Milano – È domenica 27 giugno. Un gruppo di amici, tutti sui vent’anni, si ritrova presso un McDonald a Milano, zona Navigli. Alcuni di loro sono di Bergamo, ma hanno deciso di recarsi lì. Ordinano da mangiare, sono seduti ai tavoli esterni. A qualche metro di distanza da loro scoppia una rissa, sedata poi abbastanza velocemente dall’arrivo dai militari. I ragazzi continuano a mangiare, parlare tra loro. Uno di loro prende un monopattino elettrico, di quelli che ormai spopolano in tutte le città, e comincia a farsi un giro, suonandone il campanello. Senza un motivo particolare, rimane lì in zona a suonarlo, per ridere con i suoi amici. Una volante dei carabinieri accosta e lo intima a fermarsi, a non suonare, minacciando di arrestarlo. La cosa ha dell’inverosimile, e il ragazzo continua a girare, forse non capisce molto bene la situazione. A quel punto i carabinieri scendono dall’auto, e nel giro di poco tempo si manifesta l’assurdo ed esagerato dispiego di forze dell’ordine: le volanti arrivano ad essere otto, arrivano anche dei camion blindati. Fermano il ragazzo sul monopattino, chiedono i documenti a lui e agli altri presenti; la richiesta viene accolta, tutti collaborano. Una ragazza del gruppo, che è seduta al tavolo a mangiare, è intimata ad alzarsi perché, a detta dei carabinieri, non puó rimanere lì. Lei non si alza: sta solo mangiando e non ha intenzione di obbedire a un ordine tanto assurdo. La prendono per un braccio, strattonandola con forza, e a quel punto, quando i suoi amici tentato di dividerli, partono le spinte e le manganellate. Uno dei ragazzi presenti tira fuori il cellulare per documentare con un video quel che sta succedendo, e in quel momento alcuni carabinieri lo circondano, lo spingono in terra, lo pestano. Uno degli agenti però prova ad aiutarlo, lo fa alzare e gli consiglia di scappare. Al ragazzo vengono chiesti nuovamente i documenti, non in suo possesso perché in mano ad un altro agente, e viene poi ammanettato, trascinato in una delle volanti, e portato in centrale, insieme all’altro, il ragazzo che stava sul monopattino. In centrale viene trattenuto per diverse ore, minacciato di essere nuovamente picchiato e viene chiuso in cella, poi rilasciato; l’altro rimane dentro per più di un giorno, senza che si abbiano, nel frattempo, sue notizie. Nel chiudere uno dei ragazzi nella volante un agente sentenzia: “Se non ti va bene tornatene nel tuo Paese”. I giovani coinvolti sono tutti neri, a parte una ragazza bianca, a cui non sono stati richiesti i documenti.
Nel frattempo un’altra delle ragazze del gruppo viene colpita con un manganello violentemente sulla fronte. Gli agenti si rifiutano di chiamare l’ambulanza, nonostante il segno sulla sua fronte sia evidente, nonostante presenti un grosso ematoma sulla schiena. L’ambulanza alla fine arriva, chiamata però dai ragazzi presenti, quelli che non sono scappati spaventati. E quando arriva, i carabinieri vi si mettono davanti, e parlano loro, come se fossero stati loro a richiederne l’intervento. La ragazza si è sentita dire che quelle botte non le aveva prese, che probabilmente era caduta. Quando arriva in ospedale, a un suo amico, che vede gli stessi carabinieri presenti poco prima all’aggressione parlare con dei medici, non viene neanche permesso di vederla, e lei rimane lì in ospedale per circa sei ore, dove le viene dato soltanto un antidolorifico.
A raccontare tutto questo sono proprio i ragazzi, direttamente coinvolti, che sentite e vedete nella video-intervista che hanno acconsentito a rilasciare. Le dichiarazioni qui riportate descrivono con chiarezza la discriminazione subita, il razzismo, e l’abuso di potere da parte delle forze dell’ordine, un tipo di abuso, questo, troppo spesso ignorato e quasi sempre messo a tacere, sia da chi ne è carnefice che dai media che ne parlano. La narrazione che accompagna avvenimenti simili, e questo episodio nello specifico, risulta fuorviante, e così i ragazzi vengono definiti su alcune testate come “ubriachi” (ricordiamo che presso la catena di McDonald non vengono venduti alcolici, né è consentito berne all’interno della sua proprietà), la situazione “una rissa” in cui sarebbero loro, giovani e disarmati, ad aggredire gli agenti, e quello che è per sua natura un loro abuso, a palese sfondo razzista, passa per un normale intervento di routine delle forze armate. I ragazzi non sono stati intervistati dai giornali che hanno riportato la vicenda, giornali che invece hanno subito narrato il tutto tramite le dichiarazioni delle forze dell’ordine; la loro voce non è stata ascoltata e con ogni probabilità partiranno delle denunce contro di loro. Rei di aver deciso di mangiare qualcosa insieme, a quanto pare. L’impossibilità di identificare gli agenti coinvolti, in questa come in tante altre situazioni analoghe, rende la posizione dei giovani coinvolti ancora più difficile, (nonostante si siano già rivolti a un avvocato per sporre denuncia), tra chi sui social si scaglia contro il bivacco e festeggia per l’aggressione subita e chi vuole semplicemente girare la testa dall’altra parte, volendo deliberatamente ignorare la triste e reale motivazione dell’abuso: i ragazzi erano neri, per questo la violenza, fisica e verbale, è arrivata a questi livelli.
In un Paese dove i più seguiti influencer del web accumulano like postando le immagini delle rivolte statunitensi, con tanto di hashtag per il movimento Black Lives Matter, questo genere di episodi quasi mai ha seguito, quasi mai viene ripostato e denunciato come meriterebbe. Eppure le vite dei neri contano, già, anche se non fanno audience, o cuori, o visualizzazioni.