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'ndrangheta "un' incredibile vicenda"
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lucignolo Sunday, Nov. 14, 2004 at 12:10 AM |
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E “non c’è stato destra e non c’è stato sinistra che non ho avuto da fare io”,
(...) “il notaio Gangemi fece da tramite dicendoci di votare Romeo per essere aiutati nei processi”.
(...)nel 1996 “abbiamo votato per Amedeo Matacena (Forza Italia ndr.) e l’ultima volta ho votato per l’onorevole Valentino (
Reggio
Calabria
Alcuni giorni fa (08/11/2003) la
Procura distrettuale di Catanzaro ha emesso sei ordinanze di
custodia cautelare e 34 informazioni di garanzia che vede
indagati amministratori pubblici della Regione
e del Comune e della Provincia di Reggio Calabria, magistrati,
avvocati, funzionari ed impiegati dello Stato, appartenenti ai servizi
segreti, agenti di polizia, medici, carabinieri e dirigenti di banca.
L'accusa è quella di aver esercitato pressioni e
condizionamenti su
alcuni magistrati della Procura distrettuale di Reggio Calabria.
con
l'obiettivo di condizionare le inchieste su presunte collusioni
tra
ambienti politici e la 'ndrangheta..
Nel gruppo degli indagati ci sono il sottosegretario alla Giustizia
Giuseppe Valentino (concorso esterno in associazione mafiosa) Reggino
doc,avvocato e consigliere giuridico ascoltatissimo di Fini, e Angela
di Napoli, vice presidente commissione parlamentare antimafia-di AN,
per cui si ipotizza il reato di violenza o minaccia al corpo
giudiziario.Le accuse rivolte contro i due parlamentari sarebbero
quelle che si
ricavano testualmente dalle intercettazioni telefoniche e ambientali.
Pentiti non ce n'è nessuno.
Su Valentino ci sarebbero intercettazioni effettuate nello studio
legale di Paolo
Romeo (ex ordinovista di Gallico-RC, ex-deputato Psdi e
sostenitore politico dello stesso Valentino) da cui emergerebbe un
collegamento tra il sottosegretario, l'ex deputato del Psdi e le altre
persone accusate. Angela Napoli, invece sarebbe stata in rapporti con
Francesco Gangemi (giornalista pubblicista e direttore del Dibattito,
che ora i magistrati definiscono l'organo più o meno ufficiale
della 'ndrangheta) con il quale ci sarebbe stato un reciproco scambio
di informazioni.
"Esprimo piena solidarietà a Napoli e a Valentino, parlamentari
unanimemente stimati e da tutti considerati, non solo in Calabria, in
prima linea contro la criminalità organizzata". Il vicepremier
Gianfranco Fini si schierarsi con forza al fianco di Angela Napoli e
Giuseppe Valentino -"Confido che la montatura ordita contro di loro e
contro altri amministratori locali venga rapidamente meno per la
onestà intellettuale e per la serietà professionale degli
inquirenti, di cui non dubitiamo - ha dichiarato Fini - se la
magistratura vuole davvero dimostrare di non essere prigioniera di
solidarietà corporative e di non volere lo scontro con il
parlamento, la vicenda reggina è un'ottima occasione per farlo".
L'ex missino ha inoltre voluto ricordare che "l'incredibile vicenda
vede, nella qualità di persone offese, due magistrati di Reggio
Calabria, i dott. Macrì e Mollace, nei cui confronti
l'ispettorato del ministero della Giustizia, che ha esaminato elementi
documentali, è giunto alla conclusione che Macrì ha
"falsificato una sentenza" e che Mollace ha "manipolato con
interferenze pervicaci ed abusivi" le indagini affidategli".
L' ex missino evidentemente ignora che a Giugno,al telefono, F.
Gangemi si arrabbia con la vice presidente dell'Antimafia perché
non è ancora arrivata l'ispezione contro i magistrati. Ispezione
che in una precedente intercettazione telefonica, riassunta
nell'ordinanza, la Napoli assicura di aver chiesto al sottosegretario
Valentino e «di aver ricevuto ampie assicurazioni in
merito».
Per quel che riguarda i due magistrati reggini, al di la' delle
conclusioni delle "ispezioni " del ministero della Giustizia ordinate
dalla 'ndragheta , risulta che Mollace e' accusato di aver
arrestato Orazio
De Stefano, uno dei grandi della cosca più
potente del
Reggino, da sedici anni latitante.( Non avrebbe dovuto farlo
perché non più in servizio alla Dda) ; Macrì
invece di aver falsificato un verbale.Un verbale di 26 anni fa
(viene accusato ora di aver falsificato un verbale oltre un quarto di
secolo fa).
