Il movimento Salviamo le Apuane lancia l’opzione zero: la chiusura di tutte le cave di marmo e la riconversione dell’economia apuana. In questa lunga intervista con Eros Tetti, realizzata il 9 febbraio durante il seminario tenutosi a Lucca, cerchiamo di approfondire la questione provando ad affrontarla da diverse angolazioni.
Documenti e altre informazioni sono reperibili su salviamoleapuane.org
Prossimi appuntamenti:
- Sabato 22 febbraio ore 17.30: presidio in piazza S. Michele per la GIORNATA NAZIONALE DI MOBILITAZIONE E DI LOTTA OGNUNO NEL PROPRIO TERRITORIO lanciata dal movimento No Tav
- Domenica 2 marzo: SUI SENTIERI DELLA DISTRUZIONE, incontro e iniziativa a Campo Cecina, Alpi Apuane settentrionali
Intanto, buona lettura!
Lucca Libera: quando e come nasce il movimento Salviamo le Apuane? Da chi viene promosso inizialmente e quali sono le componenti aggregate nel tempo?
Eros: Salviamo le Apuane, come movimento on-line, nasce nel 2009, su facebook. Dopo aver visto il video di Aberto Grossi “Cosa c’è sotto le nuvole”, decisi di provare a lanciare una richiesta di salvezza per questo territorio che ormai mi sembrava in ginocchio. Tutte le volte che ci andavo, infatti, vedevo la devastazione che aumentava a livelli mostruosi, avevo sotto gli occhi un disastro unico in Europa. I primi iscritti al gruppo on-line erano proprietari di cava che ci offendevano pesantemente; fortunatamente si sono poi aggregate altre persone e varie associazioni, tra cui “La pietra vivente”, “Italia Nostra”, iscritti al CAI ecc. Questa aggregazione ci ha portato al primo incontro, il 27 giugno 2010, in cui abbiamo steso il nostro documento portante, la “Carta delle Apuane”, che traccia le linee guida del nostro lavoro. Nel tempo si sono aggregate tante altre componenti. Salviamo le Apuane è un movimento fumoso, non ha una struttura e questo volutamente. Nell’attuale destrutturazione del sistema, qualunque forma istituita non funziona più, la destrutturazione è potentissima anche nelle varie associazioni, gruppi o partiti. Se avessimo fatto l’errore di strutturarci in qualche modo, probabilmente saremmo finiti a discutere dei problemi della cassa, del presidente, dello statuto…, invece di occuparci del problema reale. Non abbiamo problemi dal punto di vista legale, perché ci sono tante associazioni e cooperative al nostro interno e, ogni volta che serve, qualcuno provvede a permessi e richieste a nome di Salviamo le Apuane. Questa forma organizzativa ci dà modo di avere una struttura elastica che si muove nel tempo. Salviamo le Apuane è una situazione, un organismo vivente che si espande. Questa etereità ci permette di poter passare sotto le porte, di entrare nelle case della gente. Noi lavoriamo molto on-line, ma molto anche sul concreto. Abbiamo aziende agricole e tutta un’alternativa economica che stiamo costruendo: diciamo no a un tipo di economia e siamo favorevoli e pratichiamo un altro tipo di economia. Quello che diciamo non lo teorizziamo e basta, lo vogliamo praticare. Questo ci fa maturare anche dal punto di vista teorico, perché quando le cose si fanno, s’imparano sempre più cose. Il fatto di applicarci a riprendere il territorio, rigestirlo e riviverlo costituisce un elemento propulsore e ci consente di maturare costantemente la percezione del territorio e del paesaggio stessi, e soprattutto della nostra relazione con essi.
Lucca Libera: puoi fare una sommaria descrizione della situazione ambientale sulle Alpi Apuane e indicare i luoghi di maggiore criticità? Quali i rischi per l’ambiente e la salute?
