla sua
storia, su
quello che è passato e su quello che ancora succede, come
dimostra il rapporto presentato dal Centro Studi per la Democrazia e i
Diritti alla 61° sessione della Commissione per i diritti umani
dell'Onu.
Continueremo ad aggiornare su Falluja, continuate a
leggere....
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