Interrogato in merito ai rapporti tra
mafia, politica e imprenditoria, il
collaboratore Paolo Ianno' ha ricordato che la ‘Ndrangheta
appoggiò la rivolta di
Reggio capoluogo specificando che “le cosche hanno avuto sempre un
interesse sia nel mondo imprenditoriale sia in quello politico”, ma che
era comunque la politica a fare il primo passo. Perché aveva
bisogno di
voti e perché cercava qualcuno che potesse mettere “il bastone a
mezzo
alle ruote” degli avversari più temibili. In cambio prometteva
l’aggiustamento dei processi. E “non c’è stato destra e non
c’è stato
sinistra che non ho avuto da fare io”,
(...) “il notaio Gangemi fece da
tramite dicendoci di votare Romeo per essere aiutati nei processi”.
Nel
1994, invece, sarebbe stato lo stesso Iannò a chiedere ai
democristiani
Totò Cameri, ex assessore comunale; Franco Minniti, della Camera
di
Commercio; Franco Cangemi e Pietro Morabito, ex direttore dell’Asl
reggina di “cambiare partito”, di “fare la lista Forza Italia”. In
quell’anno, ha spiegato, e nel 1996
“abbiamo votato per Amedeo Matacena
(Forza Italia ndr.) e l’ultima
volta ho votato per l’onorevole
Valentino (sottosegretario alla giustizia ndr.)”, “attraverso
influenza
diretta” di Franco Benestare, “nipote dei Tegano”. Nel 2001, invece,
nelle stesse liste di Forza Italia si presentò Araniti Pietro,
“dell’omonima famiglia mafiosa”, il quale avrebbe chiesto a
Iannò
appoggio elettorale.
Obiettivi delle pressioni comandate dalla 'ndrangheta altri magistrati
quali Roberto
Pennisi , Giuseppe Verzera.
Cisterna....Tutti con un ruolo nell' operazione
Olimpia,
risalente al 1995 ..., e che riguardava la cosca reggina dei De
Stefano.
Il centro di questa "attivita' di condizionamento dei magistrati
DDA "
(tramite i suoi collegamenti in ambienti forensi, politici ed
amministrativi reggini) e' l'avvocato Giorgio De Stefano, di 56 anni,
cugino dei capi dell'omonima cosca di Reggio Calabria.
Tra i registi delle "pressioni e dei condizionamenti" su questi
magistrati della procura distrettuale antimafia di Reggio hanno un
ruolo di primo piano Paolo Romeo ex missino, ex- Avanguardia Nazionale
(attualmente in carcere per associazione mafiosa) ritenuto una
figura di spicco nel legame
tra mafia calabrese e destra eversiva e Amedeo Matacena jr(vedi *)
di Forza Italia figlio di una figura storica della città
di reggio, armatore e fra i capi della rivolta degli anni '70.
Emblematica del rapporto tra 'ndrangheta e destra e' la figura di
Paolo Romeo il cui nome compare in un inchiesta della Procura di Reggio
Calabria, conclusa nello nel Dicembre(1994), relativa alle alleanza fra
gruppi fascisti, 'ndrangheta e massoneria durante
la rivolta di Reggio.
Quell' inchiesta dimostro' l' esistenza di un'alleanza operativa
fra Junio Valerio Borghese, Stefano Delle Chiaie, i servizi segreti,
Paolo Romeo( allora deputato del PSDI che avrebbe autato Franco
Freda ad espatriare nel' 78 in Costariza), le logge coperte della
massoneria e la mafia calabrese. In quella stessa inchiesta viene
accertato che la strage della
Freccia del Sud, il treno che il 22 luglio 1970
deragliò vicino alla stazione di Gioia Tauro , causando 6 morti
e
139 feriti fu organizzato da tre fascisti legati alla 'ndrangheta. E fu proprio la
‘Ndrangheta, per il tramite dell’oggi pentito Lauro a procurare a
personaggi quali “Pardo, Schirinzi, Silverini e Moro (tutti
appartenenti all’area di estrema destra)”, l’esplosivo poi adoperato
per l’attentato al treno.
Collegata all' attentato alla "Freccia del Sud" e' la morte di
cinque anarchici reggini.
" Aricò, Casile, Scordo, Lo Celso e Borth:
erano stati uccisi in un
finto incidente poiché in quella stessa estate del
1970 avevano capito che
il deragliamento della Freccia del Sud non era stato
causato dalla vetustà della linea ferroviaria e dai binari
malandati, ma da un
attentato escogitato in tandem tra 'ndrangheta ed eversione nera. Lo
scopo:allarmare ulteriormente l'opinione pubblica ed esasperare quel
clima che
si era creato in Italia grazie alla cosiddetta "strategia della
tensione". Presumibilmente dunque
i cinque anarchici morti a Ferentino avevano le prove di
“quell'alleanza"
e le portavano a Roma per denunciarle alla magistratura e all'opinione
pubblica....nella capitale non sarebbero mai
arrivati. "
Da ricordare in questa
vicenda insabbiata la singolare “coincidenza” che vede i
camionisti coinvolti nell’incidente
autostradale – e poi scagionati da ogni responsabilità –
dipendenti della ditta di Junio Valerio Borghese; il misterioso
decesso, qualche anno dopo,
del colonnello Bonaventura – dirigente dei servizi di controspionaggio
e braccio destro del generale Miceli, capo del Sid –, che aveva curato
“un’informativa” riservata sulla morte dei cinque anarchici; le
rivelazioni, infine, fatte nel 1993 dal mafioso pentito Giacomo Lauro,
secondo cui il disastro ferroviario di Gioa Tauro fu di origine dolosa
e fu provocato dalla “’ndrangheta”, su commissione del “Comitato
d’azione per Reggio capoluogo”.