Eros: Salviamo le Apuane lotta su due punti. Primo, sulla questione della devastazione ambientale causata dall’escavazione del marmo; secondo, contro l’abbandono della montagna. Sono due problemi intimamente connessi. Là dove si abbandona un territorio avanzano delle forze che se lo prendono in gestione. Oggi le Apuane sono dominate da alcune grandi multinazionali che gestiscono tutta la faccenda dei detriti provenienti dagli esuberi di cava. La cava, infatti, per ogni blocco di marmo pulito produce tre tonnellate di scarti o, meglio, sottoprodotti. Questi sottoprodotti vengono utilizzati dalle multinazionali per fabbricare prodotti industriali di vario tipo, dallo sbiancante per dentifrici e vernici al fissante per le gomme dell’auto, dai filtri per le centrali a carbone a innumerevoli altre sostanze chimiche. La situazione più critica, ovviamente, è quella dietro a Carrara, che ha una cava ogni chilometro quadrato; qui siamo a un livello di devastazione immane. E’ una zona che è stata volutamente lasciata fuori dal Parco delle Apuane, perché lì vige un mondo a sé: la situazione ambientale è a un livello di morte, basta fare un giro per i bacini di Carrara per rendersi conto che lì ormai non c’è più niente. Ma il problema più grosso è che questo modello di industrializzazione del territorio si sta estendendo, o almeno ci stanno provando, anche perché c’è un grosso interesse dietro al carbonato di calcio. Il marmo puro bianco è al 100%, o quasi, carbonato di calcio allo stato puro, è un minerale preziosissimo per l’industria chimica, perché non ha bisogno di lavorazioni per la purificazione come i materiali provenienti da altri posti. Le situazioni di maggiore criticità ambientale riguardano tutte quelle cave che insistono sui sistemi carsici, dove nasce l’acqua, quindi in definitiva su tutte le Apuane, perché le Apuane sono un grande sistema carsico. Posso citare, oltre a Carrara, anche la zona di Massa, la Val Serenaia, Vagli e altri luoghi della Garfagnana. Gli impatti stanno diventando molto grossi e tengo a sottolineare che è tutto legale e legalizzato: la Legge Regionale 78 permette alle aziende di creare queste situazioni, in fondo le leggi si fanno sempre per mantenere un certo tipo di economia. Tra le zone più devastate potrei scegliere il Corchia, il Picco Falcovaia, la Focolaccia, l’Orto di Donna o la Val Serenaia. Secondo noi ci troviamo in una grande emergenza ambientale diffusa, siamo in una situazione di non ritorno già ampiamente superata. Abbiamo fatto un documento, reperibile on-line e intitolato “Emergenza Apuane”, in cui diciamo chiaramente che si è già superata una soglia. Sulle Apuane in 30 chilometri in linea d’aria abbiamo 780 siti di escavazione fra cave attive, inattive e saggi di cava. Il nostro territorio ha già dato assai… Andando a vedere i risvolti per le popolazioni che vivono intorno alle cave, c’è da dire, innanzitutto, che ci troviamo di fronte una popolazione che difende e sceglie un tipo di sviluppo. Purtroppo, attualmente, registriamo un po’ questa situazione. Detto questo, bisogna evidenziare che la parte principale, apicale, del problema riguarda il bene dell’acqua. Le Alpi Apuane sono uno dei sistemi carsici più importanti d’Europa, il Frigido è la sorgente più grande della Toscana, altre sorgenti danno da bere a tutte le città che stanno intorno: La Spezia, Massa, Lucca ecc. fino ad abbracciare la Garfagnana e la Versilia. Tutte queste aree attingono al bacino apuano che, insieme alle Alpi Carniche, rappresenta il posto più piovoso d’Italia; un patrimonio, dunque, dal punto di vista dell’acqua. Ora, il marmo è un materiale poroso che si lascia penetrare dagli inquinanti liquidi, se si mette dell’olio su un blocco di marmo il giorno dopo lo si ritrova sotto. Nelle cave succede di tutto e di più e si lavora con macchinari soggetti a frequenti sversamenti. Lo stesso taglio del marmo viene effettuato con seghe elicoidali che contengono metalli pesanti, i quali si sgretolano finemente e finiscono nelle falde acquifere. Queste ultime risultano dunque piene di marmettola (la polvere che deriva dal taglio del marmo), di metalli pesanti, di oli e carburanti. Inoltre, tranciando le falde con le cave e intercettando i condotti carsici, si arriva direttamente a distruggere le falde stesse. L’acqua non entra più nel monte, non viene più accumulata nei bacini interni, incanalata e convogliata nei condotti naturali. Il disastro del Mugello è sotto gli occhi di tutti: sette falde acquifere sono state seccate a causa dei lavori del Tav e, oggi, molti paesi sono costretti a prendere l’acqua dal Bilancino. Riguardo alla salute c’è poi tutta la questione delle polveri, anche se ora sembra parzialmente risolta, soprattutto a Carrara, con la strada dei marmi. Tuttavia la situazione stradale vede ancora il problema degli enormi camion di marmo che passano per paesi e città: solo ieri un blocco di marmo è cascato davanti a una scuola a Carrara…
Lucca Libera: rispetto agli allarmi che ormai da tempo avete lanciato sulla devastazione in atto, qual è stata la risposta delle istituzioni e dei partiti?
