Bergamo – L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha comportato il congelamento delle prestazioni sanitarie differibili con conseguenze senz’altro rilevanti per molti pazienti, ma comprensibili, dato il momento. È però del tutto evidente che l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in considerazione degli stessi limiti temporali stabiliti dalla legge 194/78, ha carattere di urgenza e non può essere considerata “differibile”, ma piuttosto una prestazione non rimandabile.
Il servizio già normalmente risulta limitato e difficoltoso a causa dell’alto numero di obiettori di coscienza (più del 66% in Lombardia), resta perciò del tutto incomprensibile la decisione di ridurre il servizio nella provincia di Bergamo a due presidi ospedalieri dai cinque che erano attivi (Bergamo, Seriate, Alzano Lombardo, Piario e Romano di Lombardia), compromettendo così in modo significativo il diritto di accesso ad un aborto sicuro.
Una donna che oggi si rivolge al consultorio dell’ATS di Bergamo, infatti, si sente rispondere che dall’inizio della situazione emergenziale, parliamo quindi ormai di due mesi, la situazione è molto confusa.
Ad oggi assicurano la prestazione esclusivamente l’ospedale di Piario (35 km dalla città di Bergamo) e l’ospedale Papa Giovanni XXIII, che però apre il reparto dedicato solo un giorno a settimana, il martedì, con evidenti problemi per gli utenti.
Durante questa fase di emergenza sanitaria le forti difficoltà ad accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza comportano il rischio reale di superare i limiti temporali imposti dalla legge: sette settimane per quanto riguarda l’aborto farmacologico, mentre dodici settimane per il chirurgico.
In questo conteggio sono da includere però quattro settimane, solitamente trascorse nell’inconsapevolezza di essere incinta, ed una che deve essere obbligatoriamente dedicata alla “settimana di ripensamento”.
Le sorprese non finiscono qui: infatti l’unico ospedale rimasto a garantire a pieno regime il servizio, ovvero quello di Piario, non esegue l’aborto farmacologico, contravvenendo così alle indicazioni dell’OMS che invita invece a favorire in questo momento di emergenza sanitaria questa pratica, meno invasiva, sia per alleggerire gli ospedali che per prevenire un’esposizione della donna al contagio che un percorso tradizionale di aborto chirurgico in ospedale potrebbe provocare.
Tutto questo accade mentre diverse associazioni come Pro-choice Rete italiana contraccezione e aborto, Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’Applicazione legge 194 (LAIGA), Medici Italiani Contraccezione e Aborto (AMICA), Vita Di Donna ONLUS, Non una di Meno e altre firmano un appello alle istituzioni affinché siano adottate misure urgenti volte a garantire l’accesso alla interruzione volontaria di gravidanza, privilegiando appunto la procedura farmacologica che permetterebbe, se condotta in conformità con le evidenze attualmente disponibili e con le linee guida delle società scientifiche internazionali, di limitare gli accessi in ospedale e di contenere il rischio di una diffusione degli aborti clandestini.