A rendere sempre più plausibile l’ipotesi che dietro le
sembianze dell’incidente stradale a Ferentino si celasse un vero e
proprio omicisio ci sono le dichiarazioni di un pentito chiave
per la lotta alla ‘ndrangheta, Giuseppe Albanese.
Questi confidò ai magistrati che in un colloquio con un legale
di Pizzo Calabro, l’avvocato Barbalace - tra l’altro coinvolto a Vibo
Valentia,nel sequestro dell’imprenditore D’Amato – con il quale
scontò un periodo di comune detenzione all’interno del
carcere di Lecce, aveva appreso che la morte degli anarchici era stata
ordita da uomini alle dipendenze di Junio Valerio Borghese.
Paolo Romeo compare anche nell' inchiesta "sistemi criminali"
della Procura di Palermo (poi archiviata per "scadenza termini
indagine"). Secondo i magistrati della procura di Palermo i
boss di Cosa nostra fra il 1991 ed il 1993, con l'appoggio
della massoneria deviata e dell' estrema destra, progettavano un golpe,
volevano dividere il meridione dal resto d' Italia.
Paolo Romeo viene definito
«l’anello di congiunzione tra la
struttura mafiosa e la politica» per la Calabria nonché
«l’elemento di
collegamento fra Cosa Nostra siciliana e la ‘ndrangheta reggina».
Indagati con Paolo Romeo, Licio Gelli, Stefano Menicacci, Stefano Delle
Chiaie, Rosario Cattafi, Filippo Battaglia, Toto'
Riina, Giuseppe e Filippo Graviano, Nitto Santapaola, Aldo Ercolano,
Eugenio Galea, Giovanni Di Stefano, Giuseppe Mandalari. Secondo
la tesi della Procura, Cosa nostra "voleva farsi Stato", e avrebbe
tentato di abbracciare "un golpe separatista". I capimafia, Riina,
Provenzano, Madonia e Santapaola avrebbero deciso nel 1991 una
"strategia della tensione" (omicidio di Salvo Lima, stragi di Capaci e
via D'Amelio, gli attentati a Roma, Firenze e Milano), che sarebbe poi
stata affiancata da un piano, proposto da Licio Gelli, Stefano Delle
Chiaie e Stefano Menicacci, che prevedeva
"un nuovo progetto politico": la creazione di un movimento
meridionalista e la nascita delle Leghe meridionali. Il progetto,
pero', alla fine del 1993 si interruppe: secono i pm la mafia cambio'
gli appoggi politici e "furono dirottate tutte le risorse - scrivono i
magistrati - nel sostegno di una nuova formazione politica nazionale
apparsa sulla scena"
Nel 1996, nel processo per il delitto Pecorelli-processo Andreotti, il
pentito Giacomo Lauro, ex uomo della 'ndrangheta
parla del progetto elaborato per consentire la fuga
dell'estremista di destra Franco Freda e anche del progetto di Freda e
Paolo Romeo di organizzare in Calabria una "superloggia" massonica.
Secondo Lauro, inoltre, Romeo, arrestato per la fuga di Freda, fu
detenuto nel carcere d i Reggio Calabria nella stessa cella in cui era
rinchiuso Paolo De Stefano, "a dimostrazione - secondo Lauro - dell'affiliazione
dell'ex parlamentare alla 'ndrangheta. Lauro ha anche detto di
avere ricevuto in carcere confidenze e particolari sul ruolo che Paolo
Romeo avrebbe avuto nella 'ndrangheta, nella
massoneria, nei servizi segreti e nell'eversione di destra dallo
stesso Paolo De Stefano, ucciso in un agguato a Reggio Calabria
nell'ottobre del 1985. Il pentito ha riferito infine degli "appoggi
elettorali" che Romeo avrebbe avuto da diverse famiglie mafiose di
Reggio Calabria.
In
Calabria, nel biennio 1969 - ’70, si verificarono più episodi
emblematici del rapporto che gruppi della ‘Ndrangheta stavano
stabilendo con il mondo della destra eversiva. Un rapporto diretto, da
alcuni "uomini cerniera", quali Felice Genoese Zerbi e Paolo Romeo.