Eros: da parte dei partiti, e di conseguenza anche delle istituzioni, c’è stata una chiusura pressoché completa in merito alle nostre posizioni. Facciamo un passo indietro: Salviamo le Apuane parte con un appello on-line: chiudiamo le cave e riconvertiamo l’economia del nostro territorio. Questo perché il muro contro il quale si sbatteva sempre era, ovviamente, quello della questione lavorativa. Fin da subito, quindi, abbiamo proposto dei tavoli da farsi con le istituzioni in cui si parla di riconversione economica del territorio. Quando andiamo agli incontri ci rispondono sempre: “no, ma lì devono lavorare, non si possono chiudere le cave”. Le risposte sono preconfezionate e quando insistiamo sulla volontà della riconversione economica, quando proponiamo di cominciare da subito, ovvero creando tre posti di lavoro diversi mentre contestualmente si chiude la cava che dà tre posti di lavoro, a questo punto rifiutano di confrontarsi. Questo svela chiaramente che non c’è l’interesse politico di chiudere le cave. Di fronte a ciò, secondo me, sono nudi. La grande rottura di Salviamo le Apuane, rispetto alle associazioni preesistenti, è stata proprio la proposta di chiudere tutte le cave, l’opzione zero. Questa posizione ha destabilizzato l’ambiente politico. Nei vari confronti e tavoli noi chiediamo: perché se tutti riconoscete che c’è un’emergenza ambientale non iniziamo insieme una riconversione economica? Non troviamo risposte, e ognuno in questo silenzio metta quel che vuole.
Lucca Libera: questo avviene con tutti i partiti?
Eros: con alcuni partiti ci sono stati dei passaggi… poi, va detto che i partiti sono molto frammentati al loro interno. A suo tempo, prima che crollasse, si era espressa unitariamente a nostro favore l’Italia dei Valori. L’ex assessore della Provincia di Lucca Pellegrini Masini aveva dato una mano molto forte al movimento Salviamo le Apuane organizzando il convegno con l’Unesco, le Apuane, infatti, sono anche geoparco Unesco. Successivamente, il rimpasto di giunta vide cadere proprio Pellegrini Masini, mentre comparivano le statue di marmo sulle mura; probabilmente si tratta di una coincidenza, però… C’è da dire che Pellegrini-Masini stava facendo anche tutto un lavoro sugli impianti a biomasse affinché rispettassero le norme di legge, forse dava fastidio per diversi aspetti dei suoi interventi. Per le ultime elezioni avevamo lanciato un appello firmato da Rivoluzione Civile, la lista Ingroia che non ha superato lo sbarramento, e dal Movimento 5 Stelle, tra cui spiccavano i nomi delle senatrici Bottici e Paglini. L’appello chiedeva di avviare un’inchiesta parlamentare e di proporre una legge per la chiusura progressiva delle cave. Una volta elette, purtroppo, le posizioni sono diventate molto diverse, si è manifestata una visione molto differente dalla nostra, ovvero: l’escavazione deve continuare, si può migliorare la legge vigente, si cerca una maggiore ricaduta economica sul territorio, ma non viene assunta l’emergenza ambientale. Qui non stiamo parlando dell’estremismo dell’ambientalista che non vuole l’impiantino dietro casa, qui si parla di emergenza ambientale oggettiva che compromette il bacino acquifero. Sono venuti il Der Spiegel, il Sunday Times, la BBC: è oggettivamente un’emergenza ambientale a livello europeo che ha pochi eguali. Ci raccontava il giornalista del Der Spiegel che solo sulle Ande avevano visto situazioni paragonabili. Questo, insomma, è lo scenario riguardo ai partiti. Poi, noi siamo costantemente aperti a qualunque forza politica abbia voglia di dialogare e di spendersi, anzi ci auguriamo che anche il Movimento 5 Stelle maturi una posizione più vicina alla nostra. Con SEL abbiamo fatto degli incontri, ma stiamo ancora aspettando un sacco di risposte, non sappiamo, ad ora, se la E di SEL corrisponda o meno a realtà. SEL deve obbligatoriamente esporsi rispetto a questo tema, il circolo di Lucca ha lanciato l’idea di portare la questione a livello nazionale, ma stiamo ancora attendendo.
Lucca Libera: qual è l’atteggiamento dei lavoratori impiegati nell’escavazione del marmo in merito alle proposte da voi avanzate? E che tipo di riscontri avete tra la popolazione del luogo?