"Più volte la ‘Ndrangheta fu richiesta di aiutare disegni
eversivi portati avanti da ambienti della destra extra-parlamentare tra
cui Junio Valerio Borghese;", ha dichiarato nel maggio del ’93 il
collaboratore Giacomo Lauro, "il tramite di queste proposte era sempre
l’avvocato Paolo Romeo, sostenuto da Carmine Dominici, da Natale
Iannò e Domenico Martino, che appartenevano al clan opposto a
quello ‘destefaniano’ e cioè a quello dei ‘tripodiani’. I De
Stefano erano favorevoli a questo disegno ed in particolare al
programmato ‘golpe
Borghese’; mentre invece furono contrarie le cosche della jonica
tradizionalmente legate ad ambienti democristiani [...] Lo stesso
avvocato Romeo si fece promotore, all’epoca, di un incontro avvenuto
nella città di Reggio Calabria, e precisamente nel quartiere
Archi, tra Junio Valerio Borghese ed il gruppo capeggiato allora da
Giorgio de Stefano e Paolo de Stefano. Eravamo nell’estate del ’70. A
questo incontro ero stato inviato anch’io da Giorgio de Stefano, ma non
ci andai."
Stando ad altra ricostruzione fornita da Vincenzo
Vinciguerra, la ‘Ndrangheta avrebbe mobilitato, la sera del golpe, ben
1.500 uomini armati ed era pronta, all’occorrenza, a metterne a
disposizione altri 2.500.
Il collaboratore di giustizia Filippo Barreca, il quale, nel corso del
1979, ebbe l'incarico di ospitare nella sua abitazione di Pellaro,
frazione di Reggio Calabria, il latitante Franco FREDA, all'epoca
imputato per la strage di Piazza Fontana riferisce:
"Ho partecipato ad alcuni degli incontri avvenuti a casa mia tra Freda,
Paolo Romeo e Giorgio De Stefano.
Tali discorsi riguardavano la costituzione di una loggia super segreta,
nella quale dovevano confluire personaggi di 'ndrangheta e della destra
eversiva e precisamente lo stesso Freda, l'avvocato Paolo Romeo,
l'avvocato Giorgio De Stefano Paolo De Stefano Peppe Piromalli, Antonio
Nirta, Fefè Zerbi. (...)
Ricordo benissimo, come ho già detto in altre occasioni, che
Freda
ebbe a dirmi che se fosse stato condannato avrebbe fatto rivelazioni
che potevano far saltare l'Italia, intendendo riferirsi ai suoi
collegamenti con i servizi di sicurezza ed il Ministero dell'interno"
*
"AmedeoMatacena di Forza Italia
figlio di una figura storica per la città, armatore e fra i capi
della rivolta degli
anni '70
Amedeo Matacena jr, figlio dell’ armatore Amedeo Matacena, il fondatore
della società di navigazione Caronte la prima compagnia privata
ad effettuare il servizio di traghettamento nello Stretto di Messina
morto nell’ agosto scorso, ha iniziato la sua carriera politica con il
Pli diventando consigliere regionale alla fine degli anni ‘80. Nel ‘94
è stato eletto deputato per il centrodestra ed è passato
a Forza Italia, ottenendo, nelle politiche del ‘96, la riconferma al
seggio in Parlamento. Coinvolto nell’inchiesta denominata Olimpia 3,
Amedeo Matacena è stato rinviato a giudizio il 14 luglio 1998 e,
il 13 marzo 2001, è stato condannato in primo grado a cinque
anni e quattro mesi di reclusione per concorso esterno in associazione
mafiosa. Tra gli elementi di accusa c’ erano le dichiarazioni di 18
collaboratori di giustizia secondo i quali Matacena avrebbe
intrattenuto rapporti con elementi mafiosi in occasione di alcune
competizioni elettorali. La sentenza è stata poi annullata il 22
luglio dello scorso anno dalla Corte di Cassazione e successivamente,
nel dicembre 2003, dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria.
La Cassazione, infatti, si è pronunciata sul conflitto di
attribuzione sollevato dall’ ex presidente della Camera, Luciano
Violante, in relazione alla dichiarazione di contumacia fatta dalla
Corte d’assise di Reggio nei confronti di Matacena, che non si era
presentato davanti ai giudici adducendo un impedimento giustificato, a
suo dire, dai suoi impegni parlamentari. La Corte non aveva
riconosciuto l’ impedimento ed aveva dichiarato la contumacia dell’
imputato. Il nuovo processo di primo grado contro Amedeo Matecana
è stato fissato per il gennaio prossimo."
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i cugini gangemi
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lucignolo Sunday, Nov. 14, 2004 at 11:37 AM |
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Francesco Gangemi. E' il direttore del "Dibattito", è stato
sindaco Dc
di Reggio per sole tre settimane dopo l'arresto di Licandro (luglio
'92). Suo cugino, che porta il suo stesso nome e cognome ma è
più vecchio di lui, è stato condannato a 10 anni di
reclusione perché già luogotenente negli anni '80 della
Nco di Raffaele Cutolo presso la cosca dei De Stefano.
Il periodico ha grande diffusione nelle carceri e sostiene la campagna
di stampa che vuole coinvolgere i pm Enzo Macrì e Francesco
Mullace nel processo che si celebra a Messina sul conto di
Lembo e Alfano e sulle connivenze tra Cosa Nostra e la magistratura
messinese. Prende ordini, come documentano le intercettazioni
telefoniche e ambientali, da Paolo Romeo. "Dobbiamo distruggere questi
magistrati", gli dice nel gennaio 2003. Sono gli stessi giorni in cui
lui "pianifica un
attacco contro Vigna" forte di quegli che gli vengono annunciati come
"documenti esplosivi" sul procuratore nazionale antimafia.
"Angela Napoli, vicepresidente della Commissione parlamentare
Antimafia, sembra invece tenere Gangemi in gran conto. Gli atti
dell'inchiesta documentano almeno quattro colloqui telefonici. Il 3
aprile 2003, la Napoli "invita Gangemi a inviarle un promemoria da
utilizzare per la stesura di un'interrogazione parlamentare". Quella
che presenterà il 5 maggio di quell'anno sollecitando
provvedimenti a carico del pm Mollace. Il 29 aprile, "su pressione di
Gangemi, chiede al sottosegretario Valentino di inviare un'ispezione
ministeriale negli uffici reggini spiegando a Gangemi di aver ricevuto
ampie garanzie". Il 13 agosto, "Gangemi contatta la Napoli, tornando a
sollecitare l'ispezione". Cosa che tornerà a fare in ottobre,
"sollecitando anche l'invio della documentazione
che la Napoli ha rassegnato al Parlamento in luglio" sulla vicenda
reggina. A Reggio, l'ispezione arriverà. Come arriveranno i
procedimenti disciplinare a carico dei magistrati Enzo Macrì e
Francesco Mollace."
In una delle conversazioni intercettate, Francesco Gangemi, direttore
del periodico ''Il Dibattito'', si rivolge in questi termini all' ex
deputato del Psdi Paolo Romeo, avvocato nonche' presunto capo del
comitato politico-affaristico che avrebbe ordito la presunta trama
contro i magistrati: ''Tu mi devi dare le cose di Boemi perche' io ora
incomincio con lui, lo ammazzo!''.
La persona cui fa riferimento Gangemi nella conversazione con Romeo e'
Salvatore Boemi, all' epoca dei fatti coordinatore della Procura
distrettuale di Reggio Calabria.
''Il titolo che ho - aggiunge Gangemi nel dialogo con Romeo - e'
questo: 'Noi lo sapevamo' e sotto..'Boemi come uomo possa essere
uno...stupido...e' soprattutto un vigliacco'..''. Romeo: ''Cosi' poi
tu..se li vuoi spaccare di nuovo...'' Gangemi: ''Sì, sì,
cosi' dobbiamo fare...''
Il dialogo tra Gangemi e Romeo cosi' prosegue: Gangemi: Tu parti
con Macri' e ne facciamo due assieme... Romeo: (ride). Gangemi: E non
se ne parla piu'...e poi dobbiamo spaccare
questo...Questa...questa...questo ricompattamento che c'e' all'
interno...''
Nel caso Cirillo l’Anello (
una struttura dei servizi segreti mai scoperta prima. Oggi da
documenti inediti emerge che gestì il rapimento Cirillo, fece
fuggire Kappler.) giocò in pieno le sue carte.
Nel 1981 Ciro Cirillo, assessore campano della Dc, fu rapito dalle Br a
Napoli. Per Cirillo, a differenza che per Moro, la Democrazia cristiana
e lo Stato accettarono di trattare con i terroristi, anzi lo fecero
attraverso la criminalità organizzata. È Adalberto Titta
(sedicente "colonnello del Sismi" ) in persona che tratta in carcere
con Raffaele Cutolo, il capo della Nuova camorra organizzata (Nco).
Titta entra nel carcere di Ancona per concordare direttamente con
Cutolo la liberazione di Cirillo
" Personaggio di congiunzione tra
l’Anello e il boss della Camorra è Francesco Gangemi(omonimo
e cugino di F. Gangemi direttore del "dibattito"), esponente di primo
piano della Dc calabrese, avvocato di Raffaele Cutolo, ma anche grande
amico di Adalberto Titta. Fu proprio Gangemi – affermano alcuni
testimoni dell’inchiesta – a presentare Cutolo a Titta per permettergli
di intervenire nell’affare Cirillo. "Il Cutolo non avrebbe mai
accettato di prendere parte ad alcuna trattativa se il Gangemi non
avesse garantito per il Titta", assicura il supertestimone Ristuccia.