Eros: personalmente, non ho sempre riscontrato delle posizioni totalmente negative da parte dei lavoratori. Alcuni cavatori, soprattutto nella zona di Carrara e in altre piccole situazioni, sono in un certo senso lavoratori privilegiati: è certamente un lavoro usurante, ma guadagnano piuttosto bene. Rischiano, però, la vita; perché lì si muore: nelle cave la mortalità è alta, basta veramente un nulla. Le ruspe sono enormi, tutto è a dimensione ciclopica, le sproporzioni fanno sì che basti davvero poco per rimetterci la vita. Molti, in tutta sincerità, ti dicono che se avessero altro da fare sarebbero ben felici di cambiare. Anche perché vivono male la situazione di dover lavorare distruggendo la loro montagna: lì ci stanno tutto il giorno e si rendono conto del paesaggio che hanno intorno. Ci sono molti ex cavatori che sono totalmente contrari a ciò che sta avvenendo, nonostante abbiano passato una vita in cava. Anche perché prima c’era un altro rapporto tra il cavatore e la montagna, oggi vanno lì, attaccano le seghe e in due mandano avanti quattro cave; le seghe avanzano da sole, a scorrimento. Bastano poche persone per distruggere un’intera montagna e si cava in un giorno quello che una volta si cavava in tre mesi. Nelle cave oggi lavorano meno di 1000 persone, nel passato sono state anche più di 30.000. Se uno compara i dati nel tempo capisce che le cave non creano occupazione, ma disoccupazione e povertà sul territorio. La provincia di Massa-Carrara è la più povera e la più indebitata della Toscana e tra quelle messe peggio in Italia. Ci sono dei dati oggettivi. Per quanto riguarda la popolazione, bisogna specificare che quella stanziata nelle zone apuane in cui non ci sono cave vive e soffre le conseguenze e gli effetti delle cave. Infatti, quando dei poteri così forti come quelli espressi dalle multinazionali comandano un territorio ovviamente non vogliono il turismo, perché i turisti “rompono i coion”, perché vedono quello che succede. Non li vogliono nelle cave ma nemmeno nelle zone limitrofe: se mi affaccio alla Pania vedo che sul Corchia è tutto sventrato, sento i rumori delle ruspe, i biip biip biip…, roon roon roon…, è questa la colonna sonora andando per le Apuane. La cava inquina le acque, produce inquinamento acustico e atmosferico, rende impraticabile lo sviluppo di attività alternative: le zone di non cava sono tutte profondamente addolorate da questa cosa; sono tuttavia molto timide, torna loro male dire: smettete di cavare. Ultimamente, però, in queste zone si sta formando tutto un movimento di persone che comincia a rendersi conto di quello che succede. Nelle zone di cava, invece, c’è una percezione erronea, si vedono cioè le cave di oggi come erano in realtà trent’anni fa. Questa percezione falsata è dovuta anche alla divulgazione, la diffusione del mito del cavatore. Solo ora tale percezione comincia ad essere intaccata, grazie anche alle nostre uscite sulla stampa nazionale e internazionale. Paradossalmente, ma neanche tanto, più il messaggio proviene da fuori più riusciamo ad arrivare al cuore delle nostre persone: venendo da fuori il messaggio riesce ad essere più chiaro. Molti non sanno che ci lavora così poca gente, molti non sanno ciò che avviene alle falde acquifere. Nelle zone di cava forti, come Massa e Carrara dove il tema è tabù, la maggior parte della gente non conosce a fondo la questione. Parlare di cave in queste zone è veramente difficile e quindi capisco anche gli amici del Movimento 5 Stelle che probabilmente hanno delle grosse difficoltà a prendere delle posizioni nette sul territorio. Li comprendo, in parte, a livello territoriale, ma a livello regionale e nazionale assolutamente no, non posso permettere a nessuno la giustificazione di un tale disastro. Purtroppo, dunque, questa è la percezione: la cava dà pane, “il marm ì pan”. Questa convinzione è ancora molto forte, anche se si sta sgretolando: prima ogni famiglia aveva due o tre persone che lavoravano in cava, oggi la situazione è molto più rarefatta. Inoltre, le condizioni di lavoro sono mostruose e chi le vive lo sa bene: in cava ci si brucia, perché sei circondato dal bianco, l’effetto albedo è terribile, starci nel mezzo in estate è come essere in un forno a microonde. A Fantiscritti c’è un piccolo museo sulla storia del marmo, a un certo punto c’è una gamba di legno di fico: quando un cavatore perdeva un arto per infortunio, s’intagliava, da solo, una gamba di legno e tornava in cava, per non morire di fame. Da questo aneddoto possiamo immaginarci la situazione vissuta da questo popolo nel passato: era una vera e propria schiavitù. Bisogna smontare il mito del cavatore e partire, invece, da questi fatti reali. Per rendersene conto si possono anche guardare i filmati dell’Istituto Luce sul trasporto del monolite durante l’epoca fascista: insaponavano le traversine, le toglievano e le mettevano a una velocità incredibile, se sbagliavi a muovere un braccio eri finito. Ci sono stati dei funerali fatti a Carrara con la bara vuota, perché se si rimane sotto un blocco di marmo… Il contesto antropologico è dunque questo, ed è quindi anche comprensibile la reazione della gente del posto: ha dovuto strutturare tutta una situazione per mantenere in piedi questo sistema economico che oggi barcolla da tutte le parti; però ancora lì è il punto più forte. E sarà sempre il punto più forte.