Il legame Titta-Cutolo-Gangemi-Anello può dare un contesto ad
alcune sibilline affermazioni fatte dal capo della Nco. Nel 1993 Cutolo
diceva, a proposito della vicenda Cirillo, che in tanti "fecero la fila
da me, ad Ascoli Piceno, e quel Titta dei servizi segreti era disposto
in cambio dei miei favori a far eliminare i miei nemici". E aggiungeva:
"Avrei potuto salvare la vita dell’onorevole Moro perché, grazie
a informazioni ottenute da alcuni membri della banda della Magliana,
avevo saputo dove era la sua prigione. Mi incontrai con il sedicente
"inviato di Cossiga" che mi promise persino sconti di pena. Ma in
seguito ricevetti una visita del mio fedele luogotenente Vincenzo
Casillo, latore di un messaggio di alcuni politici campani: "Don
Rafè, facitevi ’e fatte vuoste" "
Raffaele Cutolo, capo della Nuova camorra organizzata replicando lo
schema dei pentiti di mafia, ha affermato che durante il sequestro di
Moro venne contattato per individuare il luogo presso il quale lo
statista democristiano era imprigionato. Cutolo ascoltato dal
giudice istruttore Otello Lupacchini, titolare dell'inchiesta sulla
banda della Magliana , ripete che a richiedere il
suo interessamento era stato l'avvocato Francesco Gangemi, come
già altre volte aveva dichiarato.
Nel 2001, gli "onorevoli" Bergamo e Matacena fanno un'
interrogazione parlamentare a "carico" del procuratore della
Repubblica di Catanzaro la dottoressa Silvana Miranda Grasso,
magistrato in servizio presso il tribunale di Reggio Calabria, quale
presidente della prima sezione penale, sporgeva formale rea di aver
querelato il famigerato direttore del "Dibattito".
La dottoressa Silvana Miranda Grasso ha secondo gli "onorevoli"
attentato al "diritto di cronaca e di critica giornalistica", si e'
inoltre opposta all' archiviazione( chiesta da Salvatore Dolce,
sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di
Catanzaro) dichiarando:
« ... e` sufficiente leggere gli articoli dell’epoca e
quelli successivi per constatare come il Gangemi pretenda di disegnare
a suo piacimento la pianta organica degli uffici giudiziari di Reggio
Calabria,
« eliminando » quei magistrati non disponibili a tutelare
gli interessi dei suoi amici. Le finalita` della persecuzione del
Gangemi, particolarmente accanita nei confronti della scrivente e, poi,
anche del proprio coniuge, dottor Franco Greco, inizialmente
ricollegata dalla esponente a duecondanne per diffamazione dalla stessa
inflitte al Gangemi nel corso della sua attivita` professionale ed
evidenziate dalla volonta` ripetutamente espressa di vedere
l’allontanamento della scrivente insieme al
proprio coniuge in servizio presso la Corte di Appello e applicato alla
Corte di Assise di primo grado di Reggio Calabria per la celebrazione
di alcuni gravissimi processi di mafia, sono state manifestate in modo
plateale dallo stesso Gangemi nel numero speciale pervenuto di recente
nell’esponente...»(...)
a questo punto (si legge nell' interrogazione
parlamentareBergamo-Matacena)), la dottoressa Grasso, esplicitamente
afferma quanto in precedenza e fino a quel momento solo velatamente
illazionava: « ... in esso il querelato prende ufficiale
posizione in ordine alla pendenza di separati processi a carico di due
politici, Matacena Amedeo e Romeo Paolo, trattati – guarda caso –
rispettivamente dalla scrivente e dai proprio marito. Il Gangemi
esprime tutto il suo disappunto per le vicende processuali relative...
» (seconda e terza pagina dell’atto di opposizione del 28 ottobre
2000);Considerato che: gia` nel primo atto di querela nei confronti del
dottor Gangemi la dottoressa Grasso assumeva che: « ...
evidentemente, pur di sbarazzarsi della scrivente per se´ o per i
propri referenti – e a questo punto sarebbe interessante accertare
quali – il Gangemi suggerisce persino ufficialmente e pubblicamente,
tanto e` sicuro della sua impunita` , quella che durante la seconda
guerra mondiale veniva definita la « soluzione finale »
questa volta non degli ebrei, ma della dottoressa Grasso, che dovrebbe
essere condotta al punto di togliersi di mezzo con il suicidio... la
scrivente, che non ha alcuna intenzione di accontentare l’articolista
ne` i suoi referenti, chiede, invece, la punizione del colpevole per
tutti i reati che nella sua condotta verranno ravvisati » (quinta
pagina della querela del 30 dicembre 1999);
(...) anche nella seconda querela, datata 13 marzo 2000, la dottoressa
Grasso, esplicita, con le proprie affermazioni, il personale
convincimento dell’esistenza di « ispiratori » dell’azione
giornalistica condotta a suo carico dal dott. Gangemi del quale,
infatti, scriveva: « ... ha posto in essere ogni
l’allontanamento della scrivente insieme al proprio coniuge in servizio
presso la Corte
di Appello e applicato alla Corte di Assise di primo grado di Reggio
Calabria per la celebrazione di alcuni gravissimi processi di mafia,
sono state manifestate in modo plateale dallo stesso Gangemi nel numero
tentativo per coagulare l’attenzione al dichiarato fine di costringere
la scrivente ad abbandonare la sede e cosý` i processi in corso
e il proprio impegno presso il Tdl, evidentemente non graditi in
settori a lui vicini che » sarebbe opportuno, a questo punto, ove
possibile, individuare con chiarezza e perseguire »
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Io da grande voglio fare il mafioso
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lucignoloultima Sunday, Nov. 14, 2004 at 4:08 PM |
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"Io da grande voglio fare il mafioso, voglio uccidere tutti i
giudici e, se capita, pure qualche carabiniere e poliziotto
perché ci stanno antipatici ed è un lavoro che rende,
perché più uccidi e più soldi fai e più
rompiscatole togli dai piedi. In questo lavoro non c'è mai
disoccupazione, c'è sempre lavoro, se ci sai fare, se stai zitto
e se hai fortuna".
(26.07.2000 Relazione sullo stato della lotta alla criminalità
organizzata in Calabria-Il presidente del Centro comunitario Agape,
Mario Nasone, e vicepresidente nazionale del MOVI, ha riferito le
parole di un ragazzo di appena dodici anni)
In un
intervista il Sost. Procuratore Antimafia Roberto
PENNISI dichiarera' che "la 'ndrangheta non ha rapporti con la
politica e non ha rapporti con l'economia ma è politica ed
economia essa stessa."
Nel settembre 2000( sulla Stampa)-il procuratore aggiunto della Dda di
Reggio Calabria, Salvatore Boemi dira' :
""In realtà la grande criminalità calabrese e siciliana,
si presenta come entità economica, molto attenta alle dinamiche
del mercato. Gli appalti pubblici restano all’apice dell’interesse
mafioso, così si controlla il mercato del lavoro così si
diventa riferimento naturale di larghi strati sociali di disoccupati,
soprattutto dei giovani. "
( “’Ndrangheta e Cosa Nostra stanno sempre con il potere, e in modo
subdolo. Mi spiego: esprimono grandi capacità di utilizzare al
meglio le potenzialità del momento. Hanno colluso con la
monarchia, con la repubblica, con il centrodestra e anche con il
centrosinistra. Non hanno ideologia, scelgono uomini “compiacenti”.)
"La Calabria è una regione piena di contraddizioni: ha
attraversato, in particolar modo negli ultimi anni, una grave crisi
economica, è stata investita da contraddittori processi di
caduta e di stagnazione di attività economiche e tuttavia anche
da dinamiche nuove e da elementi di ripresa (4), ha sofferto e soffre
di livelli di disoccupazione fra i più elevati in Italia. La
questione del lavoro e dell'occupazione è sicuramente il
problema più acuto e più sentito in modo particolare
dalle nuove generazioni.(...)
la Calabria è la regione d'Italia che registra nel 1999 il
più alto tasso di disoccupazione, 28% (...) I segretari
regionali Emilio Viafora della CGIL, Enzo Damiano della CISL e Alfonso
Cirasa della UIL hanno rimarcato nei loro interventi l'enorme
difficoltà della situazione per quanto riguarda il lavoro e
l'occupazione.
Una situazione sicuramente preoccupante è quella relativa
all'area di Crotone, un tempo polo industriale d'antico insediamento al
quale era stata affidata una prospettiva di sicurezza, di occupazione e
di nuovo sviluppo, non solo per la città ma anche per i comuni
circostanti. Il fallimento dell'intervento Eni e del polo chimico, la
situazione di crisi che si è via via abbattuta sulle locali
produzioni industriali, rischia - se non si interviene in maniera
efficace ed adeguata - di porre la parola fine a quel particolare
comparto industriale fino a pochi anni fa vanto dell'intera Calabria.
Sono i giovani che avvertono maggiormente i drammatici disagi di questo
stato di cose. Sono i giovani i più esposti alle lusinghe e alle
offerte della 'ndrangheta. Il modello mafioso continua ancora oggi ad
esercitare un certo fascino sui giovani e sui giovanissimi. Proprio su
di essi la 'ndrangheta sta puntando in questa fase di riorganizzazione
per sostituire con nuove leve quelle che sono finite in carcere grazie
all'attività di contrasto messa in campo dallo Stato.
La questione del lavoro in Calabria appare allora non solo come una
questione di civiltà e di giustizia sociale, ma anche come una
vera e propria questione democratica.
Il sindaco di Seminara, Salvatore Costantino, ha ricordato che su 130
imputati per mafia originari del suo comune moltissimi si collocano fra
i giovani di età compresa tra i 18 e i 22 anni; molti altri sono
addirittura minorenni.(...)