Lucca Libera: in che modo le proposte di Salviamo le Apuane intendono approcciarsi a questa situazione?
Eros: Salviamo le Apuane in questi anni ha creato un progetto, chiamato PIPSEAA, Piano Programma di Sviluppo Economico Alternativo per le Alpi Apuane: il territorio è suddiviso in tre aree, le aree più devastate, le aree mediamente devastate e le aree non devastate, che però sono in stato di abbandono, come i paesini di montagna in zone in cui non ci sono cave. Per questi territori abbiamo ipotizzato uno sviluppo diverso. Nella zona di Carrara, dove la devastazione è assoluta e sta avanzando a dei livelli mostruosi, si tratta di bloccare la situazione. Lì esistono cave interno-monte che sono enormi, fino a dieci volte il volume del duomo di Firenze; ecco, un’idea, visto che ormai esistono, potrebbe essere quella di crearci il più grande museo del marmo al mondo, raccogliendo magari opere provenienti dall’Italia o dall’estero. Come mai in una zona di marmo non c’è mai stato uno scultore famoso e nemmeno c’è un museo noto? Sono famosi gli scultori di Pietrasanta, ma a Carrara non ce ne sono; perché i carrarini venivano usati per fare i cavatori, non per diventare scultori. I laboratori di scultura non esistono quasi più, tutto il know-how è stato svenduto all’estero. Altre cose che si potrebbero fare sono ristoranti e alberghi nel marmo, riconvertendo quindi spazi che ormai esistono per altre destinazioni d’uso. Nel Nord Europa si dorme nel ghiaccio, da noi si potrebbe dormire in stanze di marmo, situazioni particolarissime che solo qui sarebbero possibili. Inoltre, si potrebbe ripristinare la ferrovia marmifera, inspiegabilmente demolita, che serviva a trasportare il marmo sulla costa: potrebbe benissimo trasportare turisti e visitatori. A nostro avviso ci sono le potenzialità per un turismo di qualità, anche di grandi numeri, che può impiegare tantissime persone. I prodotti agricoli, secondo i principi della filiera corta, possono provenire da altre zone del comprensorio apuano. Su queste cose noi vorremmo confrontarci seriamente anche con gli imprenditori del marmo, ovvero vorremmo che fossero loro i primi a reinvestire in una simile riconversione. Per anni hanno mangiato sui nostri monti e sfruttato la manodopera dei nostri paesi creandosi portafogli enormi; è una provocazione quella che gli lanciamo: perché non reinvestono in situazioni che possono rivelarsi interessanti? Ovviamente, previa chiusura delle cave. Porto un esempio pratico che ho vissuto in prima persona nella Valle del Serchio: la Lucart voleva fare un inceneritore per smaltire i fanghi di cartiera accanto alla fabbrica, la popolazione si è fermamente opposta per anni al progetto, proponendo, fra l’altro, alla proprietà di provare a riconvertire la produzione nel riciclaggio del tetrapak. Bene, l’inceneritore non è stato realizzato ed oggi la Lucart è famosa in Europa perché è l’unica cartiera che ricicla il tetrapak. E all’epoca i comitati venivano tacciati di essere ambientalisti estremisti… E’ un buon esempio di come spesso i comitati rappresentino il più delle volte posizioni che, semplicemente, sono ragionevoli. Le realtà di comitato oggi esistenti sono costituite da persone che si spendono tantissimo nel costruirsi delle competenze e nel creare delle proposte. Basta guardare in Val di Susa o, più vicino a noi, a Firenze per la questione del sottoattraversamento ferroviario. E potrei moltiplicare gli esempi, ma nessuno ne parla, perché la mistificazione nei mass media nazionali è sempre la stessa: i comitati hanno la sindrome “nimby”, non vogliono nulla intorno alla propria casa, sono estremisti e vorrebbero che non si facesse più nulla per tornare all’età della pietra. Certo, come se noi fossimo tutti dei deficienti… E’ chiaro che non è così, ma loro continuano a cavalcare questa ideologia ormai da trent’anni. Fortunatamente oggi abbiamo a disposizione altri mezzi e l’informazione riesce finalmente a circolare non a senso unico. Per tornare al PIPSEAA, rispetto alle aree mediamente devastate proponiamo una riconversione mista, con particolare attenzione alle pratiche sportive, es. arrampicata, torrentismo ecc., inoltre musei e teatri all’aperto nelle aree di cava in cui si possano svolgere eventi periodici. Si tratta di pensare a un riuso dei buchi nelle montagne, perché anche se l’escavazione viene chiamata “coltivazione del marmo”, io non l’ho mai visto ricrescere: i buchi ci sono e rimarranno. Sarà inoltre necessario bonificare e rinaturalizzare grandi porzioni di territorio, da individuarsi tramite un’inchiesta molto accurata. C’è un lavoro colossale davanti a noi di bonifica idrogeologica. Ad esempio, dietro Carrara ci sono dei ravaneti enormi che oggi, poi, togliendo i sassi più grandi usati dalle industrie delle scaglie, si