Negli ultimi anni l'economia della Calabria è stata fortemente
segnata dalla contrazione della spesa pubblica e dalla diminuzione dei
grandi appalti in conseguenza della conclusione del lungo ciclo
economico caratterizzato dalla Cassa per il Mezzogiorno e
dall'intervento straordinario dello Stato. Questo segno non risulta sia
stato rovesciato o compensato dagli interventi resi possibili dal
cosiddetto "decreto Reggio" e dalla realizzazione del porto di Gioia
Tauro.(...)
(26.07.2000 Relazione
sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in
Calabria
Relatore Sen. FIGURELLI
(..) della capacità delle cosche di appropriarsi, in modo
diretto o indiretto, delle risorse provenienti dagli appalti pubblici,
consentendo alla criminalità la disponibilità di denaro
"lecito" da reinvestire in attività illecite o, viceversa,
costituendo il canale per riciclare danaro proveniente da
attività criminale. In una realtà caratterizzata dalla
mancanza di espansione dell'iniziativa imprenditoriale privata e da una
forte e cronica disoccupazione, di fatto, si realizza un vero e proprio
controllo del mercato del lavoro, con tutto ciò che ne deriva in
termini di indirizzo, scelta di mano d'opera e, soprattutto, di
riconoscimento "sociale" di unica organizzazione in grado di
distribuire lavoro e alla quale sono costretti a rivolgersi anche
soggetti che mai si sarebbero sognati di venire in contatto con tali
organizzazioni e di riconoscerne tale ruolo e "prestigio".
( Relazione
del Procuratore Generale della Corte d'appello di Reggio
CalabriaGIUSEPPE CHIARAVALLOTI
PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO 11 gennaio 1999)
In Calabria si riscontrano i livelli di reddito più bassi
d'Italia, e gli indici di disoccupazione tra i più alti
d'Europa.( Infatti, il 67% dei giovani sotto i 25 anni non ha un
lavoro-cinquantamila calabresi ogni anno vanno a lavorare e a vivere
fuori dalla Calabria
-Il lavoro nero in edilizia tocca in Calabria il 40
%. )
Il lavoro diventa ostaggio dell' ndrangheta: " Il Sole 24-ore Sud
" ha riportato una ricerca fatta dall'Eurispes,
secondo cui la stima per il lavoro nero in Calabria per il 2004
raggiunge oltre il 35% del PIL ufficiale calabrese.
"Ma nessuno si scandalizza, se poi sono per primi gli Enti pubblici ad
utilizzare lavoro nero. Difatti, regione, province, comuni ed enti vari
utilizzano la disponibilità degli LSU/LPU a lavorare in nero.
Sono
oltre 10.000 precari che sono senza tutele e garanzie, senza assegni
familiari, senza copertura previdenziale.Vengono, spesso e volentieri,
ricattati e minacciati se non prestano
determinati servizi e con orari inimmaginabili senza alcun minima
contrattazione sindacale."
(IL RESPONSABILE ALAI - CISL Domenico Serrano)
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ANCORA CON QUESTO NEOFASCISMO
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bruto Wednesday, Nov. 17, 2004 at 10:25 PM |
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Ma per forza dovete sempre parlare di cose in cui non avete voce in capitolo? Possibile che vedete fascismo dappertutto? Se AN fosse il neofascismo come lo definite voi........... guardatevi in giro! E finitela di fare i bambini,e soprattutto ogni volta che va male qualcosa non c'è bisogno di dire "oh guarda ci sono i fascisti lì in mezzo"....
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stupidaggine della vecchia giustizia
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by
Neo-Machiavelli Friday, Dec. 03, 2004 at 11:33 AM |
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Invitto a commentare: Talenti, meritocrazia e stupidaggine della vecchia giustizia tradizionale. (Sondaggio) http://neo-machiavelli.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=336341 Mafia, Badalamenti e giustizia o stupidaggine? (Sondaggio) Ministro della Giustizia Castelli, magistrati ambiziosi e la vecchia giustizia tradizionale Tasse, camorra, mafia, politica, giustizia: la lezione della zingara La stupidaggine della giustizia, della politica … e l’intelligenza della regina dei Rom e del FBI Giustizia e separazione o guerre di potere? Onestà, etica e collaborazione con i criminali contro la criminalità
neo-machiavelli.ilcannocchiale.it
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Sonno d'accordo con la triste conclusione
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Neo-Machiavelli Friday, Dec. 03, 2004 at 11:37 AM |
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Invitto a commentare: Talenti, meritocrazia e stupidaggine della vecchia giustizia tradizionale. (Sondaggio) http://neo-machiavelli.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=336341 Mafia, Badalamenti e giustizia o stupidaggine? (Sondaggio) Ministro della Giustizia Castelli, magistrati ambiziosi e la vecchia giustizia tradizionale Tasse, camorra, mafia, politica, giustizia: la lezione della zingara La stupidaggine della giustizia, della politica … e l’intelligenza della regina dei Rom e del FBI Giustizia e separazione o guerre di potere? Onestà, etica e collaborazione con i criminali contro la criminalità
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