riducono solo a terre e polveri che restano lì, in attesa di qualche bomba d’acqua che le porti nei fiumi. Queste cose le stiamo dicendo da anni: ci smentiscano le istituzioni! Firmino che non succederà mai niente e che noi siamo dei pazzi! Firmino che è tutto in sicurezza e che va tutto bene; lo firmi Zubbani, il sindaco di Carrara, e gli altri sindaci che hanno i ravaneti a monte dei paesi che amministrano! Per ora non vedo nessuno che si prenda questa responsabilità. Dopo, ci sarà il disastro che nessuno si aspettava, quando intanto c’è già una sentenza rispetto all’esondazione del Carrione a Carrara che provocò delle vittime. L’esondazione avvenne perché il letto del fiume era completamente pieno di materiale di scarto proveniente dalle cave. Per finire, nelle zone di non cava il PIPSEAA propone il ripristino di tutte le sentieristiche, oltre alla ripresa e valorizzazione di lavori antichi, dalla pastorizia all’agricoltura e alla castagna. Oggi questi non sono più gli ultimi dei lavori, sono anzi i primi, ma si stenta a capirlo, perché purtroppo siamo in un mondo distorto in cui chi produce la cosa più importante per l’umanità, ovvero il cibo, una cosa a cui tutti ricorriamo due o tre volte al giorno, risulta essere l’ultimo. E’ quindi un mondo storto. Tuttavia, oggi, pur nella distorsione, chi riesce a produrre e a vendere a filiera corta campa dignitosamente, probabilmente molto meglio di chi lavora chiuso in fabbrica per dieci ore al giorno. Per questo, tra l’altro, invitiamo i giovani e tutti coloro che avessero voglia di iniziare un lavoro con la natura a venire sulle Apuane. Naturalmente non pensando di fare una comunità hippie, con tutto il rispetto, ma bisogna venire per lavorare…, quelli semmai li mandiamo ad occupare le cave… Questa due giorni di seminario si integra con questo grande progetto che abbiamo teorizzato e che, lo sottolineo, non abbiamo teorizzato e basta, ma abbiamo iniziato a costruire fin da subito in prima persona. Io e mio fratello, per esempio, abbiamo attivato un’azienda agricola, e io sono anche presidente di una cooperativa che lavora sui servizi per il turismo; altri si sono aggiunti nel tempo: aziende agricole, pastorizia, gestione di rifugi, ostelli e ristoranti. Questo lavoro serve a cambiare marcia rispetto alla realtà precedente, fatta di tanti singoli progetti: si tratta di mettere in rete e far lavorare insieme situazioni diverse, ottenere un’amplificazione di tutto il lavoro che stiamo facendo. Il seminario ha anche questo risvolto pratico: costruire nei fatti quello che teorizziamo. Abbiamo presentato delle attività, lanciato dei progetti che si stanno muovendo, quasi sempre senza le istituzioni che, a questo punto, non stiamo neanche più ad aspettare, visto che ci hanno già chiuso la porta in faccia tante volte. Progettiamo, poi, delle azioni da fare per le Apuane: dalla petizione on-line alla presenza nei consigli comunali con striscioni, fino alla scritta “Salviamo le Apuane” da portare nelle città e nei paesi. Insomma, tutte quelle azioni che possano servire a rompere il muro di silenzio che circonda la questione. Stiamo pensando a un convegno nazionale con personaggi conosciuti che intervengano a fare da testimonial contro la distruzione delle Apuane, visto che il marmo, questo materiale nobile, di testimonial ne ha tanti… Ma le Apuane di marmo ne hanno già dato troppo al mondo, basti pensare ai monumenti di Roma, per tre quarti fatti di marmo apuano; ormai le Apuane sono sparse in tutto il mondo sotto forma di monumenti e rivestimenti vari. A quanto pare ora ci sono degli appalti enormi in Brasile, nuove città… E poi, tutto questo marmo per quale uso? Un uso veramente frivolo. A questo punto, però, ti chiedono: ma allora che si fa? Non si usa più il marmo? Be’, se siamo nell’ottica che ci troviamo in un’emergenza ambientale cosa vuoi fare? Certo, potrà rimanere qualcosa da lavorare per l’arte, ma quella vera. Anche qui ci troviamo di fronte a un capitolo pietoso, perché ormai chi scolpisce davvero son rimasti più pochi; tanti usano le macchine 3D, con le stampanti 3D si fa qualunque cosa: si mette il modellino e si fanno 300 statue uguali. Si arriva a un livello in cui l’arte diventa arte industriale, non c’è più Michelangelo che scolpiva a mano un blocco e ci lasciava opere che hanno trapassato i tempi. Vedevo ieri che hanno fatto la Ferrari 340 di marmo… Ma che te ne fai? A che cazzo serve la Ferrari 340 di marmo? Un affare di tre metri… lo metti in giardino? ’Sta roba kitschissima… Ma io devo vedere le mie montagne distrutte per produrre… cosa? Siamo passati dal fare la Pietà di Michelangelo a fare le mattonelle per i cessi degli sceicchi per arrivare, oggi, a fare la colla per i cessi dei condomini. Un degrado assoluto nell’uso della materia.
Lucca Libera: in Italia sono presenti da anni molti comitati e movimenti che si battono contro le devastazioni ambientali imposte dall’alto e le rapine dei beni comuni, favorite da interessi economici e politici per il profitto di pochi a scapito dei territori e delle popolazioni. Trovate che esista un terreno di lotta comune con altre realtà e situazioni?
Eros: sicuramente, è abbastanza evidente che la radice è comune. Tutti veniamo dagli stessi problemi, lo si vede nelle Grandi Opere Inutili, come le abbiamo ribattezzate: il Tav, il Ponte sullo Stretto ecc. Sono tutte opere che hanno dietro la stessa logica economica e commerciale che purtroppo è quella di far campare le solite aziende di Tizio, Caio e Sempronio, come le cooperative rosse, e tutto in nome del profitto. Siamo di fronte a un sistema economico che ormai si regge solamente su questo. Riguardo a ciò ci troviamo pienamente d’accordo con il movimento No Tav, con cui poco tempo fa abbiamo fatto un incontro a Capannori. Le posizioni sono simili, anche loro si sono messi sulla strada di proporre un’economia alternativa, anzi probabilmente sono più avanti di noi. Quello che è bello è che si sta passando in tanti posti dalla progettazione e dalla teorizzazione di possibili alternative alla costruzione delle stesse. Anche se può sembrare ingenuo agli occhi dei più pragmatici, non lo è poi tanto, perché le dinamiche che si mettono in moto sui territori si vede che non sono così banali. Ad esempio, se io mi metto a fare un’attività, prendo il campo del nonno fermo da anni e lo coltivo, io in quel territorio innesco dei meccanismi grossi: gli altri mi vedono, vedono che io posso farci un’economia, che riesco a mangiarci… Noi lo percepiamo chiaramente: questi piccoli processi che mettiamo in moto si legano, in realtà, a delle cose molto più grandi, c’è un ritorno nelle coscienze delle persone: il riappropriarsi dei territori, il rispetto dell’ambiente… C’è come un rientro dopo l’ubriacatura di questo secolo feroce appena passato: stiamo smaltendo la sbornia del ‘900, stiamo andando oltre i gigantismi industriali obbligatori. Tuttavia, s’impone ancora questa ideologia ormai vecchia e lo si vede, ad esempio, nella questione delle energie alternative. Le energie alternative in mano alla solita gente da possibile soluzione stanno diventando un problema: a logica i piani urbanistici si fanno per contenere le zone di urbanizzazione al di fuori delle zone naturali, e invece, poi, si vanno a fare gli impianti eolici sui crinali dei monti. Sull’Appennino noi ci siamo opposti all’impianto di un campo eolico con pale di 140 metri in un posto meraviglioso. Durante la lotta abbiamo capito che questi progetti campano solo di finanziamenti pubblici, tolti i quali, non funzionano più. Anche riguardo ai campi fotovoltaici si muovono ancora secondo modelli novecenteschi che hanno fallito ovunque, un gigantismo del tutto inattuale, e poi in zone incontaminate, quando abbiamo già ampie zone urbanizzate che potrebbero essere rivestite di pannelli. Perché per fare questa roba dobbiamo utilizzare le poche zone verdi dei nostri territori? Producono impatti violentissimi, mentre dovremmo orientarci verso le microenergie, l’agricoltura, la filiera corta, l’uso dell’energia alternativa su piccola scala e mirato. Non dobbiamo permettergli di far diventare un problema quella che dovrebbe essere la soluzione. Sul business delle energie alternative si innesta un sistema contorto per cui terreni coltivabili o già coltivati vengono utilizzati per stenderie di pannelli fotovoltaici, grazie anche allo strozzamento economico subito negli ultimi anni dalle aziende agricole. Fortunatamente, vedo in tutta Italia nascere dal basso comitati e movimenti che si stanno autorganizzando per dare risposte a un sistema che sta crollando, lentamente, e questo non so se sia un bene o un male, ma comunque sta crollando e sta lasciando dei vuoti enormi, si pensi agli esodati e alle innumerevoli altre persone che non hanno risposte sul domani. Intanto loro, i politici, continuano a parlare di altro nelle loro sale e le uniche soluzioni che propongono sono quelle troglodite di un ‘900 che già ha segnato pesantemente molte generazioni. Inoltre, si tratta di soluzioni che arrivano da paesi come gli Stati Uniti che hanno a disposizione territori immensi, non paragonabili a quelli dell’Italia che è una striscia di terra sovrappopolata, completamente antropizzata. Qui tutte le montagne sono terrazzate, sono lavorate, piantumate, abitate. Loro vogliono applicare modelli statunitensi o australiani in territori come i nostri, ma lo capisce qualunque imbecille che non può funzionare e, infatti, non sta funzionando. In Sicilia ci sono impianti eolici da tutte le parti e quando c’è un po’ di vento vengono staccati dalla rete, perché non è possibile assorbire tutta l’energia prodotta. Sgarbi, per quanto contestabile come persona, su questa cosa ci ha fatto una battaglia enorme. Allora dove sta il guadagno? Ovviamente nel farlo l’impianto, soprattutto grazie agli incentivi statali. Questo è il sistema che ci stiamo vivendo e quindi la lotta è contro questo sistema.
Lucca Libera: esiste una rete di comunicazione con altre realtà di movimento?
Eros: al momento siamo nella rete dei movimenti e dei comitati della Toscana per la difesa del territorio con i quali abbiamo fatto dei tavoli in Regione. Inoltre abbiamo stretto amicizie e alleanze con i movimenti dell’Amiata contro il saccheggio geotermico da parte dell’Enel. Al momento le relazioni stanno maturando e mi auguro che possano sfociare in un forte progetto comune. Ovviamente non sto inquadrando la questione dal punto di vista di un potenziale partito, assolutamente no. L’inquadro nell’ottica di una rete che possa fare un’opposizione seria, a livello popolare, in grado di far sentire alle istituzioni che ci sono dei movimenti che stanno reclamando il territorio e un futuro dignitoso. Credo che, al momento, partiti e forze politiche stiano andando al rimorchio di proposte che provengono da fuori. Come movimenti è meglio star fuori dalle istituzioni; che poi in certe forze politiche ci siano personaggi che fanno parte dei movimenti può essere importante, ma il movimento in sé non deve mai schierarsi secondo queste forme istituzionali della politica, perché sarebbe la fine di quel movimento, sarebbe inglobato e mangiato dal sistema stesso. Ovviamente i movimenti sono più o meno grandi, da chi lotta per una rotonda a chi lotta per l’Amiata, ma hanno una radice comune che è quella di lottare contro la speculazione a discapito del territorio e del futuro della gente, perché ciò che viene compromesso sono le condizioni di vita presenti e future delle persone. In Italia ci troviamo nell’abominio di un capitalismo consumista in cui si è perso ogni know-how produttivo, si fa solo lavoro di assemblaggio e poi ci sono i servizi, non esiste più una cultura contadina, tecnica o produttiva.
Lucca Libera: quali le iniziative in programma nell’immediato?
Eros: il 22 febbraio alle 17.30 ci sarà un presidio in piazza S. Michele per la “Giornata nazionale di mobilitazione e di lotta ognuno nel proprio territorio” lanciata dal movimento No Tav. Per il 2 marzo è stato organizzato l’incontro “Sui sentieri della distruzione”: ci troveremo tutti a Campo Cecina sulle Alpi Apuane, nella zona sopra Carrara, e faremo una visita alle cave per vedere quello che succede. Naturalmente tutti sono invitati a partecipare. Successivamente, abbiamo in progetto un grosso convegno in cui dovrebbero intervenire rappresentanti delle principali vertenze italiane, dall’Ilva al Tav. Stiamo nel frattempo organizzando proiezioni e tavoli in tutta Italia, un percorso già iniziato due anni fa. Al momento, poi, stiamo lavorando con dei giornalisti stranieri per delle inchieste sulla situazione. Infine, ci saranno tanti piccoli eventi nei vari territori